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54. Always running around trying to find certainty

Johnny's always running around
Trying to find certainty
He needs all the world to confirm
That he ain't lonely
Mary counts the walls
Knows he tires easily

Johnny corre sempre in giro
In cerca di certezze
Ha bisogno che tutto il mondo lo rassicuri
Che non è solo
Mary conta i muri
Sa che lui si stanca facilmente

(R.A. Palmer, Johnny and Mary, 1980)

18 dicembre 1986

Nic, per fortuna, non aveva nulla in bocca, altrimenti era certo che avrebbe rievocato lo stereotipo della persona a cui va il cibo di traverso.

Raf si è sposato... si ripeté in testa un paio di volte, senza riuscire a crederci. 

«È uno scherzo?» chiese.

Elisa fece una risatina. «No! È vero! Ma non lo sapevi, scusa?»

Nic decise di essere sincero con lei. «Con Raf non ci parlo da mesi. Non te l'avevo mai detto, ma abbiamo litigato.»

Elisa alzò le sopracciglia, formando delle rughette sulla fronte. «Nooo, veramente? Perché? Mi stava simpatico...»

«Lasciamo stare. Ma sei sicura di aver capito bene? Sposato? Chi sarebbe la fortunata?» chiese, con l'angoscia nel cuore, non tanto per la gelosia, quanto di sentire che era qualcuno di poco raccomandabile e l'idea che avrebbe ricominciato a pensare a lui, e angosciarsi, e la consapevolezza che parte della sua testa non aveva mai smesso di pensarci, perché si ritrovò il cuore stretto nella stessa morsa che gli aveva fatto credere di voler morire mesi prima.

«Ehi, Nichi... tutto bene?»

«Perché me lo chiedi?» disse lui, in tono scattoso.

Lei fece una smorfia. «Ok. Ho capito. Non avrei dovuto nominarti Raf. È evidente che avete litigato proprio male, visto che non me l'hai detto e che adesso sembri sottosopra. Ha fatto lo stronzo con te in qualche modo? Se vuoi sfogarti...»

Nic fece un sospiro e cercò di assumere un'aria noncurante. «No, Eli. Davvero. Stai vedendo cose che non ci sono. È stato un litigio stupido. Sono davvero curioso di sapere con chi si è sposato.»

«Con Vika! La ragazza che abbiamo conosciuto a Francoforte, te la ricordi?»

Nic ebbe bisogno di allargarsi il collo della camicia. Vika! La stramaledetta russa alcolizzata! Lo avrebbe trascinato nell'abisso, lo avrebbe ammazzato!

«Nic. Nic!» Elisa si alzò bruscamente in piedi, andò da lui e mise una mano sulla sua spalla. «Adesso mi dici che cazzo è successo con Raf, perché stai avendo delle reazioni decisamente non normali.» Fece una risatina. «Mi viene quasi da pensare che sei geloso!»

Elisa aveva pronunciato l'ultima frase in tono scherzoso, inconsapevolmente ironico. Ma non era gelosia, ciò che lo stava agitando: era puro terrore.

Elisa è la mia migliore amica. Se non parlo con lei, con chi posso parlare?

«Ok. Ti devo raccontare un po' di cose.»

***

«Cristo santo... ma io non sapevo che fosse messo così male, quel ragazzo! Adesso ho capito perché quel giorno a Francoforte ti eri preoccupato così tanto...»

Nic aveva raccontato a Elisa tutto. 

Quasi tutto. 

Molto poco, a dire il vero. Non le aveva detto che Raf si era anche drogato, e che forse lo stava facendo ancora, aveva parlato solo dei problemi con l'alcol e le aveva accennato del ritiro di disintossicazione a Bovec, senza scendere nei dettagli.

«Sei davvero un buon amico» proseguì lei. «Sei un ragazzo dal cuore d'oro. Gli vuoi davvero bene.»

No, io non gli voglio soltanto bene, pensò.

