86. Sei tutti i miei sbagli
Tu affogando per respirare
Imparando anche a sanguinare
Nel giorno che sfugge
Il tempo reale sei tu
Sai difendermi e farmi male
Sezionare la notte e il cuore
Per sentirmi vivo
In tutti i miei sbagli
(D. Dileo, M. Casacci, S.U. Romano, Tutti i miei sbagli, 1999)
—
Nic non riuscì a recitare. Mille emozioni diverse lo sconvolsero, lo fecero gridare internamente. Ma l'emozione dominante era una sola: paura. Paura di trovarlo cambiato. Paura di vederlo felice con una donna al suo fianco e paura di trovarlo solo e disperato come l'aveva lasciato. Qualsiasi ipotesi lo terrorizzava.
Ma dentro di lui c'era anche una profonda gioia, la realizzazione di un sogno impossibile: il ritorno in vita di una persona che aveva creduto morta.
Per non parlare della rabbia: perché? Perché se n'era andato senza dire niente? Perché l'aveva fatto soffrire così? Raffaele sapeva che Nic avrebbe sofferto: perché era stato così egoista?
Sussurrò il suo nome, senza fiato. Era una domanda, una richiesta di conferma. Voleva essere sicuro di aver capito bene.
«Non è possibile... È ancora vivo? E allena?» disse. Quasi non voleva crederci. Quasi stava sperando che Fernando gli dicesse di non esserne certo, o che si trattava di un disgustoso scherzo. «N-no, non è possibile. Hai capito male il nome. Oppure è un omonimo.»
«No, sono sicuro al cento per cento. È lui. Lo so perché l'ho visto. Ho fatto fatica a riconoscerlo perché è invecchiato maluccio, ma è lui.»
Invecchiato male. Nic lo aveva sospettato, e quell'informazione gli strinse il cuore: chissà come si era strapazzato, rovinandosi con droghe e alcolici.
«Raffaele, cazzo...» borbottò Elena.
Michele guardava Nic con le sopracciglia corrucciate. «C-chi è?» chiese.
«Un ex pro italiano di bassa classifica» spiegò Fernando.
«Una leggenda. Un fantasma...» disse Nic, la voce che ancora faticava a uscirgli dalla gola. Le mani gli tremavano, Nic le passò tra i suoi corti capelli, per fare qualcosa, placare il nervosismo.
«Nnnon ric-c-cordo di aver mai ssssentito i-iiil suo nome» disse Michele.
Nic cercò di ricomporsi. «Non ha mai sfondato. Ma se chiedi ai tennisti italiani della mia generazione... lo conoscevamo tutti.»
«Tutti» ribadì Fernando.
Michele continuava a fissare Nic con un'aria sempre più preoccupata e Nic decise che era arrivato il momento di ricomporsi: aveva dato sin troppo spettacolo. Distese le labbra in un sorriso. «La mia reazione vi sembrerà esagerata, ma capitemi, non è da tutti i giorni scoprire che una persona che per venticinque anni tutti hanno creduto morta è in realtà viva.»
Quindi Nic spiegò a Michele, ma anche a Elena, che lo conosceva poco, chi fosse Raffaele. Cercò di usare un linguaggio asciutto, descrizioni secche. Citò i problemi di droga, naturalmente, ma anche il suo immenso talento. Si fece tradire da qualche affermazione un po' sopra le righe per i suoi standard, ma tutto sommato gli sembrò di essere stato obiettivo.
Dentro stava ribollendo, aveva l'impressione che il suo corpo volesse liquefarsi. Due desideri opposti lo dilaniavano: quello di teletrasportarsi da quella stanza e apparire al cospetto di Raffaele, guardarlo, abbracciarlo, gridargli stronzo, sputargli in faccia, piangere fino a inzuppare di lacrime i suoi vestiti, stringerlo a sé e non lasciarlo andare mai più; e quello di sparire nel nulla e non incontrarlo mai, non affrontare la sua nuova immagine. È invecchiato maluccio, aveva detto Fernando facendo il sarcastico, ho faticato a riconoscerlo.
Che fine hai fatto, Raf? Che uomo mi troverò davanti?
