71. Perfino per i cani smarriti si fanno appelli per radio
Venti giorni di fuga e neanche un appello per radio
Evidentemente mia madre
Non è neanche una buona padrona
Perfino per i cani smarriti
Si fanno appelli per radio
(I. Graziani, Scappo di casa, 1978)
—
23 febbraio 1992
«Raf è sparito.»
Nic si sentì costretto a confessarlo a Elisa, dopo aver cercato invano il suo amico per tre giorni ed essersi tormentato in segreto.
«Ah, ecco! Adesso ho capito perché è una settimana che stai male!»
«Non è una settimana, sono tre giorni» disse Nic. «Cioè... circa tre giorni. In realtà... in realtà hai ragione tu. Una decina di giorni fa, circa, ci ho litigato. Poi non ci siamo parlati per un paio di giorni, poi tre giorni fa sono andato a casa sua e non c'era nessuno. Ho beccato il padrone di casa e mi ha detto che non lo vedeva neanche lui da un po' di giorni. Allora l'ho convinto ad aprire l'appartamento con la sua chiave e in casa non c'era nessuno.»
«Sarà in qualche buco a drogarsi» disse Elisa cupa, tra i denti.
«È molto probabile, ma ho provato dappertutto, mi son girato tutti gli appartamenti di spacciatori di Bologna e non l'ho trovato.»
«Sei stato a casa di spacciatori?!» sbottò Elisa, sconvolta e arrabbiata. «Ma sei impazzito?! E metti che c'era una retata della polizia? E metti che calpestavi per sbaglio una siringa usata e ti beccavi l'AIDS?»
«Esagerata!»
«Finché quello stronzo ti fa solo stare male è un conto, ma se deve anche mettere in pericolo la tua fedina penale e la tua salute fisica...»
«Ti ripeto che stai esagerando. Per favore, mi puoi aiutare? Sono preoccupato per lui.»
Elisa fece uno sbuffo nervoso. «Ti aiuto, sì. Ma perché voglio aiutare te, non perché voglio aiutare quello stronzo. Se è davvero sparito sono solo contenta.»
«Be', io no, cazzo!» ribatté Nic in un tono molto più astioso di quanto avrebbe voluto. «Lo vuoi capire o no che è mio amico e ci tengo a lui?»
Elisa socchiuse gli occhi, esprimendo altrettanto astio. «E Perché credi che mi stia tanto sulle palle? Proprio per questo! Perché lo vedo che ci tieni a lui, ma lui non ci tiene altrettanto a te, altrimenti non ti farebbe stare così male.»
Nic sospirò. «Hai ragione. Sono d'accordo con te. Ma adesso, per favore, possiamo smettere di discutere di questa cosa e mi dai una mano? Hai sentito Vika ultimamente?»
«No» disse Elisa in tono mesto. «Da quando è venuta sua madre, l'anno scorso, l'ho sentita sempre meno. E poi, dopo che ha mollato per la centesima volta Raf, a gennaio, praticamente non l'ho sentita più. Però se vuoi la chiamo. Adesso lei e sua madre stanno a Ferrara da una loro amica russa che vive lì. Ho il suo numero.»
«Ce l'ho anch'io e l'ho già chiamata lì, ma non risponde nessuno.»
«E allora, se avevi già fatto tutto da solo, io a cosa ti servo?» disse Elisa piccata.
«Pensavo che magari sapessi che si era trasferita da un'altra parte, o qualcosa del genere...»
«Non ne ho idea. L'ultima volta che l'ho sentita stava lì.»
Elisa fu brava a lasciare da parte l'astio e aiutare Nic a organizzare meglio le ricerche.
Nonostante Nic l'avesse già fatto almeno una decina di volte, in orari diversi, per prima cosa richiamarono Vika al numero di Ferrara, ma come previsto non rispose nessuno.
Allora Nic spiegò nel dettaglio a Elisa tutto ciò che aveva fatto: era stato a casa di Raf, e poi in almeno dieci diverse case tra spacciatori e tossici di Bologna e alla stazione dei treni e, foto alla mano, aveva chiesto a tutti se avessero visto Raffaele e se sì, quando fosse stata l'ultima volta che l'avevano visto, ma nessuno gli aveva dato informazioni utili. L'unica cosa interessante che aveva scoperto era che Raffaele era in debito di centomila lire con uno di questi spacciatori, un ragazzo piuttosto corpulento e minaccioso.
