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6. Il tuo bacio è come un rock

Il tuo bacio è come un rock
[...] Fa l'effetto di uno shock
(P. Vivarelli, L. Fulci, Il tuo bacio è come un rock, 1959)

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Avviso importante: la versione che state per leggere di questo capitolo è stata editata per non violare le regole di Wattpad. Ho tagliato alcune parti e riscritto altre, cercando di non cambiare il senso di ciò che accade. Se volete leggere la versione completa del capitolo trovate un link a un PDF pubblico qui a destra. Vi prego di leggere quella versione perché più completa, autentica e aderente alle mie intenzioni narrative e psicologiche.

Per questo capitolo è particolarmente importante perché ho dovuto tagliare veramente tanto, se leggete la versione di Wattpad la portata drammatica degli eventi è pesantemente ridotta.

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La sua testa si svuotò.

Fu quella la ragione per cui, all'inizio, Nico non reagì, non scappò, non si ritrasse.

Si svuotò di pensieri razionali e si riempì di debolezza e agitazione.

La sua bocca era aperta e Nico non sapeva mica perché lo fosse. Ma era aperta ad accogliere la bocca di Leonardo, a bagnarsi della sua saliva, farsi esplorare dalla sua lingua.

La sua testa e la sua schiena toccarono la terra ghiaiosa della stradina, i suoi occhi erano chiusi, e dentro di lui c'era tanto sangue, che scaldava la sua pelle, irrorava i suoi muscoli, riempiva ogni centimetro del suo corpo.

Un mormorio gli uscì dalla bocca, un sussulto, in mezzo al bacio, e un tocco di troppo lo fece esplodere.

Il tutto non era durato più di dieci secondi. Dieci secondi di smarrimento completo.

La fine del bacio riportò la ragione nella sua testa, e con la ragione la consapevolezza di ciò che era appena successo, e con la consapevolezza il disgusto.

Un disgusto profondo, per se stesso ma soprattutto per Leonardo.

Che ancora stava cercando di baciarlo.

Nico lo spinse via, sconvolto.

Sconvolto era la parola giusta. Talmente sconvolto da fargli traboccare due lacrime fuori dagli occhi e un grido violento fuori dalla gola, solitamente capace di trattenere le escandescenze. «Ma cosa cazzo fai, pezzo di merda!»

Si alzò in piedi, fece dei passi di corsa all'indietro, inciampò, si rialzò. «Brutto finocchio pezzo di merda!» gridò di nuovo, la voce rotta dal pianto.

In tutta risposta, quello stronzo fece una specie di risatina. «Domani ti passa e vedrai che bei sogni che fai.»

«Mai più! Mai più! Non voglio vederti mai più! Se ti incrocio cambia strada!» gridò Nico, correndo via lungo la stradina.

«Là vastu, mona! Çimut tornistu a cjasa?»

«Torno a piedi! E se provi ad avvicinarti col tuo Bravo di merda, ti tiro un calcio e ti faccio fare un incidente! Stronzo!»

Nico raggiunse di corsa la strada asfaltata e anziché fermarsi corse ancora più forte. Aveva un ottimo fiato e casa sua distava a malapena due chilometri da lì, li avrebbe percorsi così.

Indossava una giacca di jeans, il sole era sulla via del tramonto e settembre era già freddo, l'autunno stava per cominciare. Avrebbe forse dovuto tenerlo su, il giubbotto, gli sembrava quasi di sentire la voce di sua madre che lo ammoniva: attento che ti prendi un raffreddore! Ma aveva caldo, e la corsa lo stava facendo sudare, lo tolse.

Sulla sua destra c'era un boschetto, si buttò in mezzo agli alberi, anche per non rischiare di vedersi sorpassare dal Bravo di Leonardo, che sarebbe arrivato da un momento all'altro. Si inoltrò nel fitto, e quando, voltandosi, non vide più la strada si fermò, riprese fiato.

Tolse le scarpe, slacciò i jeans, li levò e poi levò anche le mutande, le appallottolò e le gettò tra gli sterpi. Mezzo nudo come un cretino, scoppiò di nuovo a piangere, e nonostante odiasse piangere, si lasciò andare a quello sfogo per qualche minuto, prima di rendersi conto che era una cosa da femminucce e da finocchi, e lui non era né una femminuccia né un finocchio.

Era colpa di Leonardo, tutta colpa di quel pezzo di merda che era riuscito a sconvolgerlo, a traviarlo in qualche modo. 

Si decise finalmente a rivestirsi, e mentre lo faceva, udì l'inconfondibile ronzio del Bravo truccato provenire dalla strada. Come mai ci aveva messo tanto? Non volle nemmeno immaginare cosa si fosse fermato a fare.

Attese un altro minuto, per sicurezza, e tornò in strada.

Camminando a passo rapido, in circa mezz'ora arrivò a Capriva, altri cinque minuti e raggiunse il Luc di Zuan, che si trovava a ridosso delle alture del Collio. Fu una mezz'ora in cui si sforzò di non pensare a ciò che era successo, ma in cui non riuscì a evitare di farlo.

