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-Capitolo 45-

Pov. Alan

Flashback

Guardai fuori dalla finestra, davanti alla scrivania. Era già calato il sole, e solo la luce fioca dell'abat-jour illuminava parte del mio volto, e le pagine delle pile di libri che stavo studiando. Ero teso, molto. Sentivo il sudore scorrere tra le pieghe della fronte corrugata, per l'impegno e la paura.
Non mi era permesso studiare, e il tempo che Valten era fuori lo occupavo così.
Diceva che un vero uomo non aveva bisogno di studiare, ma doveva essere solo capace ad usare la propria forza fisica e giocare d'astuzia.

Lessi con attenzione quelle pagine, perché per me divenire avvocato, era l'unica cosa che m'interessava. Iscrivermi al college, vivere una vita normale. Fuori dalla Mafia, dai giri di droga e prostituzione.

Finché non sentii la porta di casa sbattere furente. Mi alzai dalla sedia di soprassalto, che non volendo dalla foga, cadde a terra sonoramente. Spalancai gli occhi ed imprecai mentalmente. Era Valten, era tornato prima dai suoi affari di merda.
Tentai di rimettere via i libri, ma il tempo mi remava contro, poiché in uno scatto repentino, sentii la maniglia di ferro abbassarsi sotto la sua mano possente, e la sua ombra allargarsi da sotto la porta, prima di spalancarla con un tonfo netto, per far sbattere la maniglia contro il muro, e vederlo in piedi sulla soglia della mia stanza.
Deglutii fortemente, vedendo la sua mascella squadrata rigida, i suoi occhi sapevano di malignità, e m'incutevano timore. Mi mancava mia madre, lei aveva sempre belle parole, diceva che da grande avrei fatto strada, e non sarei diventato come mio padre, ed io ci volevo credere, perché la speranza era l'ultima a decedere.

-Cosa stai facendo?-
Il tono di voce duro e risoluto, come comandante di un esercito.

Abbassai lo sguardo sulle scarpe, tenendo il libro ancorato tra le mani, come uno scudo. Avevo paura del mio stesso sangue, ero una nullità.

-S...sto, io...stavo studiando- ammisi fievole ed impastato, continuando a guardare la sua ombra oscura a terra, e mai i suoi occhi. Mi vergognavo, vergognavo perché secondo i suoi canoni, ero un figlio incapace.

-Studiando- ripeté la mia parola, come se avessi detto un verbo ancora da lui sconosciuto. Lo vidi portarsi il pollice e l'indice sotto il mento ispido, mentre rimanevo immobile, finché con uno scatto repentino, allungò la mano, che mi arrivò dritta sulla guancia, sferzata talmente forte, da rigirarmi il voltò verso destra, e farmela indolenzire ed il secondo dopo formicolare ardentemente.
-Studiando, razza di fallito. Sei una femminuccia, guardati...piangi. Dovevo lasciarti morire, dovevi morire come tua madre- sputò fuori con il suo ghigno malefico, quelle parole spregevoli, prendendo il libro che mi cadde a terra in un tonfo secco, lasciando che le mie braccia si allungassero lungo i fianchi, e qualche lacrima facesse la sua entrata, correndo lungo il profilo del setto nasale, per finire sulle labbra.

-sai cosa ne farò adesso di questa Merda?- mi domandò avvicinandosi di qualche passo verso di me, con la suola delle sue scarpe che produceva un rumore scricchiolante sul parquet.
Prese il libro in mano, iniziando a stracciare tutte le pagine, e trovando il foglio di ammissione per il college.
Avevo il terrore negli occhi, tentai di riprenderlo, allungando il braccio, ma con una ginocchiata sullo stomaco, mi fece cadere a terra, strappando in mille pezzi il foglio, lanciandomeli addosso come coriandoli.

-no...non puoi averlo fatto, figlio di puttana- gridai tra le lacrime di disperazione, tentando di rimettermi in piedi, ma la sua mano possente, mi acchiappò per i capelli, rizzandomi e fissandomi negli occhi gelidi.

