81. La guerra è finita, per sempre è finita, almeno per me
"Vivere non è possibile"
Lasciò un biglietto inutile
Prima di respirare il gas
Prima di collegarsi al caos
(F. Bianconi, La guerra è finita, 2005)
—
Nic pensò a uno scherzo macabro, a una metafora sbagliata, a un errore di comprensione.
Cercò almeno una decina di diverse possibili interpretazioni, prima di arrendersi di fronte a quella terribile verità: Elisa era morta.
Morta.
Non avrebbe mai più sentito la sua voce, non avrebbe più rivisto il suo sorriso.
Morta. Svanita dall'esistenza.
Eppure, anche quando capì cosa era successo, lo rifiutò con tutto se stesso. Ripeté frasi che forse erano state dette molte volte in circostanze simili: ma come è possibile, no non è possibile, ma sei sicura, ma l'ho sentita poco fa, ma come è successo...
Era successo in un modo allo stesso tempo brutale e banale: si era tagliata i polsi. E davanti a quell'immagine così cruda Nic fu infine investito dalla concretezza di ciò che era successo ed ebbe una crisi di pianto. Anche Elena, a migliaia di chilometri di distanza, stava piangendo. Era stata lei a trovarla, già priva di vita, ed era probabilmente sotto shock in un modo che forse Nic non avrebbe mai potuto capire.
Nic pianse a lungo, piansero insieme, e mentre piangeva, il suo cuore si riempiva via via di angoscia all'idea che avrebbe dovuto dirlo ai suoi figli. A Michele, soprattutto. Michele ne sarebbe uscito devastato.
Le emozioni da sopportare erano troppe: perdita, dolore, solitudine, angoscia e senso di colpa. Nic continuò a piangere, incapace di gestirle tutte insieme.
«Ma ha lasciato scritto qualcosa?» chiese Nic, quando riuscì a calmare un po' le lacrime, come se un messaggio avesse potuto dare un senso a quella tragedia.
«Sì.» Elena tirò su col naso. «Scusa, sono talmente allucinata che non ci stavo pensando. Ma adesso non ho la forza né di leggertelo né di parlarne. Dopo te lo mando in mail.»
Chiusero la chiamata senza salutarsi, e dopo aver chiuso Nic rimase almeno un'altra ora a letto, sveglio, esausto, senza più lacrime e agitato da pensieri frenetici.
Ripensò al tentato suicidio di Leonardo, al fatto che lui era sopravvissuto a un gesto che a Nic sembrava molto più drastico e risoluto rispetto a quello di Elisa, e che dopo essere sopravvissuto sembrava aver trovato uno scopo e la felicità. Quel pensiero lo riempì ancor di più di disperazione: se Elisa fosse stata trovata prima, se qualcuno l'avesse salvata... se fosse successo, forse anche lei, dopo aver toccato il fondo, sarebbe risalita, avrebbe potuto ritrovare la gioia di vivere.
Ma per Elisa non c'era stato nessuno. Nessuna salvezza.
Sola. E quella solitudine era anche e soprattutto colpa sua.
Intorno alle tre e mezza gli arrivò la mail di Elena.
Aprì l'allegato in uno stato di catatonia.
Ciao Michi.
Nic alzò la testa, rifiutandosi per almeno un minuto di continuare a leggere. Michele! Aveva scritto a Michele! Perché se ne stupiva? Non avrebbe dovuto.
Ricordò che il giorno prima lo aveva anche chiamato, dopo aver chiuso con Nic e Daniele. Una telefonata normale, aveva detto Michele, mi ha chiesto com'era andato l'allenamento e mi ha detto che mi vuole bene. Nic era convinto che già lo sapesse. Elisa aveva chiamato Michele per sentirlo un'ultima volta, sapendo già che cosa avrebbe fatto di lì a poco.
Ripensò anche alla loro telefonata, ripensò a tutte le parole che aveva detto, le analizzò non sapendo nemmeno se le stava ricordando bene, cercò nelle parole di lei indizi di ciò che sarebbe successo, ne trovò milioni e si maledisse per non aver avuto nemmeno il minimo sospetto.
Si maledisse per tutto. Per averla sposata, per averla coinvolta in quella menzogna.
Nic si rese conto che avrebbe dovuto convivere, da quel momento e per sempre, con la consapevolezza che la morte di Elisa era colpa sua.
Si fece forza e lesse la lettera.
