80. Io vivo un metro più in là da quel che tu chiami realtà
Io vengo dalla fabbrica di plastica
Dove mi hanno ben confezionato
Ma non sono esattamente uscito
Un prodotto ben plastificato
E vivo un metro più in là
Da quel che tu chiami realtà
Sì, giusto quel metro più in là
Vivo io
(G. Grignani, La fabbrica di plastica, 1996)
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9 agosto 2011
Elisa e Michele rimasero abbracciati per almeno due minuti di fila, prima che lei finalmente si decidesse ad andare al cancello di imbarco.
«C-c-chiamami!» la pregò lui, col suo vocione ancora altalenante.
A differenza di quanto aveva fatto con Daniele, Elisa non aveva mai preso in giro Michele quando la voce aveva iniziato a romperglisi. Ma i primi tempi, Nic l'aveva sentita dirgli di provare a mantenere il suo tono più acuto, insegnandogli uno stupido esercizio vocale, trovato chissà dove su internet. Non appena Nic se n'era accorto, aveva fatto a entrambi una scenata e per fortuna Elisa aveva smesso di forzare il figlio a fare qualcosa di impossibile. Nic, però, aveva notato che Michele faceva ancora moltissima fatica a controllare la propria fonazione; per i ragazzi di quell'età era normale avere qualche sbalzo, ma in lui erano molto marcati e non accennavano a migliorare. Nic si chiedeva se le pretese di Elisa avessero influito sulle sue difficoltà, o se fosse un problema connesso alla sua balbuzie.
«Non vvvvedo l'ora che torni» mormorò mentre la guardava sparire all'imbarco: Elisa si voltò a salutarlo fino all'ultimo.
«Due mesi passano in fretta. Dai, torniamo al circolo a fare qualche palleggio, ché fra tre giorni inizia il torneo.»
Per pagare gli interventi estetici di Elisa avevano fatto un piccolo mutuo, perché i soldi che guadagnavano all'accademia li investivano tutti nella carriera dei due figli e non avevano molta liquidità a disposizione. La cosa era stata oggetto dell'ennesimo litigio tra Elisa e Nic: «Se avessimo accettato la prima offerta che la Nike aveva fatto a Michele adesso saremmo ricchi, e questi problemi non li avremmo avuti!» aveva rimarcato lei.
La combinazione di lifting, blefaroplastiche e filler che avrebbe fatto in regime di ricovero per due notti (era stato Nic a insistere su quello, se doveva farlo, che lo facesse nel modo più sicuro possibile) sarebbe costata loro trentacinquemila euro. Il primario della clinica privata aveva fatto un assessment da remoto e preparato un preventivo. Una volta arrivata a Milano, Elisa avrebbe fatto delle visite mediche e analisi, il chirurgo avrebbe esaminato le condizioni del suo viso dal vivo ed eventualmente aggiustato un po' il preventivo (Nic sperava non al rialzo), e nel giro di un paio di settimane Elisa sarebbe andata sotto ai ferri.
I tempi di recupero previsti, poi, erano di due mesi. Elisa contava di tornare da loro a fine anno.
La convalescenza l'avrebbe trascorsa a Genova, a casa della sorella Elena; con la madre, che era ancora viva, entrambe le sorelle avevano ormai tagliato qualsiasi rapporto. C'erano varie ragioni per cui aveva preferito fare l'intervento in Italia anziché negli Stati Uniti, ma quella principale era che non voleva far sapere niente a Michele.
Nic credeva fosse l'ennesima assurdità di Elisa, uno dei suoi sempre più frequenti episodi di distacco dalla realtà. Michele si era accorto che c'era qualcosa di strano nel suo viso quando aveva fatto quella piccola iniezione di botox: come pensava, Elisa, che non avrebbe notato un cambiamento così drastico al suo viso? L'avrebbe notato certamente e lei sarebbe stata costretta a dargli delle spiegazioni, svelando la sua menzogna, ossia che non stava andando a fare un intervento al suo ginocchio malandato.
Chi, invece, sapeva tutto era Daniele. Il figlio maggiore si era opposto con veemenza a quella decisione. La considerava una spesa frivola, inutile, egoista. Aveva ripetutamente usato questi tre aggettivi parlando con Nic e con la stessa Elisa, che si era ostinata a non rispondergli, come ormai faceva sempre.
Anche Nic era ancora contrario, non aveva cambiato idea. Si era arreso, più che essersi convinto. Disgustato da se stesso è un po' anche da lei per quel patetico pompino, si era sentito completamente svuotato da ogni volontà in merito a quella richiesta. L'apatia lo aveva spinto a lasciarla fare. Forse un po' anche il desiderio che lei non provasse più a fare una cosa tanto umiliante come quella per convincerlo. Come se lui fosse qualche tipo di pappone, o un simile uomo di merda.
Una cosa che sicuramente Nic avrebbe fatto, quando lei fosse tornata negli Stati Uniti, sarebbe stato convincerla – e se non voleva essere convinta costringerla – a ricominciare a lavorare. Era evidente che Elisa fosse in totale balia delle proprie paranoie perché la sua vita era vuota. Riempirla con qualcosa, con un'attività, un impegno, era fondamentale.