La lingua, le labbra, il sapore di Marlboro rosse, la barba, la barba ruvida che strofinava le sue labbra. Era rasato, Leonardo, ma si sentiva lo stesso il pizzicore della ricrescita, rendendo il contatto aspro, sgradevole, il totale opposto del bacio morbido di una ragazza.

Quando arrivò a casa, Nico trovò il nonno che mordicchiava un sigaro spento, seduto in veranda sulla sua sedia impagliata.

Nonno Giovanni era un vecchio di poche parole ma dalla presenza ingombrante. D'estate passava gran parte del suo tempo in veranda, da cui controllava silenzioso il viavai di casa, e quando la madre andava a lavorare nell'orto, si alzava, la seguiva e controllava il suo lavoro, facendo di tanto in tanto qualche perentoria osservazione.

Diceva poco ma guardava molto, e i suoi sguardi erano sempre eloquenti.

Era molto somigliante al padre di Nico – suo figlio – sembrava un suo ritratto invecchiato: stessa faccia quadrata, stesse labbra sottili, stesso fisico massiccio, ingrassato dall'età ma non sfatto. Aveva la schiena ancora dritta come quella di un ventenne e portava i capelli grigi ormai radi pettinati verso destra, a coprire un po' il diradamento.

Quella sera accolse Nico con la sua espressione più tipica: seria, le sopracciglia ancora scure, più scure dei capelli, basse sugli occhi, infossati e quasi neri, come gli occhi di tutti i Bressan Sidìn. Il nonno non poteva sapere cos'era successo, ma Nico si sentì giudicato, nudo, vulnerabile. Ebbe paura di lui e di quegli occhi.

Dopo pochi secondi spuntò la madre con un annaffiatoio in mano, per bagnare i fiori che decoravano il portico. «Oh, Nico! Çimut cussì buinore?» gli chiese, come mai così presto?

«Mi ha accompagnato a casa Leonardo Devetak.»

Perché? Perché lo aveva detto? La sua testa era talmente debole e sconvolta da non essere stata capace di mentire, inventare una qualsiasi scusa.

La madre spalancò occhi e bocca. «In motorin? In doi?»

Merda!

Guardò di sfuggita il nonno, che non aveva cambiato espressione né posizione e continuava a fissarlo. Nico ne approfittò per rigirare la cosa detta dalla madre a suo vantaggio, fare una richiesta che aveva fatto la prima volta il giorno che aveva compiuto quattordici anni. «Se mi compraste il motorino non dovrei andare in due sul motorino degli altri.»

La frase richiamò fuori la sorella Fulvia, che evidentemente si trovava nei paraggi e aveva sentito tutto. Uscì come un tornado: «Col cavolo che ti comprano il motorino prima a te! Mettiti in fila, io ho un anno più di te!»

Era una bella ragazza, tutti gli amici di Nico gli chiedevano sempre se era fidanzata e a Nico non risultava lo fosse: era troppo seria e matura per perdersi in sciocchezze come fidanzati e romanticherie.

E il suo aspetto rifletteva il suo carattere deciso e serio: si truccava poco, non amava ninnoli e gioielli, indossava raramente gonne e non le piacevano i fronzoli, portava i capelli castani tagliati corti con unica concessione alla moda: una bella onda alta sulla fronte, tenuta in piega con la lacca.

«Vedremo, dai...» disse la madre.

«Vedremo nel senso che finalmente me lo prendete?» disse la Fulvia.

«Vedremo» ripeté la madre. «Pensate a studiare e prendere buoni voti in pagella e magari in primavera ne riparliamo.»

Al che il nonno si tolse lentamente il sigaro di bocca e disse una singola parola. «Viziâs.»

Nico non aveva voglia di insistere e discutere. Entrò in casa, salì al piano di sopra e si chiuse in camera.

Aveva bisogno di una lunga doccia.

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Note 🎶

Innanzitutto, perdonatemi la canzone leggera e scanzonata per questo capitolo in realtà molto traumatico, ma a Nico questo bacio ha fatto davvero "l'effetto di uno shock."

E allora, avete cambiato idea su Leonardo? Be', non è cambiato molto rispetto alla fine del capitolo precedente, se non lo shock di Nico. Ma quando scrivevo nelle introduzioni che Leo è uno dei personaggi più grigi che abbia mai scritto era soprattutto (ma non solo) a questa scena che pensavo.

Ma non c'era altro modo in cui avrei potuto scrivere questo approccio, e non c'era altro modo in cui potesse venir su, questo ragazzo, nell'ignoranza di un luogo e di un'epoca che ci sembra vicina, che telefilm come Stranger Things ci mostrano in versione edulcorata per i sensibili palati odierni, ma che era in realtà ancora molto diversa dalla nostra nella gestione dei rapporti.

Aggiunta importante: la versione originale di questo capitolo era molto più cruda ed esplicita, e di conseguenza anche più sgradevole. Era così che volevo raccontarla, ma per non violare le regole di Wattpad ho dovuto alleggerirla cercando per quanto mi era possibile di non cambiarne il senso: vi invito a leggere la versione originale del capitolo su EFP, lascio il link in commento qui a destra.

Ci rileggiamo lunedì per vedere come Nico processerà questo evento, e lasciatemi una stellina per tutte le volte che vi ho fatto l'effetto di uno shock!

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