Ciao Michi.
Quando leggerai queste parole, io non ci sarò più. Sarò andata in un posto dove potrò essere per sempre giovane e felice. Sii anche tu felice per me, perché io lo sarò.
E ricordati: la mamma non ti lascerà mai. Anche se tu non potrai più vedermi, la mia anima ti guarderà per sempre e ti terrà per mano mentre crescerai.
Sarai per sempre il mio bellissimo campione.
Mamma
Sconvolto dalla disperata tristezza di quelle parole, Nic fu certo di una cosa: Michele non avrebbe mai saputo com'era morta sua madre, e non avrebbe mai letto quella lettera. Erano due informazioni che l'avrebbero traumatizzato in modo irreparabile.
Trascorse almeno un'altra ora prima che Nic avesse il coraggio di bussare alla stanza di Daniele. L'avrebbe detto prima a lui, e gli avrebbe anche chiesto aiuto, perché non sapeva, non aveva la minima idea, si sentiva completamente sperduto e nel buio all'idea di doverlo dire a Michele.
Si rendeva conto che coinvolgere suo figlio in quella decisione era sbagliato: l'adulto era lui e avrebbe dovuto decidere da solo, ma non ce la faceva. E forse, si disse, avere la prospettiva di un ragazzo giovane poteva essergli utile.
Bussò ed entrò.
Udì le lenzuola agitarsi. «Che ore sono?» mormorò Daniele.
«Sono io, puoi uscire un attimo?» sussurrò Nic.
Non voleva parlargli dentro casa col rischio che suo fratello sentisse, lo fece vestire e uscirono: le deboli luci dell'aurora illuminavano il vialetto, basse villette a schiera alla loro destra, palme a sinistra. Delle felpe leggere li proteggevano dalla brezza umida e appiccicosa di Miami. «Papà se fai così mi preoccupi. Mi puoi dire cosa cazzo è successo?»
Nic fronteggiò suo figlio. Lo guardò negli occhi. «Non c'è nessun modo giusto di dirti questa cosa. Ci ho pensato per un'ora e non l'ho trovato. Quindi te lo dico e basta: è morta la mamma.»
Daniele spalancò gli occhi. Lo fece lentamente, il suo sguardo un po' assonnato si fece più vigile, fino a diventare atterrito. «No...» sussurrò.
Nic annuì.
«Ma... ma come...?»
Nic gli spiegò tutto, Daniele ascoltò piangendo e punteggiò il racconto di piccole esclamazioni angosciate.
«Oddio... Dio...» disse infine con la voce spezzata dal dolore. Si prese la testa tra le mani, fissando il marciapiede. «Sono stato io, papà! Io! Le ho detto quelle cose e...»
«No!» esclamò Nic. «Cazzo, Daniele, non pensarlo nemmeno! Non è colpa tua!»
Daniele guardò suo padre, il suo viso esprimeva la più grande disperazione Nic avesse mai visto in un essere umano. «Le ho detto che non aveva speranze! Che doveva arrendersi perché era una vecchia! L'ho trattata di merda e lei...» Daniele prese un respiro spezzato. «Hai ragione, Dani. Non posso farci niente... Io...» Prese altri respiri. «Ero così contento che mi aveva parlato di nuovo... mi aveva chiamato Dani...» Daniele scoppiò a piangere, Nic lo abbracciò, premette la fronte di lui sulla sua spalla, gli accarezzò la nuca.
«No, ti prego, no... non pensarlo.»
«Dani, mi aveva detto... Dani...» disse lui singhiozzando. «Mi ha girato nella testa fino a un attimo prima di addormentarmi, quel Dani... E io da vero stronzo...»
Nic prese suo figlio per le spalle e gli diede uno scossone. «Smettila di pensare queste cose.»
«Ma è così, papà! È così!»
«La mamma aveva dei problemi. È per quello che si è uccisa.» Mentre lo diceva Nic si maledisse. Avrebbe dovuto tener nascosto il suicidio anche a Daniele. Aveva voluto addossargli quel peso per farsi aiutare con Michele, e solo in quel momento vedeva che era stata una scelta sbagliata, e vedere la reazione del suo figlio più maturo rafforzò ancor di più la decisione che aveva preso prima: Michele non doveva sapere nulla delle circostanze di quella morte.
«Sì, ma se io...» cominciò Daniele.
