Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

-Capitolo 35-


Ormai era buio inoltrato. Il chiarore appena pallido del cielo, era stato rimpiazzato di un cobalto a tratti nero, dove le stelle più luminose si mostravano, così fatiscenti. Mentre quelle più timide, si nascondevano appena tra le nubi quasi indistinguibili nella notte, divenendo puntini di contorno.
La frescura notturna mi avvolse, facendomi provare una lieve pelle d'oca, che mi rianimò.
Il vento proveniva solo dal finestrino di Alan, appena abbassato. Ma bastava quello spiraglio per far passare aria fresca, o con i nostri sguardi saremmo divenuti fuoco ardente, in breve tempo.

Mi ero accasciata sul poggiatesta, beandomi di un po' di pace. Girai il viso appena, per guardare il suo profilo perfetto, il suo naso dritto, la mascella rilassata ora, il ciuffo pece appena smosso, i polsini della camicia arrotolati, sugli avambracci possenti, ed i suoi occhi ghiaccio, puntati verso la strada illuminata da fasci di lampioni.
"Ti piace ammirarmi?" Domandò suadente, senza staccare il contatto dalla strada, ed allungando la mano verso la marcia, per innestare la quarta.

Un brivido caldo mi scosse, facendomi stringere di più, e contrarre ogni fibra del corpo. Mi aveva colta in fragrante.
Dirottai subito lo sguardo verso il finestrino posto al mio lato, mordendomi il labbro in soggezione.
"N...non ti stavo, guardando" balbettai vocali sconnesse, come una bambina che è stata appena ripresa, per aver compiuto una marachella.

Non lo sentii rispondere, ma potei sentire il suo respiro combattuto, rilasciato e mangiato dal vento.
Guardai fuori la strada, e le macchine che sfrecciavano, per non lasciarmi tentare dalla voglia di girarmi e guardare nuovamente il suo profilo.
Finché non avvertii il suo palmo caldo poggiarsi delicatamente, sulla mia coscia fresca, scoperta.
Chiusi appena le palpebre, esalando dalle narici un respiro delicato, avvertendo mille libellule viaggiare dentro di me.
No, non erano farfalle. Ma vere libellule.
Avevo letto, tempo fa che la Libellula, veniva vista come il simbolo della trasformazione, della mutevolezza della vita; insegna ad andare oltre le apparenze incoraggiandoci a trovare la propria identità e ad affermare la nostra personalità. Non avevo mai capito bene che cosa volesse dire, e perché ne ero tanto affascinata. Era simbolo di libertà, e trasformazione. Forse per questo mi piaceva. Perché mi volevo sentire libera, e volevo andare oltre alle paure, che rimanevano bloccate dentro me.
Volevo scoprire chi ero davvero. Da dove provenivo.

Salì più su con la mano, facendomi fremere, e roteare la testa, poggiandola contro il vetro freddo.
"Non parli più?" Più che una domanda, suonava come una constatazione, detta con il suo tono rauco e basso, che mi faceva impazzire. Si stava prendendo beffa di me. Lo sapeva cosa mi stava causando, ed i piccoli cerchi che disegnava con l'indice, sul mio interno coscia non aiutavano. Avvertii un altro fiotto piccolo, rilasciato dalle mie labbra pulsanti e gonfie. Bisognose di ricevere il suo contatto letale, ma che mi rianimava. Troppo tempo queste sensazioni erano rimaste assopite dentro di me. Troppo tempo senza provarle. Ed ora mi sembrava un'uragano arrivato in piena primavera, a sconvolgere il mio equilibrio che credevo perfetto. Ed invece nulla era più perfetto del suo tocco preciso e vibrante.

"No...non ho, n...nien...te, da...oh" mi uscii un ansimo, sentendo il suo indice passare in mezzo alle mie labbra, coperte dalla mutandina.

"Cazzo, sei bagnata" grugnì roco e profondo, calcando di più il dito, sentendo un gemito riempire la vettura, troppo piccola ora, per il fuoco che era in procinto di divampare.