«La p-prossima set-t-timana vinco, a Bo-Boston. Così p-poi mando la foto alla mmmmmamma e lei se la mette sul comodino accaaaanto al letto, in ospedale. Ci sono i c-c-comodini in ospedale?»
«Non dovresti voler vincere per fare un favore a lei, ma per te stesso.»
«Vinco sia p-per lei che p-p-peeer me stesso» ribatté Michele. Quanto era vero? Nic non avrebbe saputo dirlo.
***
30 agosto 2011
Gli ultimi due giorni erano stati, probabilmente, i peggiori dell'intera esistenza di Michele. La madre aveva finalmente subito l'intervento, ma con il viso avvolto dalle fasciature e i punti freschi non poteva parlare e non avrebbe potuto farlo per un altro paio di giorni.
Non sentire la voce della madre aveva mandato Michele in crisi. Si era abituato a trascorrere almeno mezz'ora al telefono ogni sera, prima di andare a letto, e ora quelle chiacchierate gli mancavano e non faceva che scrivere messaggini, pretendendone altrettanti in risposta. La scusa trovata da Elisa per il silenzio era stata di essersi buscata una brutta tosse che l'aveva resa afona. Michele, che non metteva mai in discussione ciò che gli diceva sua madre, ci aveva creduto.
Nic era stato costretto a comprare a Michele un cellulare, ma si era rifiutato di prendergli uno di quei nuovi smartphone, perché preferiva impedire a suo figlio di navigare liberamente in Internet: era un ragazzino sin troppo infantile e impressionabile, rischiava di trovare qualcosa che lo traumatizzasse.
Inoltre, aveva visto l'effetto negativo che quell'aggeggio infernale aveva avuto su Daniele, che due anni prima, con dei soldi vinti a un torneo, si era comprato l'iPhone, il nuovo telefono della Apple.
Nic riconosceva che avere Internet ed e-mail in tasca, a portata di mano, fosse una comoda utilità, e lui stesso, prima che il mercato venisse divorato dall'iPhone, aveva avuto un BlackBerry. Ma l'uso che ragazzi e ragazzini facevano di quell'affare gli sembrava malsano. Passavano ore e ore incollati allo schermo, a ipnotizzarsi davanti a qualche giochino, o a raccontare i cazzi propri su Facebook.
Nic ricordava ancora lo sgomento e l'incomprensione che aveva provato la prima volta che Daniele gli aveva mostrato quel sito. Si era dovuto far spiegare almeno una decina di volte a cosa servisse, perché non lo capiva.
O meglio: lo capiva solo in parte. Capiva il desiderio di mettersi in contatto con vecchi e nuovi amici. Un'e-mail era una cosa privata, comunicare in quel modo era un po' come parlare al telefono: si doveva avere l'indirizzo dell'altra persona, era necessario un contatto personale. Con Facebook, le persone mettevano il proprio contatto pubblico online, raggiungibile da chiunque. Una specie di elenco telefonico, insomma.
Già quel primo aspetto gli sembrava folle: anni prima, Nic aveva tolto il suo numero di telefono dagli elenchi pubblici, per evitare di essere contattato da sconosciuti e rompiscatole. Possibile che adesso esistessero tante persone che facevano esattamente il contrario? E dando i propri dati privati! Ci si iscriveva con nome e cognome e gli iscritti scrivevano la propria data di nascita, le scuole che avevano frequentato, il lavoro che facevano, persino la persona con cui erano in una relazione! Daniele aveva risposto a quella obiezione spiegandogli: «Ma io lo faccio per farmi trovare dai miei amici, e mi fa piacere condividere le cose che faccio coi miei amici.»
«Sì, ma di fatto così chiunque può farsi cazzi tuoi! Anche gli sconosciuti! Non ti dà fastidio?»
«Ma cosa mi frega? Tanto, se sono sconosciuti...»
La seconda cosa che Nic non riusciva a capire era perché le persone dovessero essere interessate a ciò che le altre persone scrivevano sul proprio feed (così l'aveva chiamato Daniele). Perché, dopo aver ottenuto i primi contatti, ed essersi magari scritti dei messaggi reciproci in privato, Daniele doveva essere interessato al fatto che Pinco Pallino si fosse appena svegliato e avesse fatto colazione con una brioche, testimoniata da una stupida foto? O alle vacanze a Rimini dell'ex compagno delle elementari che Daniele non sentiva da dieci anni?
«Ai miei tempi gli amici che ti mostravano le foto delle loro vacanze erano considerati dei rompicoglioni» aveva detto Nic a Daniele.
«Sei vecchio» era stata la secca obiezione di Daniele. E Nic ci si era sentito davvero. Era stata la prima volta che Nic aveva percepito in modo netto il divario generazionale con suo figlio.
Per fortuna Michele sembrava pensarla come Nic, su Facebook. Una sera, a cena, Daniele aveva proposto a suo fratello di iscrivervisi. «Così ti fai qualche amico. Con questo coso non serve parlare, nessuno si accorgerà che balbetti» gli aveva detto. Ma la secca risposta di Michele era stata: «Non mi interessa.» E Nic ne era felice. Era terrorizzato dagli eventuali sconosciuti che avrebbero potuto approfittarsi di lui attraverso quello strumento.
