60. Vivere non è più vivere
...lei
ti lascia e ti riprende come e quando vuole lei,
riesce solo a farti male.
(Alice, F. Battiato, Per Elisa, 1981)
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9/10 maggio 1989
In quello stanzone semibuio c'erano solo Raf e altre due persone: una ragazza, anzi, una ragazzina, sembrava ancora in età da scuola superiore, e un uomo che a occhio dimostrava quarant'anni ma poteva essere anche più giovane. Tutti e tre avevano l'aria di essersi fatti da poco. La puzza di piscio e merda quasi fece vomitare Nic, vedere Raf gli causò una specie di shock emotivo che mescolava paura, sollievo, dolore, accompagnati da una crisi di pianto che dominò in meno di un minuto. Non poteva permettersi di piangere, doveva agire.
Si avvicinò ai tre, che non diedero segno di accorgersi di nulla, in un primo momento.
Raf era sporco. Aveva i capelli unti e arruffati, una felpa lercia di chiazze indistinguibili, un paio di jeans un tempo azzurri ora marroncini. Non indossava scarpe né calzini e la pianta dei suoi piedi era nera.
Respirava.
Quando Nic si chinò su di lui, Raf ebbe un piccolo sussulto. Lo riconobbe, mormorò un quasi inudibile: «Nic.»
«Alzati, ti porto via a qui» disse lui.
«Chi sei?» chiese la ragazzina che era stesa accanto a Raf.
«Lasciami stare» biascicò Raf, Nic lo capì dal labiale perché la voce, debolissima, fu coperta dal rumore di un treno in transito.
Nic gli sollevò il busto, lo mise a sedere. «Riprenditi, andiamo via.»
«Lasciami stare» ripeté Raf lasciandosi cadere di nuovo a terra quasi a peso morto. Stava esibendo una specie di debole sorriso.
Nic capì che ci volevano le maniere forti. Lo prese in braccio.
Solo prendendolo in braccio si rese conto di quanto puzzava. Non aveva mai sentito un essere umano puzzare in quel modo. Aveva addosso la stessa puzza di piscio e merda che c'era in quel tugurio, e a quella puzza se ne mescolavano altre: di cibo andato a male, alito cattivo, sudore e grasso meccanico. Camminò più veloce che poteva col suo peso sulle braccia, che era molto più leggero di quanto avesse pensato: era dimagrito ancora, poteva sentire le ossa sotto i vestiti sozzi.
Mentre Nic lo trasportava, trattenendo l'impulso di piangere, Raf biascicava parole incomprensibili.
«Eccolo là!» udì alle sue spalle. Uno shock di adrenalina gli diede la forza di iniziare a correre. Era quel criminale, probabilmente con rinforzi, Nic non si voltò per accertarsene.
Fu all'aperto, gli ci volle qualche secondo per orientarsi: dove aveva lasciato la macchina? Stava per attraversare la strada, ma delle mani lo bloccarono, gli fecero mollare Raf e lo fecero cadere culo a terra.
Li vide, infine. Erano solo in due. Ma uno dei due, un bisonte alto due metri, aveva qualcosa che sembrava una pistola nascosta in tasca. Nic alzò d'istinto le mani.
«Tu adesso me ridai le chiavi, e poi sparisci cor tuo amico tossico e nun ve fate vede mai più.»
«Valè, non rompere. Già t'ho dato la macchina» mormorò Raf.
«Quanti soldi vuoi per lasciarci in pace?» gli chiese Nic.
Lo stronzo, il capo, quello che Raf aveva chiamato Valerio, rise. «No, bello. Tu nun hai capito, me sa. Tu mo' me dai sia la macchina che i sordi.»
«Quale macchina?» biascicò Raf. «Un'altra?»
La stazione era piuttosto affollata. Si trovavano su un ingresso secondario, ma c'era un consistente andirivieni di persone. Nic decise di tentare un gesto disperato. «Aiuto! Sono armati!» gridò.
«Vuoi che ti sparo subito?» lo minacciò il vichingo, digrignando i denti e spingendo il pugno dentro la tasca.
Fu un grave errore da parte sua, perché Nic capì che era solo un pugno e che non c'era alcuna pistola. Si alzò in piedi di scatto e gli assestò un calcio nelle palle, vide con la coda dell'occhio Valerio avvicinarsi a lui con un braccio alzato e Raf gattonare via. Nic non fece in tempo a parare il pugno di Valerio, che lo colpì sullo zigomo, di lato, ma rispose con un pugno ancora più forte, dritto sul naso. Si era sporcato la mano di sangue, ma non si fermò, gliene tirò un secondo in bocca e un calcio sullo stinco.
Valerio barcollò all'indietro, il vichingo ancora si teneva le palle gemendo. Nic corse da Raf, che non si era allontanato molto, lo riprese in braccio ignorando le sue lamentele, lo portò via, col cuore che martellava di paura e di uno strano sentimento primitivo di violenta esaltazione, all'idea di aver appena avuto la meglio su ben due persone.
