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65. È una favola, è solo fantasia

Seconda stella a destra, questo è il cammino
E poi dritto fino al mattino
Poi la strada la trovi da te
Porta all'isola che non c'è

(E. Bennato, L'isola che non c'è, 1980)

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30 giugno 1989

Era bello vedere Raf felice di vivere.

Nell'ultimo mese avevano ripreso ad allenarsi. Ancora niente tennis, ma erano arrivati a fare un'ora di corsa ogni mattina, un'altra ora di esercizi di coordinazione e potenziamento e mezz'ora di stretching.

Il pomeriggio, invece, lo dedicavano al relax e al divertimento. Avevano fatto parecchie escursioni, viaggi in macchina nei vicini comuni montani, più qualche sortita in Italia per comprare libri e riviste, e diversi pomeriggi li avevano trascorsi a leggere seduti in mezzo ai prati premontani che circondavano il paese. Oppure si erano avventurati tra i sentieri che costeggiavano l'Isonzo.

Un'associazione sportiva jugoslava dei paraggi organizzava dei corsi di rafting in canoa per principianti, e un giorno di metà giugno nic e Raf avevano deciso di provare l'esperienza, con esiti disastrosi: Raf si era messo a fare il cretino in canoa, facendola ribaltare e rischiando di far annegare entrambi. Per fortuna l'istruttore jugoslavo – che parlava perfettamente l'italiano – era molto preparato, anche all'eventualità di avere cliente cretini, e li aveva rapidamente riportati a riva. Sul momento Nic si era spaventato, ma l'episodio era stato motivo, nei giorni successivi, di grandi risate da parte di entrambi i ragazzi.

Nic aveva sentito piuttosto spesso sua madre, e un paio di volte aveva parlato anche con il padre, che aveva ovviamente espresso irritazione per via del fatto che non se n'erano ancora andati. Ma per fortuna non sembrava intenzionato a cacciarli: si era arreso.

L'unico problema erano i soldi. Vivevano sui risparmi di Nic, che non erano molti, e nell'ultimo mese e mezzo Nic non aveva lavorato per star dietro a Raf, perdendo anche delle posizioni in classifica, cosa che gli avrebbe dato qualche grattacapo quando avrebbe finalmente ricominciato. 

Per non parlare del debito con Tazio che incombeva.

Proprio quel giorno, l'ultimo di giugno, Raf diede segno di essersi reso conto del problema.

«Ieri ho sentito mia madre, le ho chiesto se mi poteva fare un vaglia. Mi ha detto di no, ma voglio riprovarci. Magari domani o tra un paio di giorni.» 

Doveva averla chiamata mentre Nic faceva la doccia, perché non si era accorto di nulla.

Mentre parlavano, stavano percorrendo un sentiero che ormai conoscevano a memoria. Era uno dei loro preferiti: costeggiava l'Isonzo per un tratto, poi si inoltrava in altura, per ricongiungersi al fiume nel tratto finale e tornare indietro a valle. 

«Vuoi pagarmi? Mi assumi ufficialmente come tuo infermiere?» scherzò Nic.

Raf però era serio. «Mi mantieni da più di un mese e non mi piace fare il mantenuto. Soprattutto perché è un mese e mezzo che non guadagni coi tornei. Quanti risparmi hai in banca?»

«Sufficienti.»

«Sufficienti per quanto tempo?»

Nic sospirò. «Quanto tempo ancora vorresti fermarti qui? Se ci stiamo più di due mesi ci arriva la milicija a casa...»

«Se potessi ci rimarrei tutta la vita.»

«Mi verrebbe da ridere, solo che ti conosco e so che tu queste cazzate le dici seriamente, purtroppo.»

I due ragazzi camminarono per un po' in silenzio attraverso il bosco. La strada era in lieve salita e a parlare era venuto a entrambi un po' di fiatone.

«Vuoi veramente passare tutta la vita in questo paesino? A fare sempre le stesse passeggiate? Prendiamo la cittadinanza in Jugo?» Nic glielo propose solo per fargli notare l'assurdità.

«E perché no? A me gli slavi piacciono, mi stanno simpatici. Mi sembra che si fanno molto i cazzi loro, a differenza degli italiani, ma sono anche ospitali e gentili. E hanno un bel carattere fiero e orgoglioso.»

