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7. You better shape up, 'cause I need a man

You better shape up, 'cause I need a man, and my heart is set on you.

Datti una svegliata, perché ho bisogno di un uomo, e ho deciso che sei tu.

(J. Farrar, You're the one  that I want, 1978)

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Avviso importante: la versione che state per leggere di questo capitolo è stata editata per non violare le regole di Wattpad. Ho tagliato alcune parti e riscritto altre, cercando di non cambiare il senso di ciò che accade. Se volete leggere la versione completa del capitolo trovate un link a un PDF pubblico qui a destra. Vi prego di leggere quella versione perché più completa, autentica e aderente alle mie intenzioni narrative e psicologiche. 

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17 marzo 1981

«Non è giusto! No! Non va bene, così!» protestò la Fulvia quasi in lacrime, mentre Nico ammirava il regalo per il suo sedicesimo compleanno, un Ciao Piaggio rosso fuoco, nuovo di zecca, parcheggiato in mezzo al cortile della loro casa.

«Tu sei una ragazza e per le ragazze è pericoloso girare in motorino» cercò di ragionare il padre.

«Ma chi l'ha detto? Perché? Tra due mesi compio diciassette anni, ho un anno più di lui e vado anche meglio a scuola! Avevo tutti sette e otto in pagella, a gennaio, lui per miracolo è arrivato al sei!»

«Ho preso sette in tedesco e matematica» puntualizzò Nico.

«E io otto in inglese, e faccio anche più fatica di te a studiare inglese perché ho fatto tedesco alle medie! Sono più brava, più intelligente, più vecchia e son due anni che vi chiedo il motorino! Non è giusto!»

«Le ragazze non sono brave a guidare il motorino, le strade son pericolose e non puoi girare di notte. Finiscila di fare i capricci!»

Il nonno, che stava osservando la discussione in silenzio, in piedi accanto al motorino con le mani unite dietro la schiena, annuì gravemente a quelle parole del padre.

«Finiscila tu, con le tue idee maschiliste! Menomale che hai fatto il Sessantotto!»

Il padre tirò uno schiaffo alla Fulvia. «Nel Sessantotto erano cinque anni che io e tua madre ti russavamo il culo e ti davamo da mangiare, finiscila di fare i capricci e vai in camera tua!»

L'espressione del nonno era sempre più sprezzante.

«Sempre Nico al primo posto, il figlio maschio! L'erede! Il preferito!» sputò fuori con rabbia la Fulvia.

Un secondo schiaffo le fece probabilmente capire che era meglio smetterla e andarsene. La sua guancia era arrossata e i suoi occhi lucidi, ma non pianse. Diede loro le spalle e con grande dignità e autocontrollo tornò dentro, in casa.

In fondo un po' si somigliavano, Nico e la Fulvia, entrambi erano due persone a cui non piaceva dare spettacolo, asciutte, essenziali e controllate.

Il nonno emise la sua sentenza, rivolto a suo figlio, non appena la Fulvia sparì in casa. «Colpe to, che tu le lassis là a scuele cui omps.» Colpa tua che la lasci andare a scuola coi maschi.

La Fulvia era iscritta ad agraria, una delle poche scuole superiori a non avere sede a Gorizia ma a Gradisca. Era l'unica ragazza della sua classe e aveva rinunciato alla vita sociale goriziana per inseguire la sua passione. Il suo sogno era quello di guidare insieme a Nico l'azienda di famiglia, ma era un sogno che si scontrava con l'esplicito rifiuto del nonno e la freddezza del padre, che si ostinava a non coinvolgerla mai in nulla. 

Non è che il padre le fosse del tutto ostile, quando lei si interessava al lavoro agricolo, ma era evidente la sua mancanza di stima e considerazione. Era sempre Nico il primo (e l'unico) che veniva chiamato quando c'era qualcosa da insegnare, qualche vino da assaggiare, qualche decisione da prendere. E lei, in quelle situazioni, ci si metteva dentro a forza, imponendo la propria presenza e non mancando di lamentarsene.

L'ultima occasione era stata a febbraio, la ripiantumazione di alcune viti, per sostituire dei vitigni ormai vecchi. Il padre aveva voluto che Nico fosse presente sia alla discussione con l'agronomo che aveva suggerito loro quali nuovi ceppi innestare, sia a una delle piantumazioni. «Cussì tu imparis el mistîr.» Così impari il mestiere.

Entrambe le volte la Fulvia non era stata chiamata ed era stato Nico stesso ad avvisarla. Non l'aveva fatto per bontà d'animo ma per opportunismo: lui odiava il lavoro agricolo e l'idea di dover un giorno prendere in mano l'azienda di famiglia lo opprimeva, gli stava stretta. Sarebbe stato ben felice di lasciare tutto in mano a sua sorella che sembrava, al contrario di lui, innamorata di quella prospettiva.

