82. Sono solo stasera senza di te
Sono solo stasera senza di te
Mi hai lasciato da solo davanti a scuola
Mi vien da piangere
Mi riconosci ho le scarpe piene di passi
La faccia piena di schiaffi
Il cuore pieno di battiti
E gli occhi pieni di te
(F. Santarnecchi, L. Cherubini, Le tasche piene di sassi, 2011)
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Daniele e Nic diedero a Michele la notizia della morte. Lo fecero insieme, ma fu Daniele a parlare. Era stato lui a insistere per farlo.
«A scuola seguo la classe di sociologia. Mi ricordo che ci hanno spiegato questo fenomeno di psicologia sociale che chi dà cattive notizie poi viene incolpato di quelle notizie anche se non ha colpe. Tipo che quelli che dicono le previsioni del tempo ricevono minacce di morte quando danno previsioni cattive. Ecco, Michele a me già mi odia, meglio che questa notizia esca dalla mia bocca e non dalla tua.»
«Ma quindi tu adesso mi odi perché io ti ho dato la notizia?» gli aveva chiesto Nic, turbato da quella spiegazione.
«No, perché sono una persona matura. Michele è immaturo e per giunta è follemente innamorato della mamma. Reagirà malissimo a questa cosa e secondo me cercherà un capro espiatorio.»
Nic, quindi, aveva insistito per essere lui a parlare, anche perché avrebbe voluto che Daniele stesse vicino a suo fratello e non che si facesse odiare ancora di più. Ma Daniele alla fine l'aveva convinto anche con altre motivazioni. «Tu hai un modo troppo duro di parlare, non sei capace.»
Daniele era stato bravissimo. Nic l'aveva convinto a non dirgli del suicidio. «Prima o poi lo verrà a sapere» aveva detto Daniele. «Ma sono d'accordo che almeno per il momento meglio evitargli il doppio trauma.» Ma il prima o poi non esisteva: Michele non l'avrebbe saputo mai. Nic aveva già detto a Elena di fare in modo che la notizia non uscisse sulla stampa. Per fortuna né Nic né Elisa erano mai stati "vip" di primo piano, e la stampa italiana li aveva ormai dimenticati; quanto a Michele, Nic era stato attento a non pubblicizzare mai la sua presenza all'accademia: aveva imparato che i giornalisti sportivi, senza imbeccate e suggerimenti, non erano molto attivi nella ricerca degli scoop. E il basso profilo tenuto tornava loro utile: nessuno si ricordava più della coppia Bressan-Morandi e della loro progenie.
Nic non avrebbe voluto far leggere a Daniele la lettera d'addio, perché aveva temuto di farlo sentire escluso dall'ultima preferenza di Elisa nei confronti di Michele, ma era stato lui a pretenderlo, intuendo che Elisa doveva aver lasciato scritto qualcosa. Daniele aveva avuto parole amarissime, leggendola. «Stronza egoista senza cervello» aveva sputato fuori. E poi si era messo a piangere.
La reazione di Michele fu un rifiuto violento.
La profezia di Daniele sull'odio riservato ai messaggeri di sventura si avverò. Ma l'odio di Michele si estese anche a Nic. Li accusò di mentire e di aver complottato ai danni di Elisa. «È p-per quella scioc-chezza d-d-del c-c-cibo, vero?» disse, e li accusò di volerla tenere lontana da lui. Gridò con una violenza inaudita e li insultò usando parolacce e volgarità che Nic non aveva mai sentito uscire dalla sua bocca (Elisa gli aveva vietato di dire parolacce e lui aveva sempre obbedito).
Andò da solo ad allenarsi. Nic e Daniele lo seguirono e lui lanciò loro addosso prima delle palline, tirate con violenza, poi la stessa racchetta.
Quando spiegarono al coach Parker, l'allenatore che seguiva Michele più da vicino, cos'era successo (omettendo il suicidio), lui versò qualche lacrima, una reazione sincera che Nic non si sarebbe aspettato. «Povero ragazzo, stravedeva per lei. Condoglianze a tutta la famiglia.» Li abbracciò entrambi e anche Daniele pianse un po'.