La discussione da Raffaele si spostò di nuovo su Reshetnikov. Bisognava cercare di controllare quella scheggia impazzita. Nic cercò di concentrarsi su quel problema e scacciare dalla sua testa Raffaele, e insieme a Elena e Fernando iniziarono a progettare un incontro con lui per mettere un po' di cose in chiaro, magari in compagnia di un avvocato.
Ma la sua testa era altrove.
Raffaele sarebbe rimasto lì annidato a tormentarlo finché non l'avrebbe incontrato.
***
5 aprile 2017
L'incontro coi fratelli Reshetnikov cominciò nel peggiore dei modi, con Andrej – fratello maggiore di Ivan e unico membro maggiorenne della sua famiglia presente a Parigi – che prendeva in giro Michele dandogli del freak.
Raffaele per fortuna non c'era. Il giorno prima Nic era stato rassicurato dallo stesso Ivan al telefono che Raffaele sarebbe rimasto in camera e Nic, terrorizzato all'idea di incontrarlo, non era più uscito dalla sua stanza. A Daniele e Maria che lo aspettavano a cena aveva detto di avere un problema digestivo e aveva mangiato in camera.
L'incontro era poi proseguito in modo ancora peggiore, con interazioni sgradevoli tra Ivan e Michele, lì per volontà dello stesso Ivan che aveva preteso la sua presenza come condizione.
Infine Ivan si era messo a sproloquiare sul fatto che Andrej avrebbe vinto il Roland Garros.
Andrej era un bel ragazzo e aveva l'aria spavalda di chi sapeva di esserlo: sembrava una bella copia del fratello minore, lineamenti regolari e mascolini e due belle braccia muscolose, anziché i due stecchi dinoccolati che si ritrovava il fratello. Il suo viso aveva un unico difetto, una cicatrice verticale che andava dalla tempia a metà guancia, semicoperta dai suoi capelli biondi, che lui portava un po' lunghi. Nic l'aveva notata subito, non appena era entrato nella stanza, e gli aveva dato l'idea che fosse un tipo poco raccomandabile, immaginò se la fosse fatta durante una rissa. L'espressione dura del suo viso aumentava quell'impressione.
Quando Ivan fece quella sciocca battuta sullo Slam, Nic, spazientito chiese ad Andrej dove giocasse veramente: sapeva che – nonostante le scemenze dette dal fratello – non era in tabellone né in singolare né in doppio, e dedusse che fosse un professionista scarso che stava giocando qualche ITF nelle vicinanze.
Alla riunione erano presenti anche Elena, Fernando e l'avvocato De Santis, un legale dell'agenzia, che in quel momento stava ancora scartabellando alla ricerca della lettera di diffida che avrebbe consegnato, in doppia copia, ai fratelli.
Andrej guardò Nic perplesso. «Uhm... in che senso dove gioco?»
Nic si sforzò di essere gentile e si spiegò. «Visto che non giochi qui al Roland Garros, né in singolare né in doppio, suppongo ci sia qualche torneo minore nei paraggi...»
E quindi accadde una cosa bizzarra. I due fratelli si guardarono con aria meravigliata, ridacchiando e scambiandosi un paio di battute in russo.
E d'improvviso, Andrej si afferrò il ginocchio e iniziò a gemere.
Sembravano gemiti di dolore, acuti, strazianti, Ivan cominciò a girargli intorno facendo una scenata melodrammatica. Furono i modi di Ivan a far capire a Nic che si trattava di una recita, ma non capiva quale fosse il senso. «Cosa succede?» disse, oltremodo innervosito.
Tutti si erano allarmati, Michele fissava la scena atterrito, in silenzio, l'avvocato e zia Elena borbottavano, il cretinetto coi capelli verdi esclamava ad alta voce parole incomprensibili e Andrej si mise a gridare: «La mia gamba!»
La tese in aria, il fratello la afferrò per la caviglia, sopra i pantaloni; Nic notò che era una caviglia insolitamente magra.
«Oh, no! No!» gridava Ivan.
«La mia gamba! Non... Non la sento più! Aaaargh!»
E mentre emetteva l'ultimo grido, la gamba di Andrej si staccò dal ginocchio, e quel cretino di Ivan dove fece volare quella protesi se non in grembo a Michele?
Nic rimase senza parole.
