77. Preferisci rimanere solo qua nella provincia
In America lo sai che i coccodrilli vengon fuori dalla doccia?
E che le informazioni meteo sono prese pari pari dalla Bibbia?
Non dirmi che non ci sei stata mai
Che non vorresti esserci nata mai
Che preferisci rimanere solo qua
Nella provincia denuclearizzata
A sei chilometri di curve dalla vita
E dire a tutti che sto bene, sto benissimo a sapere
Che voi state bene insieme quando vi vedete
(S. Bersani, Coccodrilli, 1997)
—
30 marzo 2002
Michele stava facendo dei segni a Elisa.
Di nuovo.
E come se non bastasse, Elisa gli stava rispondendo.
Quella storia doveva finire. Subito.
«Elisa, puoi venire un attimo di là?»
«M-m-m...»
«Torno subito, tesoro» disse Elisa. Poi lanciò un'occhiataccia a Nic, ma lo seguì in cucina, mentre Michele, seduto a terra in mezzo ai suoi peluche, guardava la madre con gli occhietti disperati e le manine tese verso di lei.
Nic chiuse la porta della cucina e incrociò le braccia. «La devi smettere di trattarlo come un handicappato.»
Elisa strinse le labbra. «Non lo tratto come un handicappato. La lingua dei segni è una forma di comunicazione rispettabilissima.»
«Usata dagli handicappati.»
«Usata dai sordi, stronzo!»
«E Michele, fino a prova contraria, non è sordo. Smettila di parlargli in quel modo. Non capisci che facendo così rinforzi il suo problema?»
«E tu non capisci che altrimenti non riesce a parlare, e così invece si sente libero?»
«Ma non è così che si risolvono i problemi, cazzo!» Nic batté una mano sul tavolo.
«E come pensi di risolverli?»
«Di sicuro non aggirandoli con dei trucchetti. Non scappando. Affrontandoli. Michele ha bisogno di parlare, ha bisogno di far pratica. Se non fa pratica rimane balbuziente per tutta la vita! Che futuro può avere? Non ci pensi?»
Elisa socchiuse gli occhi, con odio. «Per giocare a tennis non serve parlare.»
«Parlare serve per vivere, Cristo!» Nic si rese conto che stava alzando la voce. Che, per i suoi standard, significava che stava parlando a volume normale anziché in tono contenuto come faceva sempre. «E poi metti che non vuole giocare a tennis?»
«Ma se sta sempre con le palline e le racchette in mano a imitare quello che faccio! Ovvio che vuole giocare a tennis, mi ha già detto che vuole diventare bravo e bello come me.»
«Bello, soprattutto...» disse Nic caricando la sua voce di sarcasmo.
Elisa assunse un'espressione offesa. «Guarda che proprio l'altro giorno un ragazzo di ventidue anni mi ha fatto i complimenti, dicendo che mi avrebbe dato almeno dieci anni in meno!»
«Non ti stavo insultando, stupida. Stavo semplicemente facendo un po' di ironia su questa tua ossessione per essere sempre belli.»
Mentre discutevano, Nic sentì la voce di Daniele ridacchiare nell'altra stanza e dei piagnucolii di Michele. Li sentì anche Elisa, che si fiondò fuori dalla cucina. Nic la seguì, e si trovò davanti Daniele che prendeva in giro Michele: «Come si chiama il tuo peluche preferito?»
«D-d-d...»
«D-d-d? Perché non riesci a dirlo?»
Il piccolo Michele, poverino, annaspò nel tentativo di pronunciare quel nome. Nic provava una pena incredibile quando lo vedeva fare così, e purtroppo gli succedeva spessissimo: soffriva di una forma di balbuzie molto grave che gli causava dei veri e propri attacchi di ansia quando era sotto pressione per parlare. Apriva la bocca e il fiato gli si strozzava in gola, non riusciva a tirar fuori neanche una parola.
Nic apri la sua, di bocca, per rimproverare quel bulletto di Daniele, ma Elisa fu più svelta di lui, afferrò il braccio del suo figlio maggiore, lo strinse con violenza e lo scosse. Daniele, spaventato emise un grido, che agitò ancora di più Michele e lo fece piangere.
Vedere Elisa violenta con Daniele azzerò per un attimo il pensiero cosciente di Nic e lo spinse a fare una cosa che non aveva mai fatto in vita sua. Prese a sua volta il braccio con cui Elisa stava tenendo Daniele e lo stritolò con tale forza da spingerla a mollare la presa.
Lei si voltò e lo fissò sgranando gli occhi, visibilmente spaventata. Lui parlò a voce bassa, ma lo sforzo di trattenerla la arrochì. Sembrava un ruggito, la voce di un demone che viveva dentro di lui. «Io non sono una persona violenta, ma se ti azzardi di nuovo a fargli male, te ne faccio il doppio!»
Elisa deglutì e con gli occhi sempre sbarrati annuì.
«È la prima volta che lo strattoni in quel modo?» Nic si voltò verso Daniele, che fissava i suoi genitori terrorizzato. «È la prima volta che lo fa? Ti ha mai picchiato?»
