91. Un vento a trenta gradi sotto zero
Un vento a trenta gradi sotto zero
Incontrastato sulle piazze vuote contro i campanili
A tratti come raffiche di mitra
Disintegrava i cumuli di neve
(F. Battiato, G. Pio, Prospettiva Nevskij, 1980)
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Dicembre 2017
Il freddo che faceva in Russia Nic non l'aveva mai patito in tutta la sua vita.
Non era stato preparato ad affrontarlo. Era arrivato a Mosca a inizio settembre, con un mite clima autunnale, ma le temperature si erano incattivite molto rapidamente, e quando Raf era uscito dalla clinica e si erano spostati a casa sua, a San Pietroburgo, Nic era stato costretto a comprarsi nuovi vestiti invernali dalla testa ai piedi. Quello stupido di Ivan non faceva altro che prenderlo in giro per la quantità di strati che si metteva prima di uscire di casa.
A dicembre aveva nevicato per settimane, quantità di neve che in Italia Nic aveva visto solo in montagna. Una foto di Nic e Raf in pelliccia e colbacco aveva persino suscitato l'ilarità di Michele. Già, perché lo sport preferito di Ivan pareva essere scattare delle foto a Nic e inviarle a Michele con delle stupide prese in giro di commento.
Anche lui si sentiva ridicolo, con il colbacco, e molto stereotipico: se ne vedeva qualcuno in giro, ma meno di quanti avrebbe pensato. Quello che gli aveva prestato Raffaele era sintetico, così come la pelliccia. Si ricordava ancora che Nic era vegetariano, e aveva avuto quella premura per lui. Gli aveva persino chiesto scusa perché il suo, di colbacco, era in pelo naturale: «Ha venticinque anni, questo coso, me lo regalò Vika il primo anno qui, e all'epoca era costato parecchio.»
Vika e Raf avevano divorziato dopo tre anni. Erano rimasti in sporadico contatto, lei si era risposata e aveva avuto due figli. Raf non la sentiva da anni, ormai, ma sapeva tramite conoscenze che era ancora viva e stava bene.
Anche Raf stava bene. Per quanto tempo Nic ancora non lo sapeva, ma per il momento stava bene ed era sobrio.
La disintossicazione non era stata affatto facile, e quando Raf era entrato in clinica aveva dovuto firmare delle carte che sollevavano la struttura da ogni responsabilità in caso di morte per crisi d'astinenza, perché lo stadio di dipendenza a cui era arrivato e le sue condizioni di salute fisica lo facevano essere un individuo a forte rischio.
Ma avevano applicato ogni cautela ed erano riusciti a ripulirlo. Era rimasto ricoverato per due mesi, da metà settembre a metà novembre, ed era stato poi seguito da medici e psicologi della struttura, che aveva una sede distaccata, più piccola, anche a San Pietroburgo.
Doveva prendere parecchi farmaci, il suo armadietto dei medicinali avrebbe potuto rifornire una farmacia, ed era un cocktail dosato al milligrammo per tenerlo in vita: c'erano farmaci per la pressione, per il colesterolo, per la salute cardiaca, prostatica, renale ed epatica, più una cura sperimentale che non avrebbe curato la malattia che lo stava uccidendo.
Nic non si era voluto arrendere davanti a quella diagnosi. Scoprì di essere l'unico a saperlo, Raf non l'aveva detto a nessuno. Ivan sapeva che Raf aveva avuto problemi in passato, ma credeva fosse guarito. Ed era questo il motivo per cui aveva insistito per pagargli quella costosissima disintossicazione ma non si era preoccupato della malattia ben più grave.
Fu Nic a pagare diverse visite con diversi rinomati oncologi russi. «Ci vado solo per farti contento» gli aveva detto Raf, «ma non nutro alcuna speranza. Non è guarito Steve Jobs che era l'uomo più ricco del mondo, devo guarire io?»
Nic si stupiva di quanto Raf stesse prendendo la cosa con serena rassegnazione. Dopo la disintossicazione sembrava quasi rinato, determinato a trarre il meglio da quel poco che gli rimaneva.
Aveva voluto ricominciare subito ad allenare Ivan, Nic assisteva a tutte le lezioni, nel tennis club della famiglia Reshetnikov. Era un complesso sportivo piuttosto grande, con diversi campi, aperti e coperti, una palestra e persino una piccola piscina riscaldata all'aperto, e a ridosso del club c'era la casa della famiglia Reshetnikov, una bella villa moderna, disegnata è arredata da chissà quale famoso architetto.