Non credeva di aver mai conosciuto due cretini monumentali come i fratelli Reshetnikov. Prendersi gioco e mettere in imbarazzo le altre persone ostentando in quel modo volgare una disabilità!
Il povero Michele fissava la protesi allibito, disorientato, chissà cosa stava pensando e come si stava sentendo a disagio.
Stava inserendo un dito tra la protesi e la scarpa che vi era infilata, e quel cretino coi capelli verdi lo prese in giro con l'ennesima battuta, sedendosi accanto a lui con fare predatorio: «Sì, lo so cosa in tua testa. Perché non suda, senza calzini?»
Michele era talmente nervoso che iniziò a ridere. Iniziò come una risatina tesa, poco convinta, ma Ivan, deliziato dall'aver trovato il suo nuovo pollo, proseguì nella sua presa in giro. «Oh my god! Ridi!» Indicò Michele, la sua nuova vittima, al fratello. «Lui ride! Ho fatto ridere! He's laughing!»
Che pezzo di merda... Nic si chiese se quello sbruffoncello odioso interagisse allo stesso modo anche con Raffaele.
La risata di Michele stava aumentando di volume e quel coglione di Ivan, forse per prendere in giro Michele con qualche amico, condividere lo spasso alle sue spalle, ahah, guardate quel pirla di Michele Bressan che fa il pirla con in mano la protesi di mio fratello, quel coglione di Ivan scattò una foto a Michele col cellulare.
Come sei caduto in basso, Raf, essere costretto ad allenare un tale coglione! Forse si era fatto assumere perché l'alcol e le droghe l'avevano messo in difficoltà economica, e quello stronzetto si stava approfittando di lui.
«Michele, contegno!» lo implorò Nic. Possibile che non si rendesse conto di essere il loro zimbello?
Ma la risata di Michele non accennava a fermarsi.
«È così che ti sei comportato con lui ieri? È per questo che crede di poterci provare con te?» aggiunse Nic. Non gli importava che il russo lo sentisse, anzi, voleva essere sentito. Voleva che sapesse che aveva visto dietro alle sue intenzioni.
Michele ridacchiò ancora un po', ma si stava finalmente calmando. Si decise a ridare la protesi al suo legittimo proprietario, ma Andrej gli rispose con un'altra battuta: «Oh, puoi tenerla, ne ho un'altra» disse facendo risuonare le proprie nocche sulla tibia.
Questa volta scoppiarono a ridere insieme, Michele e Ivan, e Nic non ci vide più dalla rabbia:«Michele!»
Non fu fiero di aver alzato la voce, ma quei due cretini stavano davvero mettendo alla prova la sua pazienza.
Il rimprovero ebbe suo effetto, perché Michele, finalmente, tornò a essere serio e consegnò la protesi a Ivan.
Finalmente l'avvocato De Santis sembrò rendersi conto del motivo per cui era stato pagato.«Possiamo parlare di questioni serie, per cortesia?»
Dopo un doveroso rimprovero a Rodolfo che non aveva saputo trovare nessuna informazione utile sui Reshetnikov, l'avvocato riuscì finalmente a consegnare la lettera di diffida ad Andrej: se Ivan avesse parlato di nuovo pubblicamente di Michele, lo avrebbero querelato.
«Dalla a lui» disse Andrej, mentre era impegnato a riagganciarsi la protesi alla gamba.
«Suo fratello è minorenne» puntualizzò De Santis.
Andrej risponde all'avvocato di non essere il padre di Ivan e aggiunse l'espressione colorita: he minds his own shit, che lo stesso Ivan tradusse con:«Sì, mi precauziono la mia merda. Non ho manager, mi mannaggio da solo.»
Nonostante l'odio che provava per lo stronzetto, quelle frasi in italiano sgrammaticato suscitarono un anelito tenero in Nic, ma non nei confronti di Ivan, nei confronti di Raf: erano proprio il tipo di sciocchezza che avrebbe fatto ridere Raf.
«Voglio parlare coi tuoi genitori» disse Nic, ma nella sua testa, mentre lo diceva, c'era Raf. Voglio parlare con Raf.
«Genitori? Parents?» Andrej fece un'espressione disperata.«I nostri genitori sono morti nel tragico incendio in cui ho perso le gambe...»