Gli occhi di Daniele si inumidirono, non disse niente ma scosse rapidamente la testa. «Sei sicuro? Dimmi la verità!» insisté Nic.
Daniele iniziò a piangere. «No...» pigolò. «C-cioè, tipo prima magari...» Poi guardò sua madre. «Ma non so...»
Nic si rivolse a Elisa. «Gli hai fatto male?» disse digrignando i denti e stritolandole di nuovo il polso.
«Ahia! Mi stai facendo male tu! E poi non dici niente a tuo figlio che tratta male Michele?»
Fu Michele a intervenire: il piccolino si alzò ed emettendo un grido inarticolato fece una corsetta verso Nic e iniziò a prendere a pugni le sue gambe. «N-n-n... l-l-la... n-non f-fare mmmmale alla mmmm... mmmmammaaaaa!»
Nic lasciò il polso di Elisa e si chinò per parlare faccia a faccia con Michele. «Smettila di darmi pugni. Con la violenza non si ottiene niente.»
Michele gli rispose facendo il broncio e fissandolo con quei suoi grandi occhioni scuri, da sotto in su.
«Mi sono arrabbiato con la mamma perché la mamma ha fatto male a Daniele» spiegò Nic.
Michele allora indicò Daniele – che ancora piagnucolava – poi portò la mano alla bocca e la rivolse verso il basso.
«Cosa significa questo gesto?» gli chiese Nic nel tono più tranquillo possibile.
Michele non disse niente, continuò a fare il broncio. Nic si rivolse a Elisa. «Vedi? Per colpa tua adesso disimpara a parlare!»
«Ha detto che Daniele è cattivo. Quel gesto significa cattivo.»
«Volevo che me lo dicesse lui. A voce.»
«Tu mi accusi perché l'ho strattonato. Ma hai sentito cosa stava dicendo a Michele? Lo stava prendendo in giro per la sua balbuzie! È vero che è cattivo! Sei un bambino maligno!»
L'ultima frase l'aveva rivolta a Daniele, quasi sputandola, e Daniele si mise di nuovo a piangere.
Nic si rivolse a Daniele. «Smettila di piangere. Hai nove anni e sei maturo. Piangere è da bambini piccoli» gli disse col suo solito tono posato.
Daniele tirò su col naso e annuì, Nic percepì che il figlio fece uno sforzo per trattenersi.
«E sei anche abbastanza grande da capire che prendersela con un bambino di quattro anni è da codardi. Sai cosa significa codardo?»
Daniele annuì. «Tipo... che hai paura...»
«Esatto. È come nel tennis. Cosa penseresti di un bambino della tua età che partecipa a un torneo contro bambini di quattro anni?»
Daniele accennò un sorrisino. «Lo prendo in giro, se gioca con quelli piccoli...»
«Tu stavi facendo lo stesso con Michele, sei un bambino grande e te la stavi prendendo con uno piccolo. E lo stai prendendo in giro per una cosa che non riesce a controllare, è doppiamente ingiusto.»
«Perché lo difendi anche tu?» disse Daniele, di nuovo cupo.
«Perché hai fatto una cosa ingiusta e non te la devi prendere con lui.»
«Michele qui, Michele lì, Michi Michi Michi sempre Michi!»
«Stai facendo di nuovo i capricci come un bambino piccolo.»
«Pensi anche tu che sono cattivo?» chiese lui, quasi sul punto di piangere di nuovo.
«No» rispose secco Nic. «Non sei cattivo, ma hai fatto una cosa sbagliata. Chiedi scusa al tuo fratellino.»
Daniele abbassò la testa e storse gli angoli della bocca verso il basso.
«Chiedigli scusa» ripeté Nic.
«Scusa» mormorò pianissimo Daniele.
«Non a me. A lui. Vai da lui e chiedigli scusa.»
Daniele sbuffò, roteò gli occhi con aria teatrale, ma poi assunse un atteggiamento quasi adulto, andò da Michele, e a schiena dritta, guardandolo negli occhi dall'alto in basso, disse: «Scusa.»
Michele lo guardò di rimando e non disse niente. Era così piccolo che Nic non era sicuro stesse capendo bene ciò che stava accadendo. Quindi Nic parlò a Elisa. «E adesso, chiedi scusa tu a Daniele per averlo strattonato in quel modo.»
«Cooooosaaa?!» esclamò lei in un tono di voce esagerato.
«Comportiamoci da persone mature. Abbiamo fatto tutti degli errori e dobbiamo tutti chiedere scusa» disse Nic mantenendo il suo solito tono basso e controllato.
«Io non ho niente di cui chiedere scusa! Lui si stava comportando in maniera inqualificabile con Michele, lo stava facendo piangere! È un bambino cat...»
«Finiscila di dire che è cattivo!» gridò Nic. «Secondo te, perché tratta male Michele? Forse se te lo cagassi un po' di più andrebbero anche più d'accordo!» aggiunse indicando Daniele. Si pentì immediatamente di essersi lasciato andare in escandescenze davanti ai suoi figli, due bambini. Aveva appena dato loro un pessimo esempio. Si ricompose. «Scusatemi tutti. Direi che questa discussione è finita.»