Un profilo Facebook se l'era fatto anche Nic. Con un nome falso, perché a differenza di Daniele Nic non aveva nessun desiderio di mostrare i cazzi propri al mondo intero. Il motivo per cui l'aveva fatto, era stato uno solo: cercare Raffaele.
Nic non aveva mai perso del tutto le speranze di rivederlo un giorno spuntare dal nulla. Magari sposato, con dei figli. Allenatore di tennis, o qualsiasi altro lavoro. Scoprire che era scappato per rifarsi una vita e che c'era riuscito. Che era felice.
Si rendeva conto che era un'illusione, forse persino peggiore di quella di Elisa che sperava di tornare indietro nel tempo con la chirurgia plastica. Ma non poteva imporre alla sua testa cosa pensare.
Si era iscritto e aveva cercato il suo nome: Raffaele Novelli. Aveva rischiato di avere un infarto, quando aveva trovato una corrispondenza. Ma erano bastati pochi secondi a capire che si trattava di un omonimo, un ragazzo di vent'anni. Nic aveva esplorato il profilo di quel tizio, pensando che magari potesse essere il suo Raffaele e che avesse usato delle foto finte, ma si trattava di una persona vera, con amici e interessi che con quelli di Raffaele non c'entravano niente. Se Raffaele era vivo, probabilmente provava per Facebook la stessa diffidenza di Nic.
Deluso da quel buco nell'acqua, si era messo poi a cercare alcune vecchie conoscenze: diversi suoi coetanei friulani avevano aperto un profilo, e Nic aveva sbirciato un po' nella loro vita, sentendosi come durante quella chiacchierata con la Federica Jeroncic al pignarûl. Infondo quel Facebook era una specie di piazzetta di paese allargata su scala mondiale. Resistette alla tentazione di cercare Leonardo, anche se il suo nome aveva fatto capolino dall'elenco dei contatti di diverse persone.
Leonardo Devetak. La piccola foto accanto al nome non ritraeva il suo viso, era il logo del suo gruppo di liscio, i Matuçs, Una scritta rossa piegata ad arco circolare su sfondo giallo con una nota musicale nel fulcro dell'arco.
Nic era rimasto per almeno un minuto con il dito sospeso sopra al nome e la tentazione fortissima di cliccare per vedere com'era diventato. L'ultima immagine che aveva di lui era quella in ospedale. Nel poster pubblicitario a Capriva aveva visto solo un ciuffo di capelli e le sue mani. Come poteva essere diventato dopo trent'anni? Aveva perso i capelli? Era ingrassato? Le troppe sigarette gli avevano guastato i denti? Alla fine Nic decise che non avrebbe voluto saperlo. Perché rovinare un bel ricordo? Probabilmente non l'avrebbe incontrato mai più, meglio che rimanesse il ragazzo bruttarello e sgraziato dei suoi ricordi, piuttosto che un panzone male invecchiato.
***
16 settembre 2011
«Sono ancora tutta gonfia, pensavo che avrei cominciato a vedere qualcosa, ma sono ancora in condizioni orrende...»
«Mi sembra normale, sono passate solo due settimane... Il tempo di recupero totale diceva che erano uno o due mesi, no?»
Elisa, comunque, sembrava contenta e ottimista, anche il fatto che parlasse era positivo. A Nic faceva piacere sentirla così, ma quanto sarebbe durato l'idillio? Quanto tempo sarebbe passato prima che sentisse il bisogno di fare un secondo intervento? Nic si rendeva conto che in quel modo non era possibile andare avanti e si stava chiedendo se fosse opportuno divorziare. Erano entrambi ancora giovani: Elisa si sarebbe potuta rifare una vita, magari trovare un altro uomo che la amasse come meritava e non a metà. Daniele ormai era adulto e avrebbe capito. Quanto a Michele... probabilmente Elisa avrebbe chiesto l'affido, e...
Nic inorridì all'idea di lasciar solo Michele con sua madre.
«Passami Michi!» disse intanto Elisa al ricevitore.
Nic chiamò Michele, che corse al telefono tutto allegro, con Sara che lo rimproverava abbaiando.
Continuò a riflettere: che Elisa lasciasse amichevolmente l'affido a Nic era fuori discussione, impossibile. Se Nic avesse voluto ottenere l'affido esclusivo avrebbe dovuto andare in tribunale e dimostrare che i problemi psicologici di Elisa le avrebbero reso difficile accudire il figlio... e forse Nic avrebbe potuto mettere sul tavolo anche il suo maggiore impegno lavorativo. Ma era risaputo che i giudici tendevano a dare l'affido più spesso alle madri che ai padri, e chissà Elisa quante menzogne avrebbe raccontato, su Nic, pur di strappargli il pargolo adorato.
Ma anche se Nic fosse riuscito a dimostrare di essere il genitore più adatto... ne valeva davvero la pena? Il divorzio sarebbe stato uno stress emotivo e monetario per tutti, e allontanare Michele ed Elisa sarebbe stata una crudeltà nei confronti di entrambi.
No. La situazione doveva restare così com'era e la felicità cercata in modo diverso.
***
9 ottobre 2011
«Sei sicuro che Michele è fuori?»
«Ma sì, ti giuro. Mostrami.»
Elisa accese la telecamera.