Poco dopo l'uscita di Raf dalla riabilitazione, i Reshetnikov avevano insistito per invitare Raf e Nic a cena. La prima sera, Sergej si scusò in privato con Nic di non potergli offrire alcolici. Nic trovò quelle scuse un po' assurde: lui nemmeno amava bere. Ma per Sergej sembrava un punto d'onore fare dei bei brindisi durante il pasto, e i brindisi in Russia erano sempre a base di alcol, come gli aveva spiegato lo stesso Raf. «Ora hai capito perché mi trovavo così bene, qui...»
Per sopperire alla "gravissima" mancanza, Irina aveva imparato a fare dei cocktail analcolici che avevano divertito molto Andrej e Ivan, ma che il padre aveva sorbito quasi come fossero un'offesa personale. All'inizio della cena fu lo stesso Sergej a fare un brindisi (analcolico) molto bello e molto lungo dedicando delle parole sia Raf che a Nic.
Nic si era stupito in positivo della gentilezza di quelle persone che non lo conoscevano. Irina e Sergej gli piacevano molto: erano due persone colte, intelligenti, posate e ospitali, forse le persone più ospitali che avesse mai conosciuto. E la loro non era, o non sembrava, un'ospitalità affettata di facciata, sembravano sinceramente felici di condividere la propria casa e la propria tavola con Nic e Raf.
Ma Nic e Raf preferivano trascorrere delle serate più tranquille nella più modesta casa di Raf. Anche perché Nic si sentiva sempre in imbarazzo a costringere le persone a cene vegetariane o a preparare pasti separati apposta per lui, mentre con Raf era in confidenza e per lo più ognuno preparava da mangiare per sé.
Raf viveva in affitto in un appartamento di un brutto complesso di costruzione sovietica, in un brutto quartiere popolare, ben distante dallo sfarzo del centro città – che era, al contrario, uno dei più belli del mondo.
La casetta di Raf era un bilocale, muri scrostati, vecchi mobili risalenti anch'essi in buona parte all'epoca sovietica, che ricordavano a Nic gli arredamenti delle case dei vecchi italiani degli anni Sessanta. Nic dormiva lì, in salotto sul divano-letto. Dormire in camera di Raf, per terra, sarebbe stato impensabile. Non per la scomodità, ma perché Raf era diventato un poderoso russatore. Russava talmente forte che Nic riusciva a udirlo anche dal salone, con un corridoio e due porte chiuse a dividerli.
I medici della clinica si erano raccomandati di stare vicini alla persona appena disintossicata. Il pericolo di ricaduta era altissimo, soprattutto all'inizio. L'ideale sarebbe stato se Raffaele avesse avuto uno sponsor, un ex alcolista o tossicodipendente di riferimento che potesse dargli una mano, ma in clinica non si era trovato davvero bene con nessuna delle persone nel gruppo di autoaiuto.
«Il mio problema è che il russo è veramente una lingua astrusa. Lo parlo, sono in grado di chiacchierare, di farmi capire e di capire tutto, ma faccio fatica a esprimere tutto quello che vorrei esprimere. Lo sai che Ivan mi ha chiesto di insegnargli l'italiano perché diceva che il mio russo faceva troppo cagare?»
Alle cene spesso si univa anche Ivan. Lo aspettavano proprio quella sera, che era la vigilia di Natale, festa che per i russi non significava niente, visto che il loro Natale era il sette gennaio. Nic e Raf avevano anche decorato la casa. Nic non era un amante dei fronzoli, se n'era sempre fregato di quelle sciocchezze: da quando Elisa era morta, l'unico motivo per cui avevano continuato a fare l'albero di Natale, a casa, era stato che Daniele si prendeva in prima persona l'impegno di comprarlo e addobbarlo.
Ma a San Pietroburgo era stato lo stesso Nic a proporre di comprare degli addobbi, dopo che Raf, a inizio dicembre, gli aveva detto con tristezza: «Saranno dieci anni che non faccio l'albero...» mentre guardava degli operai che attaccavano delle decorazioni luminose fuori da un centro commerciale.
Nic lo aveva portato in un negozio a comprare tutto l'occorrente, perché aveva pensato che gli avrebbe fatto bene un po' di normalità, impegnarsi in un'attività futile ma allo stesso tempo familiare e rincuorante: rendere più bella e accogliente la propria casa.
E aveva funzionato. Raf si era divertito a scegliere palline e lucette al negozio, e poi anche ad addobbare l'alberello. E aveva ripetuto almeno una ventina di volte: «Che bello, saranno stati dieci anni che non facevo l'albero!»
«Vanja si divertirà un sacco a mangiare questa roba» disse Raf mentre controllava la cottura delle pietanze: stava cucinando del seitan alla Stroganoff. Nic non aveva avuto cuore di dirgli che trovava il sapore e la consistenza del seitan disgustosi: Raf era stato così entusiasta, la sera prima, al supermercato, mostrandogli il blocco di seitan: «Domani ti faccio una variante vegetariana di un piatto di carne russo!»