Poi, non senza un po' di riluttanza, Nic aveva chiamato i genitori di Raffaele, sia il padre che la madre, ma Raffaele non era tornato a Roma e loro non sapevano dove fosse né dove fosse sparito. Raffaele non parlava con il padre da almeno quattro anni, e l'ultima volta che aveva parlato con la madre era stata quando le aveva chiesto di fargli un bonifico per aiutarlo, poco dopo la disintossicazione a Bovec. Era ormai un estraneo per i suoi genitori.
Con in mano queste informazioni, Nic ed Elisa prepararono un piano d'azione. Nic aveva già cancellato la sua partecipazione a un torneo previsto per la settimana successiva nel sud Italia e già l'indomani sarebbe partito per Ferrara per recarsi di persona a casa di Vika ed eventualmente chiedere ai vicini se sapevano qualcosa.
Se a Ferrara non avesse trovato nulla, sarebbe poi andato a Roma e avrebbe cercato Raf in stazione, nelle zone di spaccio e a casa dei suoi: Nic aveva ancora la debole speranza che in realtà la madre o il padre lo stessero nascondendo e che Raf avesse dato loro istruzioni di non dire nulla a nessuno.
Elisa non avrebbe potuto aiutarlo in termini pratici, perché due giorni dopo sarebbe partita per la Francia a giocare un 125: stava finalmente ritrovando una buona forma e aveva vinto il suo primo torneo dopo tre anni, un 100, a inizio gennaio.
Nic aveva due certezze su Raf: quella di trovarlo, e quella che si stava drogando.
Quando mi stuferò di salvarlo da se stesso? si chiese.
Probabilmente mai.
***
Febbraio/marzo 1992
Raffaele non era a Ferrara.
L'appartamento dove avevano vissuto Vika e sua madre era vuoto. Non viveva più lì nemmeno la ragazza russa che le aveva ospitate. Parlò persino al telefono col padrone di casa, solo per scoprire che non sapeva nulla degli spostamenti della sua inquilina russa dopo la rescissione del contratto d'affitto. Alle insistenze di Nic gli sbatté il telefono in faccia.
La ragazza che aveva ospitato Vika non aveva la cittadinanza italiana, quindi Nic immaginò fosse tornata nella neo formata nazione russa: non aveva senso continuare a seguire quella pista con ben due gradi di separazione da Raf.
A ritorno da Ferrara, Nic passò a Bologna e fece tappa a un comando di polizia, per denunciare la scomparsa dell'amico, ma si trovò di fronte a una difficoltà inaspettata: la sua vecchia denuncia di scomparsa, poi cancellata per intercessione del "buon" notaio Novelli. L'ufficiale di polizia la trovò in archivio, e sulla base di quel precedente decise di non procedere, accusando Nic di essere un mitomane, e salutandolo con una frase disgustosa: «Noi non possiamo stare dietro al vagabondare di qualsiasi drogatello del cazzo. Si faccia il giro di qualche stazione e vedrà che lo trova.»
Nic capì in quel momento di essere solo: nessuno lo avrebbe davvero aiutato a ritrovare Raf. Anche le istituzioni gli erano contro.
Ma non si fece assalire dallo sconforto e partì subito per Roma, dove girò tutte le stazioni, e dopo le stazioni si recò all'appartamento nel quartiere San Lorenzo che Raf aveva condiviso per un periodo con la pittrice. Non vi trovò Raf, ma seppe dove si trovava la ragazza: in una comunità di recupero.
Andò lì, quindi, e riuscì a parlare con lei. Quella ragazza gli fece una pena incredibile: era giovanissima, aveva da poco compiuto diciott'anni, ma aveva gli occhi di una persona che aveva già vissuto troppo. Sembrava serena, però, felice del posto in cui si trovava e ottimista per il futuro, e riuscì a infondere un po' di ottimismo anche in Nic. Fu gentile con lui, gli disse di non sapere nulla di Raffaele, di non averlo più sentito, ma gli indicò nel dettaglio quali fossero le zone dello spaccio di Roma e i nomi delle persone da cui Raf si riforniva.
Seguirono giornate da incubo, in cui Nic visitò ogni squallido luogo di spaccio e parlò con un numero imprecisato di criminali e tossicodipendenti, tutti quelli che erano ancora vivi e che non erano stati arrestati, ma buona parte di essi non aveva idea di chi fosse Raffaele, e i pochi che avevano dato segno di riconoscerlo gli avevano detto di non vederlo da una vita.