"Uhm" risposi solamente in un lamento, troppo concentrata a sentire il suo dito, e quella contrazione al basso ventre, che mi faceva tendere ogni muscolo. Contrassi le labbra, per sentire di più il suo dito, anche solo attraverso la stoffa, lo volevo spingere dentro di me.

"Dio Hope" sbottò con voce combattuta e vogliosa, un graffio quasi infondo alla gola.
Portò la mano dal volante, per mettere la quinta, sentendo la macchina sfrecciare più velocemente, ed il vento schiaffarsi più furente, attraverso il vetro. Ed ora non distinguevo il colore della strada o le poche macchine che passavano. Volevo solo sentirmi appagata e gridare il suo nome. Volevo venire per lui, su di lui. Avevo spento i pensieri da quando ormai mi aveva rubato la facoltà del pensiero. Da quando lo avevo visto la prima volta apparire alla porta. Il suo corpo delineato e scolpito, dove ogni mio dito avrebbe voluto tracciare la linea, gustandomene, beandomene. Avrei voluto leccare le gocce che scendevano lente sul suo addome, finendo dentro quell'asciugamano, per scendere più giù, per sentire il sapore del suo pene, e la freschezza, appena docciato. Avrei voluto sentire la sua cappella, percorrermi il corpo nudo ed esposto a lui. Ero diventata un'altra. Ogni pulsazione si elevava al suo passaggio, come se il mio corpo non sapesse riconoscere altro che lui.

"Alan" mi lamentai con tono basso e voglioso, sentendolo gemere, quando spostò la stoffa delle mutandine, riempiendomi in un colpo solo, per affondare dentro la mia fessura madida dei miei umori rilasciati.

"Amo il fatto che tu sia completamente fradicia, a causa mia" rivelò intenso, spingendo affondo, roteando il dito per sentirlo sulle pareti, e prendersi tutto. Spalancai le labbra aride, muovendomi sul sedile, spingendo con il bacino, per esigere di più, mentre i nostri suoni che uscivano dalla bocca, erano i più belli mai uditi.

Finché non uscì da me, voltando appena il viso dalla mia parte, mentre piagnucolai debolmente.
"Non così, non ora. Aspetta" m'informò risoluto, leggendo nel suo ghiaccio intenso e più scuro, che voleva assorbire e sentirmi meglio, senza impedimenti.
Non risposi, guardai solamente il suo indice lucido e bagnato, che si portò in un attimo in bocca, gustandolo e mugugnando.
"Il tuo aroma mi fotte" affermò rauco, facendomi arrivare troppe fitte, tanto da potermi far esplodere in un orgasmo anche senza più il tocco della sua mano. Mi bastava anche solo la sua voce graffiata, ed il tessuto delle mie mutandine bagnato, che sfregava sulle mie labbra pulsanti.

Annuii lievemente verso di lui, vedendolo sfoggiare un sorriso da battito cardiaco, già elevato di suo, per l'emozione crescenti, che vederlo così rilassato e felice, mi sembrava l'apice del paradiso.
Tornò a concentrarsi sulla guida e sulla strada ed io pigiai il pulsante della radio, ascoltando un po' di musica latina, ballando e muovendomi sensuale sul sedile. Canticchiai strofe di canzoni che conoscevo, allungando le braccia in alto, muovendo la testa a destra e sinistra, come il bacino.
"Hmm, mi piace questo movimento, ma sul sedile è sprecato" proclamò cristallino ma grave, con il bisogno crescente quanto il mio.

Mi girai appena, vedendolo sopprimere un sorrisetto sfacciato, con i denti affondati sul labbro carnoso inferiore. Cosa avrei dato per sentirlo sfiorare le mie labbra.
Serrai appena le palpebre, per riprendermi, ed essere almeno padrona di me. Farlo cadere ai miei piedi.
Senza volere scivolai lo sguardo sulla patta dei suoi pantaloni, notando l'evidente gonfiore. Era ritto per colpa mia. Duro e pronto per me.
Il solo pensiero mi portava a sospirare e sentirmi più su di giri di quanto non fossi.
Finché non arrivammo nei pressi del centro città, notando dei grattacieli stagliarsi prorompenti, difronte ai miei occhi. Grattacielo tutto interamente ricoperti da specchi, da creare un gioco di paesaggi che si specchiavano su di essi. Il bagliore più evidente, dei molteplici lampioni. Era stupendo.
Lo guardai girare a sinistra, prendendo la discesa per un parcheggio sotterraneo.
"Andiamo dentro ad un grattacielo?" Domandai incuriosita, vedendo le poche macchine già sostate, con le colonne numerate.