Nic guardò subito Michele. Come avrebbe reagito a quell'informazione? Avrebbe pensato a sua madre? Lo vide scosso, colpito da quella frase, ma non fece in tempo a preoccuparsi, perché l'idiota con i capelli verdi si mise a ridere.
Nic scattò: «Cosa c'è da ridere adesso?»
Una messinscena. Una cazzata. Nic si sentì sciocco per esserci cascato per un attimo lui stesso: un incendio? Che razza di storia melodrammatica da film! Era ovvio che fosse inventata!
«Mama e papa sono a Piter che gestiscono nostro tennis club!» disse Ivan, e tra le risate spiegò che "Andriusha" adorava inventare storie assurde su come aveva perso le gambe.
Michele era fuori di sé, sconvolto. «Co-hooome p-pot-tete riiiidere d-di uuuuna c-co-cosa simile?» gridò.
L'idiota, totalmente privo di empatia, gli rispose come se niente fosse: «Ti ho già detto, Misha, io rido per tutto, anche per gambe tagliate di mio fratello. Anche tu ridevi di sua gamba prostèsi, due minuti prima!»
Misha. Lo sbruffoncello aveva usato quel soprannome russo anche al telefono con Nic.
«No! No! No!» gridò Michele, sull'orlo delle lacrime. «D-de-deeeella morte dei tu-tuoi genitori! S-s-se... i-io... t-tu...»
«Michele, smettila.» Nic lo interruppe, gli si stringeva il cuore a vederlo annaspare in quel modo.
«Michele...» sussurrò anche Elena.
«No!» Michele insisté. «Io... m-m-m...»
Elena venne in suo aiuto: «Michele ha perso sua madre, sei anni fa. His mum died six years ago. He's still suffering. He...»
«L-lasciiiiami p-p-p-pa-parlare!» sbraitò Michele, completamente fuori di sé, privo di controllo sulle proprie emozioni, sulle proprie parole.
«Parla!» disse Ivan. Certo! Era tutto facile, per il coglione!
«Michele, smettila» lo implorò Nic, stanco.
E finalmente Michele sembrò calmarsi. Ivan mise una mano sulla sua spalla, ma Michele la scacciò via con uno schiaffo.
Ne seguì una discussione tra il cretinetto ed Elena, da cui Nic si estraniò, preoccupato sia dalle evidenti inquietudini emotive di Michele sulla madre, sia da Raf. Possibile? Possibile che a Raf piacesse un tizio simile?
Dopo qualche minuto di discussione Nic decise di tagliar corto. «Elena, basta così. È inutile discutere con questi ragazzini idioti. Dottor De Santis, dia ai fratelli Reshetnikov una copia della diffida. Non mi importa a chi dei due. Gliela dia e basta. E facciamola finita con questo incontro farsa.»
L'avvocato diede la diffida a entrambi i fratelli, e finalmente arrivò il momento dei saluti.
Ma Ivan stava tenendo in serbo un'ultima cosa da dire. «Ah, signor Bressan! Dimenticavo... ti saluta Raf!»
A Nic andò di traverso un po' di saliva e impiegò qualche secondo di troppo a rispondere: «Va bene.»
«Tu non vuoi che io saluto lui?»
Nic cercò di ostentare noncuranza. «Fa' come ti pare, non lo vedo da venticinque anni. Non mi cambia molto che tu lo saluti o meno.»
Il ragazzino invadente fece un gran sorriso. «Sai, a me non mi piace come tu tratti Misha, ma io non penso a te come uomo cattivo, perché Raf ha parlato tanto di te.»
Cosa significava quel sorriso? Cosa sapeva quello stronzetto? Nic fece un passo in avanti verso di loro, per costringerli a uscire dalla porta. «Va bene. Don't you have a match?» chiese ad Andrej.
«Io penso che tu sei bella persona» disse quel leccaculo di Ivan.
Nic spinse delicatamente (ci mancava solo che lo stronzo si inventasse molestie fisiche) Ivan fuori. «Va bene. Arrivederci. In bocca al lupo... good luck for your matches.»
E finalmente riuscì a chiudere.
Prima o poi l'avrebbe visto. Prima o poi avrebbe visto Raf. Forse proprio lì a Parigi.