L'ultima spiaggia furono i genitori di Raffaele.
Fu il suo primo, e forse ultimo, incontro col padre, un settantenne di bassa statura e appesantito dagli anni, il cui viso somigliava molto a quello del figlio: lo stesso naso regolare, gli stessi bellissimi occhi verdi. Nic venne trattato dall'uomo con una strana, fredda cortesia: rispose a tutte le domande, senza essere evasivo. Disse a Nic tutte le scuole che Raffaele aveva frequentato, gli riferì i nomi di tutti i compagni e gli amici di adolescenza del figlio che riuscì a ricordare. Alla fine, con fare sempre affabile, si congedò con una frase vagamente minacciosa: «Non fare denunce alle forze dell'ordine. Non ne vale la pena e ti porterebbe solo rogne. Sai di cosa parlo: sono in pensione ma ci tengo ancora al mio nome. Se non lo trovi e vuoi veramente sapere dov'è finito, assumi un investigatore privato.»
Salutandolo, Nic si chiese quanta parte avesse avuto il semplice nome Novelli nel rifiuto dell'agente di polizia di procedere con la denuncia di scomparsa. Possibile che fosse un uomo tanto potente?
La madre si comportò in modo più ostile, ma anche lei, dopo qualche insistenza, diede a Nic il nome di qualche amico di infanzia e adolescenza (in buona parte coincidevano con quelli dati dal padre) e qualche ragazzo con cui aveva giocato a tennis da bambino e da adolescente.
Nic parlò con tutti. Con ogni singola persona. Alcuni di loro nemmeno ricordavano più chi fosse Raffaele, una figura troppo distante nella memoria. Chi lo ricordava, com'era prevedibile, non l'aveva più visto da quando Raffaele aveva cominciato a girare l'Italia per giocare tornei.
Al vecchio circolo di tennis di Raf, l'ultimo posto dove Nic si recò, tutti si ricordavano bene di lui, ma nessuno sapeva nulla. C'erano un paio di ragazzi, che bazzicavano i tornei professionistici di basso livello, contro cui Nic aveva giocato, tra cui Fernando, il suo vecchiò compagno di naja, che lo riempì di domande; Nic, scioccamente, rispose a tutto, perché sperava che il motivo della sua curiosità fosse aiutarlo in quella ricerca. Si rese conto troppo tardi che i suoi intenti erano di puro e semplice pettegolezzo.
Al ritorno da quell'ultima infruttuosa chiacchierata, Nic chiamò Elisa dalla camera dell'hotel.
«Mi stavo preoccupando!» disse lei per salutarlo.
«Eddai, esagerata! Ti avevo detto che oggi andavo al circolo, cosa volevi che mi succedesse? Che mi colpisse una pallina in testa? E poi sono appena le...» Nic guardò il suo orologio al polso. «Cazzo, sono già le dieci? Credevo fosse più presto...»
«Ho deciso: in lista di nozze ci metto un telefono cellulare.»
«Per chi, per me? Ma per chi cazzo mi hai preso? Per l'avvocato Agnelli? Piuttosto di avere un telefono cellulare mi sparo.»
«E scommetto che non hai neanche mangiato...»
«No, in effetti no.»
«Raffaele ti fa passare persino la fame! Vedi che ho ragione quando ti dico che quel ragazzo ti fa solo male? Ti rovini la salute, per stargli dietro!»
«Dai, non preoccuparti. Adesso esco, qui è pieno di pizzerie al taglio e...»
«E ti prendi una marinara che è come mangiare niente!»
Nic sbuffò, e rimase un paio di minuti ad ascoltare la ramanzina di Elisa sulle sue abitudini nutrizionali poco bilanciate condite di domande retoriche sul perché avesse smesso di mangiare anche il formaggio. Gli sembrò completamente fuori luogo, considerando quanto Nic era preoccupato per Raffaele, ma la lasciò fare pensando che in qualche modo doveva sfogare la sua frustrazione per una situazione che per lei doveva essere molto stressante.
In fondo lo stava aiutando. Dopo essere tornata a Bologna dal torneo francese – che aveva vinto – si era messa in azione e aveva fatto un po' di domande in giro. Era persino andata di persona nelle comunità di tossicodipendenti, per vedere se Raffaele fosse in cura lì.
Le possibilità si stavano restringendo, e Nic stava lottando con tutte le sue forze per non soccombere all'angoscia.
