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92. E quello che è stato ci sembra più assurdo

E a mano a mano si scioglie nel pianto
Quel dolce ricordo sbiadito dal tempo
Di quando vivevi con me in una stanza
Non c'erano soldi ma tanta speranza

(M. Luberti, R. Cocciante, A mano a mano, 1978)

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Inizio gennaio 2018

«Ho brutte notizie per te, ma soprattutto per Michele riguardo...»

«...Sara» dissero insieme Daniele e Nic, il primo a Miami, il secondo in Australia.

«È lì con te?» chiese Daniele.

«No, è in sala massaggi con Ethan. Torna in camera a minuti. Cosa le è successo? Sei stato dal veterinario?»

«È successo quello che aveva previsto il veterinario di Capriva: una recidiva. Grave.»

Nic si passò una mano sulla fronte. «Merda...» sussurrò. «Povera piccolina... sta male?»

«Ancora no.»

«E cosa...?»

«Aspetta» lo interruppe Daniele. «Prima di parlare di Sara, visto che mi hai detto che Michele sta per tornare, dobbiamo decidere come dirlo a Michele.»

«Per ora non glielo diciamo.»

«Papà!» Sbottò Daniele in maniera inattesa. Il suo tono era molto duro. «Hai già fatto la cazzata di minimizzare l'intervento a settembre.»

Era successo tutto in Friuli, mentre Nic era in Russia e Michele in clinica in Francia per i problemi alla schiena patiti agli US Open; durante una visita di routine si era scoperto che la piccola Sara aveva un tumore allo stomaco, e la cagnolina era stata prontamente operata. Nic, occupato com'era stato con la riabilitazione di Raf, non aveva seguito la cosa con la dovuta attenzione, ma era riuscito per fortuna a imporre a Daniele di non rivelare a Michele le ipotesi più pessimistiche paventate dal veterinario friulano.

«Stupido io che ti ho dato corda...» proseguì Daniele. «Devo ammettere che un po' l'ho fatto perché speravo anch'io che sarebbe guarita del tutto.»

«Ma non ci sono proprio speranze?» chiese Nic, col fiato che si faceva corto. Il suo pensiero corse a Raf. «Dai, a me sembrava che stesse molto meglio...»

«Il veterinario ha detto di no.»

«Portala anche da un altro!»

Daniele sospirò. «Lo farò sicuramente, e le farò fare le cure migliori possibili, ma...»

«E allora vedrai che riusciamo a salvarla» disse Nic.

«Papà... Non riesco a capire se mi stai dicendo una cazzata perché non vuoi dirglielo a Michele, o se credi davvero a questa cazzata.»

«Smettila di dire che è una cazzata!» Nic si rese conto di aver alzato la voce.

«Wow...» disse Daniele. 

Nic non comprese il senso dell'osservazione. «Cos'è questo sarcasmo? Non mi piace il tuo disfattismo, tutto qui. Non ci tieni neanche un po' a quella povera cagnolina?»

«Non ero sarcastico per niente. Ero stupito dalla tua reazione. Non credevo che... Cioè, lo so che le vuoi bene, alla Saretta, ma... Avevi un cane, da piccolo?»

Nic prese ad accarezzarsi l'avambraccio. «Cosa c'entra adesso?»

«Ce l'avevi, vero? Vuoi parlarmene?»

Nic iniziò a trovare quella telefonata profondamente sgradevole. In qualsiasi direzione andasse la discussione c'era del turbamento ad attenderlo, sia che parlassero delle condizioni di Sara, o di come dirlo a Michele, o... di qualsiasi cosa stesse cercando di parlare Daniele in quel momento. «Sei fuori strada» disse solamente.

«Fuori strada su cosa? Allora ti ho sgamato, che sei turbato per qualche motivo...»

«La finisci di fare lo psicologo?» disse Nic, trattenendo uno scoppio di voce tra i denti.

Daniele rimase in silenzio per diversi secondi, Nic lo sentiva respirare nel ricevitore. E in quel silenzio Nic si sforzò, senza riuscirci, di non pensare a Raf, e di non pensare a quello stramaledetto uccello che lo implorava di morire. Ma non ci riuscì, la sua testa rimbalzava furiosamente tra due immagini orrendamente lugubri. «Papà, per l'ennesima volta in vita mia ti dirò una frase: fa bene parlare» disse infine Daniele.

«Non ti preoccupare» ribatté Nic. «Sto bene.»

«Non ti credo, ma farò finta di sì perché so quanto è impossibile tirarti fuori le cose quando non vuoi farlo. Parliamo di Michele, allora.»

«Cosa dobbiamo dire di Michele?» chiese Nic.

«Non di. A. Cosa dobbiamo dire a Michele. Quello che ti ho appena detto. Dobbiamo dirgli di Sara.»

«No. Non adesso.»

Daniele fece schioccare la lingua. «Papà... se vuoi gli parlo io. Come quando gli ho detto della mamma, ti ricordi?»

«Mi ricordo anche troppo bene» rispose Nic con una stretta al cuore. «Non gli dire niente. Gli parlerò io.»

«Ma gli parlerai davvero?»

