83. Ma continuo a cercarti, nelle strade, tra la gente
Se pesco chi un giorno ha detto:
"Il tempo è un gran dottore"
Lo lego a un sasso stretto stretto
E poi lo butto in fondo al mare
[...]
Ma io uscivo a cercarti
Nelle strade fra la gente
Mi sembrava di voltarmi
All'improvviso, e vederti nuovamente
(C. Daiano, G.P. Felisatti, Sei Bellissima, 1975)
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13 settembre 2014
Atterrarono all'aeroporto di San Pietroburgo alle quattro del pomeriggio, e mentre Nic saliva insieme a Michele e Daniele sul taxi che lo avrebbe portato in hotel, pensò a Vika e Raffaele.
Ricordò lei, soprattutto, il suo sorriso contagioso e l'amore con cui parlava di Leningrado, che aveva sempre chiamato Peter, quasi come se sapesse che un giorno la sua amata città sarebbe tornata al suo nome originario.
Era tornata a vivere in Russia, tanti anni prima: chissà se era ancora lì o si era trasferita di nuovo. E se l'avesse incontrata? La prima cosa che le avrebbe chiesto sarebbe stata: ma tu lo sai dov'è sparito Raffaele? Ne sapevi qualcosa? È venuto con te?
E infine, la domanda fatidica: è ancora qui? Siete ancora sposati? Avete avuto dei figli? Nic fantasticò di vederlo spuntare. All'aeroporto, mentre aspettava i bagagli sul nastro trasportatore, si guardò intorno con in testa un'idea folle: vedere i suoi luminosi occhi verdi in mezzo agli sguardi duri dei russi, i suoi capelli neri, ormai forse brizzolati. E se lo immaginava sempre uguale, il viso più maturo, più stanco, un po' di borse sotto gli occhi, un po' di stempiatura, rughe di espressione sulle guance e sulla fronte, ma sempre lui. Raffaele.
Si rendeva conto che si trattava di una fantasia impossibile, perché Nic non sapeva dove fosse finito Raffaele, l'ipotesi della Russia era solo un'ipotesi tra mille. Con tutta probabilità ormai era morto.
Ma una piccola parte di Nic si aspettò di vederlo spuntare persino quando scesero dal taxi per entrare in hotel. Si aspettò di vedere il suo sorriso che gli diceva: sorpresa!
Che idee stupide...
Partecipavano a quel torneo perché gli organizzatori avevano dato a Michele una wildcard per il tabellone principale e a Daniele una per quello di qualificazione.
Era stato Fernando, tramite vecchie amicizie russe, a organizzare tutto. Il vecchio collega di Nic aveva aperto un'agenzia sportiva, la Star Match, che era diventata in pochi anni una delle più importanti d'Italia. Fernando era un affarista nato, molto più talentuoso come procuratore che come tennista, e se la intendeva alla grande con Elena, che dopo la morte di Elisa aveva assunto il ruolo di manager di Michele.
Michele puntava molto su quel torneo.
All'inizio dell'anno aveva tentato disperatamente di vincere il suo primo torneo ATP per battere il record di più giovane vincitore della storia di un titolo nel circuito maggiore (sedici anni e due mesi). Era un record a cui teneva molto, e quando a metà aprile aveva perso l'ultima occasione di farcela, aveva pianto di rabbia. Nic non pensava fosse un record che meritava di essere vinto, ma Michele era davvero un ragazzo competitivo e puntava ogni occasione in cui c'era in palio qualcosa.
Passato aprile, Nic gli aveva imposto di diradare i tornei. Michele aveva sperato di riuscire a vincere uno di quelli estivi su terra che venivano disertati da quasi tutti i grandi nomi, e allo stesso tempo aveva detto a Nic che gli sarebbe dispiaciuto vincere proprio uno di quelli, perché tutti sapevano che il loro valore era più basso.
San Pietroburgo era una via di mezzo: il posizionamento in calendario, subito dopo gli US Open, lo rendeva una meta tendenzialmente disertata dai campioni, ma era anche un torneo molto ricco che pagava profumatamente tennisti famosi perché vi partecipassero. E così, il tabellone finiva sempre per essere interessante.