***
4 aprile 1992
Esaurite tutte le possibilità romane, Nic fu costretto a tornare a Bologna.
Arrivò con un rapido all'ora di pranzo, e già nel pomeriggio decise di fare un ultimo tentativo: tornare nell'appartamento di Raffaele.
Si diede dello stupido per non averci pensato prima: forse lì, tra le sue cose, avrebbe potuto trovare qualche indizio.
«Ma porca puttana! Sei appena tornato, non ti vuoi dare un po' di pace? Speravo che avremmo passato il pomeriggio insieme!» sbottò Elisa non appena Nic le disse cosa voleva fare.
«Ma possibile che non ti stia rendendo conto di cosa è successo? Il mio migliore amico è sparito! Spa-ri-to! E a nessuno sembra fregargliene un cazzo! Sua madre se ne fotte, il padre mi impedisce di fare denuncia di scomparsa, la polizia mi dice che è solo un drogatello del cazzo e tu! Tu che dovresti essere il mio sostegno principale, invece di aiutarmi mi dici di lasciar perdere! Ma come posso lasciar perdere?»
L'espressione di Elisa si fece furibonda. «Invece di aiutarti?! E secondo te cosa cazzo ho fatto in queste due settimane? Secondo te mi sono divertita ad andare nelle comunità di recupero? No! Fosse stato per me non ci sarei mai andata, l'ho fatto solo per aiutare te!»
Nic si morse la lingua. «Scusa. Hai ragione, mi hai aiutato tantissimo. Ma cerca di capirmi, sono disperato.»
«Non lo sembri. Una persona disperata si strapperebbe i capelli e piangerebbe da mattina sera. Non ti ho sentito piangere nemmeno mezza volta, infatti sto facendo fatica a capirti. Se ti vedessi disperato forse... forse mi darebbe più fastidio, perché odio che quello stronzo ti fa stare male, ma sei così calmo che ho quasi l'impressione che lo stai facendo solo per dare fastidio a me.»
Nic rimase talmente interdetto da quelle parole che non trovò una risposta per almeno un minuto. Passarono un minuto a masticare le rispettive portate, in quella trattoria dove si erano incontrati per pranzare.
«Non saprei dirti cosa mi stupisce di più del tuo discorso» disse infine Nic.
Elisa gli fece semplicemente un cenno con la testa, come per invitarlo a proseguire.
«Pensavo che mi conoscessi, che sapessi come sono fatto. Lo sai cosa penso del cedere alle emozioni e alle lacrime. Penso che sia dannoso e inutile, soprattutto in una situazione del genere. Quando ti ho detto, prima, che sono disperato, non ho esagerato per fare il melodrammatico, sono disperato davvero, perché mi sembra di aver esaurito tutte le opzioni. Ma se mi mettessi a piangere che cosa otterrei? Niente. Pensi che non vorrei farlo? Eccome se vorrei farlo! Ma non servirebbe a niente. La cosa migliore che posso fare per lui, in questo momento, è non cedere alla disperazione e continuare ad agire, a fare. Credevo che dopo tanti anni avessi imparato a conoscermi, e a capire questo lato del mio carattere.»
Elisa posò le forchette sul piatto, sollevate dal tavolo e spostate sulla sinistra, come se avesse finito di mangiare. Ma nel suo piatto c'era ancora mezza portata. «Lo conosco anche troppo bene, questo lato del tuo carattere... Non sei una persona facile. Non è facile capire cosa ti passa per la testa.»
«Lo so. E sono felice che mi stai vicino anche se ho la testa così dura.»
Elisa accennò un sorriso. «Fra tre mesi e mezzo ci sposiamo. E vorrei che la nostra vita ruotasse intorno a questo. Non intorno a Raffaele.»
«Lo vorrei tanto anch'io...»
C'era un'altra cosa, in ciò che aveva detto Elisa, che aveva lasciato di sasso Nic, ma decise di lasciar cadere l'argomento e non farglielo notare: l'idea che Nic lo stesse facendo solo per infastidirla. Possibile che fosse così egocentrica? No, non lo era. Nic sapeva che non lo era. Probabilmente era stata soltanto la rabbia a farla parlare in quel modo.
***
Dopo pranzo, Nic, nonostante le proteste di Elisa, andò a casa di Raffaele. Mentre ci andava, in autobus, rifletté e si pentì di non averci pensato prima. Chissà se le sue cose erano ancora là dentro? Era molto probabile che il proprietario lo avesse già dato in affitto a qualcun altro.