Nic uscì dalla stanza senza dire altro, consapevole di aver fatto una grande cazzata. Fare il genitore era davvero difficile, soprattutto con un figlio affetto da problemi comunicativi e un altro che era geloso del primo. E lo era a ragione, perché Elisa aveva occhi solo per Michele.
Era una situazione a cui Nic non sapeva come porre rimedio: Elisa vedeva la realtà in maniera distorta e non sembrava rendersi conto del problema.
Nic aveva imboccato le scale per andare in camera, ma sentì una voce dietro di lui chiamare: «Papà...»
Si voltò verso Daniele, pronto ad affrontare qualsiasi richiesta di spiegazione. «Vieni. Dimmi.»
Daniele lo raggiunse in cima alla rampa. «Senti... domani mattina posso saltare scuola? Posso venire con te al circolo?»
«Perché me lo chiedi? Hai un'interrogazione e non hai studiato?»
«No, no! Ti giuro, ho fatto tutti i compiti, se vuoi ti faccio vedere.»
«Ti credo» disse Nic. Daniele, nonostante fosse impegnato quasi ogni pomeriggio con lo sport, andava piuttosto bene a scuola. Non era il primo della classe, ma non prendeva mai insufficienze, e le maestre dicevano sempre a Nic che era un ragazzino sveglio che capiva sempre tutte le spiegazioni al primo colpo. «E allora perché non vuoi andarci? Hai litigato con qualcuno?»
«No...» disse lui.
«Se mi spieghi perché vuoi saltare un giorno di scuola, magari ti dico di sì. Però mi devi dare una buona motivazione.»
«È vero che Michele comincia ad allenarsi anche lui?»
Nic si morse il labbro inferiore. «È così contento quando viene al circolo e a giocherellare con la racchetta e le palline, che abbiamo deciso di cominciare a insegnargli qualcosa. Sì.»
Daniele sì incupì. «Io non voglio che Michele diventa più bravo di me.»
Nic fece un mezzo sorriso. Da un lato, gli piaceva vedere che Daniele era motivato, dall'altro era un po' preoccupato per un sentimento che gli sembrava decisamente eccessivo. «Michele ha quattro anni. Veramente pensi che possa essere più bravo di te?»
«Io avevo sei anni quando ho cominciato ad allenarmi. Perché a me non mi avete fatto incominciare prima? Scusa... Volevo dire: perché non mi avete fatto incominciare prima?»
«Eri un bambino, volevo che giocassi. E poi tu non hai mai avuto i problemi che ha Michele. L'ho dovuto togliere dalla scuola materna perché gli altri bambini lo prendevano in giro. Se lo porto al circolo, forse fa amicizia con qualcuno. E io e la mamma possiamo controllare che nessuno lo prende in giro.»
«Quindi se ero handicappato iniziavo prima anch'io?» chiese lui con astio.
«Non dire così. A cinque anni già ti avevo insegnato a fare il dritto e rovescio, non ti ricordi?»
«Io ho due anni di allenamento in meno. Non voglio che Michele diventa più bravo di me. Posso allenarmi di più?»
«Non puoi saltare scuola per allenarti.»
Daniele abbassò testa e sguardo, triste.
«Facciamo così: domani mattina, in via eccezionale, ti porto al circolo. Contento? Facciamo un allenamento speciale solo io e te.»
Daniele allargò un sorriso che esprimeva un tipo di gioia che Nic, nella sua vita, aveva visto solo sul volto dei bambini. Entro pochi anni Daniele non sarebbe stato più un bambino, e a Nic sarebbe piaciuto potergli regalare quanti più sorrisi spensierati possibile.
Proteggere i suoi figli dalle cose brutte. Non ci stava riuscendo. Non come avrebbe voluto.
«E poi se hai voglia di fare di più, se vuoi possiamo allenarci qualche domenica mattina» aggiunse Nic.
Daniele fece un saltello e abbracciò di slancio suo padre. «Ti voglio tanto bene!»
Nic, che non riusciva più a dire "ti amo", aveva scoperto di non esser capace nemmeno di dire "ti voglio bene."
Coi suoi figli, con entrambi, ci aveva provato diverse volte. Lo pensava, lo sentiva con tutto il cuore, ma ogni volta che aveva aperto la bocca per dirlo, le parole erano morte lì, in un misto di disagio e paura.
A un certo punto aveva smesso di provarci.
Però cercava di dimostrarlo coi fatti. Tenendoci a loro, educandoli e proteggendoli. In quel momento decise di farlo anche con un gesto, e strinse forte Daniele per dargli tutto l'affetto che si meritava.
***
21 giugno 2003
La telecamera della Rai era puntata sulla metà campo a nord ed era stata montata a circa un metro di altezza da terra.
L'intervista a Nic ed Elisa l'avevano già fatta, presentandoli con un: «Forse vi ricorderete di...» Elisa aveva passato le tre settimane precedenti a fare fuori e dentro da centri estetici, spendendo una fortuna per risultati che Nic faticava a notare.