Guardò quella ragazza nei suoi begli occhi castani, quella ragazza che aveva paura di sorridere troppo sennò si vedevano le rughe (una volta gliel'aveva confessato), quella ragazza che era stata, prima di tutto e soprattutto la sua più cara amica, e per un attimo provò il desiderio di dirlo a lei, come lo aveva detto a Raf: sono un finocchio, Elisa, e da finocchio quale sono mi sono innamorato come un idiota del mio migliore amico. Forse, se glielo avesse detto, lei lo avrebbe capito e avrebbe potuto aiutarlo. Lui avrebbe potuto sfogarsi con lei, parlarle davvero di ciò che lo turbava più nel profondo.

Ma l'attimo passò e non glielo disse.

«A ogni modo, quella ragazza, Vika, a me non sembrava affatto un'ubriacona» disse lei.

«Ma se si sono ubriacati insieme la sera prima della loro semifinale! Certo che lo è! Solo un'ubriacona si ubriacherebbe prima di una partita così importante!»

«No, tu non sai tutta la storia. Quel giorno, quando ha detto quella frase sui trenta litri di vodka, quanti erano, stava facendo un po' la spaccona, stava esagerando, scherzava. Dopo che tu sei andato da Raf, abbiamo chiacchierato e mi ha raccontato come è andata davvero quella serata. Sono usciti a cena insieme e hanno fatto qualche brindisi durante la cena, ma lei non si è ubriacata. È solo lui che si è ubriacato e lei lo ha portato in camera sua praticamente in braccio, ridendo e prendendolo in giro perché non pensava che un uomo italiano potesse rivaleggiare con gli uomini russi in bevute.»

Nic strinse le mascelle. «Be', anche se non è un'ubriacona, mi pare evidente che sia una a cui non gliene frega un cazzo se lui beve o no.»

«Questo non lo so. Ma considera anche che lei non aveva idea dei suoi problemi... Dal suo punto di vista era un'ubriacatura occasionale.»

Nic non commentò l'ipotesi di Elisa.

«Ma piuttosto... tu perché non ci hai più parlato con lui? Non l'ho capito bene» chiese lei.

«Perché...» La verità avrebbe comportato ammettere che lo amava troppo per riuscire a stargli vicino mentre si distruggeva. «Perché io... io gli ho detto che era un coglione che aveva bevuto e lui si è incazzato e mi ha dato del paparino e non mi ha più voluto parlare» inventò. 

Elisa alzò un sopracciglio. «Che bambino...» disse. «Però secondo me dovresti... dovresti superare l'orgoglio e tornare a chiedergli come sta. Stargli vicino, se davvero ha questi problemi.»

La verità di quelle parole colpì Nic come uno schiaffo.

Il proprio egoismo lo soffocò. 

L'ho lasciato solo. Per l'ennesima volta l'ho lasciato solo.

Nic non aveva voluto stargli vicino a distanza, sapendo che stava percorrendo la via dell'autodistruzione, perché vederlo distruggersi senza poter fare nulla per impedirlo lo avrebbe fatto impazzire di dolore. Ma lasciandolo solo forse su quella via ce l'aveva spinto con maggior decisione.

Prese la testa tra le mani. «Hai ragione, sono stato egoista.»

Cos'è un amico se non una persona che ti sta vicina nelle difficoltà? 

Nic alla prima difficoltà era scappato come un codardo.

***

La cornetta era diventata scivolosa di sudore. Nic aveva composto il numero di Raf e stava ora attendendo una risposta, che arrivò dopo un bel po' di implacabili tuuu, tuuu. Era la madre, la contessa di Montesticazzi, come diceva sempre Raf – lo diceva talmente spesso che Nic aveva dimenticato quale fosse il titolo originario – e quando Nic le chiese di passargli suo figlio, la contessa rispose acida che suo figlio non aveva diritto di usare il telefono in quella casa.

«Ma è lì? Non me lo può passare per favore?»

«Vuoi fargli le felicitazioni?» disse lei in tono aspro.

«Vorrei solo salutarlo e chiedergli come sta. Mi può fare questa cortesia?»

