67. E tu, amica cara, mi consoli perché ci ritroviamo sempre soli
L'eccitazione è il sintomo d'amore
Al quale non sappiamo rinunciare
Le conseguenze spesso fan soffrire
A turno ci dobbiamo consolare
E tu, amica cara, mi consoli
Perché ci ritroviamo sempre soli
(G. Rapetti, Una donna per amico, 1978)
—
Luglio 1989
Pochi giorni dopo la giornata nel mai luogo, Raf e Nic tornarono in Italia.
Nic aveva promesso a sua madre che sarebbero passati a casa e avrebbero avrebbero trascorso almeno una giornata con lei. Lo fecero. Raf aveva convinto la sua, di madre, a fargli un bonifico bancario, e aveva voluto parlare anche con Nic, prima di aprire il portafogli, farsi assicurare che suo figlio si era davvero dato una sistemata. E fu un bonifico decisamente sostanzioso, un milione di lire. «Non posso sperare di continuare a farmi mantenere in questo modo» aveva detto Raf a Nic. Ma aveva ammesso di non sapere ancora come si sarebbe guadagnato da vivere.
Una parte di quei soldi Raf la usò per fare un regalo a entrambi i genitori di Nic, per ringraziarli di averlo fatto stare nella casa di loro proprietà. Scelse degli oggetti molto semplici, banali, perché non li conosceva e Nic non gli era stato d'aiuto: «I miei sono due persone piatte, non hanno passioni.» Perciò aveva preso un foulard firmato alla madre e una Parker al padre.
La madre fu molto intenerita dal gesto, il padre nemmeno lo ringraziò, spalleggiato dal nonno.
Raf e Nic trascorsero quindi una notte a Capriva, nonostante le lamentele molto vocali del nonno, e ripartirono alla volta di Bologna.
Entrambi dovettero affrontare lo stesso problema: non avevano più un posto dove vivere. Nic non ebbe il coraggio di chiedere a Raf di cercare un appartamento insieme, dopo quell'assurda giornata in cui si erano parlati a vicenda di favole irrealizzabili, convivenze eterne e matrimoni. Erano però entrambi d'accordo su una cosa: Raf non poteva tornare a Roma. Si sarebbe trovato di nuovo nella solitudine più completa, col pericolo di finire nel tunnel al primo momento di tristezza. Anche Bologna aveva i suoi rischi, ma lì almeno c'erano Nic e Vika.
Per fortuna Bologna era una città studentesca. Ragazzi di tutta Italia frequentavano lì l'università, e il mercato degli affitti, quindi, era molto fiorente. Perciò Nic e Raf presero base in un ostello della gioventù e si misero a cercare una camera in affitto.
Per quanto riguardava il lavoro, Raf sorprese Nic decidendo di ricominciare ad allenarsi il primo giorno dopo essere tornati. Disse di volersi rimettere in forma e rientrare nel circuito dei tornei.
Ma il suo sprone principale, stavolta, sarebbe stato diverso: voleva fare da allenatore a Nic.
«Ti confesso che mi farebbe comodo» gli disse Nic, «perché soldi per pagarmi un allenatore non li ho, e allenandomi da solo non so quanto riuscirei a migliorare e campare di solo tennis. Però mi sento anche in colpa che non ti pago. Stai facendo un lavoro per me e a me sembra giusto pagare il lavoro.»
«È una cosa che faccio soprattutto per me stesso. È l'unico modo in cui posso pensare di ricominciare, l'idea che il mio tennis sia utile anche a qualcun altro oltre che a me. Quindi in realtà sei tu che stai facendo il favore a me. E poi il posto in accademia l'hai perso per farmi da badante.»
Ne discussero un po', Raf fece notare a Nic che quella sistemazione avvantaggiava anche lui, perché Nic era un ottimo sparring gratuito, e infine Nic acconsentì.
Nelle settimane successive, Nic ebbe ancora una volta la conferma di quanto fosse bravo Raf come allenatore: aveva un occhio incredibile per identificare i problemi ed era bravo a spiegare le soluzioni, anche se aveva la tendenza a mettere tutto giù in termini sin troppo estetici. Si arrese in fretta, però, di fronte al fatto che Nic aveva uno stile di gioco rigido, e che nessuno sarebbe mai stato in grado di insegnargli a muoversi in modo elegante.
