-Capitolo 21-
Come tutte le mattine feci la mia corsa mattutina. Ogni passo stavolta sembrava più pesante di quello dopo, ed il vento sembrava sferzare più prepotente sul mio viso, come ricoperto d'aghi appuntiti. Era solo una mia sensazione. Poiché le foglie si muovevano debolmente sulle chiome folte, lasciando un fruscio tenero, e le margherite sull'erba prendevano la loro forma aggraziata.
Udivo il cinguettio leggiadro, le rotelle strusciate sull'asfalto di qualche passeggino trainato. Il fiatone dei cani, che ogni tanto sostavano vicino ad una corteccia, annusando e marcando il territorio. E stranamente non mi sentivo spiata dagli occhi che mi perseguitavano. Potevo dire di essere sollevata, di scacciare i pensieri e vivere serenamente. E invece mi mancavano. Mi mancava sentire il
Suo sguardo freddo, il suo sguardo pieno di ogni sfaccettatura, addosso al mio corpo.
Le mie guance presero un colorito porpora, a quel ricordo, forse qualche graduazione sopra. Sicuramente scalavo la graduazione dei rossi.
Ed ero sicura che non fosse solo per il respiro corto della corsa. Gettai un'occhiata sull'avambraccio, dove avevo legato il contapassi, vedendo il mio battito cardiaco accelerato. Eppure dentro di me non lo avvertivo così elevato.
Mi fermai piano, sempre più a scemare, arrestandomi quasi sul posto ed iniziare a camminare, inspirando ed espirando l'aria fresca mattutina, dove un sole caldo si apprestava a mostrarsi del tutto.
Tornai a casa, lavandomi velocemente, vestendomi con una gonna di pelle nera lunga fino alle ginocchia, ed una camicetta bianca. Afferrai la borsa e la cartellina, lasciate sul divano ed il mio trench Beige, portandolo sul braccio, per recarmi a lavoro. Sicura che Joy mi avrebbe fatto le sue domande.
Come volevasi dimostrare ebbi il tempo di bermi il mio sacro santo caffè nel cartoncino, e perdermi a fissare i grattacieli oltre la vetrata che ricompariva tutta la parete dietro la mia scrivania. Era un'ottima distrazione, ed una visuale superba.
Quando Joy iniziò a fare il suo interrogatorio. Non sarebbe potuto essere altrimenti.
"Se avete fatto sesso dopo, allora era davvero noiosa" proruppe derisoria, facendo una giravolta sulla poltrona, dandosi una lieve spinta con le mani arpionate ai braccioli di plastica, e sentii le rotelle strusciare sul parquet mogano.
"Joy. L'abbiamo fatto perché avevo voglia" ammisi l'ultima parte, mordendomi il labbro ed usando un tono più che convincente. Ultimamente volevo convincermi di troppe cose.
Piantò la sedia rivolta verso di me, innalzando un sopracciglio scuro e delineato. Mi fissò per una manciata di secondi in volto, come se avesse scovato qualcosa e volesse capirci meglio. Come un quadro astratto che osservi in varie angolazioni per dare una tua espressione personale.
"Sembri diversa. E non sono i capelli, quelli il parrucchiere non li vede dal medioevo, non che non siano belli, ma insom..." la bloccai con un'alzata di mano scuotendola in aria, come a voler acciuffare una mosca fastidiosa.
"Non sono diversa. E sono andata settimana scorsa dal parrucchiere" la ripresi saccente, volendo difendere i miei capelli lunghi ed ondulati.
"I tuoi occhioni mi dicono altro, bella addormentata nel bosco" si fece teneramente beffa di me, strizzandomi un occhio, mentre sbatté sul tavolo con un picchiettio chiassoso, una pila di fogli, allineandoli ed alzandosi.
"Vado a fare le fotocopie. Se quel vecchio attrezzo funziona. È la seconda volta in una settimana, che dico a Jonathan, che la fotocopiatrice fa le bizze." Oscillò con la testa come incredula, dove la coda di cavallo corvino, si sbatacchiò da spalla a spalla.
