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50. Non ti fidar di un bacio a mezzanotte

Non ti fidar 
Di un bacio a mezzanotte
Se c'è la luna non ti fidar
Perché perché
La luna a mezzanotte
Riesce sempre a farti innamorar
Non ti fidar di stelle galeotte
Che invitano a volersi amar

(A. Giovannini, C. Gorni, P. Garinei, Un bacio a mezzanotte, 1945)

(Quartetto Cetra best gruppo italiano EVER 🤟)

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28 giugno 1985

Nic osservava con un misto di soddisfazione e straniamento la bacheca scolastica con le votazioni di maturità dell'Istituto Tecnico Commerciale Guglielmo Marconi di Bologna, in mezzo a una folla di ragazzi in festa.

Nicolò Bressan, diplomato in ragioneria, cinquanta sessantesimi.

A cosa gli sarebbe servito quel diploma? A ben poco. Anzi a nulla. Ma l'aveva preso, aveva frequentato le lezioni e studiato, mentre si allenava ai ritmi folli dell'accademia, ed era riuscito persino a prendere un voto decente. Avrebbe dovuto sentirsi soddisfatto.

Si sentiva soddisfatto. Non era stato facile riprendere lo studio dopo un anno di pausa, aveva dimenticato un bel po' di cose e aveva avuto bisogno di qualche lezione di recupero, ma per fortuna c'erano dei tutor gratuiti, all'accademia, che aiutavano i ragazzi a recuperare lo studio perso quando erano impegnati in lunghi tornei lontani da Bologna. Furono d'aiuto anche a Nic.

La materia che gli aveva dato più difficoltà era stata l'inglese. A Gorizia la lingua straniera che aveva scelto era il tedesco, perché alle medie aveva fatto tedesco. Lì a Bologna l'unica lingua disponibile era l'inglese. Ma Nic non l'aveva mai studiato e aveva dovuto partire da zero in quinta. Era arrivato al sei per miracolo, a fine anno (e Nic sospettava che la professoressa fosse stata di manica molto larga e avesse premiato più il suo impegno che i reali risultati).

Quindi sì, era decisamente soddisfatto di esserci riuscito.

Ma se non si fosse diplomato sarebbe stato uguale. Nella sua vita, probabilmente, quel diploma non avrebbe avuto alcuna utilità.

Erano altre le cose che sognava, e per il momento  erano ancora distanti.

Tazio e il suo team lo avevano messo sotto sin dal primo giorno. I ritmi di lavoro erano molto pesanti e avevano deciso di rivedere da capo diversi suoi colpi. Gli avevano spostato l'impugnatura sul dritto e lo avevano fatto allenare per ore e ore al top spin, e gli avevano accorciato il movimento di servizio per renderlo meno leggibile. Questi due cambiamenti lo avevano riportato indietro nella curva dell'apprendimento, e dopo quei primi due punti a Genova non ne era più riuscito a guadagnarne altri, uscendo dalla classifica a marzo di quell'anno.

Non smetteva di provarci, però, e non era demoralizzato. Era la strada giusta. I risultati, con pazienza, si sarebbero visti. Entro un mese o giù di lì sarebbe partito per la naja. Aveva già fatto la visita dei tre giorni. Il mese di CAR sarebbe stato l'unico periodo che avrebbe dovuto passare lontano da Bologna, e sarebbe stato una mezza farsa perché Nico già sapeva dove sarebbe stato assegnato: al Reparto Speciale Atleti di una caserma bersaglieri di Bologna, raccomandato dallo stesso Tazio.

Nic aveva riferito a Tazio della discussione avuta, l'anno prima, con uno degli ufficiali della caserma di Barletta. «Mi ha fatto capire che non avrei fatto il militare per via del fatto che sono... mmm... hai capito. E infatti un mio... mmm... amico è stato licenziato dal servzio proprio per quel motivo lì, dopo che l'hanno saputo.» Nico omise di raccontare la storia tragica di Leonardo, attenendosi solo a quel dettaglio.

