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-Capitolo 38-

Sentii la freccia azionarsi, e guardai la freccetta verde lampeggiare, svoltando a destra. Il viaggio era stato lungo, ma in compagnia di Alan era scorso veloce. Troppo per scendere dalla macchina. Sentivo ancora il suo sguardo lascivo ad ogni movimento che il mio corpo faceva, su quel sedile, a ritmo di musica.
Avevo notato il mare splendente in lontananza, dove i raggi del sole si specchiavano, maestosi.

Intravidi una casa ritinteggiata di turchese, con il porticato. Delle lanterne appese sul tettoia, ed una sedia a dondolo fuori.
Non feci domande. Guardai solo il volto sereno di Alan. Forse era un luogo di pace assoluta questo per lui. Forse era un modo per conoscerlo di più.
Si voltò appena verso di me, vedendo un sorriso aleggiare sul suo volto, e le gomme stridere sulla ghiaia.
"Ti vedo tesa. Rilassati" m'incitò, poggiando dolcemente il palmo sulla mia coscia scoperta, mandandomi una vibrazione tenue, lungo quel lembo di pelle scoperto, ed ingoiai il magone.

"È normale. Magari potrei fare una brutta impressione" rivelai fievole, calando lo sguardo sulla sua mano, ancora premura sulla mia coscia, salendo più su e radunando le forze interiori per non ansimare.

"Impossibile" affermò sicuro, come se sapesse sempre per certo che cosa pensasse la gente di me.

Annuii stringendo le labbra tra loro, in una smorfia per convincermi, e stropicciando il palmo improvvisamente sudato e formicolante, sul lembo del vestito.
"Ehi" mi richiamò, sentendo il suo indice ed il suo pollice, sollevarmi il mento, spostandolo nella sua direzione, per guardarmi con i suoi occhi ammalianti, un argento vivo e liquefatto.
"Non devi preoccuparti, ok? Forse del piccolo Jhonny, ma per il resto puoi stare tranquilla" rivelò ridendo dolcemente, a quel nome pronunciato.
Storsi un attimo il naso, in un'espressione curiosa. Ma non ebbi il tempo di chiedere chi fosse, poiché sentii il rumore della porta di vetro del porticato, addobbato con una tendina a perline, tintinnare tra loro, ed un bambino di nove anni più o meno, correre gioioso verso Alan.

"Zio Alan" gridò euforico, sentendo la suola degli scarponcini, spazzare via la ghiaia, ed Alan che scese, andandogli in contro, per poi piegarsi sulle ginocchia, ed abbracciarlo dolcemente, con un sorriso spontaneo. Un sorriso che non avevo mai visto fin ora. Usciva dal cuore, era sincero, ed era bellissimo vederlo così se stesso, e non composto come sempre. Poteva essere suo nipote?! Mille domande si formavano dentro di me, ma avrei parlato dopo con lui.

"Piccoletto. Sei cresciuto" affermò ciò che era evidente si suoi occhi, spettinandogli i capelli castani, in cui il ciuffo ricadeva sulla fronte. Due occhi nocciola, ed un sorriso furbetto sul volto appena rotondo.

Mi feci forza, esalando un respiro, e scendendo dall'auto, per avviarmi verso Jhonny.
Il bambino si voltò verso di me, guardandomi a fondo, e poi tornando su Alan.
"Lei è..." sussurrò come un segreto, e rimasi attonita. Possibile che sapesse chi fossi?! Forse li aveva avvertiti che sarebbe venuto in compagnia. Una lieve punta d'imbarazzo mi colpì, sentendo le guance tirare, per un sorriso che voleva aprirsi, e lo lascia fare.

"Ciao. Tu devi essere il piccolo Jhonny" proclamai cristallina, vedendolo annuire compiaciuto, socchiudendo appena gli occhi.

"Ma non sono piccolo" mi riprese, incrociando le braccia al petto, con una smorfia di disapprovazione. Sorrisi di cuore, e così anche Alan che alzò le mani.

"È un ragazzo ormai" lo difese sarcastico, strizzandomi un occhiolino d'intesa, rivelando i suoi denti perfetti. Mi morsi il labbro, abbassando appena la testa, per ritornare su di loro.