Il padrone di casa, per fortuna, abitava in quello stesso palazzo, e Nic lo trovò, più arrabbiato che mai. Se la prese con lui, come se fosse responsabile di quello che aveva fatto Raf. «Quel coglione mi doveva dare un preavviso! È fortunato che non lo denuncio!»
Quell'idea fu un'illuminazione per Nic. «Denuncia? Sì! Perché non lo denuncia? Forse se lo denuncia la polizia lo stana, in qualche modo, riesce a trovarlo!»
Il proprietario abbassò subito la cresta. «Sì, e se lo denuncio poi finisco nei casini anch'io... Era in affitto in nero. Meglio non cercare rogne con la pula...»
Ecco. Mi pareva. Questo tizio è capace solo di fare la voce grossa...
«Va be'... Mi può aprire l'appartamento, per favore?»
«E tu pretendi pure di riavere indietro le sue cose, dopo che non mi ha pagato per un mese e mezzo e se n'è andato senza preavviso? Mi dispiace, signorino. Io non lavoro così! Quello che lo stronzo ha lasciato a casa adesso è diventato mio. Me lo rivendo al mercatino e almeno ci riprendo qualcosa.»
«Se il problema sono i soldi, la pago. Quanto vuole?»
Parlare di soldi mise subito al padrone di casa in atteggiamento cordiale. «I due mesi di affitto che mi deve. E ti puoi prendere tutto.»
«E lei mi assicura che c'è tutto? Che non gli ha fregato niente?»
«Ma no, cosa vuoi che gli abbia fregato? Due stracci e una racchetta da tennis vecchia come il bacucco?»
«E mi spiega quanto ci avrebbe guadagnato a vendere questi due stracci? Non le sembra un po' troppo chiedermi due mesi di affitto per due stracci?»
Quell'uomo non era un gran negoziatore, perché cedette subito. «E va bene! Un mese. Pagami un mese, e ti do mezz'ora di tempo per svuotare quella casa di merda.»
«D'accordo.»
Nic, non senza che gli tremasse un po' la mano, staccò all'uomo un assegno per un milione e centotrentamila Lire. Poi quello gli consegnò le chiavi, e Nic rientrò nel piccolo appartamento che Raffaele aveva condiviso con Vika.
Le tapparelle erano abbassate a metà, tutta la casa era in penombra, ma stava già tramontando il sole, Nic accese subito le luci.
Per prima cosa, Nic andò in camera da letto, stanza in cui non era mai entrato. Il padrone di casa non si era scomodato ad arieggiare o sistemare quasi niente.
Il letto era disfatto e per terra c'erano un paio di calzini sporchi, qualche vestito buttato sulle sedie, un cestino pieno di cartacce, due pacchetti di sigarette, e alcune sigarette aperte, sventrate. Raf non fumava sigarette e nemmeno Vika, infatti infatti non c'erano posaceneri in vista. Ma Nic sapeva che spesso il tabacco veniva usato per allungare il fumo nelle canne, quindi immaginò che Raf le avesse usate per quel motivo.
Se fossero state solo canne, Nic ne sarebbe stato quasi felice. Bustine vuote, sospette, non ne trovò. Ma in quella stanza c'era altro, c'era di peggio.
Bottiglie di alcolici, un po' ovunque.
Una di vodka accanto a quello stesso cestino, lattine di birra sotto il letto, altri vuoti di superalcolici appoggiati in vari punti, della camera e della casa. Raf, forse, non si drogava, ma anche l'alcol era una droga, persino più infida delle canne.
Cercando di passare sopra, per il momento, a quel dettaglio desolante, Nic aprì tutti i cassetti. Trovò qualche vestito, non molti. Sembrava che qualcuno avesse svuotato il guardaroba: era stato Raffaele? Oppure il padrone di casa gli aveva mentito, e aveva già cominciato a vendere qualcosa ai mercatini dell'usato?
Un'altra cosa che mancava era il borsone da tennis. Ma le racchette, forse, erano la cosa di maggior valore che Raffaele possedeva. Se davvero le intenzioni del padrone di casa erano quelle di guadagnare qualche spicciolo dagli averi del suo inquilino, le racchette sarebbero state la prima cosa che avrebbe venduto.
In bagno trovò uno spazzolino usato, un tubetto di dentifricio mezzo spremuto, una saponetta rinsecchita, una confezione di aspirina e una di Tavor, vuote.