Mi concentrai sul monitor del pc, inserendo le misure dei mobili, e guardando le angolazioni, varie prese, grattandomi la nuca che sembrava prudere. Il mio cuoio capelluto non si era ancora ripreso dalla sera prima, e dai quintali di lacca per tenere saldo uno stupidissimo chignon.
Finché non sentii il rumore veemente della porta in vetro, sbatacchiata contro il muro, dove la maniglia di ferro emise un tonfo, per tornare leggermente indietro. E una Joy con gli occhi a cuore, che boccheggiava per cacciare fuori qualche parola. In un altro momento avrei pensato che un'oliva le potesse essere andata di traverso.
"Non credo che tu venga pagata per rompere le porte. Anzi se Jonathan non paga un tecnico per controllare la fotocopiatrice, figurati se caccia i soldi per una porta." Canzonai sincera, togliendomi gli occhiali che iniziavano ad indolenzire la mia vista.
"No Hope. Che diamine c'entra. Qui fuori..." lasciò la frase in sospeso indicandomi con il pollice all'indietro come se facesse un balletto, un qualcuno o qualcosa.
"C'è uno da stupro, che chiede di te. Perché tutti i fighi lì prendi te, ed a me solo vecchi bavosi e vecchiette pretenziose" si lamentò piagnucolando beffardamente, per montare un'espressione disgustata il minuto dopo, e scuotere la testa, aggiustandosi la coda.
Sentii una fitta allo stomaco, puntellarmi. Un senso di ansia ad attanagliarmi. I palmi iniziarono ad essere percorsi da brividi, come se mille formìche camminassero sopra di essi, ed il mio corpo raggelarsi e contorcersi, all'idea di chi potesse essere.
"Nome?" Domandai incerta, alzandomi lentamente dalla sedia, con i palmi sulla scrivania.
"Non me l'ha detto" affermò tranquilla, corrucciando le labbra, aggiustandosi meglio sulla poltrona, mentre mi lisciai la gonna già perfetta. Stavo temporeggiando, ma non per sempre.
Guardai Joy che restava impassibile, a mangiare cioccolatini ripieni e mugugnare, digitando fastidiosamente sulla tastiera del pc. Presi una quantità di ossigeno, sufficiente per due mesi, e varcare quella porta, che un secondo prima era la mia salvezza, chiusa.
Un formicolio si espanse dentro di me, risucchiandomi quasi la vivacità che aveva un attimo prima. Poteva essere lui?! Non ebbi il tempo di formulare una domanda successiva, neanche di pensare ad una qualsiasi cosa. Lo trovai appoggiato con la spalla destra al muro bianco, dove il suo completo grigio fumo spiccava, la cravatta blu notte che risaltava i suoi occhi di ghiaccio, che ora mi guardavano avvicinarmi famelici, ma al tempo stesso freddi come il marmo. Una maschera di desiderio e passiva al contempo. La bocca carnosa era una linea dritta, in cui potei notare tendersi dopo secondi che sembrarono infiniti, un sorriso malizioso a rendere il suo volto, dove un accenno di ricrescita era evidente, più sexy, se era possibile. Le mani conficcate dentro le tasche, e le caviglie accavallate. Ciò che non potevano sopportare i miei occhi, una visione così superba da fare male, e lo odiavo. Mi ricordai della mia parola sul gioco. Sullo scoprire cosa volesse da me. Cambiare.
"Buongiorno Signorina Weston" soffiò soave quanto derisorio quelle parole, mentre mi avvicinavo sempre di più.
Ero basita. Sentivo il respiro rimanere compresso dentro al petto. Le parole annodarsi intorno alla gola, come una corda.
"C...che cavolo ci fai qui?" Sbottai tagliente, sentendomi improvvisamente agitata. Spostai il peso da un piede all'altro e misi le braccia conserte.
Lo vidi squadrarmi, abbassando appena il mento, dove appari il suo sorriso sfacciato, ritornando con il suo ghiaccio su di me.