Raf trovò casa circa a metà luglio, dopo due settimane trascorse in ostello. E sorprese Nic con un annuncio, l'ultima notte in ostello, mentre erano entrambi seduti a un divanetto della sala comune al primo piano: «Vado a vivere con Vika.»
Nic impiegò qualche secondo di troppo a rispondere. «Siete tornati insieme?»
«Ci stiamo riprovando.»
Nic si sforzò di sorridere. «Sono contento per voi.»
«Io non so se sono contento.»
«E allora perché vai a conviverci?»
«Scusami, forse non avrei dovuto cominciare il discorso» cercò di tagliare corto Raf.
«Eh no, adesso che l'hai cominciato lo finisci.»
Raf rimase zitto.
«Se le tue remore riguardano me, in qualche modo, tipo i tuoi discorsi su quanto ti sarebbe piaciuto vivere con me per tutta la vita, non ti preoccupare. Come vedi ne parlo tranquillamente, sono abbastanza adulto è abbastanza solido da aver superato tutto.»
«Io non credo alle tue dichiarazioni superficiali. Tu sei tanto bravo a recitare la parte della roccia, ma l'hai detto anche tu che sotto la roccia c'è qualcosa da scalfire.»
Nic sbottò: «E finiscila di parlare per metafore! Perché non sei contento di andare a vivere con lei?»
Raf cedette. «Perché ho paura che la situazione tra me e lei sia molto simile a quella che c'era tra me e te.»
«E cioè?»
«E cioè che ci amiamo in modo diverso.»
Nic fu ferito da quelle parole, ma rimase impassibile.
O meglio: credeva di essere rimasto impassibile, ma evidentemente non ci era riuscito, perché Raf disse: «Ecco. Ti ho appena tirato una pugnalata al cuore. Per questo non volevo parlartene.»
«Tu la ami e lei no? È questo il problema?» disse Nic, che voleva dimostrare a tutti i costi all'amico che non aveva alcun problema a parlare di quegli argomenti con lui.
«La cosa è più sottile. Esattamente come è più sottile anche tra me e te. C'è amore da entrambe le parti, ma è un amore di tipo diverso.»
«Però che lei ti ami come la ami tu perlomeno è possibile.»
«E questo rende tutto ancora più doloroso. Perché lei, di fatto, non mi ama come la amo io, e non mi amerà mai in quel modo. E questo io lo vivo come un terribile fallimento.»
Nic alzò le mani. «Non so cos'altro aggiungere, se non questo: se pensi che questa cosa ti farà soffrire, è meglio se la concludi subito.»
«Ma io la amo. È l'unica donna che abbia mai veramente amato.»
«L'unica persona» lo corresse Nic.
Raf stava per dire qualcosa che non disse. Annuì. «Hai ragione, Nic. Devo trovare una parola diversa da amore, perché continuare a pensarlo come un amore fa male a tutti e due.»
«Vedo che capisci.»
«È assurdo che i poeti non l'abbiano trovata. Che tocchi definire amore quello che provi per una ragazza che vorresti sposarti, per un figlio, per un genitore, per un amico.»
«Per un amico c'è la parola amicizia» obiettò Nic.
«Amicizia definisce il rapporto, non il sentimento.»
«C'è "ti voglio bene."»
«Non è abbastanza. Figurati che per me ci vorrebbe un verbo pensino più intenso di amare. Qualcosa di diverso e unico. Non esiste, dobbiamo inventarlo.»
«Sei tu il poeta...»
«Sono un poeta senza parole. Che poeta del cazzo.»
***
E così Nic rimase un'altra settimana in ostello, da solo, visitando appartamenti su appartamenti, finché non ne trovò uno in cui si incastrarono tutte le sue necessità: pulito, a un prezzo accettabile, con inquilini non fumatori che sembravano simpatici e a cui lui stava simpatico. Paradossalmente la cosa più difficile era stata trovarli non fumatori. Erano in tre: Alan ed Enea che occupavano una doppia, e Giorgio che occupava una singola.
Anche la camera di Nic era una singola, che aveva persino una tv con videoregistratore, ma Nic scoprì la prima fregatura il giorno stesso in cui si trasferì: «Ah, quella la prossima settimana Filippo torna a prendersela.» Filippo era il precedente inquilino della stanza e la TV era sua.