Mancavano spazzola, pettine e rasoio elettrico. Raf si radeva solo col rasoio elettrico, perché quelli a lametta gli irritavano la pelle. Mancavano dopobarba e deodorante. Mancava persino il phon. Possibile che il padrone di casa avesse venduto anche questi oggetti così personali? Il rasoio, in particolare, gli sembrava impossibile, con tutta la paranoia che c'era sull'AIDS dopo che era morto Freddie Mercury...
È partito? Si chiese Nic. I vestiti mancanti, il borsone da tennis, gli oggetti di cura personale... tutto puntava in quella direzione: era partito per un viaggio.
Nic cercò ancora. Raf amava fare foto. La Polaroid: dov'era? Quello era un oggetto che il padrone di casa avrebbe potuto rivendere con molta facilità, non trovarlo non era un indizio certo che Raf fosse partito. Ma le foto? Dov'erano?
Di foto personali, in giro per casa, ce ne erano sempre state davvero poche, Raf non era una persona che amava vedere immagini di se stesso. L'unica cornice che Nic trovò fu una foto di Raf e Vika il giorno del matrimonio, proprio all'ingresso, sul mobile accanto allo stupido vaso decorato di Gianfantastico.
I due ragazzi erano ritratti coi loro buffi abiti da sposi: Raf col papillon sulla tuta da tennis, lei con la tovaglia a quadretti in testa. Nic si soffermò a guardare l'immagine: sembravano entrambi molto felici, sorridevano e mostravano all'obiettivo le loro mani, gli anulari su cui avevano infilato due ridicole fedi di carta stagnola. Vika era rimasta pressoché identica in sei anni, ma Nic si stupì nel rendersi conto di quanto fosse cambiato Raf.
In quella foto aveva diciannove anni e al presente ne aveva soltanto venticinque, ma era incredibile quanto il suo viso fosse maturato, Nic avrebbe detto persino invecchiato. A vederlo di persona, chiunque gli avrebbe dato come minimo trent'anni.
A dirla tutta, anche Nic dimostrava un po' più della sua età. Il tennis era uno sport abbastanza spietato con la pelle, l'esposizione al sole accentuava facilmente le rughe, e non tutti erano attenti come Elisa a usare sempre una protezione solare, anzi. Ma Raf sembrava più vecchio di Nic. Si rese conto solo in quel momento, guardando quella foto, di quanto la vita scriteriata che aveva fatto già l'avesse rovinato.
Nic non riusciva a smettere di fissare quell'immagine, quel sorriso così felice, quel viso così bello, tanto bello da sembrare finto, quella bellezza che aveva fatto sentire Nic meschino, che gli aveva fatto chiedere se fosse quella la vera ragione per cui gli stava vicino, e se avrebbe provato per lui gli stessi sentimenti se fosse stato un ragazzo brutto.
Non si sentì meno meschino in quel momento, si rese conto che era proprio ciò che stava ammirando in quella foto, la sua bellezza, una qualità stupida e superficiale. Si rese conto che la stava persino rimpiangendo, che lo stava biasimando per averla in parte rovinata, per essersi strapazzato.
Appoggiò quella foto a faccia in giù, stanco di se stesso e della propria frivolezza. Raf era scomparso, forse era scappato, Nic non sapeva dov'era, e si metteva a perder tempo a rimpiangere la sua bellezza perduta.
Foto. Dov'erano le foto, tutte le foto che aveva scattato negli anni? Le cercò in ogni armadio in ogni cassetto, e ne trovo qualcuna in uno scatolone in camera, ma non erano nemmeno una piccola parte di tutte quelle che possedeva.
E Nic notò che erano tutte foto poco importanti. Ce n'erano alcune coi genitori, qualcuna su campi da tennis o insieme a colleghi. Nemmeno una foto di Nic. Nemmeno una foto di Vika, a eccezione di quella incorniciata all'ingresso.
Ovunque Raf fosse andato, aveva portato le foto con sé.
Si era trasferito. Aveva scelto una nuova casa, probabilmente lontana perché altrimenti sarebbe tornato a riprendere tutto il resto.
Altri indizi che potevano confermare quella teoria: non c'erano borse o valigie negli armadi, tranne un vecchio zaino scolorito dell'Invicta e un borsone da tennis, in cui c'era una vecchissima racchetta di legno con le corde rotte. Anche le scarpe presenti nella scarpiera: solo due paia, entrambe logore. Niente scarpe da tennis, da passeggio o eleganti. Aveva preso tutta la roba buona e quel poco che era rimasto sembrava vecchio o dimenticato.