«Raccontami tutto quello che ti ha detto il veterinario. Con i giusti tempi e le giuste parole gli parlerò.»

«Papà...»

«Sì?»

«Ti prego. Per questa volta ti lascio fare, ma non fare cazzate. Sara per Michele è importante.»

«È proprio per questo che non farò cazzate» disse Nic risoluto.

Daniele sospirò e iniziò a spiegare nel dettaglio le brutte notizie ricevute dal veterinario.

17 gennaio 2018

Le notizie su Sara, però, avrebbero davvero aspettato. Almeno la fine degli Australian Open, un torneo a cui Michele dava un'importanza capitale, poiché era l'ultimo che avrebbe potuto vincere da teenager (avrebbe compiuto vent'anni due mesi dopo).

Nic voleva lasciarlo tranquillo e sereno. 

O meglio: avrebbe voluto lasciarlo tranquillo e sereno, perché purtroppo un altro grosso problema si era messo tra Michele e il traguardo del suo primo Slam.

Ivan.

Michele si era preso una palese cotta per Ivan, e Nic poteva solo guardare impotente suo figlio perder tempo ed energie dietro a quel cretino.

Era cominciato tutto quando Nic aveva trovato Michele che dormiva con una carota di peluche tra le braccia - uno stupido regalo di Ivan.

Si era chiesto se la stesse abbracciando perché gli mancava dormire con Sara, che era a Miami con Daniele, o se il motivo fosse, più banalmente, che avrebbe voluto dormire con colui che gliel'aveva regalata, quella Carota.

Giudicando che la ragione fosse la seconda, e che Michele avesse parecchia energia sessuale repressa, per farlo sfogare Nic gli aveva consentito di passare una notte da solo con Ivan. 

Una.

Errore.

Farli dormire insieme non aveva fatto altro che alimentare la fiamma del desiderio. 

Ivan era stato sconfitto al secondo turno degli Australian Open, e Michele, con la scusa di consolarlo, pretese di vederlo di nuovo.

Ma stavolta Nic non li avrebbe lasciati soli. Ivan voleva venire in camera di Michele? Benissimo. Ci sarebbe stato anche Nic e si sarebbe assicurato che chiacchierassero e basta.

Purtroppo, appena il cretino entrò in camera, Nic capì subito che i suoi piani di tenere il figlio sotto controllo sarebbero saltati.

Sentì Ivan dire, all'ingresso, di aver lasciato un Raf molto triste in camera sua.

Maledetto coglione egoista...

Nic scattò in piedi, mentre Ivan piagnucolava lamentandosi della sconfitta.

Trovò Michele che abbracciava Ivan, con una mano sui suoi capelli azzurri.

«Che cosa hai detto su Raffaele?»

Ivan si allontanò un po' da Michele, solo per guardare Nic con la più stupida e smoccolante delle espressioni.

«Hai detto che era triste? E l'hai lasciato da solo?!» lo incalzò Nic a denti stretti.

Ivan sembrò pensarci su. «Ma no... all'inizio, sai...» smise finalmente di stare abbracciato a Michele e si avvicinò di un passo a Nic. «All'inizio era triste, sai, diceva... ho fallito, ti dovevo preparare meglio... io però ho detto lui che era stato bravissimo e avevo sbagliato solo io, e poi abbiamo un po' scherzato e giocato e alla fine era contento. Ho chiesto: sicuro tutto ok, Rafa? E lui dice: tutto ok!»

Tipico. Tipico di Raffaele!

«Sei veramente un coglione. Ma non lo conosci?»

«Uh... well...»

«Sei un coglione. Devo fare sempre tutto io!»

Nic aveva già il cellulare in tasca. Era l'unica cosa di cui aveva bisogno. La chiave tessera era sul mobiletto all'ingresso, la prese e uscì, facendo già partire la chiamata per Raf.

Due passi fuori e tornò indietro per aggiungere una cosa: Michele e Ivan erano rimasti nella stessa posizione e guardavano la porta a occhi sgranati. «E non vi sognate che vi lascio da soli. Torno tra poco.»

«Nic?» disse la voce di Raf al telefono.

«Pronto Raf? Dove sei?» Nic chiuse la porta. «Dimmi che sei in camera...»

«Sono in camera, che c'è?» rispose lui in tono apatico.

«Stai fermo lì che sto arrivando.»

«Eh? Ma perché?»

«Ivan mi ha detto come stavi messo alla fine del suo match. Non credo sia il caso di lasciarti solo, stasera.»

Raf fece schioccare la lingua. «Ma dai, Ivan ha esagerato. Sto bene, sul serio!»

«Non ti credo. Sto arrivando.»

Nic fu da lui in pochi minuti, e a conferma del fatto che non stava bene lo trovò con gli occhi arrossati. «Be'... devo ammettere che mi fa piacere che sei venuto» gli disse.

«Hai bevuto?»

Nic entrò, Raf chiuse la porta. «No. Ma ci sono andato molto vicino. E... ne ho ancora voglia, a dire il vero.»

Nic scosse la testa. «Lo sapevo... Passo la notte con te.»