Così come non ebbe cuore di fermarlo in quel momento, era la terza o quarta volta che ripeteva quel concetto. «È un ragazzo avventuroso a cui piace sperimentare. Invece se fosse stato suo padre, mi avrebbe dato dell'eretico, che cucino il manzo Stroganoff con...» Raf si voltò lentamente verso Nic, che era seduto sul divano-letto alle sue spalle. «Aspetta... ho un deja-vu... te l'ho già detta questa cosa, vero?»
Nic fece un piccolo sospiro. «Tipo tre volte.»
Raf fece un'espressione mortificata: provava vergogna dei propri problemi di memoria.
Erano un effetto collaterale degli anni di abuso alcolico, qualche difficoltà con la memoria a breve termine: tendeva a raccontare spesso le stesse cose e a dimenticare le incombenze, gli appuntamenti o dove metteva gli oggetti in casa. Per aiutarsi aveva impostato tutta una serie di notifiche sul suo telefono, che lo avvisava con delle sveglie agli orari in cui doveva prendere i suoi medicinali, o con notifiche in anticipo sui suoi appuntamenti. L'appartamento, poi, era disseminato di post-it.
«Sono proprio un vecchio rincoglionito...» disse scuotendo la testa.
Nic sbuffò borbottando. «Anche questo concetto l'hai ripetuto almeno una ventina di volte. Sono stufo di sentirtelo dire.»
«Ma è vero, Nic, come...?»
«Rassegnati. Sei messo anche bene, di testa, considerando il livello a cui eri arrivato e tutta la merda che hai preso nella tua vita. Sei lucido, sei sveglio, non hai perso la tua intelligenza e il tuo senso dell'umorismo. L'unico problema è che sei un po' rincoglionito e tendi a dimenticarti le cose. Ti ho raccontato com'era combinato il padre di Leonardo, vero? Te lo ricordi?»
«Sì» rispose Raf accennando un sorriso triste. Poi si incupì. «Quante volte me l'hai raccontato, perché me lo ricordassi?»
«Che tu ci creda o meno, una sola.» Nic allargò le braccia. «Visto? Non sei messo così male.»
«Non sono palloso?»
«Sì. Sei palloso quando ti lagni. Smettila di piangerti addosso è piuttosto guarda quelle pentole, che magari bruci qualcosa...»
Raf si allertò e alzò un coperchio. «Oh, no! Ci manca solo quello!»
Ivan arrivò intorno alle sette, di buon umore come suo solito. Non aveva ancora cambiato tintura dei capelli, ma il verde limone si era sbiadito, perciò in quel momento sfoggiava una cascata scomposta biondo platino con un centimetro di ricrescita più scura.
Nic lo trovava ancora un ragazzo piuttosto irritante. Aveva un modo di porsi davvero maleducato, che non teneva conto di ciò che l'altra persona voleva fare o dire: ciò che voleva fare o dire lui aveva sempre la precedenza. Il suo senso dell'umorismo era discutibile e infantile, e consisteva in allusioni romantiche o sessuali, stupidi giochi di parole tra russo e italiano, o imitazioni e prese in giro di quelli che lui considerava i tratti caratteriali più buffi della persona che gli stava davanti. Nic ancora non riusciva a perdonarlo per aver preso in giro la balbuzie di Michele a rete, alla fine del loro primo incontro, e non riusciva a capire come invece Michele fosse passato sopra a quello sgarbo infantile.
Tra i due fratelli preferiva di gran lunga Andrej. Era un tipo asciutto e senza fronzoli. Anche lui aveva una fastidiosa tendenza alla presa in giro, ma Nic doveva ammettere di iniziare ad apprezzare il suo sarcasmo impassibile e il suo humour nero. Ci aveva messo un po' a capirlo, perché Andrej aveva la tendenza a inventare storie assurde o rispondere con delle castronerie a qualsiasi domanda gli si poneva, e lo faceva sempre con una tale serietà che a volte era difficile capire se stesse scherzando o stesse dicendo il vero.
«Ciao Nic, buon Natale!» Ivan imbracciava una chitarra, e aveva in mano due pacchetti regalo, che porse a Nic proprio sull'uscio. «Questo mio, questo Raf.»
Nic li prese entrambi, perplesso. Si voltò verso l'interno della casa. «Cosa significa: "questo Raf"?»
Raf mise i pugni sui suoi larghi fianchi. Stava indossando un buffo grembiule con la stampa di un cuoco coi baffi, stereotipo dell'italiano. «Sorpresa! Siccome non mi molli un secondo ho chiesto aiuto a Ivan.»