La madre non parlo più. Appoggiò la cornetta. Nic udì dei passi in lontananza, una voce distante che chiamava «Raffaeleee!» poi il silenzio. Un minuto di silenzio, circa, coi gettoni che cadevano implacabili nel box, e a ogni scatto che cadeva la gola di Nic si faceva più stretta di paura, terrore di udire frasi sconnesse, un tono biascicato, o poco presente, finché una voce familiare disse semplicemente: «Nic?»

Fu l'unica parola pronunciata, e Nic non riuscì a capire quale fosse il tono. Sembrava neutro, non stupito, non felice, non arrabbiato. Il suo cuore accelerò, prese a battere così forte, che Nic per un attimo ebbe l'irrazionale timore che Raf potesse udirlo attraverso la cornetta.

Deglutì il macigno che gli stava ostruendo la gola e in tono basso e controllato riuscì a dire: «Raf. Come stai?»

«Oh, Nic, che contento che sono di sentirti! Finalmente, mi sei mancato tanto!» Adesso la sua voce esprimeva ansia, tentennava un po', il timbro era un po' più acuto del normale.

«Come stai?» ripeté Nic.

«Sono nei casini.»

«Per via del matrimonio? O è successo qualcos'altro?»

«Ah lo sai, allora... Be'... mia madre è contraria. Ho fatto tutto di nascosto e si è incazzata. Mio padre, se possibile, è ancora più incazzato di mia madre. Pensa che Vika sia una spia del KGB, o qualcosa del genere.»

Nic era felice di sentire che la voce di Raf era sobria e presente. O per lo meno lo sembrava. «Ma tu! Tu come stai?»

«Io sto bene. Sono così contento di sentirti... Sono felice con lei. Anche se...» Raf fece una risatina. «Anche se è tutta una farsa.»

Nic lasciò che quella frase echeggiasse qualche secondo nella sua testa, prima di chiedere: «In che senso?»

«Non stiamo neanche insieme, in realtà.»

«Ma che cazzo dici? Sei impazzito? In che senso non state insieme?»

«Nel senso che lei ha già un ragazzo, in Russia, a Leningrado. L'unico motivo per cui l'ho sposata è darle la cittadinanza italiana. Sono due anni che cerca di scappare dall'Unione Sovietica, senza riuscirci, vagabonda per l'Europa in cerca di asilo. È una ragazza straordinaria, così libera, così... indomabile! E io ho deciso di aiutarla.»

Nic non sapeva se essere sollevato o preoccupato per ciò che aveva appena sentito. «Per la trentesima volta: come stai? Me lo puoi dire davvero? In modo dettagliato?»

«Perché continui a chiedermelo? Ti ho risposto. Sto bene.»

Nic decise di essere più specifico. «Come va il tuo stato di... equilibrio?»

«Bene, Nic. Più bene che mai. Stare con Vika mi fa bene.»

«Ma se mi hai appena detto che la relazione con lei è una farsa!»

«La relazione amorosa, ma non quella amicale. Sai in Inglese c'è un modo di dire: friends with benefits, che significa, tipo, amici con optional. Io e lei siamo due amici con l'optional che ogni tanto scopiamo. Siamo due buoni amici, ci vogliamo bene, e lei mi ha aiutato tanto. Le ho parlato dei miei problemi, sai? Dopo che tu... quella sera ti sei incazzato, ho riflettuto e ho deciso di dirglielo, che avevo problemi a controllarmi quando bevo. Lei mi aiuta.»

Sentendo quelle parole, una malsana invidia si avviluppò intorno al cuore di Nic. Aveva lasciato da solo Raf e lui non ci aveva messo niente a trovare un sostituto migliore amico. «Se hai lei sono felice» disse, anche se realtà non lo era. Forse lo disse perché avrebbe voluto esserlo.

«Bene. Adesso che sto meglio quindi... possiamo essere di nuovo amici?» chiese lui, a bassa voce.

Nic chiuse gli occhi e prese un lento respiro. «Scusa, Raf. Non avrei dovuto lasciarti solo. Sono un pezzo di merda.»

«No, Nic. Tu avevi ragione» disse Raf in tono sereno. «Io mi sono approfittato di te. Ho riflettuto tanto su quello che mi hai detto, non posso dare il mio fardello ad altre persone.»