Tazio aveva sospirato. «Sì, c'è la possibilità di chiedere l'esenzione per quel motivo. Sai che mi ero informato per sapere se poteva valer la pena di mentire e esentare qualche mio ragazzo con questo trucco? Ma mi sono reso conto che non aveva senso. Punto primo: avere l'esenzione è complicato, perché devi avere una dichiarazione scritta di qualche associazione tipo arcigay, quelle cagate lì. In pratica ti schedano e sanno che hai quelle tendenze. Saresti tranquillo a farlo, tu? Io no. Punto secondo: fare il militare è un'ottima disciplina formativa per i ragazzi, quindi va benissimo se lo fai. Punto terzo: è quasi come se non lo facessi.»

«E quindi salta il punto due sulla disciplina formativa?»

«La disciplina te la do io qua in accademia! Fila subito ad allenarti!»

E così sarebbe iniziato il suo anno di leva, a mezzo chilometro dal posto in cui viveva. Quando l'aveva saputo aveva pensato a Leo. Il povero Leo senza conoscenze e senza raccomandazioni, che era stato spedito a Barletta a centinaia di chilometri da casa. Nic sarebbe rimasto a Bologna, in un corpo militare dove, in pratica, avrebbe continuato ad allenarsi insieme ad altri atleti come lui, con – a quanto aveva capito – anche una relativa libertà di spostamento e uscita, e permessi per tutti i tornei a cui si sarebbe iscritto, già tutti pianificati fino alla fine dell'anno.

La sua stagione era già tutta decisa, i ritmi delle sue giornate erano scanditi al minuto. In fondo, era già come fosse in caserma.

Ed era un sogno, per lui.

Non aveva tempo per distrarsi, per pensare ai sentimenti, per trastullarsi in fantasie morbose. C'era solo il tennis nella sua vita, e piani sicuri per il suo futuro. Non era mai stato tanto soddisfatto e tanto felice.

Chi non erano felici erano i suoi genitori. Ma Nic aveva scelto la sua strada e non potevano farci nulla. Non dipendeva più da loro.

Dal padre men che meno. La madre, quando Nico aveva annunciato che sarebbe partito per Bologna, aveva proposto dapprima di farlo andare a vivere con la sorella Fulvia che viveva lì, ma i fratelli si erano entrambi detti contrari; poi aveva suggerito di aprirgli un conto corrente «dove versargli qualche soldino ogni tanto, per dargli una mano, visto che è stato tanto bravo.» Il padre si era opposto in modo categorico. Non ci aveva più parlato, da quando stava a Bologna. Era diventato muto come il nonno. 

La madre, ogni tanto, al telefono la sentiva. Telefonate sempre uguali: lei gli chiedeva come stava, se aveva vinto qualche partita. «Non stai facendo monate in giro, vero?» diceva ogni tanto in tono preoccupato. Nic intuiva fosse il suo modo per chiedergli se stesse avendo qualche rapporto omosessuale, e lui rispondeva sempre di no.

Perché era vero. Non c'erano e probabilmente non ci sarebbero stati mai più ragazzi nella sua vita. E gli stava bene così. Una volta a settimana si masturbava, e ne traeva un grande sollievo, mentale e fisico. Non gli serviva nient'altro.

***

29 giugno 1985

«Ehi Nic, mi fa piacere sentirti!»

«Non mi avevi detto che mi avresti chiamato tu, ieri? Ti sei dimenticato? Sembravi tanto curioso di sapere che voto avrei preso alla matura...»

«Tanto lo so che sei uscito col sessanta, per quello non ti ho chiamato.»

«Cinquanta» disse Nic.

«Vedi? Lo sapevo che sei secchione.»

«Non è un voto da secchione. Sessanta è un voto da secchione.»

Raf rise.

Raf stava bene. Sembrava stare bene. Si allenava sempre a Roma col suo coach, Fantini. Giocava Challenger e ne vinceva persino qualcuno. Aveva partecipato anche ai primi turni di alcuni tornei duecentocinquanta. Stava scalando le classifiche ed era a un passo dalla top cento. 

A soli diciotto anni. Era un po' indietro sui tempi, paragonato a McEnroe e compagnia, ma Nic era certo fosse destinato a diventare un numero uno.

