-Capitolo 37-
Riuscire a dormire era stata un'impresa assai ardua. Mi ero rigirata nel letto varie volte, e sentivo ancora il suo aroma sotto al naso. Non abbandonava il mio olfatto. Alzai un braccio, illuminato dai dolci raggi del sole, che filtravano deboli attraverso la tenda Beige con fiori dorati, annusandolo dolcemente, e strofinando appena la punta del naso fresco, sopra. Si! Avevo ancora il suo odore magnifico, permeato addosso. Lo sentivo sul palato, dove passai la lingua, sulle labbra appena disidratate per la sete che avevo. Sentivo ogni cosa di lui, ed adoravo questa sensazione che fioriva dentro me. Sbocciava senza preavviso, facendomi rifiorire come fiori freschi, che profumavano di libertà. Lui era il mio aeroplano. Quel volo che attendevo con ansia, per decollare verso nuovi orizzonti della mia mente. Verso nuove frontiere del sesso. Ed il fatto che ormai Simon era stato quasi spazzato via dalla mia testa, mi rendeva fragile come un cristallo. I sensi di colpa mi divoravano, ma qualcosa di più potente, riusciva a non farmi sentire stronza. Non esiste sempre una ragione per tutto. Il corpo umano è complesso, difficile da spiegare. Potremmo parlare ore di come è composto, ma non possiamo dire per certo cosa avviene quando l'organo più importante prende una diramazione che si riverbera attraverso il corpo. Ti fa sentire elettrica, molle. Ti manda impulso al cervello, che anche lui capisce, che non c'è nulla da fare. Alan aveva preso il sopravvento. Volevo tentare si! Sbagliando, diventando una sporca bugiarda e falsa. Contro ogni principio sano della mia mente, volevo farlo. Lasciarmi andare appena, a qualcosa che magari portava alla parola tanto agognata da tutti. La felicità. Quella vera. Quella senza vincoli.
"La felicità del matrimonio, è solo questione di fortuna" narrava Jane Austen. Aveva tutte le ragioni nel pensarlo. Lizzie era così restia nei confronti di Mr Darcy, che credeva fosse l'ultimo uomo sulla faccia della terra, degno del suo onore. Ma non aveva previsto che un'uomo così taciturno e misterioso l'attraesse maggiormente.
Alan per me era così. Tanti anni a pensare che Mr Darcy somigliasse a Simon, non rendendomi conto che con lui era stato tutto semplice. Nessun ostacolo. Nessuna passione ardente. Nessun odio, che portava a quella voglia di farci l'amore tanto da stare male. E poteva essere per egoismo, ne ero certa, ma volevo tentare comunque. La mia felicità dipendeva dalle mie scelte. Giusto o sbagliate, dovevo iniziare a rischiare.
Mi alzai controvoglia, scostando le lenzuola fresche, e ricordandomi che oggi Alan mi avrebbe portato da una persona importante. Mille domande su chi fosse, tartassavano la mia mente, mentre mi guardavo allo specchio vedendo un'aria più salutare sul mio volto, pettinandomi i capelli, dove le setole massaggiavano delicate il cuoio capelluto.
M'infilai dentro al box doccia, e l'acqua del soffione scorreva lenta sul mio corpo, ancora febbricitante. La scena di ieri si stagliava in un rewind ogni due secondi. La sua pienezza che m'invadeva, il modo di stringermi il fianco, prepotente ed eccitante, con la paura che mi sarei smaterializzata da un momento all'altro.
E quando mi morse il labbro, in uno sfioramento delicato, innocuo, che aveva incendiato ogni cosa dentro di me.
Uscii scuotendo la testa, sentendo un sorriso ricoprire il mio volto, e mi avvolsi un telo intorno.
Asciugai con il palmo, lo specchio appannato, dovuto alla condensa, e gli occhi azzurri splendevano di luce propria, ed un lieve rossore fece capolino sulle mie guance. Finché non sentii lo squillo vivace del telefono.
Aprii la porta del bagno, cercando il cellulare che era rimasto sul comodino in carica. Poteva essere Alan, che mi avvisava dell'orario. Avevo ancora voglia di sentire la sua voce rauca, e chissà com'era bassa e profonda di prima mattina, che aspetto aveva, come era bello appena bagnato.
Mi sentii avvampare, e serrai le gambe tra loro per una fitta improvvisa, sedendomi sul letto dove le molle si abbassarono con un rumore sordo.
Gettai un'occhiata al display luminoso, vedendo il nome di Simon. Quelli che doveva essere il più importante. Il mio futuro marito. Che sarebbe dovuto rimanere fisso nei miei pensieri.
