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-Capitolo 12-


Non so con quale determinazione e forza di gravità, mi spinsi a fare ciò che stavo facendo. Tornai a casa e mi lavai mettendomi una gonna a matita ed una camicetta di chiffon. Mandai un messaggio a Simon con le mani che tremavano, mentre digitavo i tasti touch sul cellulare con un'ansia palpabile che scorreva nelle vene.

Simon
-Ciao Simon...devo tornare a Sacramento anche oggi, ma spero di tornare per la nostra cena al ristorante. Baci.

Non aspettai neanche la sua risposta, un suo consenso. Forse stufa di dover leggere le opposizioni. Ormai avevo preso la mia strada. Buttai il cellulare dentro la borsa a tracolla richiudendola con la clip dorata, e mi avviai nella macchina.
Il tragitto sembrava più breve della prima volta. Come tutti i tragitti, quando impari la strada ti sembra sempre più corto. Ci sei già passato, impari gli ostacoli che puoi trovare, i cartelli da seguire. Il sole come sempre prendeva troppo spazio all'interno della vettura, senza avere il mio consenso. Ma avevo bisogno di scaldare quell'agitazione  strana che accresceva, ed il cuore che tamburellava potente.
Ero arrabbiata?! Si lo ero. Quale razza di uomo ti vede e fa finta di non conoscerti?! Uno zotico. Questo era.

Come sempre trovai il cancello enorme che si ergeva davanti ai miei occhi, spalancato. Come se mi stesse dando nuovamente il benvenuto. Come se si aspettava che sarei tornata. Incurante se ci fosse stata la ragazza dell'altra sera. Sentii la ghiaia scricchiolare sotto il peso delle ruote, e la parcheggiai chiudendo lo sportello con un tonfo pesante.
Mi avviai a passi spediti, verso gli scalini, salendoli quasi di fretta. In un modo simile a non voler aspettare troppo tempo, da ciò che mi divideva da quell'arroganza elegante.

Alzai l'indice incerta, ora che ero davanti a questa porta bianca. Chiusi un attimo le palpebre ed esalai un sospiro faticoso, quanto la fatica che impiegai a pigiare il bottone.
Il trillo si ripercosse all'interno. Ma non udii passi. Feci una giravolta su me stessa, guardando lo spiazzato e la mia macchina posteggiata.

"Forse dovrei tornare indietro" proclamai da sola, facendomi un monologo mentale.
"No...o forse...no...si meglio che vado..." Ma non terminai di finirlo, che il cigolio debole della porta mi portò a rigirarmi. Finché non si spalancò del tutto. Alzai lentamente lo sguardo, che prima era piantato sulle mie scarpe, che incerte volevano tornare al punto di partenza ma frenate, lungo la sua figura. Le gambe tornite e toniche, un telo azzurro legato in vita, da cui intravidi la V. Forse avvolto troppo in basso, per non lasciare molto spazio alla mia immaginazione, che anche non volendo, viaggiava.
Risalendo verso il suo addome scolpito e definito, dove piccole gocce trasparenti, imperlavano il suo corpo, tracciando le linee di quegli addominali perfetti. Desiderando in modo strano, di essere una di quelle.
Fino al suo viso. La mascella rigida. Le labbra carnose e chiare simulavano una linea retta. Il suo naso perfetto. Ed i suoi occhi gelidi ed al tempo stesso cristallini, incorniciati da quelle sopracciglia scure ed arcuate e dalle folte ciglia scure.

Deglutii e sentii le guance tirare per l'immenso imbarazzo, leccandomi le labbra mentre scivolò con lo sguardo verso il mio gesto sfrontato. Decisi di entrare senza aspettare il suo permesso, compiendo quel passo con una naturalezza ostentata.
Mi fermai a metà, sentendo la porta richiudersi con un tonfo pesante.
"Vedo che non le hanno insegnato l'educazione" sbottò ispido, mentre mi voltai dalla sua parte.

"Parla a me di educazione?" Risi amaramente, scuotendo i capelli che mi solleticarono la nuca, Per rigirarmi verso un punto non definito.
"Da che pulpito viene la predica" aggiunsi borbottando sottovoce, anche se avevo paura che avesse captato.

Lo sentii sospirare scocciato, avviandosi verso il salotto.
"Perché è qui?" Domandò più pacato, o almeno senza esser scorbutico come prima.

"Lo saprebbe se oggi si fosse fermato e non avesse fatto finta di non conoscermi... Non crede?" Ribattei  risoluta, tornando a fissare quegli occhi gelidi che pervadevano il mio corpo di brividi incontrollabili.

"Ma le pare che sono il tipo...che fa finta di non conoscere qualcuno?" Chiese beffardo, guardando sul suo volto spigoloso, formarsi un sorrisetto increspato lateralmente ed in maniera sfacciata, quanto il suo sguardo provocatorio.

"Mi prende in giro anche? Lei è...è..." Lasciai la frase in sospeso, titubante. Non sapendo descriverlo realmente, non trovai un aggettivo adatto. Ero confusa, ed il suo sorrisetto lascivo e malizioso, mi dava su i nervi.