-Come mi hai chiamato? Sei solo un rifiuto umano- mi sputò in pieno volto, sentendo la sua saliva, volarmi lungo il mento ed il senso di ripudio farsi spazio dentro di me. Lo odiavo, ero accecato da un odio senza precedenti.

-Scordati la laurea, scordati un futuro. Cambierai il nome da oggi, Alan, un nome da femmina rammollita. Ti chiamerai Jason, ed entrerai a fare parte del mio esercito, ti divertirai...- lasciò la frase in sospeso mentre tentavo di ricacciare indietro i singulti per non farmi vedere ancora più fragile di quanto non lo fossi già dentro.
-Se farai il bravo, magari ti farò scopare qualche ragazzina. Vedrai quanto ti piacerà scopare- rivelò con un ghigno lascivo, buttandomi di nuovo per terra, mentre arrancai come un granchio all'indietro, fino al muro.

-No, non puoi, io non farò mai parte, del tuo esercito- sbraitai con le poche forze, sentendo il mio respiro irregolare, è il buio primeggiare tra le pareti. Guardai i suoi occhi simili ai miei, iniettati di sangue, e si piegò sulle ginocchia, alla mia altezza.

-lo farò eccome, mio caro figlio, o sarò costretto ad ucciderti. Inizieremo domani. Dormi e se entri in cucina per mangiare ti pesto a sangue. Un vero uomo sa resistere a tutto- affermò cupo e rigido, sentendo il sangue raggelarmi le vene, e smettere di pompare, per essere un pezzo di ghiaccio. Prima di sentire un altro schiaffo assestato sulla guancia, spaccandomi l'angolo del labbro, dove colò un rivolo di sangue che sapeva di ferro, ma niente lacrime. Gliel'avrei fatta pagare, l'avrei ucciso a mani nude, sarei diventato un uomo, uno che sa sempre come agire.

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Corsi a perdifiato sulla sabbia. Il suo corpo, il suo aroma. Stavo perdendo tutto per un soffio, la stavo per strangolare. Vedevo il suo volto e nient'altro, odio puro, viscerale. Sentivo la sua risata malevola che riecheggiava come mille echi consecutivi dentro l'udito. Mi sentivo come posseduto da l'altro me, tornando indietro a quella scena. Quando la sua voce dolce a poco a poco, ed il suo pianto spezzato, mi fecero ritornare nel barlume della ragione. Ero a cavalcioni su di lei, le mie mani a stringere come un serpente, il suo collo aggraziato, ed il suo volto arrossato, come gli occhi pieni di lacrime. Le sue parole che mi pregavano di andare via, accovacciandosi e parandosi con il corpo, da me, me che ero un diavolo, ero un Dio malvagio, non adatto ad una come Hope, non adatto ad una come Krys. Ma Dio se l'amavo, l'amavo come si ama la libertà, perché lei era la mia libertà, la liberazione da ogni demone interiore. Non sapevo per quale motivo questi incubi anche in sua presenza ritornassero. Dovevo prima fare pace con me stesso, sconfiggere il male che portavo dentro, che mi succhiava come un sanguisuga.

Continuai a correre, fino a vedere a poco a poco, il sole sorgere del tutto, ed i raggi schiaffarsi contro la mia figura. Il sudore colava lungo il mio volto, e la pianta dei piedi era rinfrescata dalla sabbia umida. Il rumore delle onde mi rilassava. Mi fermai passandomi le mani tra i capelli, frustrato e furioso con me stesso. Come avevo potuto fare tutto ciò? Non mi avrebbe perdonato. Vedevo la paura nei suoi occhi, quella che ogni volta avevo io quando vedevo Valten. Aveva paura di me, io che ero l'unico che voleva proteggerla da tutto, io che stavo per ucciderla. Sentii una lacrima scivolare lenta lungo la guancia madida, mescolandosi al sudore. Non accettavo di essere stato così con lei. Era per questo che avevo paura a dormire, per i miei incubi. Ero talmente preso da tenerla stretta a me, che ero stato un fottuto coglione egoista.

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