"Ergo. Andiamo sopra il grattacielo" mi corresse divertito, e tentai di capire qualcosa con gli occhi sgranati. Ma decisi comunque di affidarmi completamente a lui. Mi fidavo, e sopratutto mi fidavo delle mie sensazioni.

Scendemmo dalla macchina, vedendolo venire incontro a me per incastrare le sue dita con le mia. Una scossa dolce, un battito che rianimò il mio cuore. Lui mi faceva sentire come in riabilitazione.
Sorpassammo la porta celeste, che con uno stridulo ci diede il consenso di entrare all'interno.
Entrammo venendo avvolti da un po' di buio. Era illegale?! In quel momento non m'importava granché.

"Alan sei sicuro?" Domandai un po' timorosa, nel vedere tutti gli uffici spenti, mentre ci fermammo per pigiare il bottone dell'ascensore.
Si voltò appena, incurvando le labbra in un sorriso, ed una virgola si formò al lato delle labbra, così bella e dolce, da prenderla a morsi.

"Di poche cose sono sicuro nella vita Hope" rivelò serio, come se volesse indurmi a capire i molteplici enigmi che portava all'interno. Così oscuramente affascinante, da divenire una perdizione per una che amava il bianco.

La lucina verde dell'ascensore di metallo, ci fece capire che tra non molto si sarebbero spalancate le porte con il loro stridulo graffiato e mettallico.
Mi spinse dolcemente dentro, senza staccare mai le nostre mani giunte. Amavo il contatto con il suo palmo caldo. Infondeva sicurezza e protezione. Mi ripetevo che dovevo proteggermi proprio da lui, ma con lui il rischio diveniva eccitante a livelli esorbitanti. E mi sentivo confusa, sperduta. Correvo in un bosco tenebroso, senza via di sbocco, e lui era il lupo cattivo che voleva prendermi e farmi sua. Ma era anche il principe che risvegliava tutti i sensi rimasti a giacere nel fondale, dopo anni di un sonno etereo. Dopo anni di un lungo sogno. I suoi occhi tormentavano le mie notti. Ed io non mi stancavo di vederli e di sentirli addosso a me in quel momento. Mi fissò famelico, incuriosito dalla mia espressione frastornata.
"Perché mi guardi così?" Sussurrai a bassa voce, come se qualcuno potesse sentirci ed era un segreto nostro, attaccando la schiena alla parete fredda, che alleviava la tensione in quello spazio ristretto, troppo per quei sospiri bollenti.

"Così come?" Calcò vigoroso e suadente, facendo finta di non saperlo solo per il gusto di vedermi esasperata.

Abbassai un attimo lo sguardo sulle mie scarpe nere, mordendomi l'interno guancia, per risalire verso il suo che ancora mi fissava intenso.
"Come se fossi una preda" sussurrai con voce smorzata dalla tensione sessuale creatasi.

Si prese un attimo, che sembrò un'infinità, per poi scuotere la testa.
"Le prede le insegui e le gusti per poi gettarle. Tu sei una da inseguire, da corteggiare, da proteggere, e da non stancarsi mai di poterti assaporare ogni secondo, in ogni modo, in ogni centimetro del tuo corpo delizioso..." ammise crudo e profondo. Lo sguardo incendiato quanto il mio al suono di quelle parole, facendomi percorrere la pelle da brividi irrefrenabili.
"Simon lo sa fare?" Domandò curioso, ma sembrava più una domanda a cui sapeva già la risposta, non vedendo riceverla da parte mia. Invece calai lo sguardo, per fargli capire che non era così, e che avrei voluto che lui mi prendesse e assaporasse il mio corpo come nessuno aveva mai fatto.