Lo sentiva almeno una volta a settimana, e non gli era mai sembrato strano, su di giri o stonato. Quelle settimane in Jugoslavia sembravano avergli fatto davvero bene. Nic ne era felice. Le aveva sofferte, quelle settimane, ma almeno erano servite a qualcosa. E la lontananza, come previsto, stava spegnendo il suo sentimento per lui.

Tutto si può controllare. Anche l'amore che sembra più grande.

Sono tutte cazzate. L'amore, la passione. Tutte cazzate. Basta non pensarci.

«Nic, non rispondi?»

«Cosa, scusa? Mi hai chiesto qualcosa?» Nic sbuffò. «Scusa, sono stanco morto, mi sto addormentando in piedi.»

Raf rise. «Dai, ti lascio andare a cena, allora. Scommetto che non hai ancora cenato.»

Nic faceva sempre le sue telefonate dalle cabine che si trovavano al piano terra del dormitorio. Non aveva molti soldi, erano ancora quelli rimasti dai tornei vinti l'anno prima, stavano finendo e li centellinava. Uno sponsor per l'attrezzatura non l'aveva trovato, perciò aveva dovuto improvvisamente dimezzare il suo fondo per comprarsi delle scarpe da terra nuove, quelle vecchie erano ormai distrutte. Quelle da duro per ora sembravano reggere ancora, ma Nic guardava con timore all'inverno, quando avrebbe dovuto ricominciare a usarle con continuità.

Cercava sempre di farsi telefonare, se poteva, a quelle stesse cabine in orari prestabiliti. Se Nic non riusciva a essere presente, era il custode del dormitorio a rispondere ai telefoni che squillavano e a far andare lì la persona desiderata. A quell'ora, poco prima di cena, quelle cabine erano quasi sempre vuote, ed era quindi il suo orario preferito.

Quella sera, però, c'era qualcun altro in corridoio con lui. 

Una ragazza, che parlava fitto fitto nell'ultimo box prima dell'angolo che portava alle scale. Nic si fermò a osservarla. Non era una delle tenniste del centro, ne era sicuro, le conosceva bene tutte e le identificava anche da lontano con uno sguardo. 

Le cabine erano dei box aperti fissati al muro e circondati da un plexiglass ambrato, la ragazza era di spalle. Capelli, fisico, altezza e postura gli ricordarono Elisa... com'era il cognome? Era il cognome di un cantante, lo dimenticava sempre... Morandi! Elisa Morandi, la ragazza di Genova. Possibile che fosse lei?

Ebbe la risposta al suo dubbio dopo una manciata di secondi. La ragazza appoggiò la cornetta ed emerse dal box.

Si guardarono da lontano per qualche secondo, in silenzio. Il corridoio era un po' in penombra, perché una delle luci al neon sul soffitto era rotta, e fuori il sole era da poco tramontato. L'accademia era un centro molto moderno, con strutture sportive all'avanguardia, ed era tenuto dagli addetti come un gioiello. Il dormitorio era l'unica parte che lasciava un po' a desiderare: un vecchio casermone di tre piani, fatiscente e poco manutenuto. Al piano inferiore c'erano uffici e depositi (e i telefoni), il primo piano era occupato dai ragazzi, il secondo dalle ragazze. Gli allievi fissi dell'accademia non erano molti: sei maschi e quattro femmine, ma l'accademia guadagnava con seminari, tirocini e corsi brevi profumatamente pagati da ricchi aspiranti professionisti o altrettanto ricchi dilettanti perdigiorno, quindi c'era sempre un bel viavai di gente. 

Quella nuova ragazza poteva anche essere un'ospite provvisoria.

«Ciao» azzardò Nic.

Lei si avvicinò sorridendo, il suo solito sorriso leggero, niente fossette sulle guance. «Ah, mi pareva fossi tu! Ciao! Ma cosa ci fai qui?» Era proprio Elisa!

«Sono un allievo del centro. E tu?»

Lei spalancò la bocca in un'espressione di stupore. «Un allievo? Ma dai?»

Nic ridacchiò. «Sì, si chiedono sempre tutti cosa ci faccio qui, scarso come sono.»