La notizia si diffuse in un lampo in accademia e piovvero email, telefonate e visite a casa, anche da membri dello staff di cui Nic nemmeno sapeva il nome. Michele, che ostinatamente avrebbe voluto allenarsi e ostinatamente continuava ad accusare tutti di complotto, reagì all'immobilità forzata con un atto di ribellione: una fuga.
Ma non avendo mai messo piede fuori dall'accademia, non seppe dove andare e lo trovarono seduto in un diner non troppo distante con la piccola Sara in braccio, accudito da una cameriera molto gentile che aveva capito che il ragazzino doveva essere sotto shock. Insieme a Nic arrivò persino la polizia, chiamata dalla stessa cameriera, e spiegare ai due sconosciuti poliziotti americani cosa fosse successo fu l'ennesimo supplizio.
Furono, in maniera del tutto inaspettata, proprio i poliziotti il punto di svolta. Uno di loro due aveva perso il padre all'età di Michele ed ebbe delle parole di conforto molto sentite per lui. Udire quelle parole da uno sconosciuto fece scattare qualcosa nella testa di Michele, perché per la prima volta sembrò crederci. «La mmmmmamma non c'è p-p-più? Veramente la mamma non c'è più?»
Per la prima volta pianse. E fu un pianto disperato e inconsolabile. Nic provò ad abbracciarlo, ma lui non volle essere toccato.
Non aveva mangiato a pranzo e non volle mangiare a cena. Il giorno dopo Nic lo costrinse a mettere qualcosa sotto i denti a colazione, ma vomitò subito dopo. A metà mattina Nic lo trovò in cucina che mangiava un'intera confezione di pane proteico in cassetta, tenendo più fette in mano e strappandone morsi scomposti, lo sguardo spento fisso nel vuoto.
Dopo il dialogo coi poliziotti non parlò per tre giorni. Un paio di volte provò a dire qualcosa, solo per ritrovarsi a bocca aperta con il fiato che usciva a fatica dalla gola, il problema di afonia che già aveva avuto da bambino.
Disse le sue prime parole a Genova, tre giorni dopo, la sera prima del funerale.
Entrò in camera di Nic senza bussare, e senza nemmeno svegliarlo, perché Nic stava dormendo a intermittenza da quando era morta Elisa.
Entrò in silenzio, e da quel silenzio Nic capì che doveva essere Michele. Accese la luce, lo vide. Michele dapprima gli fece dei segni. Ma Nic si era sempre rifiutato di imparare quella lingua, quel modo di comunicazione privato tra lui ed Elisa, che era finito per diventare una scappatoia ai suoi problemi. Evidentemente lo era ancora, se Michele si sentiva costretto a usarla, ben sapendo che Nic non la conosceva. Riconobbe uno dei segni, però: mano aperta, col pollice puntato sul mento. Significava mamma. «Mi stai dicendo qualcosa sulla mamma, ma non lo capisco. Devi parlare, Michele. Devi ricominciare a parlare.»
Michele ripeté i segni.
«No, Michele. Mi rifiuto di comunicare con te in questo modo. Lo so che non è facile, ma devi ricominciare a parlare con la tua voce. Se parlerai così non ti capirà mai nessuno.»
Il viso di Michele si deformò, cominciò a piangere, le sue spalle si scuotevano, stava lì in piedi con le braccia abbandonate lungo il corpo, a singhiozzare a occhi chiusi.
Nic si alzò in piedi, gli andò vicino, e anche i suoi occhi si inumidirono. «Ce la puoi fare, Michele. Cosa vuoi dire?»
Michele aprì la bocca e fu una pena sentirlo parlare. Ci impiegò almeno due minuti a completare la frase, e non riuscì a far vibrare le corde vocali, lo disse con dei sussurri, dei soffi sforzati. E ciò che disse fu: non voglio vedere il funerale della mamma.