"Vieni" sussurrò dolcemente, guizzando gli occhi teneri verso di me, che non mi ero accorta che eravamo arrivati fin sopra al terrazzo.
Una sferzata di vento fresco si abbatté addosso a noi, facendo svolazzare i miei capelli che solleticavano il collo e le spalle, come il ciuffo ribelle di Alan, in un modo altamente affascinante.
Senza pensarci due volte, abbandonò la mia mano, solo per vederlo sfilarsi la giacca ed i suoi muscoli guizzare, e portarla con un movimento, sopra le mie spalle.
"Non voglio che ti ammali, solo per farti ammirare il panorama" rivelò intrigante, con quella voce che sapeva penetrarti fin sotto le ossa.
Sbattei le ciglia, come se mi fosse finito qualcosa all'interno dell'occhio, procurandomi pizzicore e fastidio, ma era solo per non fargli notare troppo le mie emozioni chiare e visibili ad occhio nudo.
Con un cenno della testa mi fece intendere di andare un po' più in là, verso il rialzo di cemento.
Mi aggiustai con le mani, la giacca, inalando il suo buon odore ed appropriarmene perdutamente, avvicinandomi.
Rimasi un attimo attonita, dalla bellezza e dal panorama superbo che dava. Una visuale sublime di San Francisco. Grattacieli che sembravano enormi in confronto alle case, alle vetrine dei negozi che sembravano formiche viste da qua su. Mille lucine colorate, come se fosse stato un parco giochi, a rendere la visuale ancor più magnifica e magica.
Allungai la mano e mi sembrò di poter acciuffare con mano tutto. Come fosse stato un progetto costruito in miniatura.
"Bello vero?" Lo sentii dietro di me, con il suo alito caldo che sfiorò la parte sotto dell'orecchio.
Mi voltai appena ritrovandomelo, ad un palmo dal naso, gli occhi lucidi incollati ai miei desiderosi.
Avrebbe potuto poggiare il mento sulla mia spalla, da quanto era sporto verso di me, avrebbe potuto finalmente farmi assaporare le sue labbra magnetiche, ma non lo fece. Si gustava i miei occhi, come se fossi stata io il suo panorama migliore.

"È stupendo" mi sforzai di dire, non perché non fosse reale, ma perché la sua vicinanza mi privava la riserva d'ossigeno, necessaria per non morire.

Esalò un sospiro che portò via il vento fresco, ed ormai il freddo di prima non lo sentivo più. Il suo calore mi avvolgeva come un manto.
"Qualcosa da mozzare il fiato" proclamò veritiero e basso, vicino alle mie labbra dischiuse, pronte per essere possedute da un suo bacio. Mi inchiodava con i suoi occhi più bui e non credevo che la frase si riferisse al panorama.
Mi scostò dolcemente con i polpastrelli una ciocca di capelli, sfiorandomi il collo che rabbrividì sotto quel tocco delicato, e per una frazione di secondo chiusi le palpebre.

"Perché hai scelto questo posto?" Domandai con la bile in gola, non riuscendo a deglutire quel magone, piantato sullo sterno.

"Riaffiora dei ricordi in me. Ricordi di un passato bello ma anche brutto. Ricordi che per quanto tenti di cancellare, non lo potrò mai fare" rivelò mesto, sentendo il suo dolore ma non capendo da cosa fosse causato.

"C'entrano qualcosa i tuoi genitori?" Azzardai con quella domanda, vedendolo puntare lo sguardo da me ad il grattacielo difronte, come fonte di distrazione, mentre la luna pallida in cielo si rifletteva sul suo volto spigoloso e rabbuiato.

"In parte" affermò semplicemente, sentendo il suo palmo, poggiarsi delicato sul mio fianco, attraendomi con la schiena contro il suo petto marmoreo.

"Voglio darti una cosa. Cerca nella tasca destra della giacca" m'informò più rilassato e senza quel cipiglio che ogni tanto si portava sul viso.