«Non sarebbe cambiato niente» disse Nic freddo e calmo. «La colpa è stata solo mia. Tutta mia. E ti voglio spiegare perché.»
Daniele deglutì, singhiozzò. Le sue sopracciglia si aggrottarono.
«Ti dirò una cosa, e ti vorrei pregare di non diro a nessuno, ma se vorrai mandarmi a fanculo e raccontarlo al mondo intero lo capirò. Perché me lo merito.»
Le sopracciglia di Daniele si contrassero ancora di più. Le lacrime si erano fermate, asciugò con le mani ciò che restava intrappolato alle ciglia. I suoi occhi erano simili a quelli del fratello – e a quelli di Nic – ma avevano un taglio più stretto, un'espressione più adulta, l'avevano sempre avuta, da quando era piccolo. «Cosa hai fatto?» gli chiese.
«L'ho sposata, è stato questo il mio sbaglio. L'ho voluta sposare, ho voluto farne la mia compagna di vita e mi sono illuso che avrei potuto rendere felice sia lei che me. Ne sono stato convinto per anni. E questa mia convinzione completamente senza senso l'ha uccisa.»
«Non... non capisco...» mormorò Daniele.
Nic provò nel suo cuore lo stesso terrore che aveva provato quando aveva fatto quella stessa confessione a Raf. Solo che quel giorno di tanti anni prima il terrore era dovuto al giudizio che Raf avrebbe potuto dare alla sua natura, adesso il terrore era dovuto al giudizio, molto più terribile, che Daniele avrebbe sicuramente dato alla scelta di Nic di sposare Elisa.
«Sono gay.»
Daniele lo fissò con l'espressione corrucciata. «Perché cazzo mi stai dicendo questa cazzata, adesso?»
«Non è una cazzata. È la verità.»
Daniele lo fissò con aria sgomenta. «Papà questo proprio non era il momento di fare un coming out. Di tutti i cazzo di momenti che...»
«Te lo sto dicendo per farti capire qual è il motivo per cui la mamma era infelice.»
«C-cioè... tu... ma...» Daniele sembrava troppo sotto shock per riuscire a comprendere fino in fondo quell'affermazione. «Ma io... io e Michele siamo figli tuoi? Intendo dire... biologici?»
«Sì.»
«Però tu...»
«Diciotto anni fa, no, prima di diciotto... Vent'anni, circa. Vent'anni fa ho preso la decisione, la stupidissima decisione, che con la mia forza di volontà sarei stato capace di creare una felicità per me stesso e per lei. E di questo mio terribile, tragico errore di previsione ha fatto le spese lei. Quindi non è colpa tua, non credere neanche per un secondo che sia colpa tua. È solo colpa mia, se si è uccisa.»
Daniele socchiuse la bocca, abbassò la testa, mosse le labbra un po' di volte, fece dei piccoli sospiri, dei piccoli singhiozzi. «L'hai tradita? E lei se ne accorta?»
«Mai. Io ho giurato a me stesso che le sarei stato sempre vicino e le sarei stato sempre fedele, e l'ho fatto, perché sono un uomo di parola e perché per me l'impegno e la responsabilità sono la cosa più importante che esista.»
Daniele fece degli impercettibili movimenti con la testa, su e giù. «È proprio una frase da Nicolò Bressan, questa.»
Nic non aggiunse niente, perché aveva già detto tutto ciò che c'era da dire. Se Daniele voleva altre spiegazioni, gliel'avrebbe chiesto.
«Tu non... voi non... non facevate mai, quindi... dici che è per quello che si era fissata di essere brutta e vecchia?»
«Io ho sempre cercato di farla sentire desiderata, ma evidentemente sono un attore molto meno bravo di quello che pensavo. E lei, forse istintivamente, perché a parole non me l'ha mai detto, lo capiva.»
Daniele sedette sul marciapiede. Schiena curva, braccia appoggiate alle cosce. Nic rimase in piedi.
«Wow, papà... cazzo... ma perché? Perché l'hai fatto? Per facciata?»
«No.»
«E allora perché?»
Nic rifletté a lungo sulla risposta, Daniele attese, guardandolo dal basso.
«Non è facile spiegare.»
«Soprattutto per te, che sei più chiuso di una cassaforte blindata.»
Nic, nella tristezza nera in cui si trovava, trovò motivo per sorridere a quel paragone. «Non mi piace parlare di me stesso. Penso che non serva a un cazzo. Solo a mettere a disagio me e chi mi ascolta.»