Il suo volto appariva ancora un po' tumefatto, soprattutto intorno agli occhi, ma già si notavano i segni degli interventi: le sue labbra erano più carnose, quello superiore a giudizio di Nic in modo un po' eccessivo. Gli zigomi erano molto più gonfi di prima e in generale il suo viso aveva quell'aspetto tirato che agli occhi di Nic rendeva i visi delle donne rifatte tutti simili tra loro.
Elisa si indicò gli zigomi. «Sono troppo gonfi, fanno impressione!»
«Hai sicuramente ancora un po' di edema.»
«Non lo so... mi faccio impressione. E non riesco ancora a muovere bene la faccia. Quando sorrido o faccio espressioni, i muscoli rispondono in modo strano... non come mi aspetterei.»
«È normale, Eli, è passato solo un mese...»
«Più di un mese!»
«Dico davvero. Secondo me ti devi ancora assestare. E comunque mi sembra che stai già molto bene» mentì.
«No. Non so. Non lo so, non sono convinta... Non è come me l'aspettavo. Forse devo fare qualche aggiustamento.»
«No» disse secco Nic. Si era chiesto quanto sarebbe passato prima che ne volesse altri, e ne chiedeva uno nuovo quando non era ancora del tutto guarita dal primo?
«Be', ma se il lavoro non è venuto bene...»
«Puoi aspettare che passino questi due mesi e vedere il risultato finale prima di fasciarti la testa?»
Elisa sospirò. «Forse hai ragione.» Alzò il mento e si indicò il collo. «Guarda com'è ben definito il contorno mandibolare!» disse di nuovo allegra. Nic sperò che quell'allegria fosse un buon segno e che le idee di poco prima svanissero in fretta dalla sua testa.
***
3 novembre 2011
Michele entrò nello spogliatoio a testa bassa, con gli occhi arrabbiati. Aveva appena perso al terzo turno di un importante torneo juniores under 17, che si teneva proprio lì a Miami.
«M-mi sarebbe t-t-tanto piaciuto mostrare alla mmmmamma la coppa, quando tornava a casa...»
«Non dire sciocchezze, Michele, hai solo tredici anni ed eri uno dei più piccoli del torneo.»
«T-tredici e o... oootto mesi» puntualizzò lui.
«Non cambia molto, non si è mai sentito che un ragazzino di tredici anni vince un under diciassette di primo livello.»
«Ma io non sono un ragazzino qualunque.»
Nic sospirò. Tutti gli atleti dovevano essere sicuri di sé, ma Michele ogni tanto sfiorava la megalomania, caricato com'era dalle continue parole di esaltazione che gli rivolgeva sua madre.
«Non lo sei, è vero. Ma avresti dovuto essere un Dio sceso in terra, per vincere a tredici anni contro dei ragazzi di diciassette. Sei ancora mingherlino e stai crescendo, devi avere un po' di pazienza. L'anno prossimo potresti già avere qualche chance in più.»
«Ma la mamma mi dice sempre che è meglio se non metto su troppi muscoli, altrimenti divento pesante e corro meno...»
«Sarà per quello che ti toglie le portate dal piatto?» intervenne Daniele, che aveva seguito l'incontro dagli spalti insieme a Nic e ora era in spogliatoio.
Nic si voltò prima verso di lui, poi di nuovo verso Michele. «Cos'è questa storia?»
Michele rivolse un'occhiata rabbiosa a suo fratello, che nel frattempo stava continuando a parlare: «E poi questo mona si alza nel cuore della notte e va a mangiare di nascosto... Lui e sua madre, uno più cretino di quell'altro!»
«Michele. Spiegami questa storia, per favore... La mamma ti toglie il cibo?»
«La mmmamma mi d-d-da la q-quantità g-g-g-g...»
«Dal modo in cui stai balbettando, intuisco che mi stai nascondendo qualcosa...» disse Nic.
Nic ed Elisa si alternavano nella prepararazione dei pasti per Michele, ma era più spesso lei a cucinare. Daniele si arrangiava da solo, per sua scelta: la dieta era una delle cose in cui amava meno la disciplina, e preferiva mangiare secondo suo gusto, piuttosto che secondo quello che diceva il nutrizionista.
I pasti di Michele, invece, erano tutti dosati alla perfezione secondo le indicazioni del nutrizionista dell'Accademia, che bilanciava correttamente la quantità di proteine, carboidrati e grassi necessari a un ragazzo in via di sviluppo che faceva sport a livello agonistico, basandosi su valutazioni scientifiche del suo peso osseo, della sua altezza, della sua struttura fisica generale. Se Nic avesse avuto un aiuto simile, da ragazzo, quanti grattacapi si sarebbe risparmiato...
Capitava spesso che Nic non si fermasse al tavolo con loro, anche quando cucinava lui, perché era sempre impegnato a preparare qualche programma di allenamento per il giorno dopo, o semplicemente per passare un po' di tempo insieme a Daniele, visto che durante il giorno lo vedeva meno del fratello minore.
Le folte sopracciglia di Michele erano abbassate sui suoi occhioni scuri. Aveva gli di occhi grandi contornati da delle belle ciglia lunghe, quasi femminili, e uno sguardo profondo e intelligente, molto espressivo. Ciò che faticava tanto a esprimere con le parole spesso lo diceva con lo sguardo. In quel momento stava esprimendo rabbia e sdegno. «Il nutrizionista non c-c-ca-capisce nnnnniente! La mamma s-s-sa cosa è meglio p-peeer il... il... il mmmio fisico. La mamma mi ha s... sempre allenato e mmmi ha fatto d-d-d-diventare un campione. La mamma! Non il nutrizionista!»