Il cameraman aveva fatto un piccolo video anche a Daniele, solo pochi minuti, ma il poveretto era andato in tale confusione da buttare metà dei colpi in rete, tanto che uno dei cronisti aveva commentato fuori campo: «Ma davvero ha vinto un torneo nazionale, a maggio?» Daniele aveva sentito il commento e ci era rimasto talmente male da farsi sfuggire qualche lacrima.
Non era un segno di grande freddezza, il fatto che fosse andato in confusione per così poco. Nic aveva trovato quel segnale preoccupante: forse la carriera tennistica non era la strada adatta a lui? Sarebbe stato un peccato se fosse passato ad altro, perché era portato.
Chi sicuramente era un piccolo fenomeno era Michele. Nic non aveva mai visto un bambino di quell'età avere dei movimenti tanto perfetti e tanto somiglianti a quelli di un adulto.
Andando contro il parere di Nic, Elisa gli aveva insegnato il rovescio a una mano, e lui lo eseguiva con una grazia degna del più bel rovescio di Raffaele o della stessa Elisa. Ma era bravissimo anche con il dritto e con le volée.
Era tutto merito di Elisa.
Michele la adorava e avrebbe fatto qualsiasi cosa lei diceva. Lei gli aveva insegnato a fare quei movimenti e lui si era impegnato con una dedizione fuori dall'ordinario per un bambino di quell'età, per impararli alla perfezione.
E non era solo eleganza fine a se stessa. Michele riusciva già a essere preciso anche nei piazzamenti delle palle, e quando giocava dei punti, batteva regolarmente bambini di uno, due, anche tre anni più grandi di lui.
Era il piccolo fenomeno e del circolo, quando Elisa prendeva il campo per allenarlo, c'era sempre una folla di curiosi che lo ammirava: «C'è quel bambino bravissimo!» «Ah, vieni! Vieni a vedere questo bambino che fenomeno che è!»
Perciò non era passato molto tempo prima che qualche giornalista specializzato venisse a sapere della sua esistenza, e tre settimane prima una troupe del telegiornale regionale li aveva contattati chiedendo loro se avessero potuto fare un servizio giornalistico su Michele Bressan, il campioncino goriziano.
Nic avrebbe preferito dire di no. Gli sembrava una scemenza prematura, che poteva rischiare di mettere solo pressione al bambino, mandandolo in confusione, oppure montargli la testa facendogli credere di essere chissà chi. Inoltre, Nic pensava anche a Daniele, che viveva malissimo le attenzioni che tutti riservavano al suo fratellino.
Nic aveva cercato più volte di rassicurarlo, dicendogli che era normale che un bambino piccolo attirasse più attenzioni di uno grande, e gli aveva persino mentito dicendogli che e anche Daniele, quando aveva sei anni, aveva suscitato ammirazione e tenerezza negli iscritti al circolo. L'attenzione di una redazione giornalistica, però, avrebbe smascherato la bugia di Nic.
E infatti fu quello che accade. Elisa prevalse su Nic, e decise che il servizio sarebbe stato fatto. Era fuori di sé dalla gioia per le attenzioni riservate al suo «piccolo campione», come lo definiva sempre. Allora Nic era intervenuto per cercare di salvare il salvabile, aveva parlato con i giornalisti e fatto loro presente che anche il suo figlio maggiore giocava a tennis, partecipava già a tornei per bambini e ne aveva vinto uno di recente. Aveva quindi cercato di virare il servizio su un tema come: una famiglia di talenti tennistici, e non: il piccolo fenomeno tennista. Ai giornalisti, per fortuna, l'idea era piaciuta, e avevano promesso che avrebbero dedicato un po' di spazio anche a Daniele.
Peccato che Daniele, da ragazzino sveglio qual era, aveva visto dietro alla facciata. Quando aveva saputo del servizio giornalistico, che Nic gli aveva messo giù calcando la mano sul fatto che volevano veder giocare anche lui, il suo secco commento era stato: «Tanto lo so benissimo che gli interessa solo Michele.» Poi si era messo a fare il verso, con un tono di voce lagnoso e un po' nasale: «Michele, Michele, Michele, Michi, che bravo Michi, sono tanto b-b-b-bravo!» Nic l'aveva rimproverato per la solita presa in giro alla balbuzie, che ormai sembrava il modo preferito di Daniele di rivalersi sul suo fratellino, e la discussione era finita con Daniele che si chiudeva in camera sua sbattendo la porta.
«Ok, Michi. Adesso io ti lancio le palline dal cestino, come facciamo sempre, e fai vedere a questi signori della TV un po' di dritti e un po' di rovesci. Va bene?» Gli disse Elisa, mentre gli sistemava i capelli corti, e la maglietta nei pantaloncini. Michele annuì con un sorrisino.
Elisa gli diede un bacio sulla guancia. «Fagli vedere i tuoi colpi bellissimi.»
Michele annuì di nuovo e allargò le braccia. Elisa lo strinse e gli diede tanti altri baci sulle guance.
«Chi è il mio piccolo campione?»
Michele fece una risatina e si indicò.
Elisa si alzò in piedi e si rivolse a Nic. «Come sto? Mi si è sbavato il trucco?»
«Cosa ti frega di come stai? Tanto inquadrano lui.»