"Comunque non ha risposto alla domanda che le ho posto prima...perché è qui?" Domandò sicuro, facendo scomparire il sorriso e lo sguardo ridanciano, per tornare alla sua solita serietà e compostezza.

"Un maleducato. Sono qui perché mi deve essere scivolato, un foglio del progetto, di una casa che sto immobiliando" rimandai ispida, girando i tacchi per mettermi a sedere sul divano in tessuto verde. Notai i suoi capelli bagnati. Il modo in cui dal ciuffo pece, scese una gocciolina lenta, finendo armoniosamente sulla linea verticale del suo addome, tracciando il percorso fin sotto l'asciugamano. Portandomi a stringere le gambe fasciate nella gonna a matita.

Hope credo che per quanto tu non voglia ammettere, questo uomo stuzzica le tue fantasie, che chiedono una via di fuga. Ti mordi il labbro e cerchi di sviare i suoi occhi. Ti senti accaldata, e su di giri. Strana sensazione per chi non è mai uscita dal suo guscio. Forse è l'ora di rompere quella campana di vetro. Tu non sei fragile come vuoi far credere. Lo sai dentro di te. Devi solo scoprirlo.

Pov. Alan

Passare inosservato. Era questo lo scopo, che evidentemente non avevo saputo fare. Cercai di sviare dal suo sguardo cristallino e puro, ma non ce la feci. Mi teneva incantato, come dalla prima volta che la vidi. Era assorta nei suoi pensieri, bloccata tra le mura di quella camera, sul letto di sopra, poiché erano letti a castello. La guardai da fuori dalla finestra, e presi il mio blocco. Spiegazzò il suo vestito, notando che rigirava una foto tra le mani che si strinse al petto, e vi passò l'indice sopra. Uno sguardo malinconico. Di chi non aveva più nulla da sperare, più nulla da perdere. Che credeva che i giorni di sole servissero solo a riscaldare il pianeta terra, e non il suo cuore racchiuso in una gabbia di ferro. La disegnai così. Perfetta e spoglia. I capelli rossi che le ricadevano sul volto dolcemente, quel volto ovale privo d'imperfezioni. Ne aveva troppe nel cuore. Lo sapevo bene.
Ed ora con quella coda che era più castana che rossa con il passare degli anni, mi venne voglia di afferrarla e scoparla senza ritegno sul mio letto.

Ma corsi, più forte che potei e scomparii dalla sua vista, montando in fretta sulla moto.
Tornai a casa. Pensavo che fosse un posto sicuro. Mi sbagliavo cazzo, mi sbagliavo fottutamente. E mentre mi facevo la doccia pregavo che chi suonasse al campanello non fosse lei. Ed invece era lì. Sempre innocente. Con lo sguardo imbarazzato. La lingua biforcuta che si passò tra quelle labbra rosee e prive di merda a contornarle.

"Qualcosa da bere?" Le domandai tranquillo, notando il suo modo di in cui aveva serrato le gambe. Si sentiva in soggezione. Le rifeci la stessa domanda della volta scorsa, convinto della solita risposta.

"Uno scotch grazie" affermò sicura, accavallando le gambe con noncuranza. Mi aveva sorpreso. Non me lo sarei aspettato.

"Eh no ragazzina. Tu non bevi" ribattei fermo ma anche derisorio. Guardando il suo sguardo spiazzato.

"Senta. Punto primo, ho un nome. Punto secondo, mi ha offerto da bere ed io ho risposto. Non me lo vuole dare? Bene" rispose piccata e cocciuta. La notai alzarsi, lisciandosi la gonna ed avviarsi verso la credenza di legno intarsiata. Vi era riposto sopra un vassoio argento su cui erano disposti dei bicchieri di cristallo e varie bottiglie di vetro con liquori diversi dentro.
Ne riempi uno con un liquido ambrato, girandosi verso di me. La guardai attonito ed iroso, prima di vederla portarselo sulla labbra fiera, sgolandolo in una sorsata.

"Ma chi si crede di essere? Questa non è casa sua" tuonai contro di lei ispido, cercando di mantenere le distanze. Mi stava risultando difficile. Il suo collo invitante che deglutì a fatica. I suoi occhi più luminosi e diversi. Il modo in cui si morse delicatamente il labbro, come se avesse avuto la gola arida ed esigesse di sentirsi bagnata.

"Lei chi si crede di essere per parlarmi così. Eh?" Usò il mio stesso tono pungente ma più caldo, riempiendosene un altro, incurante di me, per finirlo di nuovo. La guardai sfidarmi con lo sguardo, ed era meglio se non lo avesse fatto.

"Tu ragazzina, mi hai stufato" mi avvicinai impetuoso a lei, e le strappai la bottiglia dalle mani. Sbattendola sulla credenza con un tonfo pesante e cristallizzato, tanto che credevo si sarebbe rotta.