Scorsi l'indice titubante sul touch, rispondendo dopo un lungo respiro esalato nella stanza.
-Simon- sussurrai il suo nome, mordendomi il labbro, ed era lì che i sensi di colpa mi prendevano a pugni nello stomaco, in subbuglio.
-Amore, come stai? Devo darti una notizia- M'informò con il suo tono dolce e pacato, lo stesso che non avevo io.
-Bene, grazie. Che notizia?- Domandai, girovagando con lo sguardo perso, per trovar una fonte di distrazione. Lo ero già di mio.
-Un accordo di lavoro. Devo rimanere altri quattro giorni, qui. Ma non di più. E ti prometto che quando torno, potrai fare di me ciò che vuoi- aggiunse l'ultima frase malizioso, con un tono più intrigante ma che non mi scaturiva ciò che mi esplodeva con Alan. Maledetto, sexy!
-S...Sembra perfetto- esclamai e basta, quasi asettica, giocando con una ciocca di capelli, arrotolandola sull'indice.
-Allora ci sentiamo presto, Amore- mi sforzai quasi di cacciar fuori l'ultima parola, ma non volevo insospettirlo, o essere fredda. Avrei dovuto fare chiarezza e magari parlare con lui al suo ritorno.
-Certo- affermò dolce, ma prima che potessi richiudere mi richiamò.
-Ah Hope, Ti Amo- soffiò dolcemente quelle parole, che mi rendevano felice, ma nessun brivido a ricoprirle.
Abbassai lo sguardo, sentendomi una menzognera meschina. Non si meritava una come me. Non uno come Simon, dolce e premuroso.
-Anch'io- lo rassicurai sommessa, riagganciando subito dopo.
Mi cambiai, mettendomi un vestitino bianco fresco, dato che il tempo sembrava migliorare, ed un sole caldo ricopriva i prati e le strade.
Scesi lentamente giù, notando con mia grande fortuna che Miranda non c'era. Ultimamente la mattina usciva presto, e non mi poneva domande su con chi fossi e dove. Aveva capito forse che non erano affari sua. Anche se era strano non fare domande, per una ficcanaso come Miranda, ma non ci badai.
Aprii il frigo con un rumore refrigerato, prendendo un po' di succo al pompelmo che rinfrescò la gola arida, aggiustandomi i capelli dietro le orecchie.
Infilai tutto il necessario nella tracolla color Tiffany, sentendo il cellulare vibrare.
Lo presi con la mano che tremava per l'emozione al vedere il suo nome sul display.
Da Alan
-Sono fuori, qualche metro più indietro. Non vorrei che tua suocera mi rincorresse con la mazza da scopa-
Sorrisi di cuore a leggere le parole su Miranda, scuotendo la testa. Che scemo!
Chiusi la borsa, per aprire la porta con un cigolio tenue, richiudendola alle mie spalle. Come sempre il profumo dei fiori, accompagnava la mia camminata sul vialetto in pietra, fino al cancello di ferro, che aprii con l'indice sul grilletto metallico, sentendolo richiudersi automaticamente, con un tonfo pesante.
Camminai appena, scorgendo subito la macchina di Alan, o meglio dire Alan. Era con le braccia conserte, e le caviglie accavallate, appoggiato appena al cofano. I bicipiti pronunciati in quella posizione, avvolto in una maglia nera aderente, a mezze maniche, che delineava le sue linee deliziose e bramose di essere percosse dalle mie dita.
I jeans slavati, adornavano perfettamente le sue gambe toniche, finché non risalii sul suo volto. Un sorriso sfacciato, incurvato all'insù aleggiava sul volto fresco di rasatura, ed i suoi occhi glaciali erano coperti da degli occhiali con lenti a specchio, e qualche raggio illuminava la sua figura. Un Dio sexy e bastardo! Uno di quelli che ti sogni la notte, e che ti tormentano, rendendoti fragile, scombussolandoti la vita.
"Buongiorno signorina" mi salutò con il suo tono basso ma gioioso e sempre maledettamente intrigante, staccandosi con uno slancio in avanti, dal cofano.
"Noto che fai progressi. Da ragazzina sono passata a signorina. Quanto passerò ad essere chiamata donna?" Domandai sarcastica, notandolo sfilarsi gli occhiali, e farmi rimanere imprigionata dai suoi occhi brillanti e di un ghiaccio più tenue.
Si passò la lingua sul labbro, vedendo i suoi occhi riempirsi di lussuria.
Si avvicinò lentamente a me, sentendomi già riscaldata, ed in fibrillazione, poggiando le sue labbra sul mio lobo, mentre le labbra rilasciarono un sospiro arreso.