«Stai pensando a Vika, e pensi che tutti gli slavi abbiano il suo carattere.»

«Dici che è l'amore che parla?»

Era la prima volta che parlavano di Vika da quando erano lì. Raf l'aveva chiamata una volta, un paio di settimane prima, solo per chiederle come stava e per farle sapere che lui stava meglio. E, tornato dal telefono, si era messo a parlare d'altro con Nic.

Nic non avrebbe dovuto essere geloso, ma lo era. Fece finta di nulla. «Sì, stai generalizzando. Tipo, mio padre aveva diversi dipendente jughi, e non è che me li ricordassi particolarmente fieri e orgogliosi come dici tu.  Ognuno aveva il suo carattere, erano persone  normali non distinguibili dagli italiani, se non che parlavano con l'accento e si vestivano peggio.»

«Anche Leonardo aveva origini slave, no?»

«Sì. Suo nonno Goran è jugoslavo. E in effetti il carattere di Goran è proprio come dici tu: riservato ma ospitale e molto orgoglioso.»

«Visto?»

«Ma è ovvio che è una coincidenza.»

Raf sbuffò. «Sei quasi più palloso di questo sentiero. Non c'è qualche stradina secondaria che possiamo fare?»

«No. Resta sulla via segnata. C'è un motivo se è la via segnata.»

Continuarono a camminare. 

«Dicono che è tanto povero l'est Europa» disse Raf dopo un po'. «Ma io non la vedo tutta questa differenza rispetto all'Italia. Cioè, ok, i bar fanno un po' cagare, hanno solo prodotti locali e ti va di culo se trovi una Coca-Cola. Però si mangia benissimo e costa tutto pochissimo. I paesaggi sono una figata, la gente è simpatica... no, smettila di dire che gli slavi non sono simpatici. Secondo me sono più simpatici degli italiani. Ho deciso e non mi farei cambiare idea.»

Nic alzò le mani. «Non insisto.»

«Anzi, sai cosa ti dico? Sei sicuro di non avere sangue slavo? Perché secondo me hai un carattere un casino slavo.»

«Intendi lo slavo ideale che esiste solo nella tua testa?»

«Sì! Riservato ma ospitale, e soprattutto molto, molto orgoglioso. Sei tu! È per quello che mi piaci tanto.»

Nic sorrise suo malgrado. Gongolò un po' per il complimento.

«Tipo, quella sembra una stradina secondaria» disse Raf.

«No. Probabilmente è solo un pezzetto di bosco battuto che la gente usa per andare a cagare. Ma dove cazz...?»

Raf aveva fatto uno scatto e si era addentrato lungo quella che lui aveva evidentemente interpretato come una stradina, in mezzo alla boscaglia.

«Raf! Fermati, cazzo! Metti che c'è qualche animale? In questi boschi ci sono le vipere, sai?»

«Se fai casino le vipere le spaventi!»

Il bosco non era molto fitto, non sarebbe stato difficile tornare al sentiero, ma comunque a Nic non piaceva l'idea di essere usciti dal percorso segnato. Avevano camminato su un tratto pianeggiante e ora Raf si stava inerpicando su una salitina. «Vieni! Vieni di qua! Si sente il fiume che corre!»

Raf era così entusiasta che Nic non ebbe cuore di protestare ancora. Lo raggiunse in cima a quella collinetta, dove Raf si era fermato di botto, come se avesse visto qualcosa di sorprendente.

E quando Nic arrivò lo vide anche lui. 

Un angolo di paradiso.

Era un'espressione trita, inflazionata: un angolo di paradiso. Ma fu ciò che gli venne in mente quando vide quello spettacolo.

La collinetta scendeva verso il fiume, che correva una decina di metri più avanti con la sua acqua verdeazzurra che scintillava tra il fogliame del bosco.

Nic non poté trattenere un: «Wow...»

«Lo sapevo, io! Sono un esploratore nato!»

«Ma non dire cazzate. È stata una botta di culo.»

«Ammetti o no che è un posto stupendo?»

«Lo è.»

Nic e Raf scesero il breve crinale, verso la piccola spiaggia acciottolata protetta dagli arbusti. Scavalcarono due rocce e decisero entrambi, senza dirlo, di sedersi sui ciottoli.

«Sai che faccio, mo'? Mi tolgo le scarpe.»