«Non serve, dai. Ma... ma se vuoi passare qui un'oretta mi fa piacere» gli rivolse un triste sorriso.

Raf quindi gli spiegò come si sentiva. Parlarono a lungo della frustrazione, della sensazione di star perdendo tempo, il senso di colpa per non essere stato abbastanza bravo a pianificare quell'incontro. «Vanja ha fatto parecchie cazzate, è vero. Ma è anche colpa mia. Forse non sono adatto ad allenare un pro. Forse Vanja farebbe meglio a farsi affiancare da qualcuno che possa mettere meglio in luce le sue qualità...»

«Raf, voglio essere sincero con te perché penso che la sincerità sia fondamentale. Non voglio che ti illudi inutilmente solo per poi avere una delusione che ti fa ricadere nella droga e nell'alcolismo. Ivan di qualità ne ha davvero poche. Lo stai sopravvalutando.»

Raf fece una risatina. «No, sei tu che lo stai sottovalutando...»

«Goditi la gioia di allenarlo e farlo migliorare quel poco che può migliorare. Puoi avere un sacco di soddisfazioni anche così. Guarda me: era uno scarso e sono arrivato al numero settantotto. Io penso che con la determinazione anche lui possa raggiungere buoni risultati. Ma non pretendere l'impossibile.»

Raf, ora, sembrava divertito. «Questo è un altro bel punto a favore di Vanja. Che tutti lo sottovalutano. Tutti. È troppo strano, non lo capite.»

Nic alzò le mani. «Ci rinuncio. Ma a prescindere da quello che pensi di poter fare con lui, il mio consiglio rimane valido: non demoralizzarti troppo per le sconfitte, perché di sconfitte ne arriveranno tante. Goditi la soddisfazione di aiutarlo. Mi sembra un ragazzo con una personalità simile alla tua, per certi aspetti. Anche lui ha l'indole artistica come te, ho capito perché ti piace tanto. E poi mi sembra che ti voglia bene, anche se è un cretino egocentrico e da cretino egocentrico ovviamente pensa sempre prima a se stesso...»

«A parte che tutti pensiamo sempre prima a noi stessi... Ed è anche giusto che sia così, cazzo. Io non voglio che nessuno sacrifichi la propria vita per stare dietro a un vecchio panzone.»

«Non pretendo che si sacrifichi, ma porco cane, perlomeno capire che stasera eri depresso e avevi bisogno di qualcuno vicino... No, invece Michele lo chiama, e lui pensa subito: grande! Stasera si scopa! E ti lascia da solo. Io non anteporrei mai una scopata a un amico che sta male.»

Raf fece una risatina. «Nemmeno Ivan non lo farebbe mai. Guarda che sono diventato molto bravo a recitare. Sono stato io a fargli credere che stavo bene, perché non volevo ammorbarlo con le mie paturnie. È vero che avevo voglia di bere, ma anche se non fossi venuto, sono sicuro che sarei riuscito a resistere.»

«E da quand'è che saresti diventato un campione di autocontrollo?»

«Non lo sarò mai. Ma adesso che mi resta così poco da vivere sono motivato da questo: che non voglio sprecare neanche un minuto di quello che mi resta.»

Quelle parole ferirono Nic come una frustata. Ma cercò di non darlo a vedere.

«Vanja mi vuole bene come se fossi suo padre» proseguì Raf. «Non ho ancora capito perché mi vuole così bene. Proprio non riesco a capire che cosa abbia visto in me, perché si sia fissato... Forse è semplicemente un ragazzo buono e gli ho fatto pena. Non importa, sta di fatto che a me ci tiene, io ci tengo a lui e non voglio deluderlo. E non voglio deludere neanche te, ti ho ritrovato dopo venticinque anni quando pensavo che sarei morto senza parlarti mai più...»

Perché non sei tornato prima? pensò Nic, stringendo i denti.

«Dai, Nic. Non fare quella faccia. Mi sembri più triste tu di me: non mi dovevi consolare?» Raf fece una risatina.

Nic cerco di scrollarsi di dosso la tristezza. Guardò il telefono e notò che era passata già quasi un'ora: «Va be'... i due piccioncini, ormai, se volevano scopare hanno scopato. Ti tengo compagnia ancora un po', ti va?»

«A me va sempre di stare con te.»

Nic e Raf tirarono tardi parlando di argomenti più leggeri. Erano le quattro passate quando Nic uscì per tornare a dormire, lasciando un Raffaele stanco ma sereno: era abbastanza sicuro che non avrebbe fatto stupidaggini.

Entrò in camera cercando di far piano, chiedendosi se Ivan fosse rimasto lì o fosse tornato in camera sua. 

La porta della stanza di Michele era aperta, e Nic non resistette alla tentazione.

Sbirciò.

Erano insieme. Stavano dormendo abbracciati, e fu una scena che gli strinse il cuore, gli ribaltò lo stomaco con strane emozioni.

Michele era il ritratto della beatitudine. 