"Sono qui perché devo parlare. Ho una certa urgenza...hai un po' di tempo?" Domandò pacato, come se mai niente lo scalfisse.
"Tempo dici? No!" Affermai pungente, sopprimendo una risatina nevrotica. Ma come un flash, mi ricordai improvvisamente dello scoprire giocando con lui. Avrei dovuto spendere tempo con quest'uomo, e solo il pensiero mi faceva fremere.
"Anzi...si" lo guardai ammaliante, usando un tono suadente. Notai il suo sopracciglio scuro e delineato innalzarsi, per il suo stupore, dovuto al mio improvviso cambio di umore radicale.
Mi guardai intorno con occhi vigili, per poi avanzare con gli ultimi due passi, verso di lui, prendendolo per la mano, intrecciando le dita con le sua, dove scosse tenui mi portarono a guardarlo negli occhi. Giusto due secondi, a capire che avevamo provato la stessa cosa.
"Seguimi e zitto" intimai risoluta, vedendo il suo sorrisetto all'insù fare la sua comparsa e accennare un "uhm" sfacciato. Rozzo. Terribilmente sexy.
"Che l'è successo, così all'improvviso?" Mi domandò, seguendomi incuriosito e divertito dal gioco che non era, tenendo salda la valigetta sulla sua mano destra.
"Pensavo avessimo superato la fase del "lei" " Rintuzzai saccente, girandomi a metà volto verso di lui, e virgolettando con l'indice ed il medio. Finché non guardai le porte metalliche dell'ascensore, spalancate, pronte ad accoglierci, e quindi aumentammo il passo. Saremmo potuti andare sul terrazzo all'ultimo piano.
"Io sono una persona educata a differenza sua" mi fece intendere, con tono di superiorità e fermo nella voce rauca.
Risi amaramente, entrando dentro l'ascensore, poggiando la schiena alla parete dove dietro vi era lo specchio.
"Non dica stronzate. È un cafone su ogni punto di vista" proclamai risentita, difendendomi nel miglior modo possibile. Finché le porte metalliche non si richiusero, con uno stridulo acuto, ed il suo profumo di colonia riempì lo spazio angusto e freddo.
Mi persi nei miei pensieri, sentendo un rumore stappato, vedendolo schioccare la lingua sotto al palato, e fissandomi divertito.
"Egocentrico" sibilai tra me e me, appoggiandomi meglio con le spalle, al freddo specchio, il freddo che trapelava dalla camicetta, ma mai quanto i suoi occhi, premendo il bottone che s'illuminò per il quarantesimo piano.
"Bel posto l'ascensore...un posto in cui è meglio non rimanere sola, con un ragazzo che...non conosci" soffiò le ultime parole più graffiate, sporgendosi appena verso il mio volto, dove sentii un magone stringermi la laringe.
Mi voltai del tutto verso di lui, come se fossi appena scesa dalle nuvole, scuotendo i folti capelli.
"Come? Dobbiamo andare al piano superiore. Non respirerei la tua stessa aria un minuto di più, anche se mi pagassero" replicai inacidita, voltando di nuovo il volto per non dargli adito, e non ammettere che quegli occhi mi scioglievano lentamente, le parti intime.
Finché non sentii due dita, prendermi con forza ma al tempo stesso delicatezza, il mento, e girarmi verso di lui, incastrando i miei occhi nei suoi.
"Senti ragazzina, questo tuo modo di fare non ti porterà a niente di buono...e con questo intendo dire, che provocarmi non ti conviene" m'informò risoluto e spigoloso, con quel tono caldo che solo lui sapeva avere. Un tono così deciso da incutere paura, ma così avvolgente da farti sentire smarrita.
Guardai i suoi occhi glaciali, formare una lastra trasparente, il cui fondo era sconfinato. Celato da segreti mistici. Il suo fiato caldo mi sfiorò le labbra dischiuse, che respiravano in affanno, sentendo la gabbia toracica ingigantirsi.
"E...e a c...cosa mi porta?" Tentai di formulare una domanda, senza cedere con la voce, e cercando di rimanere padrona di me stessa. Sentivo il respiro dimezzarsi sempre di più, e le parole divenire filamentose.