E adesso c'erano due ragioni, due ottime ragioni per cui Nic avrebbe preferito non incontrarlo mai più.
La prima era che avrebbe sofferto.
La seconda era che accanto a Raf c'era quel bulletto che si divertiva a tormentare Michele.
Nic si ritrovò di nuovo a sperare che i suoi figli perdessero, per poter tornare a casa prima possibile.
***
7 aprile 2017
E i suoi figli avevano perso davvero, senza che, per fortuna, Nic avesse incontrato Raf.
Aveva vissuto due giorni di ansia e terrore, dormendo a malapena di notte, terrorizzato all'idea di vederlo.
Ma ormai il pericolo era scampato, e Nic si detestò rendendosi conto che una parte di lui era dispiaciuta: il Nic ventisettenne che aveva cercato disperatamente il suo amico per due mesi. Quel Nic stava mandando a fanculo il Nic cinquantaduenne che con la sua razionalità aveva capito che era meglio non avere più a che fare con una persona negativa capace solo di farlo soffrire.
Nic e Michele si trovavano all'aeroporto, in attesa di andare al gate di imbarco per tornare a Capriva. Nic avrebbe preferito Bovec, ma per una volta aveva deciso di darla vinta a Michele che amava tanto il Friuli.
Un po' gli dispiaceva non aver seguito Daniele e Maria, che erano partiti quella mattina per Miami. La bambina sarebbe nata lì e Nic non avrebbe visto le sue prime settimane di vita. Ma non era razionale per Michele subire il fuso orario degli Stati Uniti, considerando che i tornei sull'erba erano tutti in Europa, e Nic non poteva permettersi di lasciare Michele da solo.
La piccola sarebbe stata chiamata Elisa.
Nic aveva trovato la decisione di Daniele sorprendente e disturbante.
Aveva ricordato quando Elisa aveva deciso di chiamare la loro figlia (che poi si era rivelata essere Daniele) Marisa, e quanto fosse stato contrario, all'epoca, a dare a un figlio il nome di un morto. Nic aveva espresso tutte queste preoccupazioni a Daniele, ma lui gli aveva dato una spiegazione che, tutto sommato, lo aveva convinto. «Ne ho discusso tanto con Maria. Lei sa tutti i problemi che ho avuto con la mamma e all'inizio anche lei non era convinta. Ma io la vivo così: è un modo, per me, per dare una seconda occasione a questo nome. Per legare a questo nome dei ricordi belli. Dei ricordi d'amore.»
La cosa difficile sarebbe stato dirlo a Michele. Ma era un grattacapo che avrebbe atteso ancora due mesi.
Michele stava leggendo qualcosa dal cellulare, giocherellando di tanto in tanto con Sara, che era accucciata accanto a lui. Siccome erano arrivati in anticipo, Nic ne approfittò per fare una telefonata a Fernando e discutere di alcuni contratti di sponsorizzazione che erano rimasti in sospeso.
Si alzò e si allontanò per parlare.
«Stiamo finalmente riuscendo a convincere la Perfetti per le gomme da masticare» fu la buona notizia di Fernando. «Vogliono fare un piccolo servizio fotografico e forse uno spot da passare in TV.»
«Bene» disse Nic. La fissazione di suo figlio per l'igiene orale lo spingeva a consumare parecchie gomme da masticare mentre giocava: trovava fastidioso non potersi lavare i denti dopo aver mangiato le barrette e bevuto gli integratori durante i cambio campo, e siccome tirava continuamente fuori quel pacchettino di gomme a favore di telecamere, avevano deciso di sfruttare la cosa a loro vantaggio.
Fernando, quindi, iniziò a elencare a Nic una serie di aziende che avevano fatto loro offerte di partnership. Se fosse stato per lui le avrebbero accettate tutte («Sono gran bei soldi!») ma Nic non voleva che suo figlio diventasse un venditore di pentole, due o tre partnership all'anno erano più che sufficienti. Guadagnava già parecchio, sull'ordine dei milioni di euro, tra prize money, contratti coi tornei minori e sponsor, e Nic non sentiva alcun bisogno di essere avido.
Nic discusse, quasi litigò con Fernando per dieci minuti buoni, quando si voltò a controllare cosa stesse facendo Michele e vide che stava venendo importunato da uno scocciatore, certamente un fan.