Gli era capitato spesso di vederlo dormire con le sopracciglia contratte, la faccia tesa. Ora i muscoli del viso erano rilassati, sembrava quasi stesse sorridendo, con Ivan stretto tra le braccia allo stesso modo in cui aveva stretto la carota qualche giorno prima. Era un quadro così innocente è sereno che lo commosse. Lo riportò indietro nel tempo a quando lui stesso aveva abbracciato allo stesso modo prima Leonardo, poi Raffaele, ma con sentimenti forse diversi da quelli di suo figlio.

Mentre li osservava, Michele si svegliò.

Guardò suo padre con l'aria un po' assonnata. Non sembrava turbato di vederlo. 

Padre e figlio si guardarono negli occhi per qualche secondo.

Poi Nic decise di lasciarli soli.

***

27 gennaio 2018

Origliando una discussione che avrebbe preferito non origliare, Nic scoprì di aver sopravvalutato la cotta di suo figlio: Michele sembrava avere idee romantiche più vicine a quelle di un bambino dell'asilo che a quelle di una persona adulta.

Michele e Ivan avevano dormito insieme per sette giorni, in camera di Michele, con Nic nell'altra stanza. Era stato più volte tentato di andarsene per lasciarli soli, ma gli Australian Open erano troppo importanti: suo figlio non avrebbe mai più avuto diciannove anni, e quella era la sua ultima occasione di vincere uno Slam da teenager, un obiettivo a cui lo stesso Michele aveva detto più volte di tenere moltissimo.

Nic aveva pensato, stando lì con loro, di salvare Michele da se stesso e da distrazioni inopportune.

Ma aveva scoperto che non c'era nulla da salvare, perché aveva udito Ivan lamentarsi con Michele, in maniera piuttosto esplicita, della propria frustrazione sessuale.

Nic aveva messo le dita nelle orecchie, appena aveva capito di cosa stava parlando, ma qualcosa aveva sentito, e quel qualcosa aveva riportato alla luce ricordi sgradevoli. 

Di notti trascorse a dormire nel letto di Raf, con le erezioni che gli gonfiavano le mutande e la frustrazione che gli faceva esplodere la testa. Una tortura psicologica che non avrebbe augurato a nessuno, nemmeno a Ivan, per quanto cretino e antipatico lo considerasse.

Michele e Ivan erano rimasti in rapporti cordiali (si salutavano e scambiavano sempre qualche parola quando si incontravano in giro per il torneo), ma aveva dormito da solo le notti successive, ed era andato tutto bene: aveva vinto anche la semi, ottenendo la sua seconda finale Slam di fila. A soli diciannove anni.

Ma ecco che, la notte prima della finale, si facevano strada in lui dei turbamenti. Pulsioni che forse reprimeva.

E Nic visse l'ennesima esperienza sgradevole quando sentì Michele masturbarsi, nel cuore della notte, in bagno, nel silenzio più completo, facendo un casino pazzesco. Tapparsi le orecchie era servito a poco, la sessione in bagno era terminata con dei gemiti che a Nic erano sembrati di frustrazione, più che di piacere.

Era sempre più evidente che Michele avesse un rapporto disturbato e represso con le sue pulsioni sessuali. 

Perciò Nic decise di fargli capire una volta per tutte che masturbarsi era una cosa normale, che non doveva fare in segreto come fosse proibita e sbagliata. Che non doveva trattenere i suoi istinti da essere umano. 

Accese l'abat-jour e lo attese in piedi.

«Non riesci a dormire?» gli chiese appena uscì.

Michele sembrò sorpreso di vederlo, scosse la testa.

«Ho sentito che ti sei masturbato. Non so se è stata una buona idea, adesso sarai ancora più agitato. Inoltre non sottovalutare il calo testosteronico...»

Michele reagì a quelle parole tappandosi le orecchie con le mani. 

Nic non aveva nemmeno cominciato il suo discorso, che dalle premesse fisiologiche avrebbe voluto poi spostarsi sulla normalità delle pulsioni e quali fossero le migliori strategie per gestirle, e  quell'ennesima dimostrazione di infantilismo lo spazientì. «La smetti di fare il bambino? Togliti le mani dalle orecchie!»

«E tu non mi p-p-pa-parlare di queste c-cose!» gridò Michele.

«Non stavo origliando, se vuoi saperlo. Non è colpa mia se hai fatto tutto quel casino! E comunque sono cose naturali, non ti devi vergognare.»

«Sono cose private!» gridò ancora Michele

Nic fu colpito da quelle parole. Sì, Michele aveva ragione, ma era proprio per quello che Nic ci aveva tenuto a specificare che non aveva fatto apposta a sentirlo.

Si era sempre posto il principio di parlare coi suoi figli di quegli argomenti con un linguaggio asciutto che levasse tutte le cazzate romantiche e sentimentali e i sensi di colpa di matrice cattolica dal discorso. Il sesso era una necessità fisica. Era stata una grandissima verità che Nic aveva capito a quindici anni, parlando con il dottor Visintin. Ancora ricordava il nome di quel medico, tanto lo avevano colpito le sue parole e il suo atteggiamento privo di giudizio.