«Buona idea! Oggi fa un caldo...»

A piedi nudi, si avvicinarono ancora un po' all'acqua e si bagnarono fino alle caviglie. Era gelida, ma il freddo era piacevole. Nic si guardò intorno: era davvero un angolino protetto, si trovavano su una curva, alla loro destra rocce, la loro sinistra rocce e arbusti, e la riva di fronte era più scoscesa, praticamente impossibile da raggiungere. Dopo qualche minuto di ammollo, entrambi tirarono fuori i piedi e li fecero asciugare sotto un angolino di sole che scaldava la spiaggetta di ciottoli.

«Secondo te ci siamo passati davanti, qui, quando abbiamo fatto rafting?» chiese Raf dopo un po'.

«Non lo so, non me lo ricordo, ma ero troppo concentrato a cercare di non cadere dalla canoa.»

Raf Rise. «Dobbiamo dare un nome a questo posto. Voglio che diventi il nostro posto segreto.»

«Ma dai, chissà quanta altra gente prima di noi l'ha scoperto, e quanta altra lo scoprirà dopo...»

«E non rovinare sempre tutto con le tue considerazioni razionali, su! Questo è il nostro posto segreto, l'ho deciso. Il nostro posto magico dove tutto è possibile, ogni sogno si realizza, e la felicità è sempre perfetta.»

Nic sorrise. Raf aveva sempre delle idee molto romantiche. Troppo romantiche.

«Allora, questo nome?» lo incalzò Raf.

«E lo chiedi a me? Sei tu il poeta fantasioso...»

«Lo chiedo a te per aiutarti a stimolare la tua fantasia.»

Nic decise di stare al gioco. Ma di fantasia ne aveva davvero poca, e non gli veniva in mente niente. Allora scelse, visto che era una persona razionale, un approccio scientifico. «Che ne dici di: passo Bressan-Novelli?»

Raf gli rivolse un'occhiata carica di disappunto. «Ma che cazzo di nome è?»

«Ma sì, hai presente gli esploratori quando trovano nuovi sentieri, che gli danno loro nome? Ecco, siccome abbiamo scoperto questo posto io e te, gli diamo il nostro nome.»

Raf scosse la testa. «La tua mancanza di fantasia è davvero tragica.»

«E tu che nome avresti scelto?»

«Tipo... il fiume dalle acque scintillanti! Il cantuccio delle mille delizie! Hai mai letto Anna dai capelli rossi

«Non è un libro per bambine?»

«Sì, ma è un romanzo bellissimo, se lo leggi non puoi fare a meno di innamorarti di Anna. È una ragazzina fantasiosa a cui piace dare un nome a tutte le cose che ama. E sceglie sempre questi nomi un po' pomposi, come i due che ti ho appena detto. Però non so se consigliarti di leggerlo, perché non mi sembra molto il tuo genere di libro.»

Nic ridacchiò. «Mi consigli sempre queste storie romantiche... Qualche settimana fa era quel film, non mi ricordo più il titolo...»

«La storia fantastica! E ti avevo anche detto che era riduttivo definirlo una storia romantica. Esattamente come è riduttivo definire Anna dai capelli rossi un romanzo per bambine. È una storia molto bella.»

Nic pensò che gli sarebbe piaciuto chiedere a Elisa se l'aveva mai letto e cosa ne pensava, ma non lo disse. Non sapeva bene perché, ma gli sembrava fuori luogo nominare Elisa in quel momento. Gli sembrava quasi una mancanza di rispetto nei confronti di Raf, come se lui potesse essere geloso di lei. Ma non di una gelosia amicale, una gelosia vera. Sapeva che non era possibile, ma ugualmente non disse nulla, perché voleva che quel momento restasse solo loro, che quel posto fosse davvero il passo Bressan-Novelli, una proprietà privata in cui nessun altro poteva entrare, nemmeno a parole.

«In inglese l'Isola che non c'è ha un nome molto bello, che secondo me si adatta bene a questo posto: Neverland.»

Nic, il cui inglese era ancora molto arrugginito, tradusse: «La terra mai?»

«Sì, tipo... la non terra, la terra che non esiste, sì, l'Isola che non c'è è una bellissima traduzione, però secondo me in inglese ha più significato, perché quel mai è più generico, ti da proprio l'idea di un posto dove le regole della realtà sono ribaltate, dove può succedere quello che in tutti gli altri posti del mondo non può succedere mai.»