"Esatto Zio. Ed ho anche una fidanzata" c'informò con tono altezzoso, allungando il collo. Certo non gli mancava la parlantina.
Sentii Alan emettere un verso beffardo, prima di alzare lo sguardo sul porticato ben curato, costeggiato da varie piantine nei vasi, e notare una signora non troppo anziana, forse qualche anno più di Miranda, sbucare fuori, pulendosi le mani al grembiule giallo.

"Jhonny, smettila d'infastidirli. Sono arrivati ora, saranno stanchi. Sempre il solito impertinente" aggiunse dolcemente, scuotendo la testa, con i capelli biondo cenere, rilegati in uno chignon.
Si avviò verso di noi, vedendo Alan ed un sorriso formarsi come delle piccole rughe ai lati delle labbra, spostando successivamente lo sguardo su di me, e notare i suoi occhi nocciola splendere. Mi sentii più sollevata alla vista di quel volto gioviale, e rimandai il sorriso sincero.

"Zia Dorothy" la salutò Alan caloroso, andandole incontro ed allargando le braccia, per stringerla in un abbraccio tenero, pieno d'affetto ed il mio cuore subì un colpo profondo, facendomi nascere un'emozione quasi sconosciuta.

"Alan, era da un po' che non ti vedevamo" lo rimproverò bonariamente, per scansarsi dolcemente e guardarmi profondamente a me, come se dovesse ricordarsi chi ero, benché io non l'avessi mai vista.
"Lei è..." non la fece finire di parlare, che prese subito parola lui, sgranando appena gli occhi, come per paura di qualcosa, ed un senso di ansia mi prese in contropiede.

"Hope. La ragazza di cui ti ho parlato" le rivelò limpido, vedendola passarsi la mano sulla fronte, come a ricordarsene solo in quel momento.

"Salve" la salutai timidamente, aggiustandomi finte pieghe sul vestito, che scendeva dolcemente su i miei fianchi.

"Certo, fatti abbracciare" m'incitò dolcemente, facendomi un gesto con la mano per raggiungerla, e l'abbracciai dandole due baci sulle guance. Aveva una pelle liscia, anche se le rughe contornavano il suo volto. Profumava di primula, e il vestito si era aromatizzato di qualche spezia usata prima in cucina.
"Entriamo dentro, fa molto caldo oggi" c'invitò, sventolandosi una mano davanti per l'afa. In effetti era molto più caldo, ma una leggera brezza arrivava. Gettai uno sguardo oltre la casa e poche erbe incolte, vedendo una spiaggia non molto lontana.

"Non mi avevi detto che c'era il mare" mi avvicinai ad Alan sussurrando quelle parole a bassa voce, come se fosse stato un nostro piccolo segreto. Guizzò in un attimo i suoi occhi ghiaccio, dolci, regalandomi un sorriso che apriva il cielo.

"Ero sicuro ti sarebbe piaciuto" ammise sincero, alzando le spalle ed io potei solo confermare con un brillio a farmi da complice negli occhi. Sapeva sempre tutto, e mi domandavo se ero così tanto un libro aperto per lui. Simon a malapena sapeva come andava il mio lavoro in ufficio. Ed il pensiero tornava sempre ad incolparmi, ma decisi di scacciarlo via come una nube grigia.

Superammo il porticato in legno, venendo inebriata dall'odore dei fiori, e da un quadretto in legno, appesa ad un chiodo, vicino alla vetrata bianca della porta.
Mi soffermai un attimo a leggere, sottovoce, ma la voce rauca e profonda di Alan mi precedette, alitando dolcemente sul mio collo percosso da brividi irrefrenabili, brividi che si libravano fuori dal corpo.
"Nulla è perduto che non si possa ritrovar cercando. Amore non è amore che muta quando scopre i mutamenti od a separarsi in cima quando altri si separano. Oh no, è un faro irremovibile che mira la tempesta e mai ne viene scosso..." lesse al posto mio, una delle frasi di Jane Austen. Ne ero un'appassionata.
Mi voltai verso di lui, notandolo ammirarmi e inchiodarmi con i suoi occhi.

"Bella vero? Dorothy ama queste frasi" rivelò carezzevole, mentre deglutii fortemente incapace di parlare. Mi sentivo una perfetta rimbambita. Ed il fatto che una parte fosse sbiadita, rendendola illeggibile, mi faceva capire che la sapeva anche lui. Quante cose non sapevo di Alan e quante cose volevo scoprire, mi sarei nutrita dei suoi misteri, ne avevo bisogno.