Elisa divenne seria. «Sembro una stupida vecchia, vero?»
Nic non ne poteva più di quel suo disperato andare a caccia di complimenti. Era stufo di cedere, e gliene faceva sempre meno. Trovava stupido rinforzare quel suo atteggiamento. «Non farti paranoie finiamo in fretta questa pagliacciata. Dai.»
«Noi siamo pronti» disse il cameraman.
Iniziò la registrazione. Michele era concentratissimo su ciò che doveva fare e non sbagliò un singolo colpo. Mostrò i suoi gesti stupendi e suscitò l'ammirazione di tutta la troupe. Alla fine, Elisa lo fece persino scendere a rete per mostrare loro quant'era bravo con le volée, e il video finì con un applauso scrosciante della troupe e del piccolo pubblico che si era radunato a bordo campo.
«Complimenti, suo figlio ha davvero un rovescio bellissimo!» disse il giornalista inviato.
«Tutto merito di mia moglie» disse Nic. «Riguardatevi qualche video di quando giocava e vedrete che è praticamente identico al suo.»
Il giornalista si rivolse a Elisa: «Ah, ma ce la ricordiamo bene la signora Morandi! La tennista più bella della WTA! Mai vista un'eleganza come la sua!»
Elisa fece uno dei suoi sorrisi in cui non sorrideva e imbronciava le labbra e abbassò lo sguardo in un atteggiamento di falsa modestia.
Fu in quel momento che intervenne Daniele, in maniera totalmente inaspettata. «Lo sapete che mio fratello non sa parlare?»
Il giornalista aggrottò le sopracciglia e accennò una risatina vagamente imbarazzata. «Cioè?»
«Non dire scemenze, Daniele» intervenne Nic, prima che suo figlio potesse dire altre cose inopportune. «Mio figlio straparla, non lo stia sentire.» L'ultima cosa che Nic voleva era che la TV si mettesse a confezionare un servizietto pietoso sulla balbuzie di Michele, condendolo di retoriche patetiche del tipo: il bambino che fa fronte ai suoi problemi comunicativi grazie allo sport, e cazzate simili.
Nic, di solito, aveva un buon ascendente su Daniele, che obbediva a tutto ciò che lui diceva. Ma quel giorno il suo risentimento doveva essere davvero troppo grande, perché proseguì: «Mio fratello balbetta. Non è capace di parlare.»
«Davvero?» chiese il giornalista, stupito. «Già così piccolo? Si capisce già a quell'età se un bambino è balbuziente?»
«Michele ogni tanto a qualche difficoltà a...»
Elisa venne interrotta dal solito Daniele, che le parlò sopra con tutto l'astio che doveva aver covato durante quella giornata. «Non solo è balbuziente! Qualche volta diventa tipo muto, apre la bocca e non riesce a parlare, rimane lì zitto come uno stupido. Non è capace! Non va neanche alla scuola materna perché non è capace di parlare. È un handicappato!»
Quelle frasi non fecero una buona impressione al giornalista. «Si dice disabile, non handicappato. Gliele avete insegnate voi queste parole?»
«Daniele è un ragazzino cattivo, ed è invidioso di suo fratello» ribatté Elisa. «Noi gli abbiamo dato la migliore educazione possibile, ma certi bambini sono proprio cattivi nell'anima.»
«Io non sono cattivo! Dico solo la verità!» ribatté Daniele.
«Possiamo concludere qui questa discussione?» disse Nic, cercando già, dentro di sé, le parole con cui rimproverare Daniele in seguito.
Troppo tardi. Il giornalista aveva intravisto un possibile sviluppo succoso della storia. Fece un cenno al cameramen, e poi chiamò: «Michele, tesoro, vieni qui.»
«Gli chieda di dire qualcosa!» sputò fuori Daniele. In quel momento sembrava davvero una piccola vipera, e Nic non avrebbe biasimato i giornalisti, se avessero creduto alle parole di Elisa.
«No» si impose Nic. «Mio figlio non è un fenomeno da baraccone.»
«Oh, andiamo. Cosa avete fatto, fino a qualche minuto fa? Lo avete esibito esattamente come un fenomeno da baraccone» obiettò il giornalista.
«Infatti io ero contrario a questa pagliacciata. E mi sa che avevo ragione» disse Nic lanciando un'occhiataccia a Elisa.
Per fortuna, anche lei era d'accordo sul non esibire la balbuzie di Michele in televisione, e il servizio fu brutalmente interrotto in quel momento. Tornarono in spogliatoio, e la prima cosa che fece Elisa a porte chiuse fu tirare uno schiaffo a Daniele.
Nic, guidato solo dall'istinto e dalla rabbia cieca, afferrò il polso di Elisa lo allontanò, alzo la sua mano per schiaffeggiarla a sua volta, ma un barlume insperato di razionalità lo trattenne con la mano a mezz'aria. L'unico motivo, l'unico per cui non aveva fatto volare la sua mano sulla sua guancia, era che i suoi figli lo stavano guardando. Non voleva dar loro il cattivo esempio, non voleva mostrarsi violento.