Michele, a sedici anni e sette mesi di età, era già un top cento, aveva già all'attivo due semifinali in tornei 250 e una anche in un 500 estivo su terra. Vantava anche un quarto di finale al 1000 di Roma. Gli occhi dell'ATP erano puntati su di lui, gli venivano dedicati articoli, approfondimenti, servizi, interviste, a cui lui partecipava per iscritto (e le risposte le scriveva tutte Elena), oppure, quand'era intervistato in presenza, parlava usando la lingua dei segni americana, quella che Elisa gli aveva insegnato da piccolo. Nic, che si era sempre ostinato a non volerne sapere niente, aveva scoperto che ogni comunità locale aveva la sua diversa lingua dei segni. Si era chiesto perché Elisa avesse insegnato a Michele quella americana e non quella italiana. Forse perché era usata da più persone? Forse perché l'aveva imparata su Internet, e su Internet si trovavano più informazioni su quella americana? Non l'avrebbe mai saputo, ma di fatto era stata una cosa che era tornata loro utile. Michele a parlare in pubblico era un disastro. La sua balbuzie aumentava esponenzialmente quante più persone c'erano a sentirlo e quanto meno le conosceva. Con la lingua dei segni, al contrario, era abile e si esprimeva fluidamente. Elena sosteneva che fosse anche positivo per la sua immagine: secondo lei lo faceva apparire più intelligente e sicuro di sé, «mentre invece le persone che balbettano sembrano sempre stupide.» Elena era sempre molto diretta e brutale nel suo modo di esprimersi, e molto orientata all'immagine e agli sponsor.
Anche l'ATP era felice di quella trovata. Non erano infastiditi dal fatto di dover pagare degli interpreti, anzi. Il presidente dell'organizzazione, una volta, aveva parlato con Nic e gli aveva detto che sperava che Michele potesse aprire la strada a un nuovo mercato nelle comunità sorde in giro per il mondo.
Nelle interviste e nelle conferenze stampa, Michele dava sempre risposte preconfezionate preparate dalla solita Elena in accordo con Nic. Michele, purtroppo, era un ragazzo strano, con idee strane è un modo strano di esprimersi, e tutte le volte in cui finiva per dire cose di testa sua i giornalisti lo travisavano e la cosa finiva per ritorcerglisi contro in qualche modo.
Le critiche sulla stampa finivano per mettere in ansia anche lui, perciò era stato ben contento di smettere di dover pensare a cosa doveva dire e farsi imbeccare dall'alto.
A Michele interessava solo il tennis. Nient'altro. Non voleva distrazioni e preoccupazioni di alcun tipo.
Non amava leggere, non gli piacevano i film – aveva delle strambe idee riguardo al fatto che gli fosse impossibile prendere sul serio delle persone che facevano finta di essere altre persone. Ogni tanto guardava qualche cartone animato, era l'unico infantile svago che si concedeva. E quanto alle ragazze, sembrava poco interessato anche a quelle.
Nic si era preoccupato di quell'aspetto del suo carattere. Aveva temuto che Elisa avesse represso in qualche modo le sue naturali pulsioni, perciò si era sempre premurato di invitarlo a masturbarsi regolarmente.
Michele gli aveva assicurato di farlo una o due volte al mese, ma Nic non era sicuro che fosse sincero. Non l'aveva mai, nemmeno una volta, sorpreso a sbirciare con interesse qualche ragazza (o qualche ragazzo). Era l'esatto opposto di suo fratello Daniele, che invece sembrava innamorarsi di qualsiasi gonnella di passaggio.
Preoccupato per Michele, Nic aveva deciso di sbirciare nella cronologia browser del suo cellulare. Siti pornografici non ne aveva trovati, ma si era accorto che spesso suo figlio cercava fotografie su Google immagini, soffermandosi per lo più su primi piani frontali. Soprattutto ragazze, ma anche qualche ragazzo, di tanto in tanto. Nic non riusciva a capire se Michele usasse quelle immagini come materiale per le sue fantasie erotiche, o se semplicemente gli piacesse ammirare dei bei volti. A dire il vero molti di quei visi non corrispondevano nemmeno a bellezze di tipo standard. Nic non era riuscito a identificare un tipo fisico ricorrente, erano tutte persone dall'aspetto molto diverso. L'ennesima stranezza di suo figlio.
Sembrava sereno, però. E tanto a Nic bastava.
L'indomani, Daniele avrebbe giocato il primo turno di qualificazione. L'idea iniziale era stata di far partecipare i due fratelli anche al torneo di doppio, ma questa volta Michele si era rifiutato. Voleva concentrare tutte le sue energie sul singolare.
***
20 settembre 2014
Michele non aveva mai giocato tanto bene in tutta la sua carriera.
E aveva uno stile di gioco davvero bello: lui ci teneva moltissimo all'estetica, un aspetto che gli aveva tramandato sua madre. Nic avrebbe preferito un po' più di sostanza, ma Michele, come già Elisa e Raffaele prima di lui, riusciva nel raro miracolo di unire colpi efficacissimi e stilisticamente perfetti.
I suoi incontri avevano fatto spellare le mani al pubblico russo, riempendo Nic d'orgoglio.
Aveva vinto il primo turno contro la testa di serie numero quattro, perciò aveva avuto un tabellone relativamente facile fino alla semifinale, che stava giocando in quel momento contro Serrano-Martin, top 20 e testa di serie numero due.