Nic inorridì al pensiero dei danni che Elisa poteva aver fatto con quelle decisioni senza senso. Perché l'aveva fatto? Voleva sabotare suo figlio? Il ragazzino che aveva allenato con dedizione da quando aveva quattro anni?
«Te le ha dette lei queste cose, vero?» gli chiese Nic.
«Certo che gliel'ha dette lei. Ha mai avuto un suo pensiero originale, questo mona?» disse Daniele.
Nic si voltò di scatto verso di lui. «E tu perché non mi hai mai detto niente?»
Daniele alzò le mani. «E perché avrei dovuto dirti qualcosa? Sono il suo babysitter, forse?»
«Non ti sembrava una cosa importante? A mangiare troppo poco rischiava un infortunio, un collasso...»
Daniele ridacchiò. «Non preoccuparti, tanto poi si scofana mezzo frigo di nascosto...»
«N-n-n-non è v-v-v...»
«E questa storia cos'è?»
Michele non rispose. Lo fece Daniele al posto suo. «Mi sembra facile da capire: la stronza lo tiene a stecchetto, lui, povero, ha ancora fame e rimedia da solo.» Daniele fece un'altra risatina. «Una sera l'ho sgamato che aveva mangiato talmente tante schifezze che poi ha vomitato tutto in bagno!»
Nic era fuori di sé dalla rabbia. «Michele, ma sei scemo o cosa? Ma non ti sai controllare?»
Gli occhi di Michele erano lucidi. «M-m-mi era venuto il nervoso p-perché... c-cioè, ero... m-mi dava fastidio che avevo p-p-perso una p-p-partitella contro q-q-quello scarso di C-c-carter e... e...»
«E allora hai mangiato troppo perché eri nervoso» completò Nic. «Ma il motivo principale per cui l'hai fatto è che avevi fame! Se è vero quello che mi dice Daniele, e io penso che sia vero, non ti viene il dubbio che la mamma sta sbagliando qualcosa, se ti ritrovi a notte fonda affamato?»
«Ma la mamma...»
«La mamma ha sbagliato, Michele. Probabilmente lo ha fatto in buona fede, ma ha fatto un errore.» Nic sospirò. «E il dottore, proprio la settimana scorsa mi stava dicendo... finalmente Michele sta mettendo su peso, mi stavo preoccupando perché era troppo magro per la sua età e per la sua altezza! Io sul momento non mi ero posto il problema. Pensavo che fossi magro perché stai crescendo molto in fretta... E invece! Cazzo! Da quant'è che va avanti questa storia?»
«Io è almeno un anno che la vedo che gli toglie roba dal piatto quando cucini tu...» disse Daniele.
«E avresti dovuto dirmelo! È tuo fratello, cazzo!»
«Sì, il mio fratellino di cui tutti si preoccupano sempre tantissimo! Pensavo non fosse un problema se una persona su tre in famiglia lo lascia in pace...»
«Ok, lasciamo perdere... meglio tardi che mai. Michele, da oggi in avanti, anche quando tornerà la mamma, dovrai seguire sempre le indicazioni del nutrizionista.»
«La mamma n... la mamma n... la mamma non vuole che divento troppo p-p-pesante.»
«Diventerai pesante il giusto. Hai un fisico longilineo e sei molto veloce, ma alto come sei... forse diventerai anche più alto di me, e un ragazzo con la tua altezza deve anche avere dei bei muscoli per fare dei bei servizi e per non infortunarsi. Non è sano mangiare poco, per un atleta. La mamma nell'ultimo periodo non è stata tanto bene, lo sai anche tu questo, vero?»
Michele si intristì, abbassò lo sguardo, annuì.
«Secondo me ha preso una decisione sbagliata per questo: perché non sta tanto bene, fa fatica a ragionare nel modo giusto. Non l'ha fatto apposta, hai capito?» Nic stava cercando di spiegare a Michele l'errore di Elisa in modo da metterla nella migliore luce possibile ai suoi occhi, altrimenti temeva che l'avrebbe rifiutato del tutto e avrebbe continuato quella dieta scriteriata. «Quando torna a casa ne parliamo insieme con lei e vedrai che capirà anche lei di aver fatto un errore di giudizio.»
Michele annuì di nuovo. «Q-quando t-t-torna a casa? Aveva detto d-d-d... d-due mesi...»
«La convalescenza ci sta mettendo un po' più del previsto. Comunque non prepccuparti, tra qualche settimana dovrebbe tornare» disse Nic.
«Questo ginocchio ci sta mettendo davvero parecchio a guarire...» intervenne Daniele con una punta di malizia. Per fortuna Michele parve non accorgersene.
«Niente di grave. Tra poco la rivediamo» concluse Nic.
Quel pomeriggio Nic si confrontò con Elisa sul problema dell'alimentazione di Michele, ed ebbero un litigio violento. Talmente violento che Nic, nel bel mezzo della telefonata, si allontanò a piedi dal circolo per non farsi sentire da figli o colleghi.