Nic sbuffò. «Non dovevi. Sai che odio i regali, e io non ti ho preso niente...» si voltò verso Ivan che stava togliendo gli scarponcini inzaccherati di fango e infilando un paio di ciabatte. «E non ho preso niente nemmeno a te... anche perché credevo che tu festeggiassi il sette...»
«Noi facciamo regali per Capodanno, di solito, ma io sono ragazzo di mondo che usa le usanze di amici! Tu e Raf fai festa di venticinque dicembre e faccio festa uguale io insieme a voi!» Entrò e appoggiò la chitarra accanto al divano.
Nic sbuffò, osservando i pacchetti. «Be', grazie.» Trovò anche quel gesto di Ivan sgradevole come gran parte dei suoi comportamenti: il ragazzino sapeva benissimo di stare antipatico a Nic e che Nic non gli avrebbe comprato regali. Con quel gesto si poneva su un piedistallo di superiorità e lo faceva sentire in debito con lui. Maleducato come sempre.
«Apri prima mio, quello con carta con penguins... come si dice penguin in italiano?»
«Pinguino» rispose Nic, scartando il regalo.
Dentro c'era una scatolina cubica, nella quale c'era...
«Una pallina da tennis?» Nic la roteò tra le dita e si accorse che su un lato aveva una firma. «È il tuo autografo, questo?»
«Exactamente! Io finalmente ricambio regalo che tu e Misha hai fatto tre anni fa.»
Nic aggrottò le sopracciglia. «Scusa, ma non capisco di cosa stai parlando.»
«Ma come! Tu non ricordi? Io ero ballboy in torneo di Peter e...»
«Eri tu?!» Nic si batté una mano sulla fronte. «Ma ovvio che dovevi essere tu! Chi altri avrebbe potuto essere così rompicoglioni?»
Raf rise.
«Adesso ho capito com'è che sapevi il mio best ranking... io credevo semplicemente che fossi uno stalker di Michele che si era studiato vita morte e miracoli della famiglia Bressan su Wikipedia...» Si voltò verso Raf. «E invece gliel'avevi detto tu.»
«Ero sugli spalti, nella finale di quel torneo, sai?»
«Ubriaco, immagino...»
«Non troppo. Ti guardavo da lontano, ogni tanto.»
Nic lo fissò negli occhi per parecchi secondi, con amarezza. Ricordava ancora di aver sperato di vederlo spuntare dal nulla. Ma tre anni prima aveva pensato che fossero fantasie senza senso. E invece... avrebbe potuto rivedere Raf tre anni prima. Avrebbe potuto salvarlo tre anni prima, se l'avesse salvato, forse avrebbe curato meglio, e non gli sarebbero rimasti solo...
No. Non doveva fare per l'ennesima volta quell'errore. L'errore di credere che qualcosa nella vita di Raf sarebbe cambiata, se solo gli fosse stato vicino. Perciò l'unico rimpianto che gli rimase fu quello di aver perso tre anni di vicinanza al suo amico. «Perché non sei venuto a salutarmi?» gli chiese.
«Ti ho già detto che non avrei mai pensato di tornare. Io sono stato tentato, sai? Di venirti vicino... Ma alla fine ho capito che era meglio se non lo facevo.» Indicò Ivan con la mano. «Non hai idea di quante gliene ho cantate a questo pirla quando mi ha portato la tua pallina autografata! Avevo paura che avessi capito tutto...»
«Ah, ce l'hai tu, quella?»
Raffaele sorrise, appoggiò il mestolo e sparì verso la sua camera.
«Io volevo dirti quel giorno, sai?» disse Ivan. «Però poi ho pensato che Raffaele si arrabbiava, e ho pensato anche che se Raffaele non voleva parlare forse c'era qualche motivazone segreto che non mi diceva. E allora non ho detto niente. Però volevo dare a Raf il bel ricordo del suo vecchio amico.»
«Eccolo, il bel ricordo» disse Raf tornando dalla camera, tenendo in mano quella pallina. La diede a Nic.
Nic la guardò, guardò la sua stessa firma. «E cosa ci facevi con questa cazzata?»
Raf fece spallucce. «Niente. L'ho appoggiata sul comodino accanto a letto e ogni tanto la guardavo. Quando guardavo le partite di Michele di solito la tenevo in mano, tipo portafortuna... Poi quando sei venuto qua un po' mi vergognavo, e l'ho nascosta nel cassetto.»
Nic scosse la testa, sorridendo, ridiede Raf la sua pallina. Poi mostrò si girò tra le dita quella che Ivan gli aveva appena regalato. «E con questa cosa ci dovrei fare?»