Quando la Fulvia si era presentata agli incontri, entrambe le volte c'era stato un litigio col padre, l'uno copia carbone dell'altro, tanto che Nico li confondeva tra loro nella sua memoria. «Ti dico sempre di avvisarmi quando chiami l'agronomo e quando prendete decisioni grosse sull'azienda, ma non mi chiami mai!» aveva detto la Fulvia. «Ma sei pur qua, mica ti mando via!» aveva risposto il padre. «Son qua perché mi ha avvisato Nico, se era per te stavo a casa!» «Quante vite che fai! La prossima volta ti avviso.» Ma non succedeva mai. Una volta la Fulvia aveva detto a Nico che secondo lei il padre non lo faceva per dispetto o ostilità, ma perché nella sua mentalità antiquata non riusciva proprio a prendere sul serio le ambizioni della "figlia femmina". A questo, poi, si aggiungeva l'esplicita, ancor più marcata ostilità del nonno.

«Posso andare subito a fare un giro?» chiese Nico ammirando il motorino.

Il padre diede una vigorosa manata alla spalla del figlio, con un sorriso soddisfatto. «Tanto lo so dove vai... sei furbo tu!»

Anche il nonno accennò un sorrisetto e Nico ridacchiò.

«Portala a casa, una di queste sere, che voglio conoscerla» disse il padre.

«Ma dai, ti ho detto che è timida!» Non lo era affatto, ma a Nico sembrava una buona scusa per evitare l'incontro imbarazzante.

«Bon, valà, valà! E divirtissiti!»

Nico saltò sul motorino. Sapeva come avviarlo, perché... 

...anche il Bravo si avvia uguale. 

Il Bravo portava attaccato un nome ingombrante.

Un nome a cui Nico non voleva pensare, non ci pensava mai mai mai e poi mai e infatti non ci avrebbe pensato nemmeno in quel momento.

Un paio di pedalate e... brum! il motore si accese. 

Destinazione: Gorizia. Casa della Daiana. La stupenda ragazza che suscitava l'invidia di tutti i suoi amici.

La sua ragazza fissa che vedeva e baciava ogni giorno a scuola, e che sapeva farlo divertire in modi anche più interessanti, di nascosto in camera sua, quando andava a trovarla a casa, o nei bagni dei locali dove si beccavano. 

Alla sua età non erano tanti i maschi che avevano già fatto petting. Tutti i suoi compagni di classe e di tennis lo invidiavano. E per quanto riguardava i suoi vecchi amici di Capriva e Mossa, be', probabilmente lo invidiavano anche loro, ma non li frequentava più, quei campagnoli sfigati. E non soltanto perché in quella compagnia c'era una persona per lui altamente indesiderabile, ma proprio perché erano dei campagnoli sfigati con cui Nico non voleva avere niente a che fare.

Stare insieme alla Daiana aveva svegliato tutti i suoi istinti. Non era mai sazio di ciò che lei gli faceva, tanto che poi continuava anche da solo, a casa, chiuso nella sua stanza. Era da quel giorno in cui lei gli aveva dato il primo bacio che l'ossessione era cominciata.

Lo stesso giorno in cui era successa quell'altra cosa.

Quella a cui Nico non pensava mai. Mai mai mai e poi mai.

Masturbazione e tennis erano ciò che riempiva le sue giornate. Aveva perso al primo turno del torneo regionale su cui aveva riposto tante aspettative a settembre, facendo una figuraccia davanti a tennisti coetanei molto più bravi e potenti di lui, ma era stata una batosta positiva: gli aveva fatto capire che doveva allenarsi di più e mettere su muscoli. Quindi le sessioni di allenamento erano passate da tre a cinque (si riposava solo il fine settimana) e aveva iniziato a fare un po' di pesi a casa. Il suo gioco era migliorato, ma i suoi muscoli facevano ancora pena.

Quando non giocava a tennis, si masturbava.

Da che lo faceva due, massimo tre volte a settimana, era passato a farlo ogni giorno, qualche volta gli era capitato anche più di una volta al giorno, se la Daiana gli faceva qualcosa a scuola. Fino allo sfinimento.

Forse era per quello che non prendeva muscoli: era cresciuto due centimetri da settembre, ma il suo peso non era cambiato. Forse perché si strapazzava troppo. Si rendeva conto che era un'abitudine malsana, ma sentiva di avere energia in corpo da sfogare, una pentola a pressione che se fosse rimasta chiusa sarebbe esplosa. 