Finché non vidi un sorriso sornione, tendersi sulle sue labbra carnose, che sapevano soggiogarmi.
Quelle dove si passò la lingua sopra, ad un palmo dal mio naso, facendomi tenere contenuti degli ansimi deboli.
Alzò una mano, e seguii ogni suo movimento rapita e forse spaventata, da un uomo così bello quanto rude.
Sentii il dorso della sua mano, sfiorarmi lo zigomo e portarsi con se una ciocca dei miei capelli, che solleticarono quella parte assuefatta, e chiusi un secondo le palpebre.
Udivo solo il rumore dell'ascensore, come straschici. Finché non si bloccò, sobbalzando come un saltello ed oscillando per poi arrestarsi sul posto.
Emisi un sussultò subitaneo, e girai appena gli occhi sgranati, quanto più mi fosse possibile, notando il suo indice, schiacciato sul pulsante rosso dell'ascensore.
Mi rigirai dalla sua parte fulminea, sentendo i nervi tendersi come corde.
"Che diavolo fai?" Chiesi burbera, vedendolo allontanarsi appena, ma non a sufficienza per non farmi tremare. Ed il suo sorriso lascivo che prima aleggiava, sparire, per ammirare i suoi occhi farsi più scuri, come un liquido nocivo, quasi un cielo tempestoso, con pagliuzze argentee. Qualcosa di straordinario. Hope per cortesia...basta certi pensieri!
Mi guardò gelido, non lasciando trapelare nessun emozione.
"Finire ciò che l'altra volta, avevo solo cominciato" disse, avvicinandosi. Lo notai portare un braccio al lato della mia testa, aprendo il palmo con un tonfo metallico, alla parete dell'ascensore. Mi ricordai dell'altra volta, e come se tutte le mie sinapsi si attivassero in un'istante fremetti.
Sentii le sue dita premere sul mio mento in modo dolce ma possessivo al contempo, come se volesse rintracciare, ogni mia singola sfaccettatura negli occhi, come se sapesse guardarmi infondo.
"E perché mai vorresti?" Gli domandai usando un tono sfacciato. La voce traballava per la paura di una probabile ricaduta.
Mi guardò magnetico, facendo spallucce.
"Perché ne ho voglia...tutto qui" affermò pacato, come se niente lo scalfisse minimamente.
"Sai di non essere normale vero?" Lo sfidai con lo sguardo, sentendo la voce cadere come in un precipizio verso il finale, poiché le sue mani sicure, stringevano sempre di più. Potevo rimanere impassibile, ma ogni fibra del mio corpo, richiedeva di quelle parole rudi, che sapevano scaldarmi.
"E quindi?" Si leccò le labbra, subito dopo avermi posto la domanda.
"Quindi o fai ripartire l'ascensore o urlerò così forte da farlo tremare" rintuzzai aspra, serrando le labbra in una linea dura, tanto da sentire la pelle tirare. E dire che avevo tentato di distogliere lo sguardo dalle sue labbra carnose, era inutile.
Più lo odiavo, più lo desideravo ardentemente. Accidenti Hope, che pasticcio!
"Urla...urla pure" spostò in un attimo la mano sulla mia camicia, e sentii il suo palmo caldo e virile, poggiarsi sul mio seno e stringerlo avidamente, lasciandomi sfuggire un ansimo involontario, mentre mi morsi l'interno guancia.
"Tanto a breve tremerà ugualmente" aggiunse rauco, più vicino alle mie labbra schiuse ed ansimanti.
La sua mano continuava imperterrita a palparmi il seno, con una sicurezza capace di disintegrare ogni mia buona intenzione di gridare, di mettermi ai ripari da lui, di stargli lontana in ogni modo. Ma non riuscivo a ragionare. Lui sapeva confondermi, sapeva annientare tutta la mia razionalità. Il mio corpo si sentii attratto, come se lui fosse stato il mio magnete, portando le mie mani più sicure, a sfilargli la giacca, e mostrare le sue ampie spalle, avvolte dalla camicia.