Nic sorrise scuotendo la testa. «E cos'è che può succedere, qui? Cosa vorresti che succedesse?»

Raf rigirò la domanda: «Tu, ad esempio, cosa vorresti che succedesse?»

Nic si incupì, perché la prima cosa che gli venne in mente fu sin troppo ovvia. E aveva il sospetto che Raf potesse  immaginarla, quindi fu persino infastidito dalla domanda.

«Perché non rispondi?» insisté Raf.

«Vorrei la pace nel mondo» rispose Nic seccato.

«Chi sei? Miss Italia?» scherzò Raf.

«Dai, finiscila, dimmi tu cosa vuoi. Cosa vorresti che succedesse, qui, che in tutto il resto del mondo non può succedere?»

«Stare insieme a te per tutta la vita.» La risposta di Raf fu talmente rapida e sicura che colse Nic di sorpresa. Impiegò almeno uno o due secondi a elaborare e reagire.

La sua reazione, all'inizio, fu muta. Lo fissò con un'espressione seria, dura, di rimprovero.

Anche Raf lo guardò negli occhi. E anche lui era molto serio. «Vorrei stare insieme a te, ed essere felice con te. È un desiderio molto semplice.»

«Allora sei veramente stronzo. Avevo il sospetto che mi stessi provocando, prima, e il sospetto è confermato. Non capisco perché lo stai facendo. Ti diverti a provocarmi? Vuoi tirarmi fuori qualcosa?»

«Cos'è che dovrei tirare fuori?»

«Lo sai benissimo, non fare il finto tonto. E spiegami cosa cazzo ci guadagni a farmelo dire ad alta voce.»

Raf si intristì. «Non lo so... Forse coraggio.»

«Coraggio per cosa?»

«Per... non so.»

Nic scosse la testa. «Grazie di aver rovinato un bel momento.»

«Non ho mica capito perché ti sei infastidito così tanto. Quello che ti ho detto è la verità, non te l'ho detto per provocarti.»

«Ah, ho capito. Sono le tue solite cazzate. Le solite cazzate romantiche che dici senza pensarci, senza pensare all'effetto che hanno su di me. Il tuo solito parlare a vanvera, egocentrico ed egoista. Cazzo! Mi avevi fatto sentire quella canzone di merda, perché parlava di Leo, secondo te. Ma mi sono reso appena conto che parla molto meglio di te. Uno che non si è mai sentito finito... quelle cazzo di emozioni da poco che mi fanno stare male... io che cerco di fare il razionale, tu che arrivi con queste frasi di merda, e io che ci casco come un coglione! Ma lo vuoi capire o no come mi fanno stare delle frasi così? Per te è tutto un gioco, vero? Sei proprio un Peter Pan nell'Isola che non c'è! Un eterno bambino che non vuole mai crescere e non vuole mai prendersi delle responsabilità, soprattutto la responsabilità di come fai stare le altre persone!»

«Nic, te l'ho già detto, ma tu non vuoi ascoltare: è molto, molto più complicato di quello che pensi.»

«Ma in che senso è complicato?!» gridò Nic al culmine della sopportazione. 

Raf socchiuse la bocca come se volesse dire qualcosa. Poi esitò, la richiuse, abbassò lo sguardo. Stava pensando. A cosa stava pensando? Cosa poteva esserci di tanto difficile, di tanto complicato?

Nic lo disse ad alta voce, ripeté la domanda in una forma diversa: «Cosa c'è di tanto complicato?»

«Questo» disse secco Raf, guardandolo negli occhi.

Poi si avvicinò a Nic e gli diede un bacio sulla bocca a labbra chiuse.

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Note 🎶

Eh?

Cosa?

Come?

Quando?

Ci rileggiamo giovedì, e lasciatemi una stellina per ogni idea confusa che sta passando in questo momento nella vostra testa e anche in quella di Raf.

PS: Non so se l'avete visto, ma sto pubblicando sul mio profilo un piccolo calendario femminista dell'avvento, in cui analizzo i miei personaggi femminili preferiti. Sono schede brevi e (spero) non pallose. Andate a darci un'occhiata, se vi va!

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