Da quel giorno – il suo sedicesimo compleanno – ai suoi passatempi si sarebbe aggiunto il motorino. Dare gas era un vero piacere! In cinque minuti era già fuori Capriva, ma non prese la strada verso Mossa, no, la allungò girando verso San Lorenzo, poi Farra e la statale, che giro del cazzo stava facendo, solo per evitare Mossa, per evitare lui, l'incubo innominabile.

Era stato abbastanza facile evitarlo di persona, un po' meno nei pensieri. Ogni cazzo di stradina di campo glielo faceva tornare in mente e lì era tutto campi, di stradine ne vedeva anche troppe.

Ma aveva imparato una strategia per non pensarlo: immaginare di andare in camporella con la Daiana. Ecco. Eccone lì una, di stradina, che partiva dalla statale, e solo vederla lo fece eccitare un po'. All'idea di portarci la Daiana, ovviamente.

Ed era quasi arrivato da lei, ormai, passò il ponte Ragazzi Novantanove, poi giù verso il quartiere Sant'Andrea, conosceva la strada ormai a memoria ma l'aveva sempre percorsa in bici e in motorino era molto più rapida, e quando avrebbe tolto gli strozzi sarebbe andato ancora più veloce. 

Eccola, la bifamiliare della Daiana! Scese con un salto, corse al cancelletto di ferro arrugginito e suonò al citofono.

«Sì?»

«Sono Nico, scendi!»

La sua bellissima Daiana scese in tutto il suo splendore! Correva giù i tre scalini davanti alla porta, poi dieci metri di vialetto, dritta tra le braccia di Nico, che la prendeva, la sollevava un po' e le faceva fare mezza giravolta: era il loro rituale. 

«Auguri Nico!» La Daiana gli diede un bacio a labbra chiuse.

«Guarda un po' lì» disse lui indicando il Ciao.

La Daiana spalancò la bocca e portò le mani alle guance. «Finalmente! Prendo il mio e andiamo a mangiare un dolcetto in Corso?» propose.

«Sì! Andiamo!»

«Aspettami cinque minuti che mi sistemo.»

I minuti di attesa furono in realtà quindici e quando la Daiana uscì di nuovo, truccata e pettinata, portò con sé un pacchetto regalo.

Nico si lasciò sfuggire un sospiro frustrato. «Ti avevo detto che non dovevi! Mi fai sempre regali! E Natale, e San Valentino...» Al contrario, lui non gliene aveva ancora fatto nemmeno uno, perché aveva una totale mancanza di fantasia in materia di regali. Il compleanno della Daiana sarebbe stato a giugno e Nico aveva già iniziato a stilare un elenco di possibili cose da prenderle, ma tutte le idee che gli venivano in mente gli sembravano una più banale dell'altra. Avrebbe voluto regalarle una cassetta o un disco, ma la Daiana aveva una conoscenza musicale superiore alla sua, e il rischio di scegliere qualcosa che lei possedeva già era elevato.

«È una monata! Dai, apri!»

Nico scartò rapidamente e dentro trovò... un libretto?

Se lo rigirò tra le mani, perplesso. «Cos'è?»

«Un diario!»

Lo aprì, ma dentro le pagine erano completamente bianche, non c'era un calendario.

«Siccome ti piace tanto leggere ho pensato... perché non inizi anche a scrivere? Ti ho preso un modello da maschio, hai visto che bella copertina blu?»

«Oh... ma io non è che abbia tanta fantasia per scrivere...» Nico si grattò la testa.

«Ma non ci vuole fantasia a scrivere un diario! Basta che ci scrivi dentro i cazzi tuoi.»

Ma che roba è?! Un diario del cuore? Ma per chi cazzo mi ha preso? «Be'... grazie.»

La Daiana rise. «Non ti vedo convinto...»

«Ma no, è bellissimo! È solo che... che non ho mai scritto su un diario che non fosse quello di scuola e... non so se mi viene in mente cosa scriverci, ecco.» 

«Ti vedo spesso un po' triste, un po' tipo... ogni tanto mi sembri Giacomo Leopardi, tutto tormentato da qualcosa, e non vuoi mai parlare, fai sempre il misterioso. Allora ho pensato che magari ti faceva bene scrivere. Sai, a me serve tanto. Tipo quando litigo con quei rompi dei miei, o quando sono incazzata... prendo il diario e scrivo.»

Perché sei una femmina, pensò Nico, senza dirlo. «Ci proverò» disse invece, vergognandosi anche solo di aver preso in considerazione l'idea per finta.

«Poi però se scrivi qualcosa su di me voglio che mi fai leggere!» scherzò lei.

Nico rise, con il disagio e l'imbarazzo che avrebbero voluto uscire da lui gridando. Un diario del cuore! Perché si ostinava a fargli regali da femmina?

Non sono un finocchio.