Nic cercò di spiegargli che un funerale era un modo per dire addio a qualcuno, che poteva essere utile a superare il lutto. Ma quando Michele ribadì il suo desiderio con parole ancor più stentate e sofferte Nic non se la sentì di insistere.
Non voleva, però, nemmeno lasciarlo solo. Aveva paura potesse fare qualche pazzia, come tentare il suicidio lui stesso. Non sapeva davvero cosa aspettarsi da lui, come avrebbe elaborato il lutto nei giorni successivi, come avrebbe affrontato l'assenza di quella che era stata il fulcro della sua intera vita.
Lui al funerale voleva andarci, anche solo per star vicino a Daniele. Elena non sarebbe mancata, così come non sarebbe mancata la madre di Elisa, l'unica nonna di Michele, con cui lui però non aveva rapporti. Era presente anche il padre di Nic, nonno Giacomo, e Nic decise di provare a chiedere a lui.
Il nonno fu oltraggiato dalla richiesta, gli sembrava un'inconcepibile mancanza di rispetto non farsi vedere al funerale, ma dopo averlo fatto parlare sia con Daniele che con Elena, Nic riuscì a convincerlo.
Non c'era alcun pericolo che raccontasse a Michele la verità sulla morte di Elisa, perché non la sapeva nemmeno lui. Sin da subito avevano raccontato a tutti una menzogna concordata: Elisa stava prendendo delle medicine per recuperare dall'intervento, e quelle medicine, con una combinazione di dosaggi errati e reazioni avverse, le avevano causato un infarto. Era ciò che sapeva anche Michele.
Elena si era rivelata preziosissima anche in quel frangente. Quando Nic le aveva detto di non voler far sapere a nessuno come era morta Elisa, lei si era detta d'accordo. «È una faccenda privata, e nessuno deve ficcarci il naso.»
Si era adoperata in prima persona, attivamente e freneticamente nei tre giorni successivi alla morte, per imporre il silenzio ai medici legali che avevano stilato i certificati di morte. Elisa, per fortuna, non era tanto famosa da allettare chicchessia a vendere la notizia alla stampa: non c'era semplicemente stampa abbastanza interessata da pagare per una cosa del genere. Poi Elena aveva contattato un'agenzia di stampa locale fornendo loro un comunicato preparato da lei stessa. E lo stesso comunicato fu inviato alle redazioni dei principali quotidiani sportivi, che riportarono la notizia in trafiletti di secondo piano, pari pari a come Elena gliel'aveva fornita: è mancata prematuramente all'età di cinquant'anni l'ex tennista Elisa Morandi, per complicazioni in seguito a un intervento chirurgico. L'informazione era seguita da un piccolo coccodrillo che riassumeva la carriera di Elisa e accennava all'esistenza di Michele e Daniele. Forse qualcuno avrebbe pensato che Elisa aveva qualche problema di dipendenza da farmaci, ma non importava, ciò che contava era che non si sapesse che era stato un suicidio.
Soprattutto che Michele non lo sapesse. Mai.
Al funerale partecipò davvero molta gente. Molta più che al matrimonio di Elisa e Nic. Arrivarono vecchie conoscenze da tutta Italia, Nic rivide dopo tanti anni il vecchio Tazio, ottantaseienne. Lo trovò molto stanco, molto appesantito. A Nic non sembrava avesse l'aria di qualcuno a cui rimaneva molto da vivere. Pianse, al funerale, e dopo la fine della cerimonia, con gli occhi lucidi, disse a Nic che aveva seguito da lontano la carriera dei suoi figli, e gli fece i complimenti per aver tirato su «due ragazzi così pieni di talento. Mi hai smentito per l'ultima volta, Nico. Ti avevo detto che secondo me non eri capace di fare l'allenatore, ma sei stato bravissimo.»
Nic sì schermì, dando il merito completo della bravura di Michele a Elisa, ma Tazio non volle semplicemente crederci. Si salutarono con delle calorose pacche sulle spalle, Nic con la consapevolezza e la tristezza che quella fosse l'ultima volta in cui vedeva una delle persone più importanti della sua vita.