Lei era sicuramente nervosa anche perché i risultati dell'intervento estetico non erano esattamente quelli che aveva sperato, ma la cattiveria con cui si scagliò su Nic fu esagerata.
Lo accusò di fregarsene dello sviluppo di suo figlio, di essere cattivo con lei e darle contro per partito preso su qualsiasi cosa e minimizzò la quantità di cibo che «ogni tanto» (a suo dire) toglieva dal piatto a Michele per non appesantirlo troppo.
La telefonata si concluse con un grido disperato: «Tu vuoi portarmi via il mio bambino!»
In seguito, non parlò con Nic per due settimane.
***
18 novembre 2011
«Ho prenotato il volo. Parto dopodomani, ti mando in mail i dettagli.»
Furono le prime parole che Elisa rivolse a Nic dopo il litigio sulla dieta di Michele.
Erano le quattro del pomeriggio a Miami, le dieci di sera a Genova. Michele si stava allenando, Daniele aveva appena finito una seduta di massaggio e Nic era lì con lui in sala massaggi, che al momento era per fortuna vuota.
Nic cercò di essere cordiale con lei. «Non vedo l'ora di rivederti. Come stai?»
«Chi è Amelia?»
Nic rimase spiazzato dalla domanda. Per parecchi secondi pensò che Elisa lo stesse accusando di tradimento e cercò nella sua memoria un'adulta con quel nome, prima di ricordare che c'era una nuova giovanissima tennista entrata a settembre in accademia che si chiamava così. «L'unica Amelia che mi viene in mente è... accidenti non ricordo il cognome. È una ragazzina spagnola che...»
«Fraguas» suggerì Daniele.
Nic fece schioccare le dita. «Ah sì, Fraguas. Amelia Fraguas, parli di lei?»
«Lascio solo Michele per due mesi e già le troiette iniziano a girargli intorno, ma non lo controlli?»
«Eh?»
«Lo sai benissimo che si vogliono solo approfittare di lui! È almeno un mese che appena può me la nomina! E oggi Amelia ha fatto questo, e oggi Amelia mi ha salutato, e oggi ho palleggiato cinque minuti con Amelia! E Amelia di qua e Amelia di là... e tu non ti sei accorto di niente! Coglione! Che tipa è?»
«Eli, è normale che cominci a piacergli qualche ragazza...»
«Alla buon'ora...» aggiunse Daniele.
«Non mi rispondi? Che tipa è? Quanti anni ha?» chiese Elisa.
«Mi sembra che ha la sua età, o forse un anno di più. È una ragazza carina, mi sembra molto gentile, saluta sempre... non è che mi metto a parlare con le ragazzine, non la conosco.»
«Amelia Fraguas hai detto? Trovata. Tredici anni, dice. Mammamia che cessa! Ha un naso che fa provincia!»
Nic non riusciva a credere alle sue orecchie. La ragazza aveva davvero un naso un po' pronunciato, ma a Nic sembrava graziosa.
«E guarda che bocca da pompinara che ha!» aggiunse lei.
«Elisa! Ha tredici anni! Ma cosa cazzo dici?»
Nel frattempo Daniele, che evidentemente stava sentendo tutto, ridacchiava.
«Ma possibile che non ti sei accorto di niente?» si lagnò Elisa.
Nic fece mente locale. Aveva sentito anche lui Michele nominare qualche volta quella ragazzina. Ma non aveva avuto l'impressione che le piacesse, non da quel punto di vista. Michele parlava spesso – forse persino più spesso – anche di Benedict, un ragazzo inglese che aveva un anno più di lui. A Nic l'atteggiamento di Michele nei confronti di quei due ragazzi era sembrato amichevole, più che sentimentale. I ragazzini di quell'età erano spietati, e in un contesto competitivo come quello dell'Accademia erano spietati il doppio rispetto a dei ragazzini qualunque. Nic era sempre molto all'erta nel controllare che Michele non venisse preso in giro per la sua balbuzie. Amelia e Ben erano tra i pochissimi ragazzini che non lo avevano mai preso in giro, almeno non mentre Nic lo teneva d'occhio, e Nic si era spiegato in quel modo la moderata simpatia dimostrata da Michele nei loro confronti. Ma non escludeva che uno o l'altro potessero interessargli anche da un altro punto di vista.
Nic cercò di far ragionare Elisa secondo quella linea di pensiero. «Parla spesso anche di Ben. Non ti parla mai di lui?»
«Ma cosa c'entra? Ben è un maschio!»
«Be', magari Michele è gay, cosa ne sai?»
Daniele rise. «Non sconvolgerla, poveretta. Poi si mette essere gelosa anche dei maschi...»
Ci furono diversi secondi di silenzio nel ricevitore, prima che Elisa dicesse: «E comunque mi sta antipatico anche lui, mi sembra un approfittatore. Ha un anno di più di Michele, quando mai si è sentito che a quell'età i ragazzini fanno amicizia con altri ragazzini più piccoli?»
«Come volevasi dimostrare...» mormorò Daniele.
«Eli, non ti preoccupare, so benissimo che Michele è un ragazzino problematico e che i ragazzini della sua età tendono essere degli stronzi. Lo tengo molto sotto controllo da quel punto di vista. Ma non puoi impedire che abbia qualche simpatia romantica... Così come non puoi incazzarti se si fa le seghe. A quell'età è normale.»