Scacciò quel pensiero dalla testa. Ogni tanto appariva, luminoso come un'insegna al neon. Ogni volta che qualcuno metteva in discussione la sua mascolinità.

Si faceva strada in lui il dubbio, il sospetto, l'idea che qualcuno potesse pensare quella cosa orribile di lui. Esattamente come lo aveva pensato...

...la persona di cui non voleva pensare neanche il nome.

Anche a Natale e San Valentino la Daiana gli aveva fatto due regali da finocchio: a Natale una cuffia colorata con un pom pom in cima; da lei che aveva uno stile così rock si sarebbe aspettato qualcosa di meno sfigato, ma gliel'aveva data commentandola con le parole: «Mi piace tanto che io e te siamo diversi come ci vestiamo! Siamo tipo Grease al contrario, io sono la teppista e tu sei Olivia Newton John!» Sentirsi dare della femmina l'aveva umiliato mortalmente e aveva riecheggiato le centinaia di frutute che gli diceva il padre, ma aveva cercato di non darlo a vedere, mentre lei andava avanti a immaginare ad alta voce un giorno in cui lei avrebbe indossato un'adorabile gonnellina bianca per  compiacere lui e lui un giubbotto di pelle per compiacere lei, come nel finale del film. A Nico quella cuffia aveva fatto talmente schifo da averla indossata solo un paio di volte durante uscite in solitaria con lei, e piuttosto di continuare a metterla aveva preferito restare con testa e orecchie al freddo per tutto l'inverno («Non patisco il freddo!»).

A febbraio, invece, gli aveva portato un gattino della Trudi, che Nico aveva sepolto in un armadio nell'istante in cui era tornato a casa. E per fortuna la Daiana a casa sua ancora ancora non ci era andata.

E adesso quel diario. «È tascabile, puoi portarlo sempre con te! Così se un giorno ti prende male quando stai in giro apri il diario e butti fuori tutto» disse lei, continuando a fare commenti su quello stupido regalo.

«Grazie!» ripeté lui infilandolo nella tasca della giacca di jeans.

La stessa che avevo quando...

«Andiamo, dai! Pasticceria centrale?» propose Nico.

«Fatta!»

Arrivarono in Corso in due minuti, parcheggiarono i motorini uno accanto all'altro e sedettero nello spazioso locale, uno dei più eleganti di Gorizia.

Nico ordinò una millefoglie alla crema, la Daiana un bignè al cioccolato, accompagnati da un tè per lei e una menta per Nico.

«Allora... pensavo...» esordì lei.

«Dimmi.»

«Adesso che hai il motorino...»

«Possiamo fare qualche giro insieme» concluse lui.

«Hai presente la casa dei miei a Grado? Possiamo finalmente andare lì.»

A Nico quasi andò di traverso il boccone di millefoglie che aveva appena messo in bocca.

Lei gli fece un sorriso malizioso. 

«Ma i tuoi non si accorgono se prendi la chiave?» chiese lui. «Non è pericoloso?»

«Che coccolo che sei a preoccuparti... no! I miei sono imbambiniti, non si accorgono mai di niente. Figurati che io fumo in camera mia con la finestra aperta e mia mamma non ha alba.»

«Wow, be'... allora...»

«Domenica prossima?»

«Intendi... tra cinque giorni o la settimana dopo?»

«Tra cinque giorni!» la Daiana sorrise. «Sei libero, sì?»

Nico cercò disperatamente una scusa, senza trovarla. La Daiana purtroppo sapeva che Nico non andava mai a messa, l'unico nonno vivo che aveva era Giovanni che viveva con loro, il fratello della madre viveva in Toscana, la sorella di suo padre era morta giovane, quindi pranzi domenicali coi parenti non poteva inventarli, e altre attività domenicali che potessero tenerlo lontano da lei non gli vennero in mente, sul momento. «Sì, penso di sì.» 

«Evviva! Oddio, sono così emozionata!»

Nico sorrise a sua volta. «Anch'io sono emozionatissimo.»

E non stava mentendo. Ma sospettava che l'emozione della Daiana fosse diversa dalla sua. 

In lui c'era solo terrore.

Note 🎶

E alla fine son riuscita a pubblicare il capitolo oggi, phew!

Povero Nico, è terrorizzato e non sa perché. Secondo voi qual è la ragione? Domanda retorica?

E se non ne avete mai visto uno e vi interessa sapere com'era fatto il mitico Ciao Piaggio, eccolo, in una fumatissima pubblicità d'epoca

Ci leggiamo giovedì, e lasciatemi una stellina per tutti gli strati della millefoglie di Nico (quindi: mille stelline, facile).

E lasciatemela anche perché siete contenti che ho pubblicato lo stesso, oh.

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