Tutto questo era accaduto nell'indifferenza più totale delle persone presenti. Avevano tutti girato al largo, si erano tenuti più lontani possibile dall'azione, si erano voltati dall'altra parte.
Nic raggiunse la macchina, adagiò Raf sul marciapiede. Aprì la portiera, poi alzò di nuovo Raf e lo mise sul sedile del passeggero, chiuse la sicurezza per bambini sulla portiera e quindi anche la portiera. In due secondi era già al posto di guida, era già partito. Seguì le indicazioni un po' a casaccio per cercare di tornare al suo hotel. Non aveva una cartina, non conosceva Roma, non sapeva dove si trovasse la stazione Tiburtina rispetto all'albergo. Chiedendo numerose indicazioni dal finestrino e prendendo persino un senso unico al contrario, dopo due ore arrivò infine al parcheggio convenzionato dell'albergo.
Scoprì che si trovava solo a pochi chilometri da quella stazione: aveva girato due ore a vuoto.
Raf era rimasto seduto rannicchiato sul suo sedile, con la fronte appoggiata al finestrino, e quando Nic gli tirò su il busto per cercare di capire se era in grado di rispondere a delle semplici domande, se era vigile, vide che aveva lasciato una chiazza di unto sul vetro.
«Nic, cosa ci fai qua? Portami indietro. Dov'è la mia roba?»
«Che mese è?»
«Boh.»
«Come ti chiami?»
«Raffaele Novelli, conte di Montesticazzi.»
«Ce la fai ad alzarti?»
«Perché dovrei?»
Nic uscì dalla macchina e aprì da fuori la portiera di Raf. Gli tese una mano. «Alzati.»
Raf la prese senza forza, ma non si alzò. «Nic. Riportami in stazione.»
Nic lo trascinò fuori e lo costrinse a stare in piedi. Raf sembrava malfermo, ma non cadde. «Adesso vieni su in albergo, in camera, e ti lavi. Fai schifo. Forse ho qualcosa da prestarti per cambiarti.»
«Che senso ha lavarsi se tanto devi morire?»
Nic si rifiutò di discutere oltre. Lo trascinò fuori dal garage e dentro l'hotel. Ma l'accoglienza che ricevettero nella hall non fu delle migliori. «Questo è un albergo di un certo livello e certa gente qui non ce la vogliamo.»
«Garantisco io per lui» disse Nic. «È un mio amico, vorrei cambiare la mia singola con una doppia. Letti separati.»
«Se è davvero un suo amico allora non ci vogliamo neanche lei, qui dentro. Le diamo mezz'ora per liberare la sua camera.»
Nic cercò di discutere e impietosire il proprietario, ma quello non volle sentire ragioni. Nic, quindi, andò in camera a recuperare rapidamente le sue cose, ma quando tornò giù Raf era sparito. Si incazzò col proprietario che l'aveva fatto andare via, avrebbe voluto farsi restituire l'ultima notte che aveva pagato in anticipo, ma non aveva tempo di discutere oltre, doveva inseguire Raf.
Per fortuna Raf era ancora piuttosto rallentato dagli effetti della droga e non si era allontanato molto. Nic lo prese per un braccio e lo trascinò verso il garage.
«Nic, mollami. Dove hai messo la mia roba?»
«Io la tua roba non l'ho vista e anche se l'avessi vista non te lo direi!» sbottò Nic.
Rientrarono nella macchina lercia, le narici disabituate di Nic vennero di nuovo invase da quella puzza acre. «E adesso dove cazzo andiamo?» chiese ad alta voce. «Ce la fai a darmi le indicazioni per casa di tua madre?»
«No. Portami in stazione.»
«Ok. Faccio da solo.»
Nic sapeva l'indirizzo. Cercò un'edicola, acquistò una cartina di Roma (chiudendo Raf a chiave in macchina), cercò la via e, fermandosi ogni cinque minuti a guardare la mappa, riuscì a raggiungere in quaranta minuti la casa. Trovare un parcheggio fu un'impresa e gli ci volle un altro quarto d'ora. Durante tutto il tragitto Raf ogni dieci secondi aveva chiesto a Nic: «Dove hai messo la mia roba?» tanto che Nic alla fine si era stufato di rispondergli.
Raf oppose parecchia resistenza, ma era talmente debole e fuori fuoco che Nic a forza di strattoni e spintoni riuscì a trascinarlo dalla macchina fin sotto casa sua.
L'accoglienza della contessa fu glaciale. «Non siete i benvenuti» disse loro incrociando le braccia, in piedi sull'uscio.
«Ma', mi servono soldi» disse Raf senza vergogna.