Nic non fu particolarmente disturbato dalla mancanza, perché impegnato com'era l'avrebbe usata pochissimo, ma si chiese cos'altro gli inquilini avessero omesso di dirgli per invogliarlo ad andare lì.
Nel frattempo, Raf si era sistemato bene con Vika. Condividevano un appartamento minuscolo in una zona periferica, ma Bologna non era una città molto grande, quindi, anche grazie alla Lancia di Raf, non avevano difficoltà di spostamento. Avevano già invitato Nic ed Elisa a cena, una delle prime sere. Vika era ancora nel bel mezzo del trasloco dalla precedente casa, dove il contratto le scadeva a fine mese, e Nic aveva scoperto proprio quella sera a cena che una delle ragioni per cui aveva deciso di andarsene erano stati dei comportamenti molto sgradevoli del suo padrone di casa, Gianfranco detto Gianfantastico. L'uomo aveva imposto la sua presenza in pianta stabile nell'appartamento, e le ragazze lo avevano sorpreso a frugare nei loro cassetti e avevano scoperto di avere pezzi mancanti di biancheria intima. «Giuro che prima di andarmene gli rubo qualcosa, a quel maniaco! Così impara a rubarmi le mutandine a me!» Aveva annunciato Vika a fine serata, e i ragazzi, poi, avevano fatto a gara di suggerimenti su cosa avrebbe potuto portare via da quella casa.
La decisione era caduta su un vaso: un orrendo vaso dalle decorazioni molto kitsch che Gianfantastico adorava e considerava un pezzo pregiato d'arredamento. E siccome quel vaso faceva schifo a tutti, avevano anche deciso di metterlo in palio in un piccolo torneo improvvisato tra di loro, al meglio di un set: Elisa contro Vika, poi Nic contro Raf, e un eventuale incontro decisivo di doppio misto.
A Nic non era sfuggita l'implicazione romantica del mettersi in coppia con Elisa: non erano fidanzati e non vivevano insieme, ma se avessero vinto quell'orribile vaso era come se fosse il primo pezzo di arredamento di un loro ipotetico nido. Non ne avevano parlato esplicitamente, e forse Nic stava vedendo troppo dietro quella decisione scherzosa di giocare insieme. Ma non poteva evitare di pensarci.
Dopo che Nic si era sistemato nel suo nuovo appartamento, avrebbe voluto invitarli tutti a cena, ma aveva scoperto una nuova regola sconosciuta della sua nuova casa: niente inviti multipli, massimo una persona. «La cucina è minuscola, noi prendiamo lo studio sul serio e non vogliamo gente che fa casino fino a tardi» aveva spiegato Giorgio, che era l'inquilino di più vecchia data e faceva il capo. E persino ospitare una persona sola aveva delle regole: l'ospite poteva restare a dormire nella casa al massimo una notte, a patto che non facesse rumore e non disturbasse gli altri, e se voleva fermarsi di più doveva pagare una parte delle spese. Nic era una persona rigida, ordinata e poco incline a fare festa, ma quei tipi gli sembravano persino più rigidi di lui.
Per questo motivo, Nic aveva infine deciso di invitare a cena solo Raf ed Elisa, in due sere separate (con Vika aveva troppa con poca confidenza per trascorrerci un'intera serata in solitudine).
Diede la precedenza a Elisa. Lei gli propose di andare al cinema insieme, dopo cena, ma d'estate i bei film scarseggiavano, perciò decisero di approfittare dell'ultima settimana di televisione e prendere una cassetta a noleggio da vedere in camera di Nic.
E Nic aveva già in mente il film: «Hai mai visto La storia fantastica?»
Elisa fu entusiasta della proposta: conosceva il titolo ma non l'aveva mai visto. Essendo piuttosto recente, ne trovarono diverse copie nel primo videonoleggio in cui entrarono.
La cenetta, poi, fu piacevole, anche se funestata dalla presenza un po' invadente di Giorgio, Enea e Alan, che avevano tempestato Elisa di domande e sguardi languidi. Nic fu piuttosto impaziente di ritirarsi, perché gli faceva piacere l'idea di passare un po' di tempo con Elisa: era parecchio che non si facevano una bella chiacchierata. La camera di Nic non era niente di che, piccola e spartana: una rete con un materasso, un armadio in formica è una vecchia cassettiera non coordinata, sopra la quale facevano bella mostra di sé la TV e il videoregistratore che sarebbero stati portati via dopo pochi giorni.