Che palle, sono ovunque, pensò, avvicinandosi di qualche passo per aiutare Michele a liberarsi del rompiballe, un vecchio panzone che...
Nic si fermò di scatto.
La sua prima reazione fu chiudere gli occhi.
Rifiutarsi di guardare ancora, di esaminare quella figura.
Dopo diversi secondi li riaprì con paura. Faticò a mettere a fuoco lo sguardo, e la sua mente scandagliò i ricordi, elaborò le somiglianze, i tratti rimasti identici dentro una statua scolpita da venticinque anni di stravizi, mentre il suo stomaco si ribaltava, il suo cuore veniva stritolato dall'angoscia e dal dolore.
Raf!
Ebbe l'impressione di soffocare, e gli occhi bruciarono gonfi di lacrime trattenute. Sentì il bisogno di chiuderli di nuovo, e quando li riaprì ebbe l'irrazionale desiderio di aver avuto un'allucinazione.
Ma lui era ancora lì. Identico. Identicamente sfatto.
Raf! Cosa ti è successo Raf!
Il suo Raf, il ragazzo bellissimo dai movimenti eleganti e dagli occhi tristi, era diventato un vecchio deforme.
Il viso nascosto tra pieghe di pelle cascante rivelava la sua passione per l'alcol nelle guance rubizze, così come il fisico sproporzionato, la pancia strabordante strizzata dalla sua postura curva sulle cosce larghe, le braccia ancora innaturalmente secche. I suoi capelli erano tutti grigi, stoppacciosi e molto radi sulle tempie è in cima alla testa, spettinati come quelli di una persona che non se ne curava mai, e forse nemmeno li lavava molto spesso.
Perché, era la domanda che riecheggiava nella sua testa.
Perché, perché, perché!
Era un grido disperato, più che una domanda. Perché non sei rimasto morto e sei dovuto tornare, e mostrarmi questo spettacolo, e farmi soffrire. Oppure perché non sei rimasto insieme a me, che ti avrei aiutato e sostenuto altre mille volte, mille! per cercare di liberarti dai tuoi demoni.
E invece Raf era scappato e i suoi demoni gli avevano succhiato via la vita e la felicità.
Era il ritratto di un uomo distrutto.
Dopo che Nic l'aveva fissato immobile per forse un minuto mentre lui parlava di chissà cosa con suo figlio, Raf alzò la testa.
Si guardarono negli occhi e il tempo sembrò fermarsi.
Raffaele mormorò qualcosa, mosse le labbra.
Nic non udì la voce di Raf, ma quella di Fernando, che stava ancora parlando al telefono, distante una decina di centimetri dall'orecchio di Nic. Aveva completamente dimenticato la telefonata.«Ti richiamo dopo» disse chiudendo, e il telefono gli cade a terra nel tentativo di rimetterlo in tasca.
Lo raccolse e si avvicinò, finalmente, mettendo a fuoco sempre più dettagli di quella figura rovinata.
«Ciao, Nic» disse lui. La sua voce era debole, roca, sembrava la voce di un vecchio.
Da vicino vide i suoi occhi. I suoi straordinari occhi verdi erano ancora lì, con la stessa espressione triste di quando era ragazzo, ma ora nascosti tra le palpebre e le borse.
Raf. Oh, Raf. Perché? Perché?
«Fammi indovinare: mammamia come ti sei ridotto?» Raffaele fece una risatina amara, scoprendo una fila di denti disgustosamente scuri.
Nic doveva dire qualcosa, e tra le mille cose che gli stavano passando in testa quella che gli uscì dalla bocca fu la più stupida: «Sei vivo...» Parlando, si accorse di essere in affanno.
«Ancora per poco» disse Raffaele con una smorfia amara. Poi si guardò al polso, dove c'era un orologino metallico da quattro soldi. «Anzi, mi hai appena fatto ricordare che è almeno mezz'ora che non bevo qualcosa, quindi vi saluto.»
Raf si alzò in piedi a fatica, pesante, lento come avrebbe potuto esserlo un vecchio sfiancato da decenni di reumatismi.
Eh, no! No, cazzo! Si ripresentava così, nella sua vita, dopo venticinque anni, con l'aria di chi aveva passato le peggiori pene dell'inferno, e se ne andava senza una parola di spiegazione?