Guizzai sul suo sguardo sgranato, le pupille dilatate, e sobbalzò per il mio modo irruente.
"Non ha il diritto di darmi del 'tu'" proclamò titubante, mentre il mio sguardo si fece più gelido ed iroso. La notai mordersi di nuovo quel dannato labbro inferiore, tentando di non scivolare con lo sguardo sul mio corpo.

La presi per i polsi, pressando il mio corpo contro di lei, che batté il fondoschiena alla credenza, sussultando.
"Che..." sussurrò impaurita, senza riuscire a finire la frase e sviando il mio sguardo furibondo. Notai il modo in cui era basita. Come se si fosse ricordata qualcosa. Impossibile!

"Che ne dici di divertirci un po'...eh?" Le domandai, avvicinandomi al suo lobo caldo, e sentendo il suo cuore accelerare. Dovevo essere stronzo. Solo così l'avrei tenuta distante.

"Come scusa?" La sentii domandare in affanno ed incerta, tornando su i miei occhi più vivi di desiderio. Impossibile reprimere sentimenti che erano affievoliti ma mai appassiti.

Aprii una bottiglia di whisky, tenendo con una mano i suoi polsi, che cercavano di ribellarsi alla mia presa salda. C'inzuppai il pollice dentro, vedendola seguire il mio gesto, attonita.
Increspai le labbra in un sorrisetto malizioso, alzando il pollice. Iniziai a disegnare il contorno del suo labbro inferiore, vedendola schiudere le labbra.
Mi avvicinai di nuovo al suo lobo, mantenendo il mio sorriso vittorioso.
"Leccalo" le intimai vigoroso, sentendola esalare un respiro in affanno.

"Lei ha qualche problema serio. Mi lasci" si ribellò invano, sotto la mia presa troppo forte.

"Vuole dirmi forse, che è casta?" La provocai, spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio, notandola socchiudere le palpebre in difficoltà.

"Anche se fosse? Mi lasci ora" ribatté, tentando di non far vibrare la voce, ma le parole erano come se le morissero in gola.

"Voglio divertirmi" le confessai con un tono duro, che faceva più male a me che a lei.

"Che cosa? Lei è pazzo. Ha le sue amichette per divertirsi, non le bastano?" Si avvicinò al mio viso, sputando fuori con disprezzo quelle parole, portandomi a pressare di più il mio petto contro il suo, ed i suoi occhi cristallini, sgranarsi.
Era talmente vicino che poteva sentire la mia ricrescita ispida, e seguì con lo sguardo, il modo in cui mi passai la lingua sul labbro. Quella lingua che avrei voluto infilare dentro di lei.

"Voglio lei...ora" ricalcai serio.
Scesi con una mano, sulla spaccatura della sua gonna, sentendo le sue gambe tremare, ed iniziai a salire piano, verso il suo interno coscia. Cazzo! Le sue gambe.

"Alan" chiamò il mio nome in un sussurro, con voce intrigante. Il mio nome dalle sue labbra era puro eccitamento. Sentivo il membro pigiare attraverso il telo, con la voglia di essere liberato.

Feci salire più su la mano, lentamente, fino alla sua intimità. La sentii sussultare, giocando con l'elastico delle sue mutandine di pizzo, scostandole piano, fino a passare con le dita tra le sue pieghe morbide e calde.

La sentii ansimare piano, cercando di reprimerlo con i denti affondati nel labbro inferiore.
"Ti prego" mi supplicò sommessa, portando la mano libera sul mio volto. Il tocco gentile delle sue mani. Sentivo la sua intimità quanto fosse calda e desiderosa di avermi.

Picchiettai con le dita sul suo clitoride, e compii movimenti circolari, per stimolarla.
La guardai spalancare le labbra, ansimando vicino al mio viso e notai i suoi occhi azzurri riempirsi di lussuria, la stessa mia.
"Perché mi fai questo?" Domandò in affanno, non riuscendo a trattenere la voce che le uscì eccitata, portandomi a perdere la ragione.

"Perché ti voglio" affermai cristallino e con voce intensa, avvicinandomi alle sue labbra schiuse.
Lei doveva essere mia...no lei era mia. Lo era da sempre.

"Se vuoi qualcosa dimmelo, ma lasciami" si avvicinò al mio orecchio, ansimando dolcemente, e cercando di divincolarsi.
Non riuscivo a fermarmi. Sentirla così eccitata, mi portava a non pormi un freno.

Risalì con la mano sul mio volto, cercando i miei occhi.
"Alan, ho un fidanzato" si avvicinò di più, guardandomi intensamente, per farmi capire che dovevo lasciarla.

Che stavo facendo. Lei doveva odiarmi, stare lontano da me.
Uscii da lei, sviando lo sguardo ed allontanandomi.
"Non c'è il foglio che cerchi. Vai via" sussurrai serio e duro, senza guardare più quegli occhi cristallini.

La sentii solo camminare, e raccogliere la borsa adagiata sul divano per richiudere la porta con un tonfo alle sue spalle. Dovevo restare un'ombra. Ma non ci sarei più riuscito.

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