Partito. Senza dirgli niente. Nemmeno un accenno a un progetto di viaggio o trasloco. Possibile? E perché?
Nic aveva ormai aperto tutti gli armadi di camera e salotto. In quelli del salotto non aveva trovato altro che tazze, videocassette, musicassette, qualche LP e persino un paio di CD, anche se lo stereo della loro casa era vecchio e ancora non aveva un lettore per i compact disc. Il walkman di Raf: anche quello mancava. Anche quella era una cosa che, se fosse partito, si sarebbe portato sicuramente dietro.
Gli armadietti della cucina erano gli ultimi rimasti da esaminare. Nic non pensava avrebbe trovato alcunché, lì, ma era alla ricerca di indizi e non voleva lasciare piste inesplorate.
Sulla rastrelliera c'erano dei piatti ad asciugare, ormai impolverati. La prima volta che era entrato in casa ricordava di averli visti sporchi nel lavello: doveva averli lavati il proprietario, per non farli puzzare.
Negli armadi più bassi trovò esattamente quello che si aspettava di trovare: pentole, bricchi, tazze, utensili. Qualche scatoletta di cibo e pacchi aperti di pasta. Frigo e freezer erano vuoti, aperti e spenti, anche quella era stata di sicuro opera del padrone di casa.
Negli armadi più alti, che Nic raggiunse salendo su una sedia, trovò, insieme a qualche altra vecchia stoviglia, delle cose che sembravano interessanti: scatole e raccoglitori. Nic si mise a esaminarli, solo per scoprire che erano tutte noiose ricevute: fatture e referti medici, ricevute di premio di tornei, bollette pagate, bolli auto... A proposito, dov'era la Lancia di Raf? Sicuramente non parcheggiata nei paraggi, altrimenti Nic l'avrebbe vista. Avrebbe pensato a quel dettaglio più tardi.
Esaminò comunque tutto quanto, guardò le date di pagamento, come se potesse evincere qualcosa da quelle informazioni.
Si concentrò soprattutto sui referti medici. Ce n'erano diversi intestati a Vika, per lo più ortopedici o fisioterapici: inconvenienti dell'essere atleti professionisti.
Quelli intestati a Raf erano molto più vari. Anche lui aveva avuto negli anni diversi piccoli infortuni, in particolare uno ricorrente al ginocchio destro, dedicato al quale c'erano diverse lastre, indicazioni terapeutiche, prescrizioni di ulteriori esami che chissà se Raf aveva mai fatto. Ma c'erano miriadi di fatture legate ad altri disturbi: visite allergologiche, dermatologiche, gastroenterologiche, epatiche e persino neurologiche; diversi test negativi di malattie sessualmente trasmissibili e di epatite, pacchi su pacchi di analisi del sangue, molte delle quali piene di asterischi per valori sballati.
Ma soprattutto, c'erano fatture di studi psichiatrici e psicologici, alcune anche molto recenti. Raf non ne aveva più parlato a Nic, ma evidentemente non aveva mai smesso di essere in cura da qualche specialista per i suoi problemi psicologici. Quel dettaglio lo commosse al punto da costringerlo a fermarsi un attimo, altrimenti sarebbe scoppiato a piangere. Lo aveva sempre accusato di essere un rammollito, di non fare niente per cambiare, ma non era vero: lui ci provava. Nic era convinto che fosse il modo sbagliato di provarci, perché non aveva una buona opinione di quel tipo di professionisti. Gli sembravano venditori di aria fritta, parolai: cosa mai avrebbe potuto risolvere parlare con uno sconosciuto? La psicologia era diventata una moda, un'ossessione. Tutti sembravano aver bisogno di uno psicologo, ma che razza di basi scientifiche poteva avere una disciplina del genere? Come si potevano studiare in modo serio dei problemi che esistevano in uno spazio così astratto come la mente di una persona? E a riprova del fatto che non servivano a un cazzo, infatti Raf non era mai stato "guarito" da quelle visite.
Però ci aveva provato, aveva chiesto aiuto, si era reso conto dei propri problemi e aveva cercato di risolverli anche senza aggrapparsi al suo scoglio, a Nic.
Oh, Raf. Perché non hai chiesto aiuto a me?
Fece un esame di coscienza estemporaneo: forse col suo atteggiamento sempre ostile aveva reso a Raf sempre più difficile confessarsi.