Ma non frenò le sue parole. «Brutta stronza! Le mani sui bambini non si alzano! Su tuo figlio! Tuo figlio, cazzo!»
«E sulle donne sì?» rispose lei, con un'aria quasi di sfida.
Nic socchiuse gli occhi e diede fondo a tutto il suo autocontrollo, mentre in sottofondo sia Daniele che Michele stavano piangendo. «Non fare la vittima. Non lo sei. Se fai del male a mio figlio, non me ne frega un cazzo se sei una donna o un uomo, io a mio figlio lo difendo!»
«È proprio tuo figlio, quello!» sputò fuori lei, con odio. E Nic non volle sapere il senso di quella frase. Decise che quel litigio si era prolungato anche troppo, facendo soffrire sia Daniele che Michele. Proseguire con le recriminazioni e accuse era da egoisti.
Lasciò il polso di Elisa e rivolse tutte le attenzioni ai suoi figli, che stavano entrambi soffrendo in modo diverso.
***
5 gennaio 2005
Un manto spesso di neve aveva imbiancato tutte le alture del Collio. Non erano più molto comuni, ormai, nevicate come quelle. Erano anni che Nic non vedeva tanto bianco.
Daniele e Michele ne erano entusiasti, e ancor più di loro la piccola Sara, una bassottina di quattro mesi che Elisa aveva regalato a Michele. Elisa, ovviamente, aveva pensato soltanto al suo pargoletto preferito, ma Nic era intervenuto mettendo in chiaro che quella cagnolina era di tutta la famiglia.
Era stata una vera sorpresa, una regalo di Natale di cui Nic non aveva saputo niente finché Elisa era arrivata a casa con lei. Nic non era stato molto felice del regalo, un cane era impegnativo, andava curato, coccolato, seguito. Ma sia Daniele che Michele erano così entusiasti del cucciolo, che alla fine si era dovuto ricredere. La piccola Sara era persino riuscita nell'impresa miracolosa di riavvicinare un po' i due fratelli. Succedeva spesso che ci giocassero insieme, e proprio in quel momento si stavano divertendo lanciarle delle palline da tennis in mezzo alla neve.
«Sara! Porta!» gridò Daniele lanciandogliene una.
«Saaa-raaa» cantilenò Elisa, imitando un tono di voce basso e sgraziato. Poi ridacchiò.
Tutta l'allegria svanì dal viso di Daniele. «Eddai...» si lamentò, sforzando in maniera molto evidente la propria voce su toni più alti del dovuto.
«La finisci di prenderlo in giro?» sussurrò Nic all'orecchio di Elisa.
«Mammamia, come siete permalosi voi maschi. Non si può neanche scherzare!»
Daniele, per fortuna, sembrava essersi già dimenticato di tutto e stava correndo dietro a Sara insieme a Michele.
«Sì, che si può scherzare. Ma tu non scherzi, infierisci senza motivo. Non vedi che ogni volta che lo prendi in giro lui poi si sforza di parlare alto? Pensi che gli faccia bene alle corde vocali? E pensi che faccia bene alla sua autostima?»
Daniele avrebbe compiuto tredici anni a fine mese, era il ragazzino più alto e sviluppato della sua classe ed era stato anche il primo a iniziare la muta vocale, che si trovava ancora in quella fase iniziale in cui si alternavano momenti di voce infantile ad altri in cui si abbassava in maniera irregolare e poco controllata.
«Quell'arrogante maleducato di autostima ne ha anche troppa...»
«Per favore, finiscila di fargli il verso quando gli si rompe la voce. A te sarebbe piaciuto se tua madre ti avesse perculata quando cominciavano a crescerti le tette?»
Elisa si incupì e rimase zitta.
***
Quella sera, avevano deciso di andare tutti insieme al pignarûl. Si trattava di una festa tradizionale del luogo: ogni paese faceva un grande falò in cima al quale veniva messo un pupazzo della Befana, a rappresentare la morte dell'anno vecchio. Si faceva una festa e c'era quasi sempre anche un banchetto con cose da mangiare e un pentolone col vin brûlé.
Nic non era un grande amante delle tradizioni campagnole, ma quella sarebbe stata probabilmente la prima e ultima occasione di portare i suoi figli a quella festa, perciò per quell'anno decise di fare un'eccezione. In fondo, poteva essere un'occasione di divertimento, per loro.
A giugno, infatti, sarebbero partiti tutti insieme per gli Stati Uniti.
Michele era stato notato da un osservatore della Nike. Gli avevano offerto un contratto di dieci anni e di pagargli cinque anni di lezioni, rinnovabili, in una delle più famose accademie di tennis del mondo.
Elisa era stata entusiasta della proposta, avrebbe accettato senza porre alcuna condizione. Ma le condizioni iniziali erano davvero orribili: solo uno dei due genitori poteva seguire il figlio in accademia e Daniele sarebbe rimasto in Friuli.