Con Daniele quell'approccio aveva avuto successo, con Michele no. Forse Nic stava sbagliando qualcosa? Forse era troppo esplicito e Michele aveva bisogno di più delicatezza? Non riusciva a capirlo.

Michele, nel frattempo, si era lasciato cadere sul suo letto. Sembrava esausto. Stressato. Gli tremavano persino un po' le mani.

Nic confrontò mentalmente quell'immagine con il ritratto della beatitudine di pochi giorni prima, quando l'aveva visto dormire insieme a Ivan.

Michele aveva vissuto sette giorni in paradiso con quel ragazzo. Si era sempre svegliato sereno, riposato, felice.

Dormire con Ivan non aveva fatto bene a Ivan, ma aveva fatto bene a Michele.

E a Nic importava più di suo figlio che di Ivan.

«Va bene» disse infine Nic. «Non volevo farlo ma penso sia l'unica soluzione. Chiamo Ivan.»

Nic prese il cellulare dello stesso Michele dal comodino e fece partire la chiamata per Rompi.

«Ciao Misha!» rispose lui al secondo squillo.

Michele cercò di togliere il telefono di mano a Nic, ma lui si ritrasse.

«No, non sono Misha. Sono Nicolò.»

«Ciort! È successo qualcosa a Misha?» esclamò Ivan in tono preoccupato.

«No, non gli è successo niente, è qui con me. Ti ho chiamato io perché sono sicuro che lui non avrebbe mai voluto farlo.»

«Mi vuole parlare? Lui mi può chiamare quando vuole, lo sa! Perché non chiama lui?»

«Ivan, tu sai bene che non mi stai molto simpatico. Nonostante questo, mi dispiace per quello che ti ha fatto penare quel rincoglionito di mio figlio.»

«Cioè?»

«Sai benissimo di cosa sto parlando.»

«Oh» disse Ivan, mentre Michele fissava Nic con un'aria molto imbarazzata.

«Ti devo chiedere di venire qui, Michele non riesce a dormire.»

«Non serve!» gridò Michele, ma Nic gli fece cenno di star zitto.

«Non l'ho mai visto tanto tranquillo e felice come le sere che ha dormito con te.»

«Passamelo!» disse Michele.

«Michele mi ha detto che eri riuscito a farlo addormentare anche la notte prima della finale degli US Open» aggiunse Nic.

Ivan ridacchiò. «Io sono sempre contento di aiutare Misha. Vengo subito.»

«Passamelo!» insisté Michele, parlando sopra a Ivan.

«Grazie.»

«Dai passamelo!» disse anche Ivan.

«Va bene, eccolo.»

Nic diede il telefono a suo figlio, che discusse un po' con Ivan, mentre Nic scrisse a Raf per chiedergli se poteva ospitarlo in camera sua per quella notte, sperando che fosse ancora sveglio. Se non lo fosse stato, avrebbe chiesto a Ivan di fare a cambio di stanza, ma avrebbe preferito evitare. Per fortuna Raf rispose dopo pochi secondi di sì.

Ivan arrivò quasi subito, portando la solita chitarra.

Nic si alzò dal letto. «Ok, ragazzi. Vi lascio soli.»

«D-dove vai a dormire?» chiese Michele.

«E dove vuoi che vado? Da Raf.»

«Raf ha una singola con un letto largo...» disse il coglione dai capelli azzurri alzando un sopracciglio.

Che pezzo di merda! Alludere all'omosessualità di Nic davanti a Michele! «Ragazzino impertinente! È ovvio che dormo per terra!»

Ivan, il bulletto esibizionista dai capelli colorati, rise.

«Che stronzo!» Nic uscì e sbatté la porta.

Arrivato in camera di Raf, la presa in giro di Ivan lo aveva talmente irritato che chiese a Raf a bruciapelo: «Ivan sa che sono gay?»

Raf rimase interdetto per qualche istante, poi strinse le labbra. «Credo di no.»

«Cosa significa credo

«Sono quasi sicuro che non lo sappia.»

«Cosa significa quasi sicuro?» insisté Nic, spazientito.

Raf fece qualche profondo respiro, lo sguardo concentrato come se stesse cercando le parole migliori per esprimersi. «Io a te ci tengo tantissimo e conservo ancora il ricordo del tuo coming out come un regalo prezioso. Ivan è l'unica persona con cui abbia mai parlato di te, non parlavo di te nemmeno con Vika. Non posso fidarmi al cento per cento del me stesso ubriaco, ma il rispetto che provo per te e per quel momento di fiducia e di intimità è talmente grande che sono sicuro... quasi sicuro di non aver mai detto niente.»

«Be', mi spiace deludere la tua fiducia nei tuoi principi morali, ma il coglione lo sa. Mi ha fatto un'allusione.»

Raf ridacchiò. «No, se l'ha fatto, allora possiamo essere sicuri al mille per mille che non lo sa.»

Nic mise le mani ai fianchi. «Adesso spiegami il ragionamento geniale che sta dietro a questa affermazione.»