Ivan allargò le braccia e alzo le spalle. «Non so, fai come Raf: quando guardi mia partita, tieni pallina in mano per fare portafortuna!»
«Quindi un un regalo per te, non per me.»
«Exactamente, ahahah!»
Fu quindi il turno del regalo di Raf. «Non ho preso niente neanche a te, non ho capito perché hai dovuto farmi questa cazzata.»
«E venire qui in Russia, al gelo, in inverno, a romperti le palle lontano dai tuoi figli come lo chiami?» rispose Raf.
Nic abbozzò. Non ebbe nemmeno il coraggio di alzare la testa e guardarlo, si limitò a scartare il pacchettino e si stupì quando ne emerse una musicassetta.
Una cassettina non originale, registrata, con dentro chissà cosa.
«Visto che bello regalo anni Ottanta?» esclamò Ivan.
Nic rimase con la cassetta in mano per parecchi secondi senza sapere cosa dire.
Erano secoli che non ne teneva in mano una e vederla mise in moto una serie di ricordi.
Due ricordi, a essere precisi, che apparvero nella sua mente in contemporanea, e lottarono per prendere il sopravvento.
Il primo era la cassetta che lui aveva regalato a Elisa, quel maldestro e in parte involontario tentativo di corteggiamento. Era stata quella cassetta a dare il via a tutto, una cassettina fatta di canzoni che Nic non amava, pezzi banali e leccaculo, la caricatura di come Nic pensava dovesse funzionare un corteggiamento. Elisa c'era cascata, lo aveva baciato. L'aveva lasciata dopo un anno, quella prima volta, ma se non ci fosse stata, quella prima volta, quel primo bacio, forse non ci sarebbe stata neanche la seconda, non l'avrebbe sposata, non l'avrebbe messa incinta.
Non l'avrebbe uccisa.
Il secondo ricordo era la cassetta pirata di Umberto Tozzi che gli aveva lasciato Leonardo quando avevano fatto a cambio di Walkman. Era stato un regalo non programmato: toh, voglio farti sentire questa canzone bellissima, e poi la cassetta la puoi anche tenere, tanto è pirata, me ne faccio un'altra.
A Nic tornò in mente quella stupida canzone sdolcinata, ed esattamente come trent'anni prima, quelle parole lo emozionarono. Le aveva dimenticate per trent'anni ma non le aveva mai dimenticate davvero, erano rimaste lì in una della memoria: al mondo siamo io e te. Non ricordava nient'altro di quella canzone, soltanto quel verso. Al mondo siamo io e te. Anche quel ricordo gli faceva male, in un modo diverso, perché riportava alla luce un momento della sua vita in cui era stato felice. In cui si era illuso di poter avere una qualche forma di felicità.
Prese consapevolezza in quell'istante, con quella cassetta in mano, di una verità ovvia che non aveva mai voluto vedere: l'unico amore ricambiato della sua vita era stato Leonardo, e poi non c'era stato più niente, e nient'altro più ci sarebbe stato.
Gli fece talmente male, che, alla disperata ricerca di qualcosa che non lo facesse pensare a quel fatto, aprì la custodia ed estrasse il foglietto per leggere i titoli delle canzoni.
Solo che non c'era nessun titolo. Era un elenco scritto a penna, la calligrafia era quella di Raf, di descrizioni fantasiose:
Lato A
1. Una canzone per ricordarsi di sognare
2. Una canzone per non avere rimpianti
3. Una canzone per trovare il lato positivo nelle tragedie
4. Una canzone per farsi meno paranoie
5. Una canzone per non aver paura delle emozioni
6. Una canzone per ricordarsi di piangere
***
Lato B
1. Una canzone d'amore che è un vaffanculo ai codardi
2. Una canzone sul pregiudizio e sul dolore
3. Una canzone per ricordarsi che l'amore puoi trovarlo nei posti più inaspettati
4. Una canzone per ricordarsi che a conformarsi troppo prima o poi si sbrocca
5. Una canzone per affrontare il cambiamento
6. Una canzone per prendermi un po' per il culo
***
Nic sorrise. «Che cos'è, un gioco enigmistico?»
«Volevo che ogni canzone fosse una sorpresa» rispose Raf.
Nic sospirò, rileggendo le descrizioni e cercando di indovinare qualcosa. Ma lui di musica ne sapeva talmente poco che non gli venne in mente nulla. Alcuni di quei titoli non avrebbe mai voluto ascoltarli: piangere, affrontare le emozioni... robetta per deboli. Le canzoni d'amore, poi, erano sicuramente dei pezzi sdolcinati. Alcuni pezzi forse potevano essere interessanti, come quella sul cambiamento o quella sul pregiudizio. E doveva ammettere di essere curioso di sapere quale fosse l'ultima canzone, quella con la presa per il culo a Raf.