«Non ero stupita per quello. Ero stupita in generale, per la coincidenza. Non mi stupisce affatto che piaci a Ravaioli. Ci metto la mano sul fuoco, anzi, tutte e due le mani sul fuoco che ti ha scelto lui.»

«Brava.»

«Sei proprio il tipo... hai quel tipo di atteggiamento che lui cerca nei suoi allievi. Ma come va? Come sei messo in classifica?» Elisa guardò l'ora. «Apre la mensa, adesso, no? Per stasera non mi sono organizzata per andare a mangiare qualcosa di più decente... e tu mi avevi promesso che mi offrivi una cena!»

Nic sbiancò. «Oh, eh... A dire il vero in questo momento sono la persona più squattrinata dell'accademia.» 

La ragazza rise, una risatina leggera. «Allora offrimi un pasto in mensa.»

«Ma è gratis, che senso ha?»

«Un po' di fantasia, su... mi porti il piatto in tavola e fai finta che siamo al ristorante.»

Nic rise. «Ok.»

Elisa fece un altro dei suoi sorrisi leggeri, Nic ricordava ancora quanto fosse bello quel sorriso distratto con le fossette che gli aveva regalato il giorno della finale, a Genova. La porta a vetri rimandava il loro riflesso, lei si guardò e sistemò i capelli. «Andiamo, su.»

Incamminandosi verso l'edificio principale, dove si trovavano cucina e mensa, si misero a chiacchierare. Era una ragazza davvero gentile e simpatica. Era lì da un giorno e aveva firmato un contratto quinquennale, con Ravaioli come coach personale. «Saranno due anni che mi fa il filo, ma io mi son fatta desiderare. Anche perché volevo firmare il miglior contratto possibile.»

Nic pensò al suo, di contratto, che non era per nulla vantaggioso, ma non se ne lamentò ad alta voce.

A cena Elisa insisté davvero per farsi portare il pasto al tavolo da Nic e lui stette al gioco, fingendo persino di prendere le ordinazioni con un blocco note.

Poi parlarono di tornei, Elisa si fece raccontare la vita al centro. Sembrava felice di aver lasciato Genova, un po' meno di aver lasciato la sua adorata sorellina Elena. «I miei, invece, meglio perderli che trovarli» roteò gli occhi. «Non ne potevo più di stare lì... Sono due tipi così pesanti, così asfissianti, così...» Sbuffò. «Scusa, non dovrei romperti con i miei problemi personali.»

«Ma figurati, ti capisco, anche i miei sono due tipi pesanti.»

Nic finì a parlare di suo padre e di suo nonno. Non rivelò ovviamente quale fosse la ragione del loro odio per lui, lo attribuì tutto al tennis, ma gliene parlò e gli disse che col padre aveva praticamente rotto qualsiasi rapporto. Elisa si mostrò molto stupita di questo fatto, e del fatto che Nic non avesse nessun aiuto monetario dalla sua famiglia.

«E coi libri come fai? Mi ricordo che ti piaceva leggere!»

«Mi piace ancora, li prendo in biblioteca.»

«L'hai poi provato un altro romanzo di Salgari?»

«Ah, ti ricordi ancora quella conversazione?»

«Certo, me la lego al dito quando mi criticano i miei autori preferiti!»

Iniziarono a discutere di romanzi e, Salgari a parte, Nic scoprì di avere diversi gusti in comune con lei. A entrambi piacevano autori di fantascienza un po' cupi come Matheson, Dick e Vonnegut; a entrambi piacevano i thriller fantascientifici di Michael Chricton; entrambi amavano spaziare tra generi e avventurarsi tra i classici, ed entrambi avevano scoperto grazie alla scuola di amare Pirandello.

«Pensa che io non me lo cagavo di striscio, ci hanno dato da leggere il Fu Mattia Pascal e già pensavo: che palle! Come il novantanove per cento della roba che ti propinano da leggere a scuola. Avevamo una prof di Italiano nata nell'Ottocento, credo, che ci macinava il cervello con robaccia tipo libro Cuore e schifezze simili. Ma quel romanzo... L'ho letto in due giorni! Mi ha folgorato!» disse lui.