"Sono tua zia e tuo nipote?" Cambiai volutamente discorso, azzardando a sapere almeno la verità su chi fossero.

Abbassò appena la testa scuotendola.
"La chiamo zia perché la conosco da una vita. E lui non è mio nipote, ma adoro essere chiamato zio..." lasciò la frase in sospeso, divenendo più cupo sul volto, abbagliato appena dal sole, che stava per calare. Voltò il viso verso l'orizzonte che incombeva, dipingendo il cielo di variegature arancioni, che si gettavano nel mare, come uno specchio, ed un refolo di vento ci avvolse, i capelli ed il corpo, facendomi inalzare appena il vestito.
"Mi fa sentire parte di qualcosa" terminò fievole, con lo sguardo perso, come se il ricordo del suo passato, lo avesse marchiato di dolore in lavabile.

"Alan io..." non terminai poiché avevo la gola secca, che prese parola.

"Sarà meglio entrare. Puoi aiutare Dorothy con i suoi manicaretti. Domattina provvederemo a prendere qualcosa da vestire" tornò più calmo, spiegandomi quelle cose, ma vedevo i suoi occhi cambiare sfaccettatura. Il suo bipolarismo mi spiazzava, mi rendeva irrequieta, eppure non riuscivo a non restarne affascinata, ed a desiderarlo costantemente. Come una fiaccola che viene solo alimentata è mai spenta.

Annuii debole, superando la soglia, sentendo la porta richiudersi dietro di noi.
Mi guardai intorno, vedendo l'arredamento sullo stile vintage. Tutti i mobili in legno, ridipinti di bianco e turchese, proprio come una piccola baita sul mare. La vetrata ampia, contornata da tende bianche velate. Un divano ad isola, in tessuto bianco, con cuscini di vari colori sopra.
Le scale a chiocciola di legno, ed un arco nel muro, che conduceva alla cucina, da dove proveniva un'odore delizioso, che mi fece formicolare, le papille gustative.

Trovai Dorothy, impegnata a rigirare le patate nella teglia, e mi avviai per darle una mano, mentre Alan era stato tirato via da Jhonny, per giocare con lui a pallone.
Lo guardai allontanarsi attraverso la vetrata, e si voltò appena verso di me, facendomi sempre lo stesso effetto. Desiderio ed ora anche un affetto. Forse era il vederlo spensierato che mi piaceva, o forse era solo lui. Ero solo sicura che mi stavo perdendo pezzi per strada.

"Bello vero?" Mi ridestò dai miei pensieri, la voce esile di Dorothy, mentre mi rigirai frastornata verso di lei. Beccata in pieno Hope!

"Io...ehm...ti serve una mano?" Deviai la domanda, facendo mille smorfie buffe perfino per me, e la notai ridere dolcemente.

"Tranquilla cara. Se vuoi puoi tagliarmi il roast-beef. Non sono brava con i coltelli" ammise facendosene una colpa, deridendosi da sola. Era una donna alla mano, infondeva allegria, e tra una chiacchierata e l'altra era arrivata l'ora di cena. Non avevo chiesto nulla di Alan. Non era il momento di curiosare, ero arrivata oggi e sarei sembrata stramba. Lo sei mia cara Hope!

Andai fuori al porticato, portandomi una mano al lato delle labbra, per richiamare l'attenzione di Jhonny ed Alan. Lo guardai sottrargli il pallone, facendolo rimbalzare sulla punta delle scarpe da ginnastica, ed afferrarlo in mano, mentre Jhonny sbuffò, sonoramente.
Lo ammirai girarsi cristallino verso di me, abbagliandomi. Rimasi immobile sul posto, fissandolo ardentemente. La maglia già attillata di per se, si era attaccata come una seconda pelle, mettendo ancora più in evidenza i muscoli del torace e dell'addome. Le gocce di sudore imperlavano la sua fronte, ed il suo ciuffo appena madido, tanto da renderlo irresistibile, piccole stille che ricoprivano il suo volto, mettendo in evidenza quegli occhi ghiaccio, contornati da lunghe e folte ciglia nere. Era bello, bello da far male, ed enigmatico il giusto, per farmelo desiderare da impazzire, e farmi contrarre le labbra pulsanti e gonfie. Volevo le sue dita dentro, volevo lui a riempirmi. Dio Hope! Che pensieri indecenti!
"Vai a lavarti le mani campione, ti raggiungo tra poco" intimò dolcemente verso Jhonny che sorrise, vedendo la sua canotta bianca sudata, correndo dentro casa, e la porta che si richiuse con un tonfo, fece innalzare un po' di vento, che mi colpì in pieno, ma non me ne curai. Lo guardai avanzare verso di me a passo sicuro, gettando il pallone al lato del porticato, che rotolò fin sotto la sedia a dondolo, con dei cuscini a fiori.