Se avesse vinto quell'incontro avrebbe giocato la sua prima finale di un torneo del circuito maggiore.
Il primo set l'avevo perso con un break. Il secondo l'aveva vinto al tie-break, con una freddezza che a Nic aveva ricordato il se stesso dei bei tempi. Quello era un aspetto del gioco che lui stesso gli aveva insegnato: le sue tecniche di concentrazione, i suoi trucchetti per svuotare la testa e analizzare i dettagli insignificanti in modo da non farsi prendere dall'ansia. E Michele aveva imparato talmente bene che già qualcuno gli aveva affibbiato il soprannome di Iceman.
Daniele era riuscito a vincere per un soffio le qualifiche, ma si era fatto eliminare al primo turno. Nic, ormai da un anno, gli stava consigliando di abbandonare la carriera di singolarista e concentrarsi sul doppio, disciplina in cui era molto bravo. Daniele ancora non voleva rinunciare, e una volta aveva accusato Nic di volerlo mettere in secondo piano, ma al contrario, Nic gli stava suggerendo di cambiare obiettivo per il suo bene. Daniele, a differenza di Michele, non era mai stato un tipo freddo e non era un ragazzo dall'indole solitaria. Era uno a cui piaceva stare in compagnia, a cui piaceva fare gioco di squadra. Nic, di tanto in tanto, pensava che forse sarebbe stato meglio per lui se avesse giocato a calcio, basket o qualche altro sport collettivo. Ma ormai aveva scelto il tennis, e nel tennis per far squadra bisognava giocare in doppio.
E in doppio lui era bravo davvero. Aveva intelligenza tattica ed era abile a coordinarsi istintivamente con l'altro giocatore. Nic non la vedeva come una carriera di ripiego, ma come un vero e proprio modo per Daniele di trovare la sua realizzazione. E poco importava che il doppio fosse una disciplina meno seguita rispetto al singolare: ciò che contava era che Daniele potesse trovare una propria realizzazione, senza badare a rincorrere la fama.
In quel momento Daniele era seduto accanto a Nic, sugli spalti, e nonostante tra i due fratelli ci fossero ancora invidia e risentimenti, stava facendo il tifo. Il punteggio era tiratissimo, e ogni game finiva ai vantaggi, da entrambe le parti. Davvero un gran bel match.
Michele aveva la sfortuna di servire per secondo, e in quel momento stava servendo sul 4-5. Se si fosse fatto fare break avrebbe perso.
Nic si stava torcendo le mani per la tensione. Di punto in punto, tra imprecazioni e denti stretti, arrivarono al quaranta pari. Michele, in un raro momento di nervosismo, sbagliò entrambi i servizi.
«Advantage Serrano» disse l'arbitro. E i cartelloni luminosi dietro entrambi i giocatori fecero sfavillare la scritta: Match Point. Come mettere tensione ai giocatori: ai tempi di Nic quelle merdate finalizzate allo spettacolo non esistevano.
Michele servì una prima e, dimostrando un coraggio notevole, fece un serve and volley.
«Pazzo!» mormorò Daniele nel silenzio del palazzetto.
Nic osservò, seduto sul ciglio della sedia, Michele sbagliare la volée, Serrano gli fece un pallonetto per scavalcarlo.
È finita... pensò Nic.
Solo che Michele non si era ancora arreso. Scattò verso il fondo, la palla rimbalzò e lui, non avendo tempo di girarsi per colpire, fece l'unica cosa possibile da quella posizione.
Un tweener.
Un colpo micidiale sotto le gambe, alla cieca, teso a due centimetri sopra la rete, che sorprese Serrano sull'incrocio.
Vincente.
Lo stadio esplose di grida di esultanza. Erano tutti in piedi ad applaudire Michele, che con la freddezza dei grandi campioni si era limitato a stringere il pugno e ora già si apprestava a scegliere le palline per il servizio successivo.
Lo stadio tutto intorno era un tripudio, e Nic non era mai stato tanto orgoglioso di suo figlio.
***
Quel match point salvato nel modo più spettacolare possibile ruppe le resistenze psicologiche di Serrano, che si fece fare break al turno successivo e consegnò l'incontro a Michele: 3-6 7-6 7-5.
Era in finale!
Nic e Daniele corsero nel tunnel per incontrarlo, Nic già pronto a dirgli cosa aveva sbagliato e cosa aveva fatto bene, e la prima cosa che Michele disse fu: «Sono st-t-tato uno stupido su quel match p-p-point. Ho giocato una p-p-pessima volée!»
«Ma poi hai fatto un tweener della madonna!» esclamò Daniele.
Michele guardò il fratello con aria sprezzante. «Il tweener è un colpo volgare, esteticamente lo ab-b-borro. L'ho fatto solo perché era l'unico c-c-colpo possibile. Quel tweener è la t-te-teeestimonianza del mio f-f-fallimento.»