"Hmm" sibilai divertita, infilando la mano nella tasca, come una caccia al tesoro. Sentii il polpastrello toccare qualcosa di fresco e fine. Una collana avrei giurato. Rimasi stupefatta un secondo, tirandolo fuori.
Lo presi tra le mani che tremavano, guardando il ciondolo dorato, e passandoci sopra l'indice, come qualcosa di prezioso. Gli occhi mi brillavano, e mi voltai a metà verso di lui che mi teneva stretta.

"Mi hai regalato una collana" era una domanda ma un'affermazione anche, mentre annuì un po' incerto.

"È un oggetto a cui tengo particolarmente, ed ho pensato di regalartelo" fece una rivelazione che mi spiazzò, e sgranai gli occhi incredula, mentre teneva su un sorriso tenue.

"Perché?" Chiesi scuotendo appena la testa.

"Perché voglio vederlo adornare il tuo collo elegante" sussurrò rauco, avvicinando le labbra carnose al mio collo percosso da brividi, e le poggiò sopra, facendole scorrere dolcemente come ad assaporare il mio sapore.
Piegai appena la testa, per lasciargli fare quel percorso che mi mandava in estasi, sentendo un suo bacio umido, fammi uscire un ansimo delicato. Mi prese dolcemente dalle mani la collana, portandomela davanti, sentendo il contatto freddo della catenella, arrivare fin dietro, e richiudendola con il gancino dorato.
Buttai in basso lo sguardo, sul ciondolo che ricadeva quasi fino al solco dei seni, ed un sorriso ad incorniciarmi il volto.

"Gra..." non finii di parlare, poiché un rumore di voci e scarponi pesanti al di là della porta rossa, che dava accesso alle scale, mi fece rimanere paralizzata sul posto.
Non ebbi il tempo di pensare a nulla, che Alan mi strattonò per il polso, guardandosi intorno. Camminammo a passo spedito, raggiungendo un ripostiglio. Aprì la porta di ferro che emise un cigolio basso, per averla aperta piano, spingendomi velocemente dentro e richiudendola.
Andai a sbattere con la schiena contro la porta, con il cuore in gola, che galoppava. Era tutto buio, e non sapevo che cosa vi fosse all'interno. Non riuscivo a vedere neanche il suo volto, neanche i suoi occhi.

Mi portai una mano sul petto per placare l'ansia, ed il battito cardiaco irregolare.
Imprecavo mentalmente per essermi lasciata portare in un posto illegale.
Dio!
Mi calmai un attimo, ma durò un secondo, poiché le voci tornarono più vicine e possenti.

"George tu guarda di là. Possibile, ho sentito delle cazzo di voci" borbottò convinto.

"Ala..." non mi lasciò terminare, che sentii il suo palmo caldo, poggiarsi sulle mie labbra, ed il suo alito caldo a sfiorarmi il lobo.

"Shh" scivolò caldo quelle sillabe, che accarezzava con la lingua.

"Ci scopriranno?" Domandai impaurita, controllando la tonalità della voce, ed il cuore rimbombava frenetico nel petto. Tra paura ed eccitazione. Tra proibito ed esigente.

"No...ti fidi di me?" Chiese a bassa voce, accostandosi sempre di più sul mio viso, tanto da sentire la sua ricrescita ispida, sul mento e farmi fremere.

"Si" mi sfuggì la verità netta.

Vidi una luce espandersi appena, sul pavimento di cemento, illuminando appena le scarpe classiche di vernice, di Alan.
Era sicuramente la luce della torcia da fuori. Rimasi come una statua immobile, ed Alan lo stesso.

"Amico, te le sei sognate. Troppe seghe fanno male" ripeté una voce grossa, facendosi beffa del suo collega, mentre l'altro farfugliò qualcosa. Trattenni il respiro più tempo possibile, cercando una consolazione sul volto di Alan, ma non riuscivo a vederlo, ma sentivo il suo respiro vicino al mio volto, e ciò bastava a rassicurarmi.
Finché non sentimmo il suono del portone sbattere, e le voci cessare.

Il cuore scalpitava ancora impaurito e desideroso, non aiutava il fatto che era troppo vicino, e di nuovo al buio. Non sapevo se sentirmi eccitata o accusarlo.
"Dove eravamo rimasti?" Chiese roco, raschiandosi appena la gola, sentendo il suo respiro allontanarsi.