"Ieri sera lo eri, ma nuda sul letto lo saresti ancor di più" rivelò profondo, mordendomi appena il lobo, e mugugnando, mentre tutto dentro di me si contrasse di nuovo.
Mi aprì la portiera, facendomi accomodare.
"Hai portato tutto?" Domandò, mettendosi la cintura, guardandomi con la coda dell'occhio.
"Tutto?" Ripetei la domanda, stranita, poggiando la tracolla sulla gambe già frementi.
"Staremo via due giorni" mi comunicò cristallino, ingranando la prima per partire, sentendo le gomme appena stridere sull'asfalto, ed una leggero vento caldo, trapassare dal finestrino abbassato.
Mi sistemai i capelli, dove alcune ciocche, mi finivano fastidiosamente sulle labbra, e a pensare sulle sue parole. Due giorni?! Come avrei spiegato questo a Miranda. Certo non avrebbe intaccato sul mio lavoro. Sarei rientrata precisa, e sicuramente Joy avrebbe fatto le sue mille domande.
"Credevo fosse per un giorno. Non ho niente con me, e poi a Miranda..." lasciai la frase in sospeso, divenendo paonazza, e toccandomi la fronte, come avvilita.
"Inventerai che sei dovuta partire due giorni per lavoro, e i vestiti non è un problema. Appena arriveremo a Santa Barbara, compreremo qualcosa" mi spiegò solare, rivolgendomi appena un sorriso da farmi mancare i battiti nel petto, tornando a fissare la strada, ed a gustarmi il suo volto.
Come sempre accesi la radio, sulla stazione di musica latina. Mi piaceva, e metteva allegria.
Mossi i fianchi nuovamente, vedendolo ogni tanto gettarmi occhiate infuocate, di puro desiderio.
"Non fare così" mi ammonì severo e rauco, facendomi sentire persa solo dal tono autoritario.
Mi morsi il labbro, sbattendo le ciglia in modo innocente.
"Così come?" Ammiccai suadente, ripetendo il gesto in modo lento e sinuoso, vedendolo stringere la presa sul volante di pelle nero.
"Come se ti stessi fottendo. Me lo fai diventare duro...cazzo!" Imprecò con tono intrigante, facendomi rimanere piantata sul sedile, e con un pulsare nelle labbra, già bisognoso delle sue dita magiche. Dio Hope! Sei in un casino tremendamente eccitante.
"Ed è un male?" Azzardai a cacciare fuori quella domanda, con voce smorzata, prendendomi i lembi del vestito.
"Finché guido si, perché non posso farti godere come vorrei" rivelò pacato e rauco, sentendo brividi lungo la spina dorsale, tentando di rimettermi a mio agio sul sedile.
Mi fermai un po' ad ammirare le strade quasi deserte, ed i campi di grano con balle di fieno, colpite dai raggi del sole, che rendevano tutto più luminoso. Abbassai appena il finestrino, annusando l'odore di campagna, ed i capelli svolazzarono leggiadri all'indietro, facendomi socchiudere appena gli occhi, per la luce potente che puntava il mio azzurro.
Sentivo le ciocche solleticarmi la spalla, e potei notare, appena mi girai appena, il suo volto rilassato e tranquillo.
"Mi piace" ammisi limpida, facendo spallucce.
"Lo so" confermò netto, come se sapesse già tutto di me. Forse lo immaginava, o forse mi conosceva meglio di quanto conoscessi me stessa, e la cosa mi spaventava e mi affascinava.
Mi lasciai andare contro al poggiatesta, con il gomito puntellato sul finestrino, ondeggiando ogni tanto la mano fuori, per sentire l'aria fresca, quasi volendola acciuffare.
Finché Alan non prese la mia mano, poggiandola sul cambio, e portando la sua sopra il mio dorso. Un formicolio tenue e piacevole, invase la mia mano, facendomi divenire rossa.
Lo guardai guizzare i suoi occhi nei miei, cristallini, pieni di passione e misteri celati, ed il suo ciuffo ribelle, smosso da il vento, a renderlo ancora più irresistibile.
"Impariamo a mettere le marce. Il cambio automatico è troppo semplice per una donna come te" si fece dolcemente beffa di me, usando la parola donna, e mi portò a ridere di cuore, dandogli una leggera spinta sull'avambraccio, sentendo quanto fosse tonico, e farmi venire voglia di essere presa dalle sue braccia, e tenermi stretta tutto il tempo. Perché il tempo scorre, ed io volevo solo fermarlo.
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