Daniele sospirò. «Quanto ti odio quando ti metti a parlare come un professorino...»
«Michiele! Michiele Bressan!» gridò una voce maschile dietro di loro.
«Michiele?» Daniele ridacchiò.
«E adesso chi cazzo è che rompe?» disse Nic. Erano arrivati alla porta degli spogliatoi e stavano per entrare.
«Michiele, ti prego, please!» Un raccattapalle, ancora in divisa da raccattapalle, stava correndo verso di loro.
«Ballboys shouldn't harass the players» lo rimproverò Nic. Quella sciocchezza sarebbe valsa l'espulsione dal torneo, a quel ragazzino, non lo sapeva?
Ma lui, senza badare minimamente a ciò che aveva detto Nic, li raggiunse e porse a Michele una pallina e un pennarello. «I'm your biggest fan, grande bravissimo Michiele Bressan! Autograph, please!» implorò, con un marcato accento russo.
Era un ragazzino bruttarello e mingherlino, corti capelli castano spento e due occhi azzurri chiarissimi, chiari come solo i russi o gli scandinavi potevano averli.
«Michele» lo corresse suo figlio senza scomporsi. Prese la pallina e la firmò. Michele era sempre gentile coi fan. Non per sua indole personale, se avesse potuto avrebbe evitato qualsiasi contatto. Ma Elena gli aveva detto che era positivo per la sua immagine se era gentile e interagiva un po' firmando autografi o scattando selfie. Perciò, se non aveva da fare, accettava sempre tutte le richieste di quel tipo.
«Ok, andiamo. Let's go» disse Nic lanciando un'occhiataccia al ragazzino indisciplinato. E quello, in tutta risposta, gli sorrise, estrasse una seconda pallina di tasca e la diede a lui. «Please Nic, can you sign too?»
Nic fu spiazzato per qualche istante dal soprannome. Nic. Come lo aveva chiamato sempre Raf. Solo per rendersi conto che Nick era semplicemente la versione inglese del suo nome e che a chiunque sarebbe potuto venire in mente di usarla.
«I have to go» disse Nic. Devo andare.
«Oh, please! Nicolò Bressan, best ranking seventyeight!»
Daniele rise. «Questo ragazzino ha proprio fatto i compiti sulla famiglia Bressan!» disse, mentre Nic sentiva il cuore accelerare. Come faceva a sapere il suo best ranking? Perché lo sapeva? Era semplicemente un fan di Michele che si era informato sulla famiglia?
Oppure...
Tornò a tormentarlo il ricordo di Raf, e negli occhi azzurri chiarissimi di quel ragazzino rivide il verde chiaro di quelli di Raf.
E se fosse suo figlio?
«Papà, noi andiamo» disse Daniele, spingendo Michele dentro lo spogliatoio.
Nic prese la pallina che quel ragazzino gli stava porgendo, all'unico scopo di temporeggiare e guardarlo meglio. Lui gli sorrise, fece due saltelli, come un bambino contento di aver ricevuto un regalo.
No, non somigliava affatto a Raf. Nemmeno un po'. A parte gli occhi chiari, ma il colore era diverso, e il taglio pure, e il viso, soprattutto, aveva tutta un'altra struttura. Questo ragazzino era spigoloso e bruttino, aveva il naso lungo, gli zigomi alti e gli occhi dal taglio sottile, molto est europeo. Nic firmò la pallina, e nonostante pensasse tutte quelle cose gli chiese: «What's your name?»
Nel mezzo secondo di pausa che precedette la risposta, il suo cuore quasi si fermò nell'attesa di sentir pronunciato il cognome: Novelli.
E invece no. Ivan qualcosa. Un cognome russo molto lungo che Nic non afferrò.
«I hope I will play against Michiele, one day» disse. Spero di giocare contro Michiele, un giorno.
Nic gli riconsegnò la pallina firmata. Era un semplice, stupido cacciatore di autografi. Un fan di Michele che aveva cercato informazioni sul suo idolo e scoperto dettagli sulla carriera del padre. «Good luck!» gli augurò.
E seguì i suoi figli negli spogliatoi senza più guardare il ragazzino invadente.
—
Note 🎶
Ma chi sarà mai questo ragazzino invadente? Capelli color topo, occhi chiarissimi, faccetta furba e spigolosa, mmm... vi ricorda qualcuno, cari lettori di Play? 😌
E cosa ne pensate delle fantasie di Nic a inizio capitolo? Secondo voi Raf è davvero qui a San Pietroburgo? Si rivedranno mai?
Vi do appuntamento a lunedì, e lasciatemi una stellina per ogni saltello che il piccolo Ivan cognomelungochenonsicapisce deve aver fatto tornando a casa con le due palline firmate.
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