"Sei..." non riuscii a trovare le parole, vedendo il suo volto contrarsi in una smorfia incuriosita, ed innalzando il sopracciglio scuro e delineato. Mi toccai il collo, avvertendo che stavo sudando anche io.

"Sono?" Domandò rauco, notandomi in soggezione, e facendosi più vicino. Indietreggiai fino al muro del porticato, mordendomi appena l'interno guancia.

"Sudato" affermai con tono basso, scivolando lo sguardo lussurioso sul suo corpo.

"Uhm e quindi?" Ricalcò facendosi più vicino, e portando un palmo al lato della mia testa, inchiodandomi con i suoi occhi più scuri, per il desiderio crescente. Saliva a livelli inesorabili, toccando punti mai sfiorati.
Notai il suo braccio muscoloso teso, sostenendo il mio sguardo che voleva sviare, per trovare pace.

"Avresti bisogno di, una...doccia" tentai di parlare senza mangiarmi le parole, che anche non volendo masticavo. Abbassò appena lo sguardo, vedendo che mirava sulla mia intimità, e si passò la lingua sul labbro inferiore, risalendo lentamente su i miei occhi.

"Vuoi venire?" Domandò suadente e profondo, sentendo il corpo avere uno spasmo subitaneo. Dio, dove? Come?

"D...dove? Adesso? Qui?" Domandai a raffica imbarazzata, e con un magone che serrava la gola. Si morse il labbro divertito, leggendo uno scintillio argento in quelle iridi che mi facevano ammattire.
Scosse la testa, avventandosi verso il mio lobo, sfiorandolo appena, ed inalando il mio profumo con la punta del suo naso. Sudato faceva ancora più effetto, ed il mio corpo non si ribellava più ormai.

"Ti farei venire ad ogni ora del giorno, non me ne fregherebbe un cazzo del posto, della gente che ci accerchierebbe, solo per sentirti ansimare. Ma intendevo dentro la doccia. Dorothy ci ha preparato la camera. Preferivi dormire separatamente?" Aggiunse l'ultima domanda che era quella che avevo afferrato meno in tutto il discorso, poiché le mie gambe sembravano gelatina, ed il mio cuore rimbombava talmente forte, sbattendo contro il petto, dove mille sensazioni si stagliavano.

Serrai le gambe, come d'istinto, portandolo a sospirare con il suo modo sexy e pacato, socchiudendo appena quegli occhi, fonte di perdizione. Abbatteva ogni cosa, ed io cadevo in una voragine fatta di noi. Era un labirinto Alan, che anche se avevi paura a percorrerlo dovevi scoprire dove portasse, e come si arrivava all'uscita.
Trattenni il respiro, prendendo le parole e collegandole nella testa, per formare una frase di senso compiuto, finché non sentii il cigolio della porta aperta, ed il volto di Jhonny fare capolino.
"Venite zii?" Chiese dolcemente, indicandoci con la testa l'interno di casa, mentre in uno scatto repentino mi voltai verso Alan.

"Zii?" Lo guardai sbiancare, e sgranare gli
Occhi, per poi riprendersi e scuotere il ciuffo madidi.
Si avvicinò di nuovo al mio lobo, ed io
Non resistevo più, dovevo averlo in ogni modo. Le conseguenze sarebbero arrivate comunque, tanto valeva rischiare. Tanto valeva essere una libellula.

"Crede che sei la mia fidanzata, ed a me piace farglielo credere" rivelò rauco, baciandomi dolcemente la pelle sotto l'orecchio, facendomi uscire un ansimo tenue, per non farci sentire. Le sue parole erano come un fiammifero che sfregava sul mio cuore, azionando la fiamma.
"Andiamo" si staccò controvoglia, almeno quanto me, entrando in casa, e vedendo la cena pronta, ed un sorriso aprire i loro volti. Questa era la felicità. Solo dovevo ricordarmelo.

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