Nic fece uno scatto e lo afferrò per il braccio, affondando le dita nella sua pelle troppo mobile. Sentire il duro dell'osso sotto la carne, gli trasmise una sensazione di fragilità. Ebbe quasi paura di spezzarlo.
E allo stesso tempo gli fece sentire tutta la concreta fisicità di quell'incontro. Raffaele era lì, un corpo, deforme ma vivo, un fantasma che aveva riacquisito carne e sangue dopo venticinque anni. «Dove... cos... pe-perchè?» eccola la domanda. Perché. Voglio sapere perché, Raf! Voglio una spiegazione a questo delitto che hai compiuto nei confronti di te stesso!
Raf mosse lentamente la testa, una volta a destra, una sinistra. «Troppe ragioni.»
«Cosa è successo? Dove sei stato?» lo incalzò Nic. Gli occhi continuavano a bruciare, ogni dettaglio in più che coglieva di quel corpo e di quel viso gli faceva venir voglia di piangere. Gli lasciò il braccio, infine. Lo aveva stretto per troppo tempo.
«È stato meglio così. Fidati» disse lui.
È stato meglio un cazzo! Avrebbe voluto dire Nic. No, coglione! Non è stato meglio né per te né per me! E avrebbe voluto prenderlo a pugni, per quanto lo stava odiando.
«Ci vediamo, Nic.» Raf alzò la mano in un cenno di saluto, si voltò e camminò lentamente allontanandosi da loro.
«Perché sei tornato?» disse Nic, insoddisfatto dall'assenza di una spiegazione. Ne aveva bisogno. Voleva un motivo per tutto quel dolore. Doveva esserci un motivo, non poteva accettare la sua gratuità.
Raffaele si fermò, dopo aver percorso solo qualche metro. Ma continuò a dar loro le spalle.
Fu solo allora che Nic prese coscienza della presenza di Michele. Sconvolto dalla vista di Raffaele, lo aveva escluso dalla propria percezione. Già. Raffaele stava parlando con lui, quando Nic era arrivato.
«Di cosa stavi parlando con mio figlio?» gli chiese.
Raf, infine, si girò di nuovo verso di loro. «Un ragazzino rompiballe.»
Ma che razza di risposta era? «Un ragazzino rompiballe... cosa?»
«È la ragione per cui sono tornato. Ed è quello di cui stavo parlando con tuo figlio.»
Reshetnikov, pensò Nic, guardando Raffaele che se ne andava col suo nuovo passo lento e pesante. Non riuscì a staccargli gli occhi di dosso, finché non sparì girando in un corridoio, per andare a bere come aveva promesso di fare. Per andare ad aggiungere ancora un po' di distruzione a quel corpo in decomposizione.
Nic guardò quindi suo figlio, che lo stava fissando con un'espressione indecifrabile. Gli succedeva spesso, con Michele. Non riuscire a leggere dentro quei suoi occhioni troppo grandi, quegli occhioni da bambino.
«Cosa ti ha detto?» gli chiese.
«Voleva spiegarmi p-perché Reshetnikov si è comportato in q-quel modo. V... Voleva giustificarlo» disse in un tono stranamente composto.
Che motivazione stupida. Era ovvio che non potesse essere andato lì solo per quello. «Era solo una scusa. Voleva vedere me. Voleva mostrarmi cosa è diventato.»
«Eravate m-m-molto amici?»
Nic, che in quel momento stava odiando Raffaele come non lo aveva mai odiato, ebbe uno scatto nervoso.«Amico di quel drogato donnaiolo alcolizzato?» Sentì il bisogno di mettere tra loro due la massima distanza possibile. «Mi faceva pena. Per un periodo ho cercato di aiutarlo, e come me anche altri colleghi. Poi ci abbiamo rinunciato. Abbiamo capito che era una causa persa.»
Michele sembrò soddisfatto dalla spiegazione. Non chiese altro.
Era arrivato il momento di imbarcarsi. Nic compì tutte le operazioni in maniera meccanica, con la testa ossessionata da quell'immagine di Raffaele che avrebbe popolato i suoi incubi a lungo.