Lo notai sorridere scarno, ed iniziò a sbottonarmi la camicetta, che lasciava viaggiare la mente alla perfezione, mentre avvolgeva il mio corpo.
Mi morsi il labbro, tenendo il mio sguardo sul suo, dove lampi di desiderio vivo si stagliavano in quelle iridi argento. Non sapevo cosa stavo facendo, non ero più sicura di niente, ci avrebbero potuto beccare.sapevo solo che i polpastrelli che sfioravano la mia pelle ad ogni bottone sganciato, mi faceva arrivare fitte nella mia intimità. Come se una fiamma mi stesse bruciando viva. Messa al rogo dal suo tocco.
Portai le mani sulla sua camicia, sganciando lentamente e con mani tremanti, i suoi bottoni piccoli, che scivolavano lentamente dalle mia dita.
Sentii le sue labbra carnose e roventi, poggiarsi sul mio collo accaldato e scendendo verso il seno, mentre inarcai la schiena, ansimando fortemente, ed aggrapparmi ai suoi capelli neri e morbidi, quelli dove affondai le dita, fino a stringere la cute con avidità.
Mi sollevò in uno scatto repentino la gamba, portandola al suo fianco, mentre fece aderire il bacino al mio, sentendo la sua erezione spingere. Qualcosa che mi azzerava la mente, continuando a darmi baci umidi e piccoli morsi.
Inarcai di più la schiena, pressandomi quasi contro di lui, sentendo la sua lingua vellutata, percorrere il solco dei miei seni, portandomi ad ansimare.
Mentre con la mano scesi a percorrere il suo petto, sentendo sotto il palmo, le linee dei suoi addominali perfetti. Salii su fino alla nuca, attirandolo nuovamente contro di me, portando le mie labbra vogliose, sul suo collo, per assaggiare il suo sapore che mi sconvolgeva i sensi.
Appoggiai le labbra sul suo collo, sentendo quel calore inconfondibile, bruciarmi le labbra. Iniziai a dargli dei baci, per sapere che il suo sapore era salato, sulla mia lingua infettata da lui. Finché non tracciai con la lingua tutto il collo, arrivando al lobo e stuzzicandolo con la punta, fino a premere le mie labbra sopra di esso .
"Non avrai nulla da me" digrignai i denti ispida, ma incerta. Sarei rimasta per sempre ad assaggiare la sua pelle, che faceva male come veleno, ma ne esigevo. Sbattei di nuovo la schiena contro la parete, sentendo le sue labbra premere con foga sul mio seno. Ansimai fortemente presa in contropiede, per ritornare alla normalità. Giocare per scoprire chi era, dovevo saperlo. Ma non così.
Lo allontanai, arpionando le mie mani alle sue spalle, con quanta più forza avessi.
"Questo è da vedere" replicò fiero e rauco, lanciando un'occhiata derisoria al mio seno, notando una chiazza violacea formarsi, lasciandomi imprecare. Finché il suo indice non schiacciò di nuovo il pulsante, facendo ripartire l'ascensore come un balzo come il mio cuore, dove i battiti avevano smesso di esistere.
Rendendomi solo ora conto dei vociferi pesanti delle persone, che aspettavano con impazienza l'arrivo della gabbia metallica.
Le porte si spalancarono, ed il mio cuore era ancora in subbuglio. Lo guardai fare un passo fuori per girarsi un attimo, verso di me. Un ghiaccio dove il desiderio splendeva ardente, un ghiaccio che dovevo sciogliere come acqua per scoprire chi era Alan.
Finché un bigliettino rosso a terra, non catturò la mia attenzione. Mi avvicinai, guardando ormai Alan oltre la vetrata, e chinarmi appena per raccattarlo, sentendo la gonna stringere i miei fianchi. Lo presi con mani tremanti, rigirandolo tra le dita.
Un locale?! Era di sicuro un posto, forse il primo indizio per sapere qualcosa verso l'uomo che rapiva i miei sogni.
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