«Papà, sai qual è uno dei più bei ricordi che ho con te?»
Nic gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«Ti ricordi quel giorno che mi avevi beccato le canne nello zaino?»
«Non... non me lo ricordo come un bel giorno» disse Nic.
«È stata la prima volta che mi hai mostrato qualcosa di te. Di... intimo. Un'emozione. Me lo ricordo ancora come se fosse ieri. Mi hai raccontato del tuo amico eroinomane e poi mi hai detto: mi sto cagando sotto. Mi sono commosso, quando me l'hai detto.»
«Davvero? Per così poco?»
«Non minimizzare. Io lo so che hai fatto una fatica bestia, a dirmelo. E oggi quindi ti ripeto una cosa che mi pare ti avevo detto anche quel giorno. Parlare fa bene. E in questo momento vorrei cercare di capire perché hai fatto questa scelta che mi sembra assurda. Dimmi tutto, non ti giudico. Ti giuro che non ti giudico.»
Nic pensò che Daniele meritava di capire e ci provò. «Io... io pensavo che con le mie tendenze non avrei mai potuto avere una vita felice. Lo penso ancora, a dire il vero. Che se mi fossi incaponito su cazzate come sentimenti, anima gemella, batticuore e simili, non avrei mai combinato niente, che al massimo avrei potuto trovare un compromesso con una persona che mi piaceva a metà, o che mi facevo piacere spinto solo dal desiderio di... di scopare, scusa la brutalità. E allora mi son detto: se devo scendere a un compromesso, tanto vale farlo con una persona che stimo. Perché io di persone con cui stavo bene come stavo bene con Elisa ne ho trovate davvero poche nella vita. Era intelligente, le piaceva leggere, ed era sempre disponibile a darti una mano quando eri in difficoltà. Era la persona di cui avrei voluto... innamorarmi.»
Innamorarmi. Era stato difficile pronunciare quella parola anche in quel contesto. Amore era davvero un termine che faceva fatica uscire dalla sua bocca. L'aveva fatto solo per spiegarsi nel miglior modo possibile a suo figlio.
«Mi fai il ritratto di una donna che non ho mai conosciuto. Io ho conosciuto solo una donna acida, cattiva, un'oca frivola che pensava solo a se stessa e a quella mini estensione di se stessa che si chiama Michele.»
Mini estensione di se stessa... Forse Daniele ci aveva preso, con quella definizione.
«Sono stato davvero un pessimo padre. Non sono mai riuscito ad avvicinare lei a te, e non sono mai riuscito a staccarla da Michele.»
«Non so cosa avresti potuto fare...»
«Non sposarla. Non illudermi.»
«Così Io e Michele non saremmo nati e tutti questi problemi non li avresti avuti.»
Nic si voltò a guardare suo figlio. «Appena hai detto questa cosa ho capito di essere ancora più egoista di quel che pensavo.»
«Perché?»
«Perché se mi chiedessi, adesso, torneresti indietro? Cambieresti il passato per salvarla? Alla fine, nonostante io sia convinto del mio errore e di averla uccisa, ti direi di no... Perché non vorrei rinunciare a te e a Michele.» Nic trattenne il pianto digrignando i denti, odiandosi, dopo aver detto quelle cose. «È un omicidio che non avrà mai giustizia.»
Daniele si alzò in piedi e lo abbracciò. Nic non se l'aspettava, rimase immobile per parecchi secondi, prima di decidersi ad abbracciarlo a sua volta.
«Ti voglio bene, papà.»
Anch'io. Anch'io! Diglielo!
«Scusa, ma quelle parole io... io non riesco più a dirle.»
«Non serve.»
—
Note
I lettori di play credo comincino a riconoscere frasi già incontrate in quella storia. Penso che il messaggio finale di Elisa sia testamento di quanto ormai la sua testa fosse completamente separata dalla realtà.
E cosa ne pensate del secondo Coming out di Nic? Ci vogliono le tragedie, per tirargli fuori queste confessioni. Chiedo ai lettori di play: qualcuno di voi aveva immaginato che Daniele sapesse la verità sull'orientamento di babbo?
E adesso, Michele come la prenderà? Lo scoprirete lunedì prossimo. E lasciatemi una stellina se pensate che questo coming out andasse fatto molto prima e a un'altra persona.
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