«Che simpatici i tuoi inquilini!» commentò Elisa appena si chiusero in camera, dopo cena.
Nic non si stupì di quelle parole: Elisa era sempre molto suscettibile alle attenzioni e ai complimenti. «Sono sicura che se ci avessi chiacchierato ancora un po' sarei perfino riuscita a strappargli il permesso di fare una cenetta anche con Raf e Vika» aggiunse.
«Ne sono abbastanza sicuro anch'io» disse Nic. «Gli uomini pendono dalle tue labbra.»
Elisa fece un sorrisetto e alzò un sopracciglio. «Noto una punta di gelosia?»
Nic alzò le mani. «Ma no!» era una risposta sincera, ma Elisa non sembrò crederci. Nic decise di non insistere, perché era una ragazza che si risentiva facilmente su quel tipo di cose, sarebbe stata capace di prendere come un'offesa la mancata gelosia di Nic.
Non c'erano sedie in camera, quindi Nic fece accomodare Elisa sul materasso, mentre lui sedette a terra, ai piedi del letto. Spensero le luci e il televisore soffuse la stanza di una tenue tonalità azzurra.
Dopo nemmeno cinque minuti di visione, Nic si rese conto che stare seduto a terra era una soluzione impraticabile: decisamente troppo vicino allo schermo, che era un metro di fronte al letto. Gli si stavano incrociando gli occhi. Chiese a Elisa se poteva sedersi accanto a lei, sperando che non fraintendesse le sue intenzioni.
«Ma sì, cavolo! Vieni qui, te l'avevo detto subito che da lì non avresti visto niente!»
Nic fece attenzione a sedersi più lontano possibile da lei, all'estremità del letto.
Si era già pentito di quel finale di serata: il film sembrava divertente, ma molto più romantico di quanto Raf gli avesse fatto credere, e Nic avrebbe dovuto capire subito che l'unico modo possibile per vederlo era seduti sul letto, con la schiena appoggiata al muro.
Ma cercò di non pensarci, sperando che non ci avrebbe pensato nemmeno lei.
Durante la cena, prima che arrivassero quei rompiscatole dei coinquilini, lui ed Elisa avevano parlato per la prima volta nel dettaglio di Raf e di Bovec. Nic non aveva raccontato particolari intimi, si era limitato a descrivere a Elisa le difficoltà che aveva avuto nel tenere il suo amico sotto controllo, e lo stress emotivo che aveva dovuto patire, ed Elisa aveva espresso ammirazione nei confronti di Nic e di ciò che aveva fatto. Gli aveva fatto un complimento che l'aveva messo molto in imbarazzo: «Sei davvero un ragazzo meraviglioso.»
In quel momento, seduto accanto a lei, ci ripensava, faticando a concentrarsi sul film. Cosa aveva voluto dire con quella frase? Nic era contento di avere Elisa come amica, e il fatto che lei avesse avuto diverse relazioni, dopo di lui, lo aveva sempre tranquillizzato: anche lei è contenta di essere solo mia amica, si era sempre detto. Aveva sentito di molte coppie rimaste in amicizia dopo essersi lasciate, e si era convinto, o si era voluto convincere, che fosse successo lo stesso a loro due.
Ma se Elisa la pensasse diversamente?
C'era stato qualche sguardo, in passato, che aveva fatto sospettare a Nic qualcosa. Ma erano stati momenti fuggevoli e l'impressione era sempre passata.
Elisa rideva seguendo le battute del film. Nic si sforzò di concentrarsi sulla storia, che a dirla tutta gli sembrava anche bella.
Pian piano ci riuscì, e dopo mezz'ora si rese conto che forse avrebbe fatto meglio a continuare a concentrarsi su Elisa, perché si accorse che lei, di soppiatto, si era avvicinata a lui fino a entrare in contatto.
Nic sentì il bisogno di fare qualche commento stupido sulla trama, sui personaggi, ma i commenti ebbero un effetto opposto a quello sperato: Elisa si disse d'accordo con lui, ne approfittò per toccargli il braccio con la mano, e la mano poi restò lì, scese, si appoggiò a quella di Nic.