Mi avvicinai a lui, portando una mano a stringere il colletto della camicia.
"Credo al punto in cui le parole non servono più" pronunciai con tono sensuale, alzando gli occhi su i suoi torbidi e luminosi, ora riuscivo a vedere il suo luccichio, vedendo quanto fossero vicini i nostri volti.

Esalò un respiro esasperato, e la sua mano finì sul mio fianco, mentre la giacca scivolò dalle mie spalle.
"Sarai la mia dannazione" affermò con voce intrisa di passione. Ma prima di rispondere, mi accostò di più a lui, avvertendo il suo membro duro, spingere sul mio bacino, ed in un attimo i suoi denti mordermi il labbro inferiore con delicatezza. Si staccò subito, un semplice contatto che mi fece palpitare, e vibrare dentro.
Lo lasciai fare, sentendolo scendere verso la mia mandibola, e leccarla dolcemente, fino a risalire sul labbro inferiore, che prima morse, leccandolo con la sua lingua vellutata.

Mi lasciai sfuggire un ansimo intenso, volendo più di quel contatto. Passai la lingua sul punto dove mi aveva leccato per sentire il suo sapore celestiale. Sapeva di tabacco e di vino frizzantino. Sapeva di proibito, ed era stupendo.
Portai entrambi i palmi a scorrere il suo corpo, attraverso il tessuto della camicia aderente,
arrivando fino alla cintura.
Lo guardai fisso negli occhi sempre più scuri, come a volermi imprimere delle sue sensazioni ammalianti, sganciandogli la cinghia fredda.
Lo notai affondare i denti nel suo labbro inferiore, ed il suo membro indurirsi sempre di più, mandandomi scariche elettriche.

In uno scatto repentino mi giro, inchiodandomi al muro. Portò entrambe le mani su i miei fianchi, facendomi piegare al suo volere, spingendomi le natiche verso il suo membro eretto e duro. Portai entrambi i palmi sulla porta fredda, ansimando debolmente, quando mi calò le mutandine in modo brusco, che si fermarono sulle mie caviglie, come barriera. Come a dirmi che dovevo rimanere così, ed allargare le gambe, quanto mi fosse possibile. Lasciò un mio fianco, per infilare due dita dentro la mia intimità.
Spalancai la bocca, piegandomi ancor di più. Gli avrei lasciato fare di tutto. Sapeva come prendermi e non desideravo altro.
"Ho voglia di te Hope" parlò con voce spezzata e più grave, facendomi mugugnare, mentre le sue dita mi torturavano. Creava cerchi delicati, assaporando le pareti della fica, che si contraeva attorno alle sue dita squadrate ed abili. Mi penetrò di più, sentendo tutta la lunghezza delle sue dita, e quanto fossi bagnata.
Gemette e digrignò i denti, a scoprire che tutti i miei umori erano causati da lui.
"Cazzo! È stupendo sentirti così bagnata" affermò ruvido, senza smettere.
Annuii incapace di dire qualsiasi altra cosa, sentendo i capelli solleticarmi la spalla ed alcune ciocche finire difronte al mio viso, ostruendomi appena la visuale. Emozioni viscerali che mi esplodevano dentro come fuochi d'artificio. Paura ed eccitazione correvano nella stessa direzione e non mi sarei fermata. Contro tutto ciò che la mia testa diceva, volevo Alan. Volevo sentire quell'esplosione nucleare. Intenso, travolgente, sconquassante.

"Alan ho bisogno" lo chiamai disperata, facendogli intendere che avevo bisogno di più.
Lo sentii scendere, lasciando la mia fica, tracciando con le dita umide la scia fino alla spaccatura delle mie natiche.
Mi mossi appena, sentendo una sua mano arrotolarmi il vestito su i fianchi, e rimanere esposta a lui.
Finché non infilò l'indice nel mio ano, facendomi sbattere il palmo con un tonfo sordo sulla porta.
"Oddio" affermai con la gola arida, sentendolo roteare dentro, e farmi disperare sempre di più, per l'attesa e la voglia crescente.

"Ti piace?" Domandò eccitato, sentendomi elettrica.