«A Viktoria sì, però» si lasciò sfuggire Nic, in un tono sin troppo astioso.

«Be'... non del tutto. Cerco di non esagerare. Non le ho mai fatto leggere le mie terribili poesie, ad esempio.» Raf ridacchiò.

Nic si sentì sollevato. Solo a me ne ha fatta leggere una, pensò, con un sentimento di infantile rivalsa che gli stringeva la bocca dello stomaco. Riconobbe che era un sentimento infantile, e fu questa consapevolezza che lo spinse a dire: «Se ti facesse stare meglio, forse dovresti fargliene leggere qualcuna, se lei ti sta vicina.»

«No, meglio di no. Quelle cose ormai fanno parte del mio passato. Non ne scrivo più, erano una roba veramente da ragazzino con le turbe.»

«Sei ancora un ragazzino» disse Nic. «Hai solo diciannove anni.»

«Ne faccio venti tra poco. Sono maggiorenne, ho la patente e sono sposato. Tu scommetto che la patente ancora non l'hai fatta, imbranato!» lo prese in giro Raf.

«E quando la faccio? E chi mi fa scuola guida?» Nic sbuffò. «Per ora non mi sta servendo, però in effetti prima o poi dovrei pagarmi 'ste lezioni e trovare il tempo di prenderla.» Nic rifletté: poteva essere una nuova attività per riempire il suo tempo con pensieri diversi, almeno per un periodo.

«Ti faccio io scuola guida! Vengo lì a Bologna e ti porto a guidare in qualche stradina poco frequentata per insegnarti a usare la frizione e il cambio.»

Nic ridacchiò. Sta bene, pensò. Sembrava davvero star bene. Volle crederlo con tutto se stesso.

«E a proposito... come ti dicevo prima, sono nei casini» proseguì Raf. «Io e Vika dobbiamo andarcene da qui al più presto, mia madre mi ha cacciato di casa. Mi ha dato un ultimatum di un mese: se entro un mese non annulli questo matrimonio del cazzo con la slava approfittatrice non ti voglio più vedere. Testuale.»

«Viktoria sta lì da te? A casa tua?»

«E dove pensi che stia? Certo che sta qua. Dorme in camera mia sul mio letto, io sto per terra perché ho una piazza e mezza e lei mi ha detto che di notte mi metto sempre a stella e sta scomoda.»

«È vero che ti metti a stella» disse Nic, ricordando con un'atroce nostalgia le notti passate a dormire insieme a Bovec. «Ma quindi... quindi qual è la soluzione? Dove andate? Mi hai detto che anche tuo padre non è felice della situazione.»

«Ancora meno. Di soldi non te ne do più, mi ha detto, non voglio finanziare i comunisti.» Raf sbuffò. «Tanto lo conosco. Nel giro di una settimana ha cambiato idea e ricomincia a darmene. Però resta il fatto che la odia e pensa sia la nipote segreta di Stalin venuta a corrompere l'occidente liberale per fare la rivoluzione bolscevica. Da lui non posso andarci. Io e Vika dobbiamo trovarci un posto dove stare e quindi... sai... questa tua telefonata capita proprio a fagiuolo.» Lo pronunciò in quel modo ridicolo, con la u. «Cosa ne pensi se venissimo a stare lì a Bologna? Vicino a voi?»

«Oh...» esclamò Nic, non sapendo bene cosa rispondere.

«Pensavo di chiedertelo da quando mi sono sposato, a prescindere da questa chiamata. È dal giorno del matrimonio che lo penso. A proposito! Devo assolutamente farti vedere le Polaroid del matrimonio, ahah! Lo abbiamo fatto in comune, in tuta da tennis, però io per ridere mi ero comprato un papillon, e lei si voleva mettere un velo da sposa, solo che non sapevamo dove comprarlo, così su due piedi, un'ora prima. Allora sai cosa le ho suggerito io? Dovresti metterti uno di quei fazzolettoni in testa tipo quelli che si vedono nelle foto delle donne russe! È vero che usate quei fazzolettoni o è una cazzata che si inventano qua in Italia? No, no, mi fa lei, pravda! Che vuol dire, tipo, è vero in russo. Insomma, le piacciono pure, i fazzoletti in testa, dice che in Russia li usava spesso, e allora abbiamo comprato mica un foulard bello, no, una tovaglietta da picnic a quadretti in un negozio di casalinghi che stava vicino all'ufficio comunale, ahah! E come due coglioni siamo andati dentro in tuta, io col papillon, lei con la tovaglia legata tipo fazzoletto, dovevi vederci! Non la finivamo più di ridere! Non so come la funzionaria che ci ha sposato non ci ha cacciato via a calci in culo!»