Il cervello diceva a Nic di sottrarsi a quel contatto, e mettere in chiaro con Elisa che lui non era interessato a lei da quel punto di vista.
Ma con grande sorpresa dello stesso Nic il suo cuore, quel cretino del suo cuore, gli stava dicendo una cosa diversa.
Perché al suo cuore quella mano sulla sua stava piacendo, si stava crogiolando in quel semplice gesto di affetto che Nic stava vivendo così, come un semplice gesto d'affetto, ma che probabilmente Elisa stava vivendo in modo diverso.
Il cuore di Nic batteva veloce, ma non d'amore: di paura e desiderio di contatto umano.
Il cuore di Nic prese il sopravvento sul cervello, e gli fece stringere quella mano.
Il cuore di Nic sognava un abbraccio, sognava un'amicizia, un'amicizia vera che Nic potesse vivere come gli sarebbe piaciuto vivere anche l'amicizia con Raf: senza seconde intenzioni, senza desideri di natura differente. Senza sogni romantici.
Ma il cuore di Elisa sognava qualcosa di diverso, e quel sogno si espresse in un gesto: Elisa si avvicinò a lui e provò a baciarlo.
Nic, che la stava guardando, si voltò verso il televisore, il bacio di Elisa finì sulla guancia. «Eli, scusa. Non me la sento.» La sua voce si confuse con i suoni provenienti dal televisore.
Nic di primo acchito non capì la frase che disse lei in risposta: «Non devi sentirti in colpa, Nic.»
Lui si voltò per guardarla negli occhi, che nella penombra scintillavano coi riflessi azzurri dello schermo. «In colpa di cosa?» le chiese.
Lei gli sorrise.
Aveva un modo strano di sorridere, Elisa. Nic aveva notato quella tendenza peggiorare negli anni, quella di sorridere in modo molto leggero, senza scoprire i denti. Da un paio d'anni, aveva aggiunto una seconda tendenza, una specie di tic: quando sorrideva contraeva le labbra e le portava in avanti come se stesse mimando una specie di strano bacio. Era un'espressione che rendeva il suo viso difficile da leggere. Sorrideva, ma era un sorriso strano, una smorfia quasi imbronciata. Nic non capiva bene perché sorridesse in quel modo strano, perché le rare volte in cui si lasciava sfuggire dei sorrisi aperti, e quelle due splendide fossette si formavano sulle sue guance, Nic rimaneva sempre affascinato dalla bellezza del suo viso. Era stato vedendola sorridere che, anni prima, aveva persino avuto il dubbio di poter essere bisessuale.
«Quel discorso che hai fatto a Natale...» disse lei. «Mi ha colpito tantissimo. Non ho mai smesso di pensarci.»
Nic continuava a non capire, faticava a orientarsi tra i ricordi e le chiese spiegazioni: «Di quale discorso parli?»
«Eddai, lo sai...»
C'era qualcosa che sfuggiva a Nic, ma aveva quasi paura a fare domande. Il film stava continuando a scorrere, in sottofondo; il volume era basso, ma rendeva tutto ancor più confuso.
«Vuoi proprio che te lo dica ad alta voce?» Elisa sospirò. «Quando hai detto che stavi vicino a una persona e ti sentivi meschino perché non sapevi se eri mosso da amicizia o da sesso...»
Nic capì prima ancora che Elisa traesse le conclusioni del discorso.
«Be', l'avevi detto con parole un po' più volgari, ma il senso era quello.» Elisa abbassò lo sguardo. «Guarda che l'ho capito benissimo che stavi parlando di me...»
No...
«E che tu ci creda o no, ho apprezzato tantissimo la tua sincerità. Non ti ho trovato meschino per niente, anzi, magari i ragazzi fossero tutti sinceri come te... Hanno tutti, sempre dei secondi fini, ma non lo ammettono mai, fanno finta di essere dei cavalieri, ma pensano solo a quello...»
No no no no no!
«Tu mi sei stato sempre vicino, mi hai sempre aiutato quando ero triste perché quello o quell'altro stronzo mi aveva mollata, o tradita. Mi sei stato vicino senza chiedermi niente, e a me non importa se dentro di te pensavi quelle cose, anzi... forse sono felice che le pensavi.»