"Si, ti prego" piagnucolai quasi elemosinando qualcosa di più, togliendo il suo dito.
Avvertii il suo membro duro, spingere tra le mie natiche scoperte, mentre lui aveva ancora il tessuto dei pantaloni.

"Mi vuoi?" Ricalcò la mia esasperazione, ed annuii veemente, roteando le natiche verso di lui, che grugnì.
Sentii il rumore ferreo della cintura, sganciandola del tutto, ed in un attimo il suo pene rovente, tra la spaccatura delle mie natiche.
Roteai il collo, vogliosa, chinandomi ancora di più.
"Sei perfetta" affermò intrigante, accarezzandomi le natiche, passandoci sopra la cappella liscia.
Dio! Stavo perdendo la facoltà del pensiero. E di certo non era dirottato verso Simon, neanche per una frazione di secondo. Lui spazzava via il mio presente, catapultandomi in una dimensione sconosciuta.
Lo sentii allargarmi le natiche, e spingere piano verso la fessura dell'ano. M'irrigidii appena, poiché non era entrato mai nessuno lì.

"Non credo che..." tentai a parlare, con la voce accaldata, mentre si chinò su di me.

"Giuro che non farò male. Ma se non vuoi..." lasciò la frase in sospeso poiché sbottai con un "si" bisognoso.
Non potevo vedere il suo volto, ma ero sicura che fosse compiaciuto.
Avvertii la punta farsi spazio dentro di me, delicatamente, mentre passò una mano sul mio ventre, scendendo in basso.
Entrò lentamente, ed il fatto che fossi umida aiutava a sentire meno dolore, talmente forte era la voglia di sentirlo.
Mi stavo concedendo a lui, in uno sgabuzzino al buio. A lui che non era il mio futuro marito. A lui che desideravo da morire.
Spinse sempre di più, sentendolo gemere, mentre i miei ansimi li risucchiava la sua voce più possente.
"Cazzo Hope" sbottò rauco, facendosi sempre più strada, fino a riempirmi del tutto ed avvertire un po' di dolore. Si mosse piano, entrando in confidenza con il mio corpo, mentre imprecava.
Arrivò con le dita, fino al mio centro pulsante, picchiettando l'indice sul clitoride, per stimolarmi e darmi piacere. Spingeva affondo, piano e preciso, donandomi un piacere smisurato. Ed il dolore era scomparso, era rimasto solo la goduria della sua pienezza. Avvertivo la sua lunghezza, la durezza perfetta, quanto fosse perfetto per incastrarsi come pezzi di un puzzle con il mio corpo. Come se avessi trovato quella parte che riusciva a completarmi pienamente.
"Senti dolore?" Domandò dolcemente, mentre spingeva e le sue dita esploravano sempre di più la mia fica, portandomi al culmine del piacere.

"N...no" balbettai persa e frastornata, aumentando il ritmo delle spinte. La sua mano incatenata ad un mio fianco, per spingermi di più verso di lui, ricoprendo lo spazio dei nostri ansimi lussuriosi.
Le dita toccavano ogni punto magico, facendomi contorcere e muovermi sotto di lui, smaniosa di liberarmi.

"È da quando ti ho vista che volevo farlo" rivelò suadente, gemendo fortemente, facendomi sentire altre emozioni correre lungo il mio corpo, percosso da spasmi.

"Anche io" riuscii a dire, mettendomi a nudo con i sentimenti. Scoprendo che era così. Mi sentivo ubriaca di lui. Completamente assuefatta. E mi piaceva, da morire.

Spinse ancora di più a quelle parole, prendendosi ogni cosa di me, tutto ciò che potevo offrirgli. Più di ogni cosa volevo un suo bacio, ma solo il sentire il suo sapore anche poco, mi era bastato per annientarmi. Era una droga, di quelle che facevano male al cuore, ma sapevi che ne avevi bisogno per sopravvivere.
Stuzzicò ancora di più il mio clitoride, sentendo il fuoco bruciarmi dentro, le gambe divenire più molli, e quel fuoco salire lungo il mio ventre, riverberandosi ed irradiandosi in ogni fibra, fino a lasciarmi andare in un orgasmo intenso, appagante, e farmi gettare la testa all'indietro per il piacere.
"Dio, cosa sei" imprecò, sentendo le sue dita sporche della mia venuta.
Si staccò dal mio corpo, girandomi verso di lui, sorreggendomi con un palmo aperto sul mio fondoschiena, per ammirarlo sul volto arrossato.