«No, a suo figlio non servono soldi. Gli serve un bagno caldo è un tetto sotto il quale dormire.»
«Portalo a un rifugio per senzatetto.»
Nic non riuscì a trattenersi e gridò: «È suo figlio, cazzo! Ma ce l'ha un cuore?!»
«Ha smesso di essere mio figlio il giorno che ha deciso di andare con quei balordi.»
«Signora contessa, la prego...»
«Se vi faccio entrare quel tossico è capace di rubarmi tutti i gioielli per comprarsi la sua merda.»
«Quel tossico? Quel...? Io non...»
«Mamma sganciaci cinquantamila lire, così ti puoi mettere il cuore in pace» sputò fuori Raf con astio.
La madre strinse e corrugò le labbra facendole diventare simili a un buco di culo. Poi sbraitò: «Jamila!» Puntò un dito verso Nic e a bassa voce aggiunse: «Aspettatemi qua.»
«Ma', mi porti anche un Tavor?»
«Ma sei scemo?» gli disse Nic. La madre aveva già chiuso la porta e probabilmente non aveva sentito l'ultima richiesta del figlio.
«Nic, ti prego, mi fai almeno bere qualcosa?»
«Raf, ti prego tu. Ti devi immediatamente disintossicare.»
«Non voglio.»
«E allora ammazzati direttamente, coglione!»
«Magari lo faccio» rispose lui apatico. Fece un passo come per andarsene, Nic lo trattenne, Raf era ancora instabile, inciampò sul secondo gradino, cadde sul vialetto. Per fortuna di gradini ce n'erano solo tre.
«Io adesso me ne vado, Nic. Adesso mia madre esce, sicuro mi porta dei soldi. Io prendo quei soldi, la ringrazio e torno in stazione. Non voglio stare con te» disse Raf, seduto a terra.
«Io non ti lascio andare.»
«Non mi puoi rapire. Ti denuncio per sequestro di persona.» Raf sembrava dannatamente serio.
«Ti fai aiutare dal tuo paparino notaio? Lo stesso che quando ho fatto denuncia di scomparsa ai carabinieri è intervenuto per annullare la denuncia facendo finta che tu fossi a casa sua? Perché non voleva casini in caso i carabinieri ti avessero trovato con degli stupefacenti?»
«Hai fatto denuncia di scomparsa i carabinieri? Di chi?»
«Di te, coglione. Eri sparito nel nulla, non sapevo dov'eri, tua madre non sapeva dov'eri, tua moglie non sapeva dov'eri. Nessuno sapeva dov'eri, cosa pensavi che facessi?»
Raf ebbe una crisi di pianto. «Da quant'è che mi cerchi?»
«Da almeno un mese.»
Raf continuò a piangere. Nic avrebbe voluto insultarlo, invece si accucciò davanti a lui e gli accarezzò la testa, come avrebbe fatto un padre con il suo figlioletto. «Raf, lascia che ti aiuti. Ti prego.»
Raf scosse la testa. «No, non voglio. Se mi disintossico poi sono al punto di partenza. Non cambierebbe niente.» Sospirò. «Ti prego, fammi almeno bere qualcosa.»
«Ma sai pensare solo a quello?»
«Sì» fu la secca, atroce risposta di Raf.
E pochi secondi dopo, la porta di casa si aprì di nuovo, ma non era la madre, era una donna asiatica, forse una filippina, in livrea da cameriera. Aveva uno zainetto dell'Invicta è una busta da lettere in mano. Diede tutto a Nic.
«Dammi i soldi» disse Raf allungando la mano.
«La signora mi ha detto di darli a lei» disse la donna rivolta a Nic.
«La signora è crudele, ma ha buon senso» disse Nic guardando nella busta: c'erano ben centomila lire, dentro. La infilò in tasca.
«Jamila, cazzo! Erano per me quelli!»
La donna fece un piccolo inchino e rientrò, senza dire altro.
«Quei soldi sono miei» disse Raffaele.
Nic infilò lo zainetto in spalla. «Questi soldi adesso li usiamo per pagare una notte in hotel, e quelli che avanzano per darti una sistemata.»
«Io non ci voglio venire in hotel!» gridò Raf. «Ho ventitré anni! Sono maggiorenne e posso pure votare per il senato! Dammi i soldi e levati dal cazzo!» Raf si alzò, cercò di spintonare Nic, ma fu un tentativo patetico, perché era debole come un ragazzino e leggero come un ramoscello. Nic avrebbe potuto buttarlo a terra con un colpetto di dita, invece afferrò entrambi i suoi polsi per bloccarlo.
Lo guardò negli occhi a pochi centimetri di distanza. «Io ti ripulisco, cazzo. Dovessi legarti al letto ti faccio vomitare tutta quella merda finché non sei pulito.»