Nic cercò nella sua testa una soluzione, una via di uscita a quel problema.
Avrebbe potuto dirle la verità. Forse quello era il momento migliore per confessare alla sua migliore amica quello che lui era, essere per la prima volta sincero con lei in tutto e per tutto.
Ma due paure, quella di ferirla è quella di restare solo, lo frenarono e lo spinsero in direzione totalmente opposta.
Elisa si riavvicinò a lui, lui rimase immobile. Le loro labbra si incontrarono, con la colonna sonora del film che li accompagnava.
Non era passato neanche un mese da quando aveva baciato Raf.
No. Ma quel bacio non era mai successo. Era successo nel non luogo, e quindi era come se non fosse successo.
Il bacio presente, invece, quello sì che stava succedendo davvero. Un bacio dolce, bagnato e azzurro con la ragazza più bella che avesse mai conosciuto.
E fu un bel bacio. Forse il più bello che le avesse mai dato, il più dolce. Gli piacque. Gli piacque davvero, perché si sentiva solo, e in quel bacio c'era affetto. C'erano amore, calore... quali erano le altre parole che Raf aveva usato? Nic era felice di quel bacio perché capiva, finalmente, cosa doveva aver provato Raf.
Qualcosa di molto simile. Un bacio che non faceva fremere il cuore di emozione, ma aveva il calore di un cantuccio familiare, l'avvolgenza di un abbraccio.
E capì anche come Raf si fosse accorto che Nic, quel giorno nel non luogo, stesse provando emozioni diverse dalle sue. Perché anche Nic, lì con Elisa, capì che lei era mossa da diversi sentimenti.
Le sue mani correvano frenetiche sulla schiena di lui. Lo spinse sul letto. Si stava spingendo troppo in là, Nic la fermò.
Nic aveva già fatto sesso con lei. Era sempre stato bravo a staccare la sua mente dalla circostanza presente: chiudeva gli occhi e si metteva a pensare ad altro, e le sensazioni fisiche piacevoli facevano il resto.
Ma quel giorno sentiva che non ce l'avrebbe fatta. Avrebbe dovuto dirle la verità, chiederle scusa, esattamente come Raf aveva fatto con lui. Perdonami, volevo solo un po' di calore, un po' di affetto. Non avrei dovuto baciarti. Avrebbe dovuto dirle così.
E fu quasi sul punto di farlo, ma fu frenato dallo sguardo sognante di lei, da un suo sussurro: «Oh Nichi, era almeno un anno che lo sognavo, se non di più...»
Due parole riecheggiarono nella testa di Nic: ti amo.
Le due parole che lui aveva detto a Raf, al culmine della felicità, dopo il bacio nel non luogo.
Due parole che aveva pronunciato in un sogno, convinto che anche l'altro stesse pensando lo stesso.
Il dolore che aveva provato dopo essersi reso conto dell'errore era stato straziante, e Nic lo rivisse nel suo cuore in quel momento, lo proiettò su Elisa, e gli mancò il coraggio. Non ebbe il coraggio di ferirla allo stesso modo.
Lei lo abbracciò. «Facciamo l'amore, Nichi?»
«Non ho i preservativi» fu la scusa che trovò quella sera. La verità poteva aspettare, forse l'indomani avrebbe trovato il coraggio di dirle tutto.
«Possiamo farlo anche senza, se vuoi, io mi fido di te...» sussurrò lei.
«No, Eli, scusa, non me la sento. Restiamo qui insieme, sul letto. Per stasera restiamo abbracciati, a me piace stare così con te.» Ed era sincero. Gli piaceva davvero abbracciarla.
Lei gli sorrise. «Non ho mai avuto un ragazzo che mi rispettasse così tanto.»
Se solo avesse saputo la verità, avrebbe pensato l'esatto contrario.
«Dai, fai un po' rewind e finiamo di vederci il film» aggiunse lei. «E passiamo questa serata a farci le coccole.»
Nic le sorrise: quella era una cosa che sarebbe sempre stato felice di fare, insieme a lei.
—
Note 🎶
Un bacio diverso che ne riecheggia un altro, e che porta con se delle conseguenze potenzialmente disastrose...
Come pensate che si evolverà la situazione adesso?
Ci rileggiamo giovedì, e lasciatemi una stellina per ogni bacio sbagliato della storia umana.
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