Ma voleva davvero ascoltare quella roba? Farsi trascinare in quelle emozioni da poco? Chissà se uno di quei titoli misteriosi nascondeva proprio quella canzone... ma a giudicare dalle descrizioni non gli sembrava.
«Tu hai tanto pensiero in testa, adesso. Non vuoi dire?» lo sorprese Ivan.
«Nic ha sempre tanto pensiero in testa» commentò Raf. «Ma non sperare che te lo dica.» Poi fu lui a incalzare Nic per tirargli fuori qualche parola: «Sono tutti pezzi vecchiotti, secondo me ti piacciono. La ascolterai?»
«E secondo te come?» rispose agitando la cassettina tra le dita.
«Il Walkman l'hai buttato?» rispose lui con un sorrisino.
«Anche se ce l'ho ancora, chissà dov'è sepolto e se funziona...»
Ivan applaudì. «Ah, Io sapevo che tu da ragazzo ascolti la musica! Sono sicuro! Tu ami la musica da ragazzo, e poi hai disimparato di amare. Michele mi ha detto: mio padre non ascolta la musica, pensa che è stupida come me... cioè non che lui è stupido, I mean che anche lui pensa che musica è stupida! E allora io sai cosa ho fatto? Ho regalato a Michele due earbuds wireless e...»
«Ah, ecco chi gli ha comprato gli auricolari! Michele mi ha detto che glieli aveva comprati Elena, invece sei stato tu! Avrei dovuto sospettarlo...»
«Sì! Perché quando Michele mi ha detto che lui la musica non gli piace, ho pensato che secondo me non gli piace perché non ha mai trovato la musica bellissima che parla con suo cuore. Allora ho comprato i auricolari e ho fatto lui un account su Spotify e gli ho detto di sentire tutte le mie playlists, perché io ascolto tanta musica, tanti generi diversi, nuovo, vecchio, e penso che in tante cose diverse Michele trova la musica che parla con suo cuore. E adesso Raf fa uguale con te: trova vecchie canzoni che tu hai dimenticato che parla con tuo cuore, e anche tu impari di nuovo di ascoltare la musica bellissima.»
Nic osservò un'ultima volta la cassettina: l'impegno che Raf doveva averci messo per selezionare quelle canzoni gli diede, nonostante la sua ostilità alla musica, una bella sensazione di calore nel petto. «Be', cosa devo dire? Grazie per il regalo. Non me l'aspettavo.»
«La ascolterai?» ripeté Raf con una luce speranzosa negli occhi.
No. Non l'avrebbe ascoltata. Non si sarebbe fatto manipolare le emozioni da quella roba. Ma mentì per non ferirlo: «Appena trovo il Walkman...»
«Dai Nic, non fare faccia tutta seria!» lo prese in giro Ivan. «Tu non piace proprio di essere una persona con sentimento, eh?»
«E tu non piace proprio di fare i fatti tuoi, eh?» rispose Nic, facendo ridere Raf.
«Dai, mangiamo!» li esortò proprio lui.
Si misero a tavola.
Ivan fu entusiasta della rivisitazione del piatto, che Raf servì con un semplice contorno di patate arrostite, e anche Nic fu sorpreso in positivo.
Trascorsero una bella serata, fatta di battute e chiacchiere, in cui Ivan raccontò diverse disavventure vissute con Raf, ne aveva sempre qualcuna nuova, da svelare a ogni cena. Poi fu il turno di Raf, che raccontò a Ivan aneddoti riguardanti Nic che il ragazzo probabilmente aveva sentito cento volte ma che per cortesia non interruppe, anzi, rise come fosse la prima volta che li sentiva.
A fine serata, su richiesta di Raf, Ivan imbracciò la chitarra e cantò un medley di canzoni natalizie in inglese. Nic fu stupito anche da quell'esibizione: credeva che Ivan fosse uno strimpellatore della domenica, invece suonava bene e soprattutto cantava bene, con una bella voce bassa e intonata ma per nulla leziosa. Gli sarebbe piaciuto paragonarla a quella di Leonardo, ma non riusciva a ricordarla bene.
Poco prima di salutarsi, passarono a parlare degli impegni dell'immediato futuro. Sarebbero partiti tutti per l'Australia tre giorni dopo, separandosi, perché Nic volava a Brisbane dove avrebbe rivisto Michele (Daniele era fermo per infortunio e l'avrebbe rivisto negli Stati Uniti, per il Sunshine Double); Raf e Ivan, invece, andavano a Canberra dove c'era un importante Challenger.