Quando tornarono a casa di Elena, trovarono Michele e il nonno insieme in cucina che giocavano a briscola. Michele sembrava incredibilmente concentrato sulle sue carte, come se si trattasse di un compito di importanza vitale. Il nonno sembrò vergognarsi e si scusò di aver coinvolto il nipote in un'attività così stupida in uno dei giorni più tragici della sua vita, ma per una volta Nic pensò che suo padre aveva fatto la cosa giusta. Era riuscito a distrarre Michele impegnandogli la testa e impedendogli di fare sciocchezze.
A pranzo Michele mangiò tutto ciò che c'era nel piatto. Finito il pasto andò come suo solito a lavarsi denti: sin da piccolo era stato sempre molto attento alla propria igiene orale, in maniera spesso un po' eccessiva. Tornò in cucina, dove Nic, suo padre, Daniele, Elena e sua madre erano ancora seduti intorno al tavolo a parlare di Elisa, e sorprese tutti con una fredda richiesta: «Papà, p-puoi prenotare un c-c-ca-campo in qualche circolo q-qui vicino oooooggi p-pomeriggio?»
Tutti lo fissarono, senza parole.
«Oggi non è proprio il caso, dai» disse Nic.
Ma Michele insisté. Voleva allenarsi. Il suo sguardo era serio e asciutto, la sua espressione facciale impassibile. Fece notare a Nic che non si allenava da tre giorni, che non era infortunato, quindi non c'era alcun motivo per cui dovesse stare fermo. Quando Nic, poi, cercò di farlo ragionare facendogli notare che non si erano portati dietro nemmeno l'attrezzatura sportiva, Michele obiettò che sicuramente c'era qualche negozio dove poter comprare una tuta, e che potevano farsi prestare delle racchette al circolo.
Per quel pomeriggio l'ebbe vinta Nic. Ma arrivato a sera non fu convinto di aver fatto la cosa giusta: Michele aveva passato la giornata seduto sul divano totalmente immobile, con il fratello che cercava di parlarci e spingerlo a dire qualcosa, e lui che rimaneva zitto.
Arrivati a sera, Nic andò a parlargli. «Domani se vuoi andiamo a fare qualche palleggio.»
Nic si aspettava che Michele reagisse in maniera positiva, mostrando un po' di entusiasmo, un sorriso, o ringraziandolo. Ma si limitò ad annuire, come se Nic gli avesse dato un'informazione di routine.
Poi gli chiese per quanti giorni ancora si sarebbero fermati a Genova e quando sarebbero potuti ritornare in accademia a Miami.
Nic riconobbe se stesso in suo figlio, e glielo disse. «Il tennis è stata la cosa più importante della mia vita. Io ti capisco, Michele. Ti capisco molto meglio di quello che pensi. Quello che stai facendo è la cosa giusta: concentrarti su uno scopo, impegnare te stesso in una direzione. È il modo migliore per essere felici.»
«C-c-continuerai ad allenarmi tu?»
«Certo. Io sarò sempre il tuo allenatore.»
«Voglio d-d-diventare il numero uno del mondo e vincere tut-tut-tutti e q-quattro gli Slam. E voglio che t-t-t-tutti considerino il mio stile di gioco il più bello c-c-che sia mai esistito.» Erano ambizioni altissime, che riempivano Nic di orgoglio.
«E io ti aiuterò a farlo.»
Michele annuì, con una serietà è una compostezza inverosimile per un ragazzino di tredici anni.
Nic sorrise, perché sapeva che suo figlio aveva appena intrapreso la strada per una vita felice.
—
Note 🎶
Povero Michele. Questo evento gli ha davvero straziato il cuore. Cosa ne pensate della considerazione finale di Nic?
Ci rileggiamo giovedì, con un capitolo che forse qualche gioia ve la darà, perché incontreremo qualcuno di importante. Non vi dico chi, fate le vostre ipotesi!
Lasciatemi tante stelline quanti abbracci si sarebbe meritato Michele in questo capitolo.
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