«Ivan è una persona che tiene molto ai segreti. Se gli racconti qualcosa e gli dici che è un segreto si ammazza pur di raccontarlo a qualcun altro. Ed è anche questo un indizio a favore del fatto che non gliel'ho detto. Se gliel'avessi detto in un momento in cui ero ubriaco, lui sicuramente, ci metto la mano sul fuoco, me lo avrebbe ripetuto quando ero sobrio. Non mi hai mai detto niente del genere. Che allusione ti ha fatto, scusa?»

«Mi ha fatto notare che qui in camera tua c'è solo un letto matrimoniale...»

Raf rise. Di gusto. «Tipico di Ivan. Non ti preoccupare, era solo una battuta. A lui piace fare battute di questo tipo, ma non l'hai sentito quando eravamo a Peter?»

Nic non era molto convinto. Sbuffò.

«I tuoi figli non lo sanno, quindi?»

Nic sedette sul materasso, ai piedi del letto. «Daniele sì. Michele no. Ah, a proposito di Daniele... Prima o poi te lo devo presentare, e...» Nic cercò di superare l'imbarazzo che stava provando. «Si è convinto, per qualche motivo, che tu sei un mio ex. Te lo sto dicendo solo per farti sapere che non sono stato io a mettergli in testa questa idea. Io sono sempre stato estremamente chiaro sul nostro rapporto di amicizia.»

Raf sorrise, sedette su una poltroncina di fronte a lui. «Lo so che ti danno fastidio questi discorsi, ma io ti ho sempre considerato, e ti considero tuttora, molto più che un amico.»

Nic sbuffò. «Sì. Mi danno fastidio perché sono delle cazzate... Che cazzo significa "più che un amico"? Significa avere una relazione, e noi non l'abbiamo mai avuta. Quindi non usare l'espressione "più che un amico", perché è una cazzata.»

«Io te l'ho sempre detto, amico è troppo poco.»

«Mi stai facendo seriamente incazzare...» Nic era serissimo. E tutto si aspettava meno che Raffaele avesse ancora in testa quelle idee di merda sull'amore. Ci mancava solo che se ne uscisse dicendo quella frase, quella frase terribile che Nic non avrebbe mai più detto in vita sua, quella frase che faticava persino a pensare, e che era certo di non riuscire a sopportare di udire.

Per fortuna Raf, almeno per il momento, non la disse. Disse però qualcos'altro e riuscì a essere ugualmente sgradevole. «Mi sento molto più a mio agio, adesso, a farti questi discorsi. Perché fisicamente sono repellente, e non ho paura di farti venire in mente idee strane.»

«Cristo santo! Ma cosa cazzo pensi di me? Ma veramente mi pensi così meschino?!» sbottò Nic. Prese un respiro e abbasso il volume della voce. «Veramente pensi che il mio... che... che io...» Il mio amore. Era la frase che stava per dire. E quella parola si era bloccata sulle sue corde vocali, l'aveva ricacciata indietro, l'aveva richiusa a chiave nella testa, e non l'avrebbe mai più fatta uscire. «Lasciamo perdere.»

«Lo sapevo, Nic...» sussurrò Raf. Lo sussurrò pianissimo. «L'ho sempre saputo. Sempre.»

«Saputo cosa? Di cosa cazzo stai parlando adesso?»

«Sapevo che stavi raccontando una palla a te stesso. Quella sera in cui ti eri chiesto se l'unico motivo per cui mi amavi era perché ero bello.»

«Non dire quella parola!» Nic si era alzato in piedi di scatto e aveva gridato talmente forte da graffiarsi le corde vocali.

Raf lo guardò spaventato. «Scusa» mormorò.

Nic prese dei profondi respiri. «No. Scusa tu. Ho avuto una reazione esagerata per una sciocchezza.»

«Scusa, Nic...»

«Smettila di scusarti. Ci sono coperte in armadio? Posso stenderne una a terra e mi metto qui.»

Nic si diresse all'armadio e mentre apriva la porta fu sorpreso da una mano di Raf sulla spalla. «Dormi sul letto, dai, non fare messinscene.»

Il respiro di Nic accelerò, ma di rabbia, non di trepidazione. Prese la mano di Raf solo per toglierla dalla spalla, poi si voltò lentamente verso di lui sforzandosi di non dare in escandescenze.«Non ti sembra neanche un pelo fuori luogo chiedermelo?»

«No» disse serio Raf, guardandolo negli occhi. «Lasciamo perdere discorsi sulla meschinità. Guardami.» Si indicò con un gesto delle mani dalla testa ai piedi. «Sono un vecchio panzone laido, vuoi che mi tolgo la maglietta e ti mostro la condizione pietosa del mio fisico? Per non parlare della faccia sciolta e dei denti marci. So di fare schifo, Nic, la repulsione fisica non si supera facilmente. Non ho paura di tormentarti di tentazione se stai nello stesso letto con me, non ho paura di fare cose imbarazzanti io stesso perché non mi tira il cazzo da dieci anni. Al massimo ti mollo una scorreggia, sai che imbarazzo.»

Nic si lasciò sfuggire una risatina. «Però russi come un martello pneumatico.»

«Più che stai steso qui più che stai steso lì mi senti uguale. E almeno lì stai comodo.» Raf chinò la testa. «Non preoccuparti, non ti vengo addosso, sono incartapecorito, sto immobile una volta che mi addormento.»