«Uguale io! Pirandello, poi, è stato l'autore che mi ha spinto a iscrivermi a lettere moderne all'università.»

Andarono avanti a chiacchierare così, a lungo, anche dopo la fine del pasto, e si resero conto a un certo punto di essere le ultime due persone rimaste in sala. «Accidenti Nic, che bella chiacchierata che ci siamo fatti! Il tempo è volato! Ti eleggo a mio confidente ufficiale.»

«Volentieri, anche a me è piaciuto parlare con te.»

Nic si soffermò a pesare quelle parole. Gli erano uscite di bocca spontaneamente, così come tutto quello che aveva detto quella sera.

Si rese conto di essere stato piuttosto loquace, molto più del suo solito. Qualcosa, nei modi di fare di quella ragazza, lo metteva a proprio agio, gli scioglieva la lingua. Era merito della sua dolcezza, forse? O semplicemente il fatto che avessero così tanti gusti in comune? Aveva persino più gusti in comune con lei che con Raf, in fatto di lettura (Salgari a parte). Raf era più il tipo da romanzi beat esistenzialisti, che Nic invece trovava noiosi.

Non potè evitare di ripensare a quella vecchia osservazione di Raf: sicuro di non essere bisessuale? Raf aveva visto qualcosa in Nic, nei suoi atteggiamenti, forse, nel modo in cui la guardava. Non aveva mai approfondito cosa avesse visto, e se Nic gliel'avesse chiesto a distanza di due anni, probabilmente avrebbe scoperto che Raf l'aveva dimenticato. 

Ma Nic stesso si rendeva conto che in lei c'era qualcosa di diverso, qualcosa che solleticava in qualche modo la sua curiosità.

Possibile davvero che...?

Si diede dello sciocco prima ancora di finire il pensiero. 

Sono molto più facile alla suggestione di quel che pensavo.

***

20 dicembre 1985

«Vuoi venire in licenza a Genova da me, per Natale?»

L'invito spiazzò Nic al punto da lasciarlo per un minuto con il cucchiaino da tè a mezz'aria, con Elisa che rideva. 

Nic era in divisa, in libera uscita pomeridiana, e si era incontrato con lei a un bar subito fuori dalla caserma. Tazio aveva avuto ragione sulla farsa della sua vita militare: partecipava ogni tanto a qualche addestramento, tipo scalate, percorsi di guerra e scemenze simili. Di armi, per fortuna, ne aveva toccate pochissime, sentendosi sempre molto a disagio, ma era accaduto talmente di rado che l'aveva sopportato di buon grado. Per lo più si allenava con gli altri coscritti ed era come fossero allenamenti atletici dell'accademia. Doveva dormire in camerata con dieci ragazzi, ed era l'unica vera rottura di scatole, perché ce n'era uno che russava forte (e che veniva regolarmente tormentato dagli altri). Gli orari di ritirata non gli davano fastidio, non era mai stato uno a cui piacesse uscire la sera. 

Non aveva legato con gli altri coscritti. C'erano parecchi atleti famosi a livello nazionale, diversi calciatori, che se possibile, però, passavano in caserma meno tempo di quanto ne passasse Nic. 

L'unico ragazzo con cui andava d'accordo era Fernando, il bellimbusto biondo conosciuto al suo primo torneo juniores di Milano, tre anni prima, che era anche lui di leva lì perché si allenava in un circolo di Ferrara. Nonostante fosse un tipo molto greve e spaccone, a Nic non stava antipatico. Era intelligente e aveva un modo pratico e senza fronzoli di affrontare le cose. Stava facendo la leva a ventiquattro anni perché si era laureato in economia, e non era una cosa molto comune tra gli sportivi professionisti riuscire a conciliare studio e carriera. «Ma io lo so che non diventerò mai un tennista di alto livello, quindi finché ci campo e mi diverto gioco, mi faccio un po' di contatti, e poi mi piacerebbe tentare una carriera dirigenziale in qualche club o come direttore di un torneo. Mi porto avanti» aveva spiegato un giorno a Nic.