Forse non avrei dovuto incazzarmi sempre, quando piangeva...
Ma la sua parte razionale gli diceva che non aveva sbagliato: l'unica cosa che si poteva ottenere dall'incoraggiare e consolare le lacrime erano altre lacrime.
Nic guardò l'orologio: il padrone di casa gli aveva detto che gli avrebbe concesso solo mezz'ora, ma ne era già passata una e mezza e ancora non era andato a dargli fastidio. Era evidente che non gliene fregasse niente, Nic era certo che se fosse rimasto lì anche un'altra ora, non l'avrebbe visto spuntare. Ormai aveva l'assegno, era soddisfatto.
Mancavano ancora due scatole da esaminare. Nella prima Nic trovò altri documenti, nell'ultima qualcosa che lo lasciò senza fiato.
Quaderni.
I quaderni di poesie di Raf!
Quasi inciampò rischiando di cadere per la foga di prendere la scatola e portarla giù.
Sedette al tavolo della cucina e li aprì, ma si rese subito conto che erano talmente tanti, e scritti talmente fitti che se li avesse esaminati lì per lì, altro che un'ora, ci avrebbe impiegato un altro giorno.
Allora decise che era arrivato il momento di andarsene. Prese il vecchio borsone da tennis di Raf, ci lasciò dentro la racchetta. Fu tentato di prendere le foto, ma non erano belle, non erano dei ricordi amati da Raf, figuriamoci se potevano essere dei bei ricordi per Nic. No, Nic di foto di Raf ne aveva molte altre, molto più belle, e aveva anche parecchi video.
Si rese conto che stava già ragionando con nostalgia, come se dentro di lui sapesse che non avrebbe più rivisto il suo amico. Ma era un ragionamento senza senso! Per quanto ne sapeva, Raf, di lì a una settimana, un mese o un anno, lo avrebbe richiamato, gli avrebbe detto: Ehi, Nic, ciao! Quanto tempo! Sono andato a vivere in campagna, avevo bisogno di staccare. Ti va se ci rivediamo per un caffè? Adesso sto bene, sono pulito, e sai una cosa? Ho trovato una ragazza, mi sono innamorato di lei, ci vogliamo sposare, avere dei bambini. E ho trovato anche uno scopo, sono diventato maestro di tennis e insegno proprio ai bambini, mi piace insegnare, sono felice.
Quante cose sciocche stava pensando...
Nic ficcò tutti i quaderni nel borsone. E poi, non avrebbe saputo dire perché, prese anche un indumento, una sua vecchia felpa, una delle poche che aveva lasciato.
Era pronto ad andare.
Prima di uscire rivolse un'ultima occhiata all'interno, salutò col pensiero l'orrendo vaso di Gianfantastico, che alla fine era stato vinto da Raf e Vika, nel torneino improvvisato in cui l'avevano messo in palio. Era certo che non lo avrebbe più rivisto. Salutò la casa. Perché si sentiva nostalgico? Non aveva nessun particolare ricordo legato a quell'appartamento. Quella era la casa di Raf e Vika, Nic ci aveva cenato un paio di volte, aveva fatto qualche chiacchierata con Raf seduto al tavolo della cucina, nulla di più.
L'occhio gli cade sulla foto a faccia in giù sul mobile all'ingresso. Non resistette alla tentazione di alzarla e guardarla un'ultima volta. Se l'avesse lasciata lì, il proprietario l'avrebbe sicuramente buttata.
A Nic parve un peccato, un peccato mortale. Quel momento di felicità catturato sulla pellicola. Gli sembrava ingiusto che venisse distrutto.
E quindi, maledicendosi un po', la prese. La sfilò dalla cornice, la mise dentro uno dei quaderni in modo che non si rovinasse.
Uscì, lasciandosi alle spalle quel luogo già appartenente al passato.
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Note 🎶
E quindi? Cosa ne pensate di questa improvvisa sparizione? Dove si trova Raf? E Nic riuscirà a trovarlo?
Quante domande, e chissà quando riceveranno risposte...
Grazie di aver aspettato con pazienza questo aggiornamento, spero di non aver perso nessuno per strada. L'influenza è passata (giusto qualche strascico) e sto già riprendendo tutti i miei lavori a pieno ritmo.
Vi do appuntamento a giovedì, e lasciatemi una stellina che i Re Magi sono appena passati e siamo a tema.
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