Nic provava emozioni contrastanti, ad ascoltare quel racconto: da un lato si sentiva geloso di un momento di complicità tra Raf e una ragazza di cui sembrava infatuato; dall'altro era felice di sentirlo felice, chiacchierone, lucido. «Me le devi proprio mostrare. Ma i testimoni chi erano?»

«Io ho chiesto al mio sparring, Luca Turturro, che è anche quello che ci ha scattato tutte le foto. Lei non aveva nessuno e le ha fatto da testimone un tipo del comune.»

«E quindi... quindi lei adesso ha il passaporto italiano?»

«Sì, sta finendo di compilare scartoffie. E vuole pure iscriversi alla federtennis. Abbiamo già preso dei contatti e sembrano molto felici di farla entrare, perché è forte e promettente, l'unico motivo per cui non è in top cento è che i russi la facevano girare poco in tornei seri. Sai che al Roland Garros vogliamo iscriverci insieme al torneo di doppio misto?»

Nic e Raf chiacchierarono ancora un po', Nic fece fuori un intero rotolo di gettoni, e alla fine venne di nuovo tirato fuori il discorso di Bologna. «Nic, su Bologna dicevo sul serio. Puoi guardare qualche annuncio? È una città universitaria, di appartamenti in affitto ce ne sono parecchi, a quanto ne so.»

«Tutti occupati da studenti. A gennaio non so quanta roba puoi trovare. Però posso chiedere aiuto a mia sorella.» Ogni tanto Nic incontrava la sorella Fulvia, si vedevano per prendere un caffè, una volta l'aveva persino portata a vedere il centro allenamenti. Ma lei aveva altri giri e altri interessi, e la cosa capitava molto di rado.

«Ma saresti contento se vivessi lì? Ti ricordi... ehm... quando mi avevi detto che avresti voluto venire a Roma, e io ti ho detto di no?»

«Certo che me lo ricordo» rispose Nic cupo.

«Ecco... io ci pensavo per questo, a Bologna. Anche prima che mi chiamassi, volevo chiamarti io stesso, chiederti scusa e...»

«E di cosa dovevi chiedermi scusa? Sono stato io a lasciarti solo come... come un egoista pezzo di merda.»

«No. Smettila di dirlo. Non sono mai stato incazzato. Ho capito le tue ragioni e l'egoista sono sempre stato solo io. E adesso, a dire la verità, un po' egoista mi ci sento ancora, a chiederti queste cose. Però... insomma, il punto è: staremmo vicini e tu... potresti... insomma, mi vedi da vicino e vedi che sto bene, ok? E possiamo essere di nuovo amici. Non è una soluzione perfetta?»

Nic inghiottì un piccolo groppo che si stava formando nella sua gola. «Son sei mesi che sto una merda, per questa cosa. Quindi... sì. Sì, sarei molto felice se venissi a stare a Bologna.»

Se veniste. Era quello il verbo che avrebbe dovuto usare.

Perché ci sarebbe stata anche Viktoria.

--

Note 🎶 

Com'è amaro questo capitolo... Ma sappiate che avete appena tirato il fiato con due capitoli di transizione prima di una sequenza bella intensa. Raf a Bologna! Che ne pensate? Cosa succederà?

E come sarà il rapporto con Vika? Che tipa vi sembra lei, per quel poco che l'avete vista?

E sulle note di una delle canzoni più iconiche degli anni Ottanta, vi do appuntamento a lunedì, e lasciatemi una stellina per ogni volta che Nic ha pensa che non avrebbe mai voluto conoscere Raf.

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