La caserma concedeva libere uscite la mattina e il pomeriggio: Nic avrebbe dovuto usarle per allenarsi in accademia, ma ogni tanto riusciva a ritagliare qualche minuto per salutare Elisa. Quel pomeriggio erano andati a prendersi un tè a mezz'ora dal rientro per il rancio serale.

«Ti autorizzo a girarti lo zucchero, se vuoi.»

«Oh, eh... sì, a cosa... devo...? Cioè...»

«Renato mi ha mollata.» Il viso di Elisa si intristì. «Per quella racchia della Marangon. Hai presente?»

«La numero tre italiana? Non mi sembra racchia, è carina» si azzardò a dire Nic.

Non avrebbe potuto dire cosa peggiore, l'espressione di Elisa si incupì. No, incupì non era il verbo giusto. Era come se un'improvvisa, incombente disgrazia stesse per trascinarla in un vortice di rabbia e disperazione. Nic quasi si spaventò, era sempre così dolce e serena, non le aveva mai visto fare una faccia simile. Del resto, poverina, era appena stata lasciata e Nic si era lasciato sfuggire quel commento forse con troppa leggerezza.

«Be', tu comunque sei molto più bella» si affrettò ad aggiungere.

«Tanto lo so che me lo stai dicendo solo per consolarmi, risparmiati le leccate di culo» ribatté lei acida.

«Ehi, ehi, ma che cazzo...? Senti... Non ho capito se me lo stai dicendo per farti dire di nuovo che sei una bella ragazza o se...» Nic scosse la testa. «Ma poi, scusa, chi se ne frega?»

Elisa sbuffò. «Va be'. Lasciamo perdere.»

«Eli... scusa. Davvero, scusa. Tu mi dici che Renato ti ha mollata e io faccio un commento fuori luogo sulla tipa con cui ti ha tradita. Sono un coglione e stavo parlando distrattamente.»

Elisa accennò un sorriso. Quasi invisibile. «Lascia stare, non importa.»

Nic trattenne un sospiro. Ecco uno dei tanti motivi per cui non avrebbe mai potuto essere eterosessuale: non riusciva a capire le ragazze. Perché dovevano essere così fissate con l'aspetto fisico e la bellezza? Perché dovevano fare a gara a chi era più figa? Nic non aveva mai sentito, neanche per mezzo secondo nella sua vita, il bisogno di sembrare più bello degli altri ragazzi. Più bravo, magari. Più forte. Più carismatico. 

Più bello mai.

«E comunque... in tutto questo mi sono perso perché vuoi che vengo a Genova.»

«Devi sapere che mia madre è una stronza.»

«Me l'hai detto molte volte.»

«Appena ha saputo che Renato mi ha mollata, sai cosa mi ha detto?»

«Cosa ti ha detto?»

Elisa assunse un'espressione arcigna e imitò una voce da megera: «A me non mi ha mai mollata nessuno! Ero io che li mollavo! E ne avevo sempre uno pronto ad aspettare!»

Nic sbatté rapidamente le palpebre. «Ma cos... ma scherzi? Ti ha veramente detto questa roba?»

«Giuro. E quindi, voglio farle vedere che anch'io ho sempre uno pronto ad aspettarmi.»

«E quell'uno pronto dovrei...» Nic sentì le guance scaldarsi. «Dovrei essere io?»

«Sì. E sia chiara una cosa: io ce l'ho davvero, quello pronto ad aspettarmi. Anzi, in questo momento ne ho due.»

«Ok. E perché non scegli uno di loro?»

Elisa fece un sorrisetto. «Tu mi stai più simpatico. E mi hai detto che anche se sei in licenza non torni a casa per Natale.»

Nic socchiuse gli occhi. «Quindi la ragione è la seconda, che io sono libero e gli altri due no.»

Elisa ridacchiò. 

Nic rifletté. Lei gli stava simpatica. Era la sua migliore amica. Avevano sempre qualcosa di cui parlare. E durante la piccola vacanza a Genova avrebbero potuto anche fare qualche palleggio insieme, per tenersi allenati.

Ed era