Nic guardò Raf a lungo, forse per un minuto, in silenzio. Guardò la sua testa abbassata strizzare un rotolo di pappagorgia sotto il mento. Stava cercando di fissarsi sui dettagli fisici del suo volto, sulle rughe, sui capelli diradati, senza riuscirci fino in fondo. Li vedeva senza vederli. Ciò che vedeva davvero era la sua profondissima tristezza.

 «Ok, mi hai convinto.» Nic sbuffò. «Non è proprio la notte ideale prima di una finale Slam... ma sopravviverò.»

Nic si tolse felpa e pantaloni, si misero a letto e Raf chiuse la luce. 

Era davvero pesante, Nic lo capiva da come il materasso pendeva verso di lui. Temeva di essere lui stesso ad andargli addosso per sbaglio, nel sonno, attratto dalla pendenza.

«Sei emozionato per domani?» gli chiese Raf al buio.

«Meno della prima volta. Mi sembra tutto così irreale... Michele è un ragazzo così infantile, così inconsapevole... Eppure scende in campo e diventa un genio. Faccio fatica a rendermi conto della sua grandezza, perché lo vedo ogni giorno e lo vedo così umano...» 

«Lui è entrambe le cose. Tutti i campioni sono anche esseri umani. Quando li vedi da fuori, senza conoscerli, ti sembrano degli dei. Ma non lo sono.»

«Già.»

«Secondo me domani vince» disse Raf.

Nic si addormentò, quasi senza accorgersene, sopraffatto dalla stanchezza, con quelle parole e quella speranza nella testa.

Non fu, poi, il russare di Raf a svegliarlo, ma una mano che lo scuoteva nel bel mezzo di uno degli incubi più orribili della sua vita.

«Nic! Svegliati Nic!»

Aprì gli occhi ansante e si rese conto che fino pochi istanti prima stava gemendo. «Cazzo...»

«Cosa stavi sognando?»

«Sognavo che tu eri...» si fermò. No. Non voleva raccontarlo. Raf gli stava ancora tenendo la mano sul braccio.

«Stavi sognando me?»

«Sì, ma... era una cazzata. Scusa se ti ho svegliato.»

Nel sogno Nic toglieva strisce di carne dalla faccia di Raf, per cercare dietro al suo nuovo volto quello vecchio che aveva amato da ragazzo, e finiva solo per scoprire un orrendo teschio.

«Di solito ero io quello che facevo gli incubi... sicuro che non vuoi raccontarmelo?»

«Ne fai ancora?» gli chiese Nic, in testa ancora quell'orribile immagine di morte.

«Hai detto una cosa, nel sogno» disse Raf senza rispondere.

«Cosa ho detto?»

«Hai detto: non morire.»

Nic rimase in silenzio.

«Vorrei poter esaudire questo desiderio» aggiunse Raf.

«Ma va?» disse Nic con amaro sarcasmo.

Rimasero in silenzio per un po', finché Raf tolse la mano dal suo braccio, dandogli due piccole pacche, quasi a salutarlo.

«Anch'io ho un desiderio impossibile» confessò Nic, «vorrei tornare indietro nel tempo, a quando avevamo io diciassette e tu quindici anni, e accettare la tua offerta, la prima che mi avevi fatto, te la ricordi? Vieni a Roma ad allenarti con me, e io ti ho mandato a fanculo dandoti del bambino egoista e...» Nic fece uno sforzo per raddrizzare la propria voce e tenere a freno le lacrime, ci riuscì, proseguì: «E ti ho detto che era una cosa senza senso e che non capivi un cazzo a provocare in quel modo un finocchio, ti ricordi? Sai quante volte ci ho ripensato? Se l'avessi accettato...»

«Poi dici a me che ripeto le cose? Me l'avevi già detto. E io ti avevo detto che non sarebbe cambiato niente. Ne sono ancora convinto. Già abusavo di alcolici, già fottevo le benzodiazepine a mia madre, già avevo provato l'eroina e avevo capito che sarebbe stato il più grande amore della mia vita. Io volevo essere salvato, sì, ma non potevo essere salvato. Ti avrei tenuto accanto e mi sarei fatto di nascosto e ti avrei fatto solo soffrire ancora di più.»

«E allora vorrei non averti mai conosciuto.»

«Ecco. Questo è un desiderio sensato.»

«Se non ti avessi conosciuto probabilmente saresti morto di overdose a vent'anni.»

Raf fece una risatina che si risolse in uno sbuffo.«Una bella morte. Come Jimi Hendrix e Janis Joplin. Sarei morto giovane e bello e avrebbero scritto articoli, biografie, mi avrebbero rimpianto, si sarebbero detti: chissà cosa sarebbe potuto diventare! Senza sapere che sarei diventato questo, un vecchio panzone coi denti marci e problemi di memoria, dimenticato e schifato da tutti.»

«Quindi era meglio se non ti salvavo?»