Forte del talento di Michele, Nic aveva deciso di forzare la mano. Aveva detto a quelli della Nike che avrebbe accettato soltanto se tutta la famiglia avesse potuto seguire Michele negli Stati Uniti, per consentire anche a Daniele di avere accesso gratuito ai corsi dell'Accademia. La contrattazione era andata avanti per parecchie settimane, e alla fine Nic era riuscito a ottenere ciò che voleva. In cambio delle nuove condizioni, il compenso per la sponsorizzazione sarebbe stato molto più basso, avrebbe incluso la fornitura di materiale gratuito anche per Daniele, che avrebbe dovuto indossare Nike in esclusiva. E sia Elisa che Nic avrebbero soggiornato in accademia come coach aggiuntivi, a eventuale disposizione per lezioni e sparring anche ad altri tennisti.
Elisa non era stata contenta. «Ci avevano offerto un sacco di soldi, e tu hai rinunciato per cosa? Per cercare di tirare su le sorti di un tennista che non combinerà mai un cazzo?»
«Daniele ha vinto diversi tornei juniores, è un ragazzo promettente, e nessuno se lo caga soltanto perché viene messo in ombra da Michele. Se avesse un po' più di incoraggiamento e dei bravi allenatori potrebbe avere una carriera eccellente.»
«Vince perché è più alto è più grosso dei suoi coetanei, lo sai benissimo. Appena arriveranno al suo livello, vedrai, non combinerà più un cazzo. Con quello stile orrendo che gli ha insegnato non va da nessuna parte.»
«È vero. Sei più brava di me come insegnante. Quindi, perché non hai mai voluto insegnargli niente?»
«Perché è un ragazzino cattivo. Odia Michele e fa il bullo con lui. Non si merita che gli insegno niente!»
Elisa e Nic avevano continuato a litigare per almeno mezz'ora. Ormai non riuscivano più ad avere una discussione civile, su nessun argomento.
Intorno alle otto, arrivarono nella braida in cui sarebbe stato acceso il falò di lì a breve, e già c'era parecchia gente. La scena era illuminata da faretti e gli uomini si approntavano ad accendere l'altissima fascina.
«Michi, vieni che giochiamo a nascondino?» li sorprese un compagno di classe di Michele, venuto a chiamarlo non appena l'aveva visto arrivare. Michele sembrava su di giri dalla felicità: il fuoco in preparazione, i banchi di dolcetti, di cui lui era molto goloso, la neve, e le stelle filanti che Nic aveva portato per farlo divertire un po'. Era un bambino molto timido, la sua balbuzie gli rendeva difficilissimo parlare con gli altri bambini, che purtroppo tendevano anche a prenderlo in giro. Ma in quel momento Nic ed Elisa avrebbero potuto tenere d'occhio la situazione e intervenire se avessero visto qualche sopruso.
«P-posso mamma?»
«No, Michi. Lo sai che poi i bambini invidiosi ti prendono in giro» gli sussurrò lei.
«Eddai, per una volta lascialo andare. Ci siamo qui noi che lo controlliamo.»
Elisa si irrigidì.
«E poi giocano a nascondino, a prendersi... Sai anche tu che sul piano fisico Michele non lo batte nessuno.»
Elisa sorrise. Appoggiò la mano sulla testa di Michele, protetta da una cuffia di lana. Poi gli fece dei segni. Michele rispose e gesticolando a sua volta. Si abbracciarono e Michele corse via col bambino, tutto contento.
«Io vado con Roberto e gli altri!» disse Daniele, e corse anche lui dai suoi compagni di classe.
Nic si sentiva, tutto sommato, di buonumore. «Ci prendiamo un pezzo di dolce?» propose a Elisa.
Lei portò le mani guantate alle guance. «No, lo zucchero fa malissimo alla pelle. Fa invecchiare!»
Nic sbuffò. «Lo zucchero fa male in generale, ma una volta all'anno si può anche sgarrare...»
«Non insistere.» Elisa stava guardando Michele con apprensione, i bambini sembravano divertirsi, si stavano organizzando per il nascondino. Daniele, intanto, chiacchierava e rideva coi un gruppetto di quattro amici.
«Ma se non è il Nico Bressan!» esclamò una voce femminile alle sue spalle.
Nic si girò e si trovò davanti la faccia lunga della Federica Jeroncic. «Oh, ciao!» disse lui.
«Ma vieni qua, tesoro, quanto tempo!» Lo abbracciò e gli diede due baci sulle guance. Era con un uomo, evidentemente suo marito, e una bambina sui nove, dieci anni vicino a loro. Si presentarono a vicenda.
«La Federica mi ha parlato tanto di te» disse il marito. «Ogni volta che ti mostravano in televisione mi diceva che quando eravate sbozzi ti aveva baciato. Ho detto: se un giorno lo incontro gli devo chiedere se è vero!»
Nic rise. «Sì, è vero, è stata il mio primo bacio!» Lanciò istintivamente un'occhiata a Elisa e la vide irrigidirsi. Non capiva perché: era molto più bella della Federica, che non si portava benissimo la sua età e aveva la bocca costellata dalle tipiche rughe da fumatrice. Il marito era un uomo corpulento, un bel visto squadrato ma pochi capelli in testa. Sembrava un tipo simpatico. Si misero a chiacchierare, ricordando qualche amico, la Fede lo aggiornò su cosa facessero tutti i vecchi ragazzi della compagnia (in sintesi: si erano tutti sposati, avevano tutti figliato, alcuni avevano persino divorziato), e, forse senza sapere che stava lasciano il più importante per ultimo, citò proprio alla fine la persona a cui Nicolò stava pensando dall'inizio di quel discorso: «Ah, e poi ti ricordi di Leonardo Devetak?»