Dopo aver trascorso con lui giorno e notte di persona per un mese e mezzo, Nic era in ansia all'idea di lasciare Raf da solo. Talmente in ansia che sentì il bisogno di dirlo. «Ivan, mi raccomando, tieni d'occhio Raffaele.»
Ivan sorrise. «Da! Tu non ti preoccupi.»
«Sarebbe meglio se prendessi stanza sempre con lui.»
Il sorriso di Ivan si tramutò in una smorfia orripilata. «Nooo! Raf russa! Io non dormo! Io ho bisonnio di dormire, sono un atleta professionale! Tu sai che atleti professionali per noi è importante di dormire, da?»
Nic si mordicchiò un labbro. Ivan aveva ragione.
«Nic, dai, non preoccuparti» disse Raf.
«No, stai zitto. Ti conosco. So benissimo che se ti lasciamo solo ti rimetti a bere dopo dieci secondi. Ma ho una soluzione. Prendete una camera quadrupla, ve la pago io, così dormite nella stessa stanza ma separati da un muro. E se vuoi ti regalo anche dei tappi per le orecchie. Anzi, sì questo sarà il mio regalo di Natale per te: due tappi per le orecchie.»
Ivan rise. «Non conoscievo parola tappi, ma ho capito che sono...» Ivan disse una parola russa «per mettere dentro le orecchie per dormire senza i suoni, da?»
«Da» confermò Raf.
Ivan si rivolse a Nic. «Ok, hai ragione, è passato ancora troppo presto di clinica, meglio che non lascio Raf da solo.»
«Non potete farmi da badanti in eterno, cazzo» disse Raf in tono irritato, e a Nic si strinse il cuore a pensare che l'eternità di cui stava parlando Raf sarebbe finita dopo un anno o poco più.
«Ripensandoci, ci vengo io, a Canberra» disse. «Non posso...»
«E Misha? Non alleni Misha?»
«Vanja ha ragione» disse Raf. «Mi spieghi che cazzo ci vieni a fare a Canberra con noi due? Chi sei, mio marito?»
Ivan fece una stupida risatina.
«Facciamo come ha detto Vanja» proseguì Raf. «Per questa volta quadrupla, ok. Ma poi a Melbourne prendo stanza da solo. Non voglio pesare su nessuno.»
«Ma...»
«Bisonnia lasciare i figli di crescere, non puoi tenere sempre vicino. Le persone funzionano sole, se non funzionano sole non è vita» sentenziò Ivan.
L'osservazione infastidì Nic. «Cosa c'entrano i figli, adesso?»
«Sei così saggio, Vanja. È così maturo per avere solo diciotto anni. Non credi?» L'ultima domanda Raf l'aveva rivolta a Nic.
«No, non credo.» Nic incrociò le braccia e Ivan, proprio per confermare le sue parole, stava fingendo di aggiustarsi un papillon immaginario con l'espressione più stupida e gongolante del mondo.
«Ma ha ragione» insisté Raf. «Dimmi che senso ha che mi sono disintossicato, se poi quello che mi resta da vivere mi tocca viverlo in prigione e controllato da mattina a sera!»
«Bravo!» Ivan batté le mani.
Nic, con riluttanza, dovette ammettere c'era un fondo di ragionevolezza, in quel discorso.
Quello che gli restava da vivere.
Nic si rese conto che avrebbe voluto trascorrerlo interamente con lui. Si rese conto che ogni minuto lontano sarebbe stato un minuto che avrebbe rimpianto. Ne restavano così pochi...
Di punto in bianco, Ivan disse qualcosa in russo. Una frase che fece cambiare completamente l'espressione di Raf.
«Puoi anche dirmelo in faccia» disse Nic spazientito, immaginando che quel maleducato stesse parlando di lui.
«Mi ha chiesto se ho avuto un peggioramento nella mia salute» disse Raf.
Nic si sentì opprimere dalla pesantezza di quella domanda. Raf non aveva ancora detto niente a Ivan e voleva rimandare il più possibile il momento di dargli la brutta notizia. Ma quel cretino continuava a far battute sarcastiche sulla propria imminente morte, forse pensando che Ivan le avrebbe prese così, come battute sul suo stato di salute perennemente precario.
Ma Ivan non era stupido.
«No, sai che di problemi ne ho sempre. Sono sempre le solite rogne, non ti preoccupare» rispose infine Raf.
Ivan annuì e sorrise, ma Nic ebbe la netta impressione che stesse facendo una recita e non avesse creduto alle parole di Raf.
***
27 dicembre 2017
Arrivò il momento dei saluti. L'aereo di Nic partiva intorno alle quindici, mentre Raf e Ivan sarebbero partiti di sera, sul tardi.