Raf fece parecchi respiri pesanti, nel buio. «No. Se non mi avessi salvato non avrei conosciuto Ivan, e non avrei mai trovato il mio scopo. Sarebbe stata una morte che piaceva di più ai giornalisti, ma completamente inutile, cioè, la morte di una persona completamente inutile.»

Nic non resistette all'impulso di toccarlo. Nel buio completo della stanza, si girò verso di lui. 

La gravità della sua massa ancora lo attirava, ma le resistette ancora, si limitò a mettere una mano sulla sua spalla, quella più vicina, Raf era steso a pancia in su, in quel momento. Mise una mano su quella spalla e la strinse.

Raf posò la sua, di mano, a quella di Nic, un tocco leggero fatto solo di dita.

Ma era un contatto così distante, era troppo poco, non bastava, non sarebbe mai bastato. Nic si fece attirare dalla gravità di Raf, la sua mano gli attraversò il petto, strinse l'altra spalla e la sua testa si appoggiò dove poco prima era appoggiata la mano. Raf rispose aggrappandosi con entrambe le mani al braccio di Nic.

Il suo corpo era diverso, era quello di un'altra persona. Nic avrebbe voluto pensare che era quello di una persona malvagia che aveva divorato e ucciso il suo Raf, il suo bellissimo Raf.

Ma non era così.

Quello era sempre lui, sempre il suo amico, il poeta con la lacrima facile e con la bestiolina che gli divorava il cervello per cagare fuori la merda.

«Non è vero che hai merda nel cervello» gli disse Nic all'orecchio. «Non è mai stato vero. Hai disastri, nel tuo cervello, fantasmi, paure... Ma se il tuo cervello fosse fatto di merda, io non vorrei essere tuo amico, non avrei voluto salvarti per cento volte.»

Raf allungò una delle due mani e la mise sulla nuca di Nic, per tenere la sua testa ferma sulla spalla, la accarezzò infilando le dita tra i capelli. «Ti ricordi ancora quella poesia del cazzo?»

«Ho tutti i tuoi quaderni. Quelli che hai lasciato a Bologna quando sei scappato.»

«Davvero? Io credevo che... coso... com'è che si chiamava il padrone di casa? Credevo avesse buttato tutto in discarica il giorno dopo che me n'ero andato.» La sua mano era ancora tra i suoi capelli e continuava ad accarezzarlo.

Nic parlava con la fronte sulla spalla di Raf. «No. Sono andato lì. L'ho pagato per farmi aprire, sono entrato e ho cercato tracce di te a casa tua, indizi di dove potessi essere sparito. E ho trovato i tuoi quaderni. Li ho presi tutti, li ho letti tutti.»

E poi ho visto il video, quel video in cui mi dicevi... No. Quello preferiva non raccontarlo.

«Tutte le mie poesie orribili? Che coraggio!» Raf ridacchiò. «E che vergogna...»

«Ne hai scritte ancora?»

Raf sbuffò. «Sempre meno. L'alcol mi bastava. Quelle le scrivevo quando cercavo di stare sobrio, o quando di droga in circolo ne avevo poca... Arriva un punto in cui le droghe ti risucchiano qualsiasi desiderio, in cui diventano l'unica tua ragione di vita. Ed era esattamente quello a cui io aspiravo. Zittire la mia mancanza di aspirazioni e sostituirla con una nuova divinità a cui sacrificare me stesso.»

«Senti che frase! Vedi che sei ancora un poeta?»

Nic girò la testa verso l'alto. Ma continuava a tenerlo stretto, e adesso era la sua guancia a essere appoggiata alla spalla, e la mano di Raf, rimanendo ferma, finì ad accarezzare l'altra guancia. «Non so se riuscirò mai a capirti» continuò Nic. «Quel giorno... quel giorno in cui mi sono fatto, l'ho fatto per capirti, ma non ti ho capito lo stesso. È stata una cosa senza senso, per me. Mi fa pensare che siamo troppo diversi e che sono troppo diverso da te. Forse ti farebbe meglio avere vicino qualcuno che ti somiglia e ti capisce. È a quello che servono gli sponsor, no? Persone che hanno vissuto i tuoi stessi problemi, che sono passati sulle stesse strade...»

«Non vorrei nessun altro vicino, in questo momento. Solo te.»

Nic e Raf si tennero stretti al buio, in silenzio. E Nic pensò che se Raf l'avesse voluto, Nic l'avrebbe baciato, avrebbe acceso la luce e l'avrebbe amato, lì, in quell'istante e in quella realtà, guardandolo negli occhi, per portare quegli occhi per sempre con sé.

Note 🎶 

Capitolo bello denso e lungo, eh? E ho un la bella notizia: siccome il prossimo capitolo è al contrario di questo brevissimo (il più breve della storia) questa settimana ne pubblicherò tre!

L'appuntamento, quindi è a mercoledì (martedì sera) e venerdì (giovedì sera).

E siccome c'è triplo capitolo, stavolta lasciatemi tripla stellina!

***

Note 2 - Leggere Play in parallelo ▶️

Stavolta facile facile: se avete letto fino al 49, leggete solo il capitolo 50, in cui si vedono dettagli di questo capitolo dal punto di vista di Michele.

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