"Voglio farti venire" rivelai prima di ricollegare il cervello, vedendolo sgranare gli occhi pieni di voglia, un ghiaccio sciolto per intravedere le sue mille sfumature.

"Hope non..." non gli diedi tempo di parlare, che mi piegai sulle ginocchia, avvolgendo con le dita esili il suo membro. Non potevo vedere quanto fosse perfetto.
M'inumidii le labbra, fino a leccargli la punta, e roteare la lingua sulla sua cappella.
"Oddio, cazzo" sbottò con la voce graffiata, mi prese delicatamente i capelli, spingendomi verso di lui, prendendolo tutto in bocca, riempiendomi del suo sapore salino, leccandolo intorno. Aprii di più la bocca, facendo pressione sulla carne, per divenire più stretta, sentendolo imprecare con parole sporche, e tutto ciò m'incitava e m'induceva a fare sempre di più. Mi aiutai con la mano, a pompare, avvertendolo indurirsi sempre di più. Tentai a guardare con gli occhi, l'espressione del suo volto, ma non riuscivo a vederla come avrei voluto. Solo i suoi gemiti spossanti mi davano indizio che stava godendo.
Leccai ancora, senza mai stancarmi di averlo dentro di me, anche se le ginocchia iniziavano a far male sul cemento freddo. Finché non sentii un primo flusso di sperma invadermi la bocca, ingoiandolo e mugugnando contro il suo cazzo, prendendo tutta la sua venuta, diminuendo sempre di più il ritmo, come i suoi gemiti che scemarono.
"Dio" annunciò ancora febbricitante, quanto me, e mi aiutò a rimettermi in piedi, rendendomi la mano, per poi attaccare il mio petto al suo. Un dolce brillio passò per le nostre iridi, ora più simili di colore, come un arcobaleno.
"Hope" chiamò dolcemente il mio nome, portando la sua fronte imperlata di sudore, contro la mia, e le punte dei nasi si sfiorarono. Il cuore mi batteva all'impazzata, senza trovare un modo per placare tutte l'emozioni che quell'uomo mi scaturiva. Non mi pentivo, non lo ero affatto.

"Grazie per la serata" proclamai tenue e sommessa, vedendolo avvicinarsi di più, ed il mio cuore fare una piccola capriola.

"Domani devo andare da una persona speciale, verrai con me? Solo se..." non lo lasciai terminare che iniziai a saltare dalla gioia internamente.

"Si, vengo" annunciai felice, senza pensarci troppo, se fosse più o meno una cattiva idea. E non m'importava neanche più di sapere chi fosse in realtà. M'importava di scoprirlo perché Alan era qualcosa di misterioso ed affascinante. Uno che sapeva farmi scordare ogni cosa, e abbattere muri per guardare nel fondale del mio cuore.

"Ne sono contento" rintuzzò divertito, aggiustandosi, e facendo così anche con me, come se fossi una bambina bisognosa di premure, accarezzandomi la cute con tenerezza.
"Ti riporto a casa" aggiunse felice, aprendo la porta ridonandoci un po' di luce e di vento fresco.
Mi piegai per raccogliere la giacca e scuoterla, mentre m'intimò con lo sguardo di poggiarmela addosso.
Sbruffai divertita, roteando gli occhi.

"Sarai sempre così protettivo?" Gli domandai sarcastica, sentendo di nuovo le sue dita cercare le mia e fondersi insieme. Girò il volto e ora potei notare il suo sguardo calmo e sereno, ed il suo sorrisetto sfacciato e sublime, tanto da farmi arrivare un altro battito improvviso.

"Non voglio che ti ammali" affermò semplicemente, facendo spallucce, mentre risi debolmente, tornando attentamente verso la macchina.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro