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72. Ti ascolterei all'infinito

Non andare via, non mi lasciare.
Per non scordarti mai voglio cantare.
Se fossi una canzone,
Un nastro, uno spartito,
Farei rewind
Ti ascolterei
All'infinito

(L. Devetak, Rewind, 1981)

5 aprile 1992

Nic avrebbe dovuto allenarsi. Aveva una sessione di palleggio prenotata alle dieci di mattina. Telefonò per annullarla.

Non aveva ancora perso del tutto le speranze con Raf, voleva esaminare nel dettaglio i suoi diari, alla ricerca di un indizio.

Avrebbe voluto cominciare già la sera precedente, ma era stanco e per giunta Elisa era andata a trovarlo. Aveva dedicato le sue attenzioni a lei e deciso di impegnarsi la mattina successiva, a mente fresca e con un po' di caffeina in circolo.

I diari di Raf erano esattamente come li ricordava: scritti fittamente, pieni di scarabocchi e cancellature. Ci avrebbe messo parecchio a sfogliarli tutti da cima a fondo.

Quei quaderni erano una miniera, scavavano nella profondità del passato di Raf, una specie di ricerca archeologica nella storia dei suoi problemi mentali. A Nic sarebbe piaciuto leggere per primi i più recenti, ma non fu facile orientarsi, perché si trattava per lo più di poesie e sfoghi, c'erano pochi riferimenti temporali e non erano stati ordinati nella scatola in maniera cronologica. Nic aveva sperato di andare a colpo sicuro sull'ultimo quaderno cercandone uno non finito. Ma ce n'erano in realtà diversi in cui Raf, per qualche motivo, aveva lasciato pagine bianche, e la maggior parte, per giunta, era scritta su entrambi i versi, secondo logiche che Nic faticava a capire.

Riflettevano un quadro straziante. Parole confuse, richieste di aiuto, dolore, dolore e ancora dolore. I pensieri felici erano davvero pochi. 

Moltissime delle cose scritte non avevano senso, sembravano parole sconnesse, e Nic immaginò che Raf le avesse scritte in stato di coscienza alterata.

Trascorse la mattina a cercare di orientarsi, di capirci qualcosa. Cercò se stesso all'interno di quelle frasi, gli parve di riconoscersi in alcune parole, in alcuni riferimenti.

Alcune frasi potevano riferirsi a lui, ma anche a Vika.

Ci prendiamo e ci lasciamo, è la storia della mia vita.

Questa parlava chiaramente di Vika... Ma in un certo senso era lo stesso anche nel caso del loro rapporto di amicizia. Chissà se Raf ne era stato consapevole, scrivendolo.

Cerco aiuto nel tuo amore. Forse lo cerco nel modo sbagliato. Tutto è sbagliato. Tutto è sbagliato.

Questa di chi parlava?

Trovò un vecchio quaderno in cui Raf aveva parlato del loro ritiro a Bovec. Ma non il secondo, il primo, quelle settimane di allenamento sereno di tanti anni prima, quando Nic ancora pensava che i problemi di Raf fossero passeggeri e risolvibili. Erano tra le pagine più chiare che Raf avesse scritto. C'erano delle date e le aveva scritte in forma di diario.

2 aprile 1983

Bovec già mi manca. Mi ha fatto tanto bene. Nic è un angelo, e vorrei che fosse il mio angelo per sempre. Ma non è possibile, ho paura di bruciarlo se gli sto troppo vicino, e non voglio farlo soffrire illudendolo con un rapporto impossibile. 

16 aprile 1983

Pensiero egoista del giorno: vorrei che Nic si innamorasse di qualcun altro, in modo che potesse starmi vicino in modo più sereno. Perché deve essere tutto così complicato??? Ho bisogno di lui!

2 giugno 1983

Pensiero egoista del giorno: chiedere a Nic di tornare a Bovec il prossimo anno. Vorrei che fosse una vacanza ricorrente. Ne ho bisogno. Ne ho bisogno. Ne ho bisogno. Impazzisco se sto qui, non sopravvivo a me stesso.

11 settembre 1983

La Roma ha vinto una partita. C'è casino sotto casa. Ho bevuto troppo. Dove sei Nic?

Dopo diverse altre ore di ricerca e lettura scrupolosa di parole spesso incomprensibili, Nic trovò quello che sembrava essere l'ultimo quaderno. Non c'erano riferimenti temporali, ma a un certo punto veniva nominata la madre di Vika, una frase secca, semplice, scritta in piccolo e di traverso su un bordo pagina, motivo per cui inizialmente Nic non l'aveva notata:

Mia suocera mi odiaaaaaaa!!!!

Nic lo lesse parola per parola, cercando di indovinare anche le parole cancellate.  

Trovò alcuni riferimenti che potevano essere degli indizi.

Una specie di strana poesia in cui Raf faceva riferimento, o almeno così a Nic sembrava, al giorno in cui Nic aveva deciso di assumere eroina.

Il dolore più grande della mia vita

è stato vederti cadere.

Ho visto me stesso in te come uno specchio, e gli specchi sono spietati. Si rompono in cocci e feriscono l'anima.

Hai detto basta prima ancora di cadere. Ma posso crederti?

Hai detto che l'hai fatto per capire. Ma posso crederti?

Io lo faccio per scappare. Da me stesso.

Forse hai mentito, e l'hai fatto per scappare. Anche tu. Da me stesso.

Forse è meglio se sono io a scappare. Da te stesso.

Scappare. Era un indizio? Raf era scappato? Altre frasi che puntavano nella stessa direzione:

Restare significa: ferire.

Restare significa:  vergogna e rimorso.

E ancora, alla fine, una delle ultime cose che aveva scritto:

Mi arrendo. Mi arrendo a me stesso. Non cambierò mai. Ma se mi arrendo qui, davanti a lui, lo uccido.

«Dove cazzo sei scappato, Raf?»

A Nic bruciavano gli occhi. Li stropicciò e guardò l'ora: si era fatto mezzogiorno. Aveva appuntamento con Elisa all'una e mezza per mangiare insieme al bar interno dell'Accademia. Nic decise di prendere una pausa e uscì per incontrarla subito.

Arrivò in accademia con un'ora di anticipo ed Elisa si stava facendo la doccia dopo l'allenamento mattutino. Si stava preparando per Il 1000 di Roma che si sarebbe tenuto a inizio maggio: gli organizzatori del torneo le avevano dato una wildcard. E lei sperava di guadagnare abbastanza punti da poter entrare di diritto in tabellone al Roland Garros, senza essere costretta a passare per le qualificazioni. Le mancavano davvero pochi punti, una vittoria al primo turno sarebbe stata sufficiente a farle guadagnare la giusta posizione in classifica.

Quando si incontrarono, però, Nic non aveva alcuna voglia di parlare di Roma, e le espresse le proprie preoccupazioni su Raf.

Lei non ne fu affatto felice. «Nichi, basta! Bastaaaa!» Battè un pugno sul tavolo talmente forte da far saltare le posate e farne cadere una a terra. Gli altri clienti si voltarono e guardarono male Nic, più che Elisa.

«Ti prego» insisté lui a voce bassa. «Vorrei leggerti almeno un...»

«No» lo interruppe seccamente lei.

«Ma solo...»

«Ho detto no. Basta. Stai esagerando. È scappato? Possibile. Cazzi suoi. Se non ha voluto dirtelo significa che non ti voleva davvero bene.»

Quelle parole probabilmente erano vere, e proprio per quello ferirono Nic.

Elisa allungò la mano attraverso il tavolo e prese quella di Nic. «Credo sia arrivato il momento di arrendersi» gli disse dolcemente.

Nic scosse la testa. «Ancora non ci riesco.»

L'espressione di Elisa si indurì. «Benissimo. Finché non ci riesci, voglio che mi stai lontano.»

***

9 aprile 1992

«Ho scoperto una cosa che forse potrebbe interessarti.»

Elisa si era presentata a casa di Nic, dopo non avergli parlato per quattro giorni. Faccia cupa, triste. Occhi stanchi con un'ombra di occhiaie.

«Su Raf?» gli chiese Nic. «Scusa, che cafone... non restare sulla porta, entra.»

Elisa entrò, chiedendo permesso come suo solito. Era sempre molto educata. «Sì, una specie» disse dopo essersi seduta al tavolo della cucina. Era mattina e per fortuna i coinquilini di Nic erano tutti fuori, impegnati all'università.

Il cuore di Nic accelerò di speranza. «Cosa significa "una specie"?» le chiese sedendosi di fronte a lei al tavolo della cucina.

«Non riguarda proprio Raf. Riguarda Vika. Ho scoperto tramite amicizie comuni dov'è.»

Nic si illuminò. «Grande! Hai il suo numero?»

Elisa strinse le labbra e scosse la testa. «Impossibile contattarla. È tornata in Russia.»

Nic sentì la propria mandibola cadere. «Ma... adesso? È impazzita? C'è un esodo di gente dall'ex Unione Sovietica e...»

«E lei è tornata là. Insieme a sua madre e alla ragazza che le ospitava a Ferrara. E non credo tornerà più in Italia.»

«E... questo secondo te cosa c'entra con Raf?»

«Be'... dicevi che voleva scappare... quale posto migliore?»

Nic si incupì. «In un paese straniero incasinato come non mai, con una lingua incomprensibile... E poi lui e Vika erano in rottura...»

Elisa si strinse nelle spalle. «Sai com'era, tra loro due: si mollavano, si riprendevano, si rimollavano, si riprendevano...»

Nic sospirò, ricordando le parole molto simili della poesia di Raf.

«Nichi... mi sembra la cosa più logica. Devi sentire le storie che girano in accademia...»

«Quali storie?»

«Tutte le indagini che hai fatto hanno generato pettegolezzi. Qualcuno dice che è stato ammazzato dagli spacciatori, qualcun altro che ha ricevuto un'eredità da un parente nobile ed è scappato all'estero a fare la bella vita... E ne girano anche di più assurde.»

Nic sentì un groppo risalirgli in gola. Lo inghiottì, come aveva imparato a fare sempre meglio.

Elisa, però, doveva essersi accorta che qualcosa non andava, perché si alzò, si avvicinò a lui e lo abbracciò, Nic rimase seduto e appoggiò la testa sul suo ventre, si lasciò accarezzare i capelli, godendosi in silenzio il calore di quella stretta.

«Devi lasciar perdere questa storia. È inutile che ti accanisci» disse lei.

«Forse hai ragione...» 

«A metà agosto ci sposiamo. Abbiamo già prenotato il ristorante e la chiesa. Dobbiamo ancora finire la lista di nozze, non mi vuoi aiutare? Devo fare tutto da sola?»

Già. Il matrimonio. Gli sembrava un evento così irreale, così lontano... Si era disinteressato all'organizzazione, che la stessa Elisa, impegnata coi tornei, aveva in parte delegato a sua sorella Elena.

Nic ancora non l'aveva detto ai suoi genitori. Forse perché una parte di lui sentiva che era sbagliato.

Un'altra parte di lui, però, non voleva restare solo. E adesso che Raf era sparito...

No, cazzo! Non piangere!

...adesso che Raf era sparito, Nic si sentiva ancora più solo e sperduto. Elisa gli sembrava l'unica possibile salvezza in quel mare di solitudine.

Era un mare, però, in cui in quel momento aveva bisogno di immergersi. Voleva restare da solo, con i suoi pensieri, con le sue riflessioni, per capire se il desiderio di sposarla fosse dettato solo dalla tenerezza che stava provando in quel momento o a un anelito più profondo.

«Ho bisogno di stare da solo. Possiamo vederci domani?»

Elisa sembrò capire. Chissà cosa aveva capito. Chissà che spiegazione si era data. Forse che Nic aveva bisogno di processare la perdita di Raf. 

E forse era davvero così, perché non appena Elisa se ne fu andata, Nic, invece di riflettere sul suo matrimonio come si era ripromesso, sentì il bisogno di mettere un punto alla questione Raf. Aveva ragione lei: Raf era sparito ormai da più di un mese, e a Nic sembrava difficile che qualcuno lo avesse rapito (o peggio). Era un'ipotesi che non aveva mai preso in considerazione, ed era l'unica per cui sarebbe valsa ancora la pena cercarlo.

Se Raf era morto, ormai era morto. Se era scappato, era scappato di sua volontà, senza dire niente a Nic. Non voleva essere trovato, e quindi per Nic era come se fosse morto.

Si ripeteva razionalmente quelle parole, e a dire il vero non era la prima volta che se le stava dicendo. 

Ma c'era sempre quella piccola parte di lui che ancora non voleva arrendersi. E Nic doveva fare qualcosa per metterla a tacere.

Nic non aveva mai affrontato un lutto. La cosa più simile che gli era successa era stata la separazione da Leonardo. Ma Leonardo era ancora vivo, quando si erano lasciati, anche se Nic aveva temuto potesse tentare di nuovo il suicidio.

Come aveva fatto a superare quel distacco?

Non era stato difficile, perché aveva potuto controllare la situazione telefonando a nonno Goran, e si era tenuto la mente occupata con il tennis.

Eccola, la risposta. Il tennis. Il suo rifugio felice.

E adesso c'era anche Elisa. Il Tennis ed Elisa l'avrebbero aiutato a non pensare più al suo amico sparito nel nulla.

E quindi? Problema risolto? 

No. Non poteva essere così facile. 

C'era un bisogno nel profondo del suo cuore, il bisogno di dirgli addio in qualche modo.

Andò in camera sua, al borsone che si era portato dalla casa di Raf e che aveva abbandonato ai piedi del letto. Ne estrasse i quaderni, lesse alcune delle parole, ma quelle frasi sconnesse erano troppo legate a un'intimità che Nic, di quel ragazzo, non aveva mai visto.

Non riusciva a riconoscere il suo amico in quei quaderni, non pienamente.

Allora, anche se sapeva che gli avrebbe fatto male, prese la foto.

Il giorno in cui Raf si era sposato con Vika. Quell'attimo di felicità. 

Non poté evitare di pensare al suo, di matrimonio, e a come si sarebbe sentito quel giorno. Altrettanto felice? In quel momento, se ci pensava, un senso di vuoto gli avvolgeva il petto, un'emozione che sembrava molto più simile alla paura che alla felicità.

Mise via la foto, infastidito da quei pensieri. Le ultime due cose che c'erano in quel borsone erano la vecchia racchetta di legno di Raf, quella con cui giocava quando l'aveva conosciuto, da ragazzino. Aveva già una mano straordinaria anche con quello strumento, ma da quando era passato alla grafite la sua eleganza era arrivata a livelli sovrumani.

E poi c'era una felpa, una delle poche che Raf aveva lasciato a casa. Nic non resistette alla tentazione di annusarla. Lo fece e venne investito dal suo odore, insieme al suo odore venne investito dalle emozioni, dal ricordo di un giorno che non era mai esistito, in un luogo che non c'era nello spazio e nel tempo.

Erano emozioni potentissime, che lo travolsero fino a quasi fargli perdere il controllo, ma riuscì ancora una volta a non piangere. Perché piangere non serviva a niente.

Se continuava a indulgere nei momenti felici, non sarebbe mai riuscito a dirgli addio. Nic capì che doveva separarsi da lui in modo diverso. Portarsi dentro un'immagine negativa, che potesse generare il suo disprezzo e non fargli sentire più la sua mancanza.

Apri l'armadio, dove teneva le foto e le cassette. Ne aveva parecchie, di foto. Diverse Polaroid scattate con la macchina di Raf e foto da rullino. 

E poi c'erano i video. Nic era un tipo meticoloso e aveva catalogato con precisione tutte le cassette, apponendovi delle etichette con data e indicazione sommaria del contenuto. Sapeva perfettamente quali contenevano video di Elisa, quali video di se stesso e quali video di Raf.

Ce n'era solo una senza etichetta, e fu quella che prese.

Non l'aveva mai guardata, e decise che  quella sarebbe stata la prima e ultima volta in cui lo faceva.

La inserì nell'adattatore, poi andò in cucina dove c'era una TV con videoregistratore. Giorgio, Alan ed Enea erano ancora fuori.

Nic fece partire il video.

Si era ripromesso di cancellare quelle immagini, si era pentito di aver registrato quei momenti così umilianti. Poi però se n'era dimenticato ed erano rimasti lì a marcire.

E adesso gli sarebbero tornati utili.

La data in sovrimpressione diceva: 10/05/89. Ed eccolo lì, Raf, ancora mezzo fatto, sporco, scalzo, trasandato, pieno di brufoli. Faccia spenta, barba lunga, bocca umida di bava. Che spettacolo penoso. Ecco cos'era Raf! Un drogato egoista, una persona negativa!

Il video si fermava, stava per arrivare la parte più straziante, quando Nic aveva cercato di far ripetere a Raf, per fortuna senza riuscirci, quella proposta sciagurata: se mi lasci drogarmi ti faccio un pompino.

Nic faticò a guardarla, perché vedere quella scena e sentire il loro litigio gli fece odiare se stesso, che aveva cercato in tutti modi di umiliare il suo amico, e anziché odiarlo si trovò a compatirlo.

Ci fu qualche secondo di rumore statico alla fine della registrazione e Nic sussultò.

Un altro video!

Non ricordava di averlo fatto. Ed era un video girato a Bovec, si vedeva la camera da letto, la data era 02/07/89. Nic, a memoria, capì che era stato registrato uno o due giorni dopo la gita nel mai luogo.

Dopo qualche secondo, nell'inquadratura apparve Raf, che sedette a terra. «Dunque, se sto messo qua in teoria mi si vede tutto. Spero. Dopo controllo.»

Raf! Un video di cui Nic aveva ignorato fino a quel momento l'esistenza! Perché Raf non gli aveva mai detto niente?

«Ciao Nic. Sei appena uscito a fare la spesa, io ho fatto finta che stavo ancora dormendo, ma in realtà ero sveglio. Sarà l'ultima spesa che fai, tra due giorni torniamo in Italia.» Era così abbattuto, mentre pronunciava quelle parole. Nic osservava lo schermo incredulo.

«Devo sbrigarmi, perché so già che ti stai preoccupando per me e che ci metterai pochissimo, come sempre.» Raf si grattò la testa, con fare annoiato, ora.

«Non so bene perché sto registrando questa cosa. Mi hai detto che volevi cancellare la cassetta, non credo che ti dirò di aver registrato questa cosa, così magari farai rewind, ci registrerai sopra e le cazzate che sto per dire verranno cancellate pure quelle...»

Nic si rese conto che stava trattenendo il respiro. Ricominciò a respirare.

«Forse è proprio per quello che sto registrando, sai? Perché so che quasi sicuramente cancellerai tutto senza accorgertene. E se lo vedrai mai, 'sto video, chissà quando lo vedrai...»

Eccomi, Raf. Lo sto guardando. Tre anni dopo.

«E Insomma... Non so neanche bene che cazzo voglio dire... Per prima cosa, forse, voglio mandarti a fanculo. Mi hai rapito e mi hai costretto a disintossicarmi, ma io mica volevo disintossicarmi. Sai qual è la cosa che vorrei più fare in questo momento? Andare a farmi.»

Raf sbuffò. « Però... la mia testa in realtà è un casino. Perché una parte di me ti vuole mandare a fanculo, e un'altra parte ti vuole ringraziare, perché anche se ti ho odiato, ho passato delle settimane bellissime, e soprattutto perché sei l'unica persona al mondo che continua a credere in me.»

E quindi Raf fece la cosa che sapeva fare meglio al mondo: piangere.

E quel pianto ruppe l'equilibrio precario di Nic, che trovò impossibile resistere alla gola strozzata e agli occhi che bruciavano.

Passò un minuto di video, un minuto di lacrime condivise in due momenti diversi dello spazio e del tempo.

«Non so che fine farò, Nic. Ho perso le speranze su me stesso. Sono il primo a non crederci. Già ti sento che mi dici: se parti con questo atteggiamento disfattista non ce la farai mai. Ma non vedo via d'uscita.»

Nic stava ancora piangendo, vedeva lo schermo a stento, gli occhi annebbiati dalle lacrime.

Ma riusciva a vedere che Raf stava sorridendo, mentre ancora un po' singhiozzava. «Però grazie, Nic. Grazie che provi sempre a salvarmi. E grazie che mi ami.» 

Raf fece un lungo sospiro. «Mi sembra una frase così stupida da dire, grazie che mi ami... Non è una cosa di cui dovrei ringraziarti, no? Di solito si dice ti amo e si risponde: anch'io. Oppure, al massimo, se sei Ian Solo rispondi: lo so. Ma grazie? No, è proprio una risposta che suona sbagliata.»

Quanto sei scemo, Raf... pensò Nic inghiottendo lacrime su lacrime.

«Comunque, anche se odi che te lo dico, anch'io va bene lo stesso come risposta, nel mio caso. Perché lo sai che in un certo senso ti amo anch'io. E giuro che è l'ultima volta che te lo dico.»

Nic non riuscì a trattenere il fiume, pianse ancora, rumorosamente, lacrime dagli occhi, moccolo dal naso, pianse, pianse e pianse, mentre Raf tornava alla telecamera, la spegneva e la televisione si riempiva di rumore statico.

Nic aveva bisogno di sentirlo di nuovo. Fece rewind.

«...se odi che te lo dico, anch'io va bene lo stesso come risposta, nel mio caso. Perché lo sai che in un certo senso ti amo anch'io. E giuro che è l'ultima volta che te lo dico.»

Ancora, ancora. Ancora rewind.

«...che in un certo senso ti amo anch'io. E giuro che è l'ultima volta che te lo dico.»

Un'ultima volta. Giuro che è l'ultima.

Rewind.

«...ti amo anch'io. E giuro che è l'ultima volta che te lo dico.»

Quell'ultima volta l'aveva ascoltata con il naso immerso nella felpa di Raf. Chiuse gli occhi e sentì quel ti amo riecheggiare nella sua testa, appoggiò le labbra alla sua mano cercando una sensazione ruvida che non avrebbe mai più risentito, si cullò per qualche istante nell'illusione di essere lì, nel mai luogo dove tutto poteva succedere e dove succedevano solo cose belle.

Si asciugò le lacrime con quella stessa felpa facendo una promessa a se stesso: queste saranno le ultime lacrime che verserò in tutta la mia vita. Da oggi voglio essere felice.

Da oggi voglio che il mai luogo sia un luogo vero: la mia vita.

Posso costruirmi la felicità con le mie mani.

Nic espulse la cassetta e andò a riporla insieme alle altre: non l'avrebbe guardata mai più. 

Poi uscì di casa, deciso. Andò all'Accademia, tra una cosa e l'altra si era fatto mezzogiorno e Nic sapeva che Elisa finiva più o meno a quell'ora la sua sessione mattutina.

Ti amo. Le avrebbe detto ti amo, l'avrebbe presa tra le braccia e l'avrebbe baciata.

La incontrò, quasi una coincidenza del destino, appena arrivato, mentre lei usciva da un campo e si dirigeva verso gli spogliatoi.

Ti amo. Diglielo, Nic.

Ma invece fu lei a parlare. «Nichi! Hai... pianto?»

Ti amo, Elisa, pensò.

«Sì» disse.

«Oh... vieni qui, amore.» Elisa mollò il borsone a terra e lo abbracciò. Odorava un po' di sudore, che gli fece venire in mente... non Raf, Leonardo. Una cosa che gli aveva detto tanti, tanti anni prima e a cui Nic non aveva più pensato. «Ti puzzano un po' le ascelle» gli aveva detto, qualcosa del genere, e poi aveva aggiunto che le ragazze non avevano mai quell'odore, che il loro odore era diverso, qualcosa del genere.

Be', non era del tutto vero. Il sudore di Elisa aveva un'odore simile a quello di un sudore maschile. Simile e diverso.

Ma anche simile. C'erano dentro diversi ormoni, forse, in diverse quantità, anche le ragazze producevano naturalmente un po' di testosterone, soprattutto quando facevano attività fisica, Nic l'aveva letto su qualche rivista sportiva. E forse era per quello che Nic sentiva, in quel momento, di potersi eccitare.

No, non era eccitato. Era sconvolto e disperato, ma quale miglior modo, pensò, di dimostrarle il suo amore e il suo eterno impegno?

Ti amo? No. Ti amo era una frase che credeva di aver dimenticato come dire, dopo averla detta al culmine della felicità. Poi, dopo tanti anni, l'aveva detta di nuovo e di nuovo le sue speranze di felicità erano state punite.

Ti amo, gli aveva detto Raf in quel video, ti amo anch'io. E non era felice, mentre lo diceva.

No, la felicità non poteva passare attraverso quella frase. La felicità doveva passare attraverso le azioni.

«Voglio starti vicino» le sussurrò all'orecchio.

Lei capì, lo trascinò negli spogliatoi, «sono un po' sudata» disse, lui inspirò l'odore acre di lei, «non importa» le rispose, «mi piace.»

Ed era vero. La strinse, la abbracciò e le promise che le avrebbe dato tutto se stesso, per sempre.

Lei si lasciò prendere, e a Nic piacque sentirsi amato.

Note 🎶 

Che strazio, Raf. Sarà davvero andato in Russia? Se sì, tornerà in Italia? E quando?

O forse sarà Nic ad andare in Russia?

E adesso cosa ci aspetta? C'è un matrimonio nell'aria, e promesse di amore e di felicità. Saranno mantenute?

Ah, quasi dimenticavo... chi la riconosce la canzone di questo capitolo? :P

Scoprirete parecchie cose molto importanti lunedì prossimo.

E lasciatemi una stellina per ogni volta che Nic ha ripetuto la cazzata che piangere non serve a niente.

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