Daniele rise di nuovo.
«Non lo dire più!» gridò Elisa. «Sei uno sporco schifoso depravato a pensare queste cose di tuo figlio!»
«Ma cosa cazzo dici?» si scaldò Nic. «Sei una depravata tu sei interpreti le mie frasi in modo strano! Io sto semplicemente riconoscendo che mio figlio, anzi, entrambi i miei figli sono degli esseri umani!»
«Proud segaiolo since 1999» scherzò Daniele.
Nic senti Elisa piangere nel ricevitore. «E adesso cos'hai?» le chiese.
«Va tutto a rotoli! Tutto! La mia vita è una merda! Non ha più senso niente! Sto perdendo il mio bambino, sto perdendo la mia faccia, sono una pezza vecchia da buttare via, non servo più a niente!»
Daniele fece il verso a sua madre facendo delle boccacce e imitando una persona che piangeva. Nic gli rivolse uno sguardo duro e gli fece cenno di stare zitto, e Daniele, con aria riluttante, interruppe la scenata.
«Dai. Pensa che fra tre giorni ci rivedi. Pensa che fra tre giorni puoi abbracciare di nuovo Michele» cercò di consolarla Nic.
«E magari è lui che non vuole abbracciarmi più! Perché ormai è diventato grande, e i ragazzini grandi non hanno voglia di abbracciare i genitori» piagnucolò lei.
«Ma se Michele ti adora e non vedo l'ora che torni!»
«E quando torno, poi, mi vede in queste condizioni!»
«Smettila di farti le paranoie, sei bellissima. Stai benissimo.»
«Non è vero, lo sai che non è vero! Mi racconti delle palle solo per consolarmi. Faccio schifo! Hanno fatto un lavoro di merda! Io volevo indietro la mia faccia, ma questa non è la mia faccia! È la faccia di una vecchia rifatta! Sono diventata una vecchia rifatta!»
«Mammamia quante sberle le tirerei quando fa così...» sussurrò Daniele.
«Elisa, Cristo santo! Ma la smetti di dire queste cazzate? Ma lo vuoi capire che tu non sei la tua faccia ma il tuo cervello?»
«Ma io non mi sento così! Possibile che non posso fare niente? Questa faccia mi fa schifo! Mi faccio schifo!»
In maniera del tutto inaspettata, Daniele strappò di mano il telefono a Nic. «Senti, brutta stronza egoista! Abbiamo speso cinquantamila euro per farti fare questa cazzata, e adesso ci dici che non sei contenta? Ci siamo indebitati per te, io ho rinunciato a giocare un torneo in Asia perché il viaggio costava troppo, per farti fare questa cazzata, e tu adesso ti lamenti?»
Nic udì silenzio nel ricevitore. «Daniele, datti una calmata...» disse. Tese una mano verso suo figlio per farsi riconsegnare il telefono.
Ma Daniele continuò a parlare. «Cresci, cazzo! Hai cinquant'anni! Hai cinquant'anni e ragioni come un'oca di quindici! Il tempo passa per tutti, e tu non puoi farci niente. Prima accetti questa cosa, meglio stai. Finiscila di fare i capricci come una bambina e accetta il fatto che stai invecchiando e che non puoi farci niente!»
Nic senti la voce di Elisa, e si stupì, perché erano secoli che non la sentiva dire qualcosa a suo figlio Daniele. «Hai ragione, Dani. Non posso farci niente.» E così dicendo chiuse la chiamata.
Daniele scosse la testa, facendo una risatina amara. «Lo sapevo. La metti davanti alla realtà e la sua reazione qual è? Non vuole più parlare. Tipico.»
«Dammi il telefono che la richiamo. Hai esagerato.»
«Ah, io ho esagerato? Io?»
Nic fece partire la chiamata. Il telefono fece qualche squillo, ma Elisa chiuse senza rispondere.
Nic le scrisse un messaggio:
Richiamami, per favore.
Nic e Daniele raccolsero le loro cose, anche perché la stanza massaggi doveva essere usata da qualcun altro. Nic rimproverò suo figlio perché era stato troppo duro con lei, ma riconobbe che aveva una parte di ragione.
Dopo mezz'ora riprovò a chiamare Elisa, ma questa volta il telefono lo trovò spento.
E quando passò a prendere Michele al campo, alla fine della sua sessione di allenamento, decise di dargli la buona notizia. «La mamma torna a casa fra tre giorni.»
Michele fece un sorrisone a trentadue denti. «Ma d-dai! Mi sa che voleva farmi una sorpresa, perché non mi ha detto niente, p-prima.»
«L'hai sentita?»
«Sì, sarà stata mezz'ora fa...»
L'ha chiamato dopo aver chiuso la chiamata con me, rifletté Nic.
«E cosa ti ha detto?» Nic temeva che potesse avergli fatto dei discorsi sgradevoli sulla propria faccia in cui non si riconosceva più, o ancora peggio su Amelia e la sua "bocca da pompinara", ma per fortuna dalle parole di Michele capì che si era trattata di una telefonata normale. Gli aveva chiesto com'era andato l'allenamento e gli aveva detto di volergli bene. Il solito. Probabilmente Elisa voleva solo consolarsi un po' sentendo la voce del "suo bambino".