«No!» Gridò Raf mentre Nic lo trascinava via. «Aiuto! Poliziaaaa!» Le grida di Raf erano violente, rauche. «Mi rapisce! Ladro! Ladroooo! Mi sta rubando i soldi!» gridava, con la disperazione di un condannato a morte. «Aiutooo! Aiutoooo!»
Nic cercò di non farsi impressionare, di non farsi toccare dalle emozioni. La freddezza, la sua più grande arma da sempre, lo stava ancora una volta aiutando. Lo trascinò via, mentre Raf continuava a gridare, sempre le stesse parole, sempre più sconnesse, sempre più disperate. Nemmeno una persona si affacciò alla finestra, in quella città che a Nic sembrava sempre più fredda e spietata. Se fossero stati in campagna, almeno dieci teste sarebbero già uscite a curiosare cosa stesse succedendo. In quel momento Nic non riusciva a decidere quale dei due atteggiamenti disprezzasse di più. Aveva sempre odiato la tendenza dei campagnoli a non farsi mai i cazzi propri, il gusto per il pettegolezzo. Ma la freddezza dei cittadini lo terrorizzava.
Con Raf che non aveva smesso un attimo di urlare, arrivarono alla macchina e iniziarono il loro giro in cerca di un posto dove dormire. Nic provò tre diversi hotel, tutte e tre le volte lasciò Raf chiuso a chiave in macchina, con le sicurezze per bambini abbassate in modo che non potesse uscire. Tutte e tre le volte fu sincero coi proprietari dei tre hotel, perché lo stato in cui si trovava Raf era piuttosto evidente, non voleva fare la fatica di portarlo nella hall, solo per vedersi cacciato via in un secondo momento. Tutte e tre le volte disse loro che voleva una doppia, e che l'altra persona che doveva occupare la stanza era un tossicodipendente che avrebbe probabilmente avuto una crisi d'astinenza durante la notte. Tutte e tre le volte si era offerto di pagare un prezzo extra nel caso Raf avesse sporcato di vomito o altro la camera. Tutte e tre le volte i proprietari avevano detto di non volere casini. Al quarto hotel, un due stelle dall'aria poco frequentata in un quartiere popolare, ebbe fortuna. Il proprietario si fece assicurare che Raf non fosse in possesso di stupefacenti. Impose a Nic un prezzo più alto rispetto a quello di listino e gli diede una doppia con letti separati e bagno in camera, proprio come aveva chiesto lui.
Raf fece come al solito un gran casino, il proprietario non sembrò impressionato dalle sue grida. «Puoi urlare quanto ti pare, c'è solo un altro ospite e sta dalla parte opposta del palazzo» disse loro. Nic lo ringraziò, Raf lo mandò a fanculo.
Appena entrati in camera, Nic chiuse a chiave e Raf si addolcì, divenne quasi leccaculo. «Nic, perdonami, sono stato tremendo.»
«A dir poco.»
«Ti prego, mi fai almeno bere qualcosa? Ti scongiuro. Un paio di cicchetti.»
«No, Raf, devi darci un taglio.»
Raf cominciò a piagnucolare. «Ma sto male, Nic. Ti prego, sto a rota...»
«Devi darci un taglio. Ti passerà.»
«Ci sono già passato, Nic, non voglio passarci di nuovo!»
Nic non rispose più. Raf pianse lacrime disperate, poi, a forza di piangere crollò addormentato, Nic guardò il contenuto dello zainetto: c'era dentro un cambio d'abiti per Raf. Che madre premurosa...
Raf aveva bisogno di lavarsi, ma Nic era stremato, sentì il bisogno di appoggiare per qualche minuto la testa sul cuscino, si tolse solo le scarpe e si addormentò vestito sopra coperte e lenzuola quasi senza rendersene conto.
Nel cuore della notte venne svegliato da una porta che si chiudeva. Ancora mezzo addormentato e stanco morto per lo stress e la fatica del giorno appena trascorso, non ebbe la prontezza di alzarsi e scattare. Ci impiegò almeno dieci secondi ad accendere la luce, altri dieci a rendersi conto che Raf non era nella stanza e che la porta che si era appena chiusa non era quella del bagno, e altri trenta a infilarsi le scarpe.
«Raf!» gridò fuori dalla porta. Corse lungo il corridoio, le scale, l'hotel non aveva un portiere di notte, Nic uscì nel fresco notturno di maggio, «Raf! Raf!» gridò disperato per le strade di quella città troppo grande, perfetta per nascondersi e sparire. E adesso che gli effetti della droga erano scemati, Raf era stato sicuramente in grado di correre più veloce. «Dove sei, Raf!?»
Non c'era traffico, solo qualche macchina isolata di tanto in tanto, quanto poteva essersi allontanato? Ma Raf alla città era abituato, Nic no. Bologna era una città piccola, piena di portici sotto i quali passeggiare, Nic, lo stupido campagnolo Nic, si era trovato bene in quella dimensione, Roma era un altro universo.