«Sì, certo che mi ricordo di lui» disse Nic con nonchalance. «Ti ricordi Eli? Quando siamo venuti a Capriva, quando aspettavi Daniele... ti ricordi quel poster col complesso di liscio?»
«No, non mi ricordo» disse Elisa, che sembrava del tutto disinteressata ai discorsi. Osservava in continuazione Michele. Ogni tanto anche Nic aveva lanciato qualche occhiata per controllare cosa facessero i suoi figli, ma si era tranquillizzato vedendo che Michele sembrava divertirsi e che Daniele stava facendo a pallate di neve con gli altri ragazzi.
«Mi hanno detto che fa tantissimi soldi col liscio, girano le balere di tutto il Friuli, del Veneto, vanno anche in Emilia Romagna, ho sentito. Vive a Udine con la figlia di suo fratello...» Si guardò in giro con aria cospiratoria e abbassò la voce. «E ho sentito dire che vive con un uomo!»
Nic fu un po' scosso dall'informazione. La figlia di suo fratello, aveva accennato la Federica, ma l'informazione passò in secondo piano. «Oh!» finse stupore. «Cioè? In che senso con un uomo? Con uno della sua band?»
«È gay! Cioè... dicono... sono voci, sai... L'avresti mai detto?»
Nic si sentì in difficoltà. Non riusciva a capire se glielo stesse chiedendo con malizia, perché sospettava o ancora peggio sapeva qualcosa di lui, o se fosse un puro e semplice pettegolezzo succoso. «Be'... no. Però chi se ne frega no? Se è contento lui...» disse.
La Federica alzò le mani. «Ah, ma figurati se mi frega qualcosa! Dicevo però che non sembrava, no? Io non avrei mai detto! L'ho anche baciato a quel mona e mi sembrava che gli era piaciuto!»
«Magari è bisessuale» disse il marito. «Ma di quanti ragazzi devo essere geloso, scusa?»
«Di troppi» lo liquidò la Federica. «Insomma, comunque stanno facendo dei lavori nella casa di suo nonno a Mossa. Ho sentito che torna a vivere qua. Quindi forse lo vedi!»
Perché me lo dice con tanto entusiasmo?
«Ah» disse Nic. «Be', se lo vedo mi fa piacere salutarlo» disse ostentando un tono quasi annoiato. «Però non so se lo incontrerò, noi a giugno ci trasferiamo negli Stati Uniti.»
La Federica spalancò gli occhi. «Ma daaaaai?»
Chiacchierarono ancora un po'. Nic, recitando nonchalance, cercò di capire quand'è che Leonardo sarebbe tornato nei paraggi: se fosse stato fortunato non si sarebbero mai incrociati.
La Federica se ne andò, facendo sbuffare Elisa. «Mammamia quanto parlava, quella. Davvero l'hai baciata? A quella bruttona?»
«Da ragazza era più carina. Sei gelosa?» cercò di provocarla.
«Per niente» si irrigidì lei.
Andarono davanti al fuoco. «Un po' mi spiace lasciare Capriva. Mi piaceva stare qui.»
«A me no. Ho sempre odiato i paesi.» Nic la cinse con un braccio per le spalle, lei si buttò un po' addosso a lui, un attimo di intimità che ormai quasi più non esisteva tra loro.
E l'incontro con la Federica gli aveva ricordato perché li odiasse.
Pettegoli. Un covo di pettegoli a cui interessavano solo i minuscoli affari delle persone che vivevano intorno a loro.
Forse sospettavano dell'omosessualità di Nic. E se Leonardo aveva fatto coming out, forse sarebbe stato lo stesso Leonardo a rivelare di aver avuto una relazione con Nic, quando fosse tornato a vivere a Mossa.
Pettegoli di merda.
Era felice di andare negli Stati Uniti.
Non vedeva l'ora di partire.
—
Note 🎶
I campagnoli hanno scoperto il segreto di Leonardo! E Leonardo e Nico stavano per incrociarsi, accidenti! Ma riuscirà mai ad avvenire questo incontro tra vecchi "amici"? Che ne dite? Quando?
E cosa ne pensate del personaggio di Michele? Delle sue difficoltà comunicative e del suo talento tennistico?
E del povero Daniele messo in secondo piano? Come va il tempo, eh? Il ragazzo ha già 13 anni... Comincia un'età davvero problematica, quella dell'adolescenza, e ne avrete un assaggio nei prossimi capitoli.
Vi do appuntamento a lunedì, la prossima settimana due capitoli come sempre, 'sta settimana per riuscire a revisionarne tre mi sono veramente ritagliata gli angoli di tempo più assurdi che riuscivo a trovare.
E lasciatemi una stellina per ogni pettegolezzo che deve essere girato per Capriva da quando si è saputo che Leonardo è gay.
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