Il tempo era volato.
Assistere Raf non era stato facile, c'erano state giornate di depressione nerissima in cui aveva dovuto trascorrere ore e ore a convincerlo del fatto che la sua vita non era inutile e che valeva la pena rimanere sobri. Aveva poi dovuto scarrozzarlo in giro per studi medici in lungo e in largo a San Pietroburgo, e due volte erano tornati a Mosca per visite di controllo alla clinica. Raf aveva ancora la patente, ma aveva smesso di guidare dopo aver fatto un incidente ubriaco, molti anni prima, e non possedeva più una macchina. Nic aveva guidato un'utilitaria prestata loro da Irina, e si era personalmente sobbarcato delle spese di manutenzione per ricambiare almeno in parte il grosso favore.
«Raf, ti prego, non rovinare tutto. Non fare cazzate» disse Nic, salutandolo sulla porta. Avrebbe preso un taxi, per arrivare in stazione. Non voleva disturbare Irina o Sergej con un passaggio. Guardò l'orologio. «Quando cazzo arriva Ivan? Proprio oggi doveva essere in ritardo?»
«Guarda che puoi lasciarmi da solo dieci minuti...»
Nic gli lanciò un'occhiata di rimprovero.
Raf fece un'espressione triste, coi suoi occhi perennemente stanchi. «Non posso biasimarti. Non ti fidi di me. Non posso assolutamente biasimarti.»
«Ecco.»
Raf abbassò la testa. Com'era vecchio. Com'era diventato vecchio. La pelle cascante, i capelli radi, la pancia tesa... Rivide dentro di lui il ragazzo atletico e bellissimo di cui si era innamorato e ripensò a quanto si era sentito superficiale nell'ammirare la sua bellezza. Ripensò a tutte le volte in cui si era chiesto: lo amerei lo stesso se fosse brutto?
E vide la risposta dentro di lui, la vide chiara e avrebbe voluto piangere per quanto faceva male la consapevolezza che avrebbe sofferto ancora per lui, per un anno intero avrebbe sofferto sapendo che se ne sarebbe andato per sempre.
Perché sei tornato?
«Per Ivan, soprattutto» rispose Raf.
Nic si stupì di non essersi reso conto di aver parlato. A voce bassissima, quelle parole erano sfuggite dalle sue labbra.
Raf alzò la testa. «Ma sono contento di averti ritrovato. Sono egoista, lo so, perché tu non sei contento. Ma io sì.»
«Ma certo che sono contento anch'io, coglione.»
Gli occhi di Raf si inumidirono. «No, non dirmelo...» disse alzando la testa al soffitto e tirando su col naso. «Quanto frigni, Raf!» Riuscì a trattenerle, quelle lacrime, guardò Nic negli occhi e gli sorrise.
Nic chiuse gli occhi e per un attimo provò il desiderio di salutarlo con un abbraccio.
Ma non era ancora pronto. Una parte di lui, una grossa parte, la parte predominante, ancora lo rifiutava, ancora si rifiutava di credere che quella persona fosse Raf, il suo Raf, il suo bellissimo Raf. C'era ancora dentro di lui il ragazzo superficiale innamorato della sua bellezza. Si sentì meschino, e per zittire il senso di colpa gli tese una mano, per cercare un contatto.
E Raf fu svelto a tendere la sua per stringerla, quasi si rendesse conto della ritrosia di Nic e avesse paura di perdere quell'occasione.
O forse Nic stava leggendo troppo nei gesti dell'amico, che semplicemente gli stava stringendo la mano per salutarlo da buon amico.
«Ci rivediamo a Melbourne, allora?» disse Raf.
«Sì. E mi raccomando, non fare cazzate.»
—
Note 🎶
E finalmente Raf è sobrio. Per quanto? Resisterà, secondo voi?
E i lettori di Play sono felici di aver saputo qualcosa dell'inverno russo di Nic? Ci rivediamo nell'estate australiana!
Lasciatemi una stellina anche se oggi il capitolo è incompleto: dovrò aggiornare di nuovo la storia domattina con le istruzioni per leggere Play in parallelo (scusate, stasera ho fatto tardi e sono cotta!)
AGGIORNAMENTO —>
Note 2 - Leggere Play in parallelo ▶️
Questo capitolo si svolge in un momento di salto temporale di Play. Qualsiasi cosa leggerete sarà un po' spoiler del prossimo capitolo, ma sono cose più importanti per Michele che per Nic, e di ciò che succede a Nic in privato non saprete nulla. Perciò credo possiate leggere senza timore i capitoli da 43 a 49 di Play.
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