È andato in stazione, rifletté. Tornò in hotel a prendere le chiavi della macchina, ma il portiere di notte non c'era, e la porta, una volta chiusa, dall'esterno non si poteva aprire. Nic, vergognandosi come un ladro, suonò. Gli aprì il proprietario dopo dieci minuti, giustamente incazzato. Nic cercò di spiegargli la situazione e quello disse che non li voleva più lì dentro e che pretendeva di essere pagato immediatamente.
Ma Nic scopri con orrore che Raf era riuscito a sfilargli di tasca non solo la busta coi soldi della madre, ma anche buona parte dei soldi di Elisa che gli erano rimasti. Aveva solo cinquantamila lire infilate nella taschina frontale dei jeans, con cui coprì a malapena le spese dell'hotel. Non gli restava niente per la benzina e la Lancia era quasi a secco.
Senza recriminare oltre, cartina alla mano, partì per la stazione. Erano le cinque di mattina e stava albeggiando. Nic sperava che gli aggressori del giorno prima non fossero ancora attivi, vista l'ora.
Il primo posto in cui lo cercò fu il deposito bagagli abbandonato del giorno prima. Vi trovo molta gente che dormiva, per lo più barboni, ma Raf non c'era. La sua ricerca per fortuna non fu molto lunga. Lo trovò in un bagno, solo, seduto su una tazza del cesso apparentemente privo di conoscenza, un laccio emostatico ancora legato al braccio sinistro.
Avvertì una vera e propria fitta di dolore al petto, sentì il bisogno di gridare e lo fece. Il grido fece aprire per un attimo gli occhi a Raf, li richiuse subito dopo, senza espressione. Nic aveva persino paura a togliergli il laccio di gomma, ma infine decise che era meglio farlo. Calpestò senza accorgersene la siringa, quando la vide la calciò via insieme agli altri strumenti che giacevano a terra. E ripeté ciò che era successo il giorno prima: lo prese in braccio, lo portò alla macchina, chiuse la sicurezza per bambini, lo mise a sedere al posto del passeggero. Non si sarebbe fermato lì a Roma, stavolta. Sarebbe tornato a Bologna, magari lo avrebbe portato a casa di Vika, si sarebbe inventato qualcosa.
La macchina era nello stesso stato sudicio del giorno precedente, non aveva avuto tempo di pulirla. Ma aveva lasciato i finestrini aperti e la puzza era un po' diminuita. Raf, invece, aveva ancora un disperato bisogno di una doccia.
Il vero problema era la benzina. Le tacche del serbatoio dicevano che erano vicini alla riserva, e entro massimo una decina di chilometri Nic avrebbe dovuto fare il pieno. Prima di partire, tastò Raf alla ricerca della busta con i soldi della madre, trovò la busta, ma era vuota. E altri soldi addosso non sembrava averne. Il coglione aveva dato tutti i suoi soldi a chiunque gli avesse venduto la roba, o se li era fatti fregare. Nic tirò un pugno al volante per la frustrazione, e suonò involontariamente il clacson. Il suono fece sussultare Raf, che però tornò al suo strano stato di beatitudine apatica appena pochi secondi dopo. Era ancora meno presente collaborativo del giorno prima.
Nic decise comunque di partire in direzione di Bologna. Ma aveva di nuovo bisogno di Elisa, quindi cercò e trovò un ufficio postale dove ricevere un altro vaglia telegrafico. Aspettò le sette e mezza per chiamarla, sapeva che si svegliava circa quell'ora. Spese i pochi spiccioli che gli rimanevano per prendere un caffè è una piccola colazione da dividere con Raf, che ovviamente non era in grado di mangiare, in quel momento, ma Nic tenne da parte una brioche sperando che l'amico sarebbe stato in grado di mettere qualcosa sotto i denti più tardi.
Durante l'ora di attesa in macchina cercò di comunicare con lui, che rispondeva a monosillabi, non sembrava ancora consapevole. Quando si sarebbe reso conto di dove si trovava, Nic prevedeva che sarebbero ricominciate le scenate del giorno prima.
Elisa, come prevedibile, si arrabbiò molto. Si disse contenta, solo a parole, che Nic avesse trovato Raf, ma lo invitò a portarlo in qualche comunità o centro accoglienza. «Cosa vuoi fare tu da solo? Cosa pensi di riuscire a fare? Non puoi pensare di gestirlo. Non ti è servito da lezione quello che ti è successo ieri?»
«In comunità c'è già stato tre volte, in clinica una. È stato in cura dallo psichiatra per quasi un anno, con tanto di psicofarmaci che probabilmente gli hanno fatto più male che bene perché sono droghe anche quelle. Non ha funzionato niente. Voglio provare ad aiutarlo io. In qualche modo, non so nemmeno io come, ma è mio amico e lo conosco bene, un modo cercherò di inventarmelo. Se rimane in queste condizioni non resta vivo a lungo.»