A Genova ormai era notte fonda, e Nic pensò che non aveva più senso provare a chiamarla: quando Elisa decideva di chiudersi nel suo mutismo non c'era niente da fare. Era molto probabile che non si sarebbero più parlati fino al suo ritorno negli Stati Uniti.
Durante la cena, Nic ne approfittò per chiedere a Michele di Amelia. «Ti piace quella ragazzina?»
Michele ammise senza enfasi e senza timidezza che gli stava simpatica «p-p-perché mi sembra che non le dà fastidio quando b-b-balbetto.»
«Se decidi di metterti con lei, ti volevo dire che per me non c'è nessun problema.»
Quella frase sembrò allarmare Michele. Arrossì persino.
«Tu veramente in queste cose non ci sai fare...» commentò Daniele.
«Non sono int-t-teressato ad avere u... una ragazza» disse Michele in tono molto composto.
Nic si stupì di quella frase. Quindi Michele era davvero gay? Quante probabilità c'erano che padre e figlio fossero gay? Era una cosa genetica? No, non era possibile che lo fosse...
«Se ti piace qualche ragazzo per me non ci sono problemi» disse.
Con la stessa compostezza con cui aveva pronunciato la frase precedente Michele aggiunse: «Non s-sono interessato nemmeno ad a-aaavere un ragazzo.»
«Te le ha messe in testa la mamma queste idee del cazzo, vero?» disse Daniele.
«No» rispose prontamente Michele. «Non mi interessano queste cose.»
«Le seghe te le fai, però» insisté Daniele.
Michele arrossì di nuovo.
«Non devi vergognartene, è una cosa naturale» intervenne Nic.
«S-sì me l'hai già d-d-detto che fa bene alla sss... alla s... alla salute. Ma sono due cose d-diverse. Avere una rrrelazione mi sembra una p-p-pe-peeerdita di tempo.»
«Non devi mica starci insieme, puoi anche solo farti una scopata!»
«Daniele...» disse Nic in tono di rimprovero.
«Anche quella mi sembra una p-perdita di tempo» aggiunse Michele in tono quasi annoiato, ora.
Nic non sapeva bene cosa pensare di quelle affermazioni: stava dicendo la verità o stava minimizzando perché si vergognava a parlarne? E se stava dicendo la verità, quanta influenza poteva aver avuto Elisa in quell'atteggiamento del figlio? Qualunque fosse la risposta, non gli sembrava una cosa sana.
***
19 novembre 2011, ore 2:14
Nic fu svegliato nel cuore della notte dal telefono che squillava.
Elena. La sorella di Elisa. Cosa voleva? Che ora era in Italia in quel momento? Nic fece mentalmente il calcolo: le otto e un quarto del mattino.
«Pronto?» disse con la voce impastata dal sonno.
Ci fu una pausa di qualche secondo, prima che Elena cominciasse a parlare. «Nicolò...»
Nic udì Elena prendere un grande respiro. Un secondo. Poi un terzo. A ritmo irregolare.
Infine parlò di nuovo.
«Elisa si è ammazzata.»
—
Note
È arrivato un momento molto tragico della storia che i lettori di Play aspettavano.
Penso che questi capitoli abbiano reso molto chiara qual è la ragione per cui Elisa si è tolta la vita. Non solo l'incapacità di accettare il proprio invecchiamento, ma anche l'incapacità di accettare che il suo bambino, la "mini-estensione di se stessa", stesse crescendo, trasformandosi, affrontando una nuova fase di vita che avrebbe potuto portare all'indipendenza. Oserei dire che i due fattori abbiano avuto pari peso e che l'assenza del secondo forse non avrebbe portato a una tale tragedia.
Vedremo nei prossimi capitoli come i vari personaggi affronteranno questo lutto.
Ci tengo a dire due parole anche sulla canzone perché rivaluta un cantautore che gode di pochissima stima artistica: Gianluca Grignani, che nella mente della maggior parte delle persone è quello che scrive ballate sdolcinate o le volgarità random di Ti raserò l'aiuola. In realtà il povero Gianluca è una vittima del suo stesso personaggio, dell'esser stato per prima cosa un idolo melodico adolescenziale dei primi anni '90. le sue aspirazioni erano diverse, sono dimostrate da questo album che lui ha voluto fare contro il parere della sua stessa casa discografica, un album dalle sonorità rock vagamente psichedelico che mal si sposava con il pubblico di ragazzine romantiche e ingenue che aveva all'epoca. È stato un fiasco ed è stato poco apprezzato anche dalla critica, all'epoca, ma pur non essendo un capolavoro di originalità, contiene per me degli spunti davvero interessanti. Ascoltate questa canzone, dimenticandovi tutto quello che sapete di Gianluca Grignani, e ditemi se non è bella, sia nella musica che nel testo. Se Grignani avesse cominciato con quest'album e avesse avuto altro supporto di marketing alla sua immagine, credo che oggi parleremmo tutti di lui come di un artista diverso. Purtroppo il successo scarsissimo che ha avuto lo ha costretto a ritornare sui suoi passi e questa rimane una perla isolata nella sua carriera.
https://youtu.be/U7cwXvZMfZk
Ci rileggiamo giovedì, e lasciatemi una stellina per tutte le pene che sto facendo patire alla povera famiglia Bressan.
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