Quando salirono finalmente sull'aereo e si sistemarono nel loro posto in business class, con la piccola Sara nel trasportino accanto a loro, Nic era stremato dallo stress e dal dolore, e gli faceva male lo stomaco per la tensione. Si era sforzato di mantenere un atteggiamento tranquillo, composto, ma dentro di lui si sentiva all'opposto, e la fatica di doversi controllare lo stava facendo impazzire.
Nic non si era neanche seduto che chiese alla prima hostess di passaggio quando l'aereo sarebbe decollato e se aveva tempo per andare in bagno. Il tempo c'era, si alzò, percorse il breve corridoio e si chiuse dentro.
Il bagno della business class non era un loculo stretto come quello della seconda classe, ma Nic, forse, avrebbe preferito che lo fosse. Si stava sentendo esplodere, e avrebbe voluto mettersi in compressione, farsi stritolare da qualcosa che trattenesse dentro di lui tutte le emozioni.
Sbattè a terra i piedi tirò dei pugni alla parete trattenne un grido, che uscì dalla sua bocca come un ruggito, insieme al grido uscì un conato di vomito, trattenuto a fatica in gola, ma il sapore acido gli invase comunque la bocca. «Raf... Raf...» sussurrò un paio di volte. Ansimò. Iperventilò. Si percosse le gambe.
Poi decise che si era lasciato andare abbastanza. Chiuse gli occhi e fece un semplice esercizio di respirazione che aveva insegnato anche ai suoi figli. «U-no, du-e, tre-e...» Respiro. «Quat-tro, cin-que, se-i...» Respiro.
Si prese tutto il tempo necessario. Finché il suo cuore non si calmò, il suo respiro normalizzò e i suoi muscoli si rilassarono.
No. I suoi muscoli erano ancora tesi. Ma non poteva avere tutto. Si fece bastare il resto e uscì.
Trovò Michele che guardava una puntata di Spongebob dal televisore incorporato nel sedile davanti al suo.
Era proprio un bambino.
Nic tirò fuori un romanzo dal suo bagaglio a mano, e si mise finalmente seduto al suo posto, consapevole del fatto che gli sarebbe stato impossibile leggere anche solo una frase di quel libro.
—
Note 🎶
Che cosa hai fatto, Raf? Quanto dolore! E anche questo è un tema del libro, l'ossessione per la bellezza e la morte della bellezza (ogni riferimento a titoli dei capitoli di Play è puramente casuale).
E così adesso i lettori di Play sanno cosa stava passando per la testa di Nic quel giorno in aeroporto, e i lettori di Rewind incontrano il personaggio di Raffaele nel modo in cui i lettori di play l'hanno conosciuto.
È doloroso. Lo so. La distruzione di Raffaele e forse la singola cosa più dolorosa di tutto il romanzo. E ne ho scritte di cose dolorose.
Vi do appuntamento a giovedì, e lasciatemi una stellina e per tutti i soldi che potrebbero fare Ivan e Andrej se decidessero di darsi al cabaret.
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Note 2 - Leggere Play in parallelo ▶️
Questo capitolo di Rewind corrisponde temporalmente ai capitoli 4-11 di Play.
La volta scorsa vi ho consigliato di arrivare al massimo fino al capitolo 10.
Se volete proseguire con Play senza grossi spoiler, vi do anche oggi due opzioni:
Opzione 1, zero spoiler: leggete il capitolo 11 (che vede questa scena dal punto di vista di Michele e dove scoprirete cosa Michele e Raf si sono detti) e il capitolo 12 (che è un capitolo tutto privato di Michele).
Opzione 2, qualche spoiler: se non vi danno fastidio spoiler minori, potete leggere fino al capitolo 20. Uno di questi spoiler minori riguarderà un secondo incontro con Raf che avviene già nel capitolo 13 di Play; se preferite leggere questa seconda interazione prima dal punto di vista di Nic, aspettate il prossimo capitolo di Rewind prima di proseguire. Io non la considero particolarmente spoilerosa. Vi avviso, inoltre, che nei capitoli 14-20, accadono parecchie cose in privato a Michele che secondo me è più interessante leggere prima dal punto di vista di Michele, perché Rewind le riassume parecchio. Il mio consiglio è seguire questa seconda opzione.
Buona lettura!
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