«Fai quello che vuoi. Non so cos'altro dirti. Tempo di fare colazione e vado in posta a farti il vaglia. La prossima volta cerca di non farti rapinare!»
Dopo circa un'ora Nic aveva altre cinquantamila lire, aveva fatto il pieno e stava uscendo dal Grande Raccordo Anulare in direzione Bologna. Raf era ancora mezzo moribondo, ma un po' più presente. Stranamente non si stava lamentando.
Dopo circa un'ora di viaggio Raf mormorò un: «Devo pisciare.»
«Ci fermiamo al primo autogrill.»
Nic scortò Raf fino in bagno, e rimase con lui a guardarlo pisciare agli orinatoi verticali. Raf si lamentò, ma Nic non voleva lasciarlo da solo per nessun motivo.
Durante il viaggio, molto silenzioso, Nic pensò a lungo a quale fosse la soluzione migliore da adottare con Raf. Entro breve avrebbe probabilmente cominciato a partire i primi segni di astinenza, Nic non aveva mai assistito a una crisi profonda e non sapeva bene cosa aspettarsi. Ne aveva solo una vaga idea da scene viste in film, ma sapeva bene che le scene dei film erano sempre esagerate.
Raf, a un certo punto, comincio a tirare su col naso. Nic lo osservò distogliendo per brevi attimi lo sguardo dalla strada, e notò che si stava strofinando le narici con il pollice.
«Stai bene?» gli chiese.
«Mh, mh» rispose lui.
Nic ricordò l'unica crisi di Raf a cui avesse assistito: gli aveva chiesto se avesse il raffreddore per quanto gli colava il naso. Erano forse i primi segni dell'astinenza?
Raf continuò a tirare su col naso a intervalli alterni per tutto il viaggio fino a Bologna, ma non mostrò altri sintomi, anzi, sembrava stare relativamente bene. Per quanto potesse stare bene una persona sporca, malnutrita, con la pelle del viso infetta dall'acne, e in un evidente stato di alterazione psichica. Nic tentò più volte di convincerlo a mangiare la brioche che gli aveva comprato, ma Raf la rifiutò ogni volta. «Mangi mai qualcosa?» gli chiese Nic a un certo punto. «Bevo, perlopiù. Sono calorie anche quelle. Non è che mi faresti bere qualcosa?» era stata la risposta di Raf. Nic gli aveva porto la bottiglia d'acqua che aveva acquistato quando si erano fermati all'autogrill. Gli fece piacere vedere che Raf ne bevve un po'. Almeno lo stimolo della sete ce l'aveva ancora.
A Bologna, Nic non sapeva dove andare. Era fuori dall'Accademia, buona parte delle sue cose erano ancora lì: Tazio gli aveva consentito di lasciarle in deposito, finché non si fosse sistemato. Ma non poteva più dormire lì, avrebbe dovuto prendere una stanza in hotel, finché non avesse trovato qualche posto in affitto. Per evitare di ripetere il dramma del giorno prima, Nic decise di portare Raf a casa di Vika.
Quando Raf vide dove stavano andando, inizio a protestare: «No. No, ti prego, Nic. Non voglio che lei mi vede così. Ti prego, non portarmi da lei. Ti scongiuro, faccio quello che vuoi, ma non portarmi da lei.»
«Ah, di lei ti vergogni, eh? Davanti a Nic perdiamo ogni dignità, ma davanti a lei ti vergogni. Bene, mi fa piacere vedere che almeno un po' ti rendi conto del livello a cui sei sceso.»
«Pensi che non mi vergogno anche con te? Non avrei mai voluto che mi vedessi in queste condizioni. Sei tu che sei venuto a cercarmi, io non ti ho chiesto niente.»
«Se ti vergognassi davvero, non avresti fatto le scenate che mi hai fatto ieri, non mi avresti fottuto i soldi, non avresti messo in piedi quella recita penosa davanti a tua madre.»
Raf fece la cosa che sapeva fare meglio: si mise a piangere. «Hai ragione, Nic. Tu hai sempre ragione. Scusami se ti ho fottuto i soldi, ma stavo a rota, avevo paura, stavo male. Quando sto a rota perdo ogni controllo di me stesso.» Tutto ciò che diceva lo diceva a rallentatore. Era davvero uno spettacolo penoso, era proprio l'aggettivo giusto.
«Adesso andiamo dentro, ti devi lavare, ti devi cambiare.» Lo guardò negli occhi, avevano ancora le pupille strettissime e un'aria assente. «Tra quant'è che comincerai a stare... com'è che hai detto?»
«Non so, per adesso sto ancora abbastanza ok. Però, ti scongiuro, ti prego in ginocchio, non portarmi a casa sua. Ci sono anche le sue coinquiline, pensi che sarebbero contente di vedermi? Non credo proprio.»
Raf non aveva tutti i torti. Inoltre, non poteva negarlo, gli faceva pena. Non voleva umiliarlo senza motivo davanti a Vika, e non voleva nemmeno sottoporre lei a quella visione.
«Ok, facciamo così. Chiederò un favore a Tazio. Gli chiederò se possiamo usare i bagni dell'Accademia per farti fare almeno una doccia, renderti almeno un po' più presentabile. Perché così fai veramente schifo. E poi magari per stanotte stiamo in un hotel, e domani a mente riposata ci pensiamo.»
Mentre lo diceva, però, si rese conto che l'indomani Raf si sarebbe sicuramente trovato in astinenza, e che quindi sarebbero stati costretti a restare in hotel per chissà quanti giorni, con il pericolo che Raf riuscisse a scappare, perché Nic non poteva stare chiuso in camera con lui giorno e notte, prima o poi sarebbe dovuto uscire per prendere da mangiare. Senza contare che avrebbero dovuto trovare un hotel che accettasse di ospitare un tossicodipendente senza la possibilità di far entrare una cameriera a pulire la camera, e che settimane e settimane (quanto durava una crisi di astinenza?) di hotel per due persone sarebbero state un costo notevole per Nic.
Merda... forse mi tocca davvero portarlo in comunità...
«La smetti di tirare su col naso in quel modo osceno?» sbottò Nic, frustrato più dalla situazione che dal naso di Raf.
«Scsaa» biascicò Raf toccandosi le narici come se gli stessero dolendo. Poi arricciò il naso lasciò cadere la mandibola e rovesciò gli occhi all'indietro.
Solo in quel momento Nic ebbe una tremenda epifania. «Ma che... hai sniffato qualcosa?!»
«Nnnnooo» strascicò Raf con un filo di voce. Nic gli prese le mani, le guardò. Erano luride quasi quanto i suoi piedi, ancora scalzi dal giorno prima. Le guardò da vicino, c'era del residuo marroncino su uno degli indici, ma erano talmente luride che avrebbe anche potuto essere generico sporco.
«Nic, mmmollami...» disse lui.
Allora Nic afferrò il suo viso, strizzandogli le guance con le dita, spingendolo all'indietro, Raf gemette, mugolò, del moccio sanguinolento gli stava colando un po' fuori da una delle narici e c'erano delle croste di muco rinsecchito sui baffi non tagliati da almeno una settimana. Insieme alle secrezioni Nic poteva vedere chiaramente dei resti di quella stessa polvere sporca che aveva sul dito.
«Porca puttana, Raf! Davanti a me?! Di nascosto davanti a me?!»
«Non ho fatto niente, Nic!»
«Anche prima in macchina? Quando tiravi su col naso? E io coglione non mi sono accorto di niente!»
«Non ho fatto niente» ripeté lui a rallentatore, chiudendo gli occhi come se fosse troppo stanco per tenerli aperti.
«Ma non hai proprio nessuna vergogna?!» disse Nic scrollando Raf con violenza.
Raf sembrò avere un piccolo malore, Nic si accorse del conato che gli stava risalendo in gola e si allontanò appena in tempo per non farsi schizzare da un fiotto di vomito giallastro che Raf riversò sul marciapiede.
«E adesso che cazzo hai? Ne hai presa troppa? Ti devo portare in ospedale?»
«Non ho preso niente, Nic, non portarmi in ospedale, ti prego.»
«Dove la stai nascondendo?» Nic gli andò addosso, gli infilò le mani in tasca, Raf era troppo debole è troppo fuori di sé per essere in grado di opporre una seria resistenza, si limitò a mugolare e lamentarsi dando degli schiaffetti alle mani a Nic.
E la trovò. Una bustina infilata nell'elastico delle mutande, con l'apertura verso l'alto.
Le proteste di Raf si intensificarono, mosse dal panico. «No! No, lasciamela!» Si aggrappò disperato alle braccia di Nic, che però ebbe la meglio, e rovesciò tutto il contenuto della bustina a terra, gridando di rabbia e di delusione.
Raf mise le mani tra i capelli, Nic fu certo di non aver mai visto un'espressione tanto disperata sul suo viso, mentre guardava il marciapiede dove Nic aveva rovesciato la bustina. Emise un grido, con gli occhi fuori dalle orbite, e si fiondò a terra comincio a spazzolare il pavimento come se potesse in qualche modo separare la polvere dallo sporco. Nic non gli diede il tempo di fare nulla, lo afferrò subito da dietro e lo tirò su, Raf cercò di divincolarsi, cadde col culo a terra, ma Nic lo faceva stare su, seduto, trattenendolo dai polsi.
«Bastardo! Bastardo! Tu mi vuoi male! Mi odi!»
«È tutto il contrario, coglione!»
Raf cercò ancora un po' di divincolarsi, ma era debole, non riuscì a prolungare lo sforzo, e alla fine, semplicemente, abbandonò la schiena contro le gambe di Nic e si mise a piangere, per l'ennesima volta.
«Come faccio adesso?» ripeté un paio di volte.
Siccome sembrava aver perso ogni energia, Nic gli lasciò le mani. Gli sarebbe piaciuto sedersi accanto a lui, ma Raf non gliene diede modo, perché si voltò e gli abbracciò le gambe, si aggrappò a lui. Vederlo così, gli fece tornare in mente quelle parole che aveva letto sul quaderno: è uno scoglio e mi aggrappo a lui per non affogare.
«Vorrei tanto essere davvero il tuo scoglio e tirarti fuori da questo mare di merda in cui ti sei ficcato» disse.
«Perdonami, mi vergogno tanto, ma non volevo andare a rota, poi era un casino anche per te.»
Nic sciolse senza difficoltà la debole stretta di Raf. Sedette accanto a lui sul marciapiede, come avrebbe voluto fare subito, e gli parlo con dolcezza: «Smettila dire dire queste cazzate. Smettila di dire anche a te stesso che stavi sniffando per fare un favore a me, perché sai benissimo che non è vero.»
«No, ma ti giuro, quando la sniffo ormai non mi fa quasi più effetto. Lo facevo...»
«Lo facevi per te stesso. Non è neanche la prima volta che mi racconti una cazzata simile. Non ti ricordi a Bovec? Quando hai bevuto di nascosto e mi hai detto che l'avevi fatto perché non volevi darmi fastidio gridando di notte?»
Raf scosse piano piano la testa. «No, non mi ricordo.»
Nic chiuse gli occhi, gli cinse le spalle e lo tirò a sé. Puzzava ancora in modo disgustoso, adesso anche di vomito, ma non gliene fregava niente.
«Però mi ricordo di Bovec. Ho un bel ricordo di Bovec. Sembra un'altra vita. Forse non finiva così, se stavamo tutta la vita a Bovec» aggiunse Raf.
Le parole di Raf accesero un'idea improvvisa nella testa di Nic. Un'idea un po' folle, ma nello spazio di un secondo prese una decisione. E gli sembrò una delle migliori decisioni che avesse mai preso in vita sua.
«Ho deciso. Andiamo a Bovec.»
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Note 🎶
Questo e i prossimi saranno capitoli veramente pesanti. Ho cercato di evitare la romanticizzazione della tossicodipendenza, cercando di mostrarne gli aspetti più crudi e disgustosi, perché se c'è una cosa che fa danni, secondo me, è mostrare i tossicodipendenti come degli strafighissimi eroi maledetti (poi ognuno libero di fare quello che vuole nelle sue opere di fantasia, eh, ma io preferisco evitare di descrivere in maniera affascinante comportamenti autodistruttivi).
Due parole anche sulla canzone, Per Elisa, scritta da Alice e Battiato nel 1981. Parla di un uomo che perde la testa e la dignità per una donna (l'Elisa del titolo), ma scritta nel boom dell'eroinomania fu interpretata da tutti come una metafora dell'eroina. Con grande onestà intellettuale Alice, che ha scritto il testo, ha negato in diverse interviste di averla scritta con quell'intenzione metaforica, ma di comprendere e approvare la reinterpretazione, perché in fondo parla di un'amore che somiglia a una dipendenza.
Qui sotto potete vedere una scena del film Amore Tossico (prima che l'aggettivo "tossico" fosse trasformato in un insopportabile sinonimo prezzemolino di "disfunzionale" e/o "negativo"), in cui i protagonisti cantano tutti insieme proprio questa canzone. All'inizio si vede gente che vomita, quindi se vi fa schifo il vomito evitate di guardarlo.
https://youtu.be/O6seNkQqerg
È un film che racconta la vita di un gruppo di eroinomani romani (gli attori sono tutti ex eroinomani e interpretano se stessi, è una via di mezzo tra un film e un documentario). Da fine anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta la facilità con cui si poteva trovare sul mercato, l'altissimo fattore di dipendenza e il contagio sociale, hanno reso questa droga una piaga che ha rovinato una generazione, la famosa Generazione X che è la protagonista del mio romanzo. L'opera forse più famosa che racconta del problema è il libro inchiesta Noi i ragazzi dello zoo di Berlino, orrenda traduzione edulcorata di Wir Kinder vom Bahnhof Zoo: noi bambini della stazione Zoo, che racconta storie vere di tossicodipendenza e (conseguente) prostituzione minorile nella Germania Ovest di fine anni '70.
Vi do appuntamento a lunedì prossimo col capitolo, e lasciatemi una stellina per ogni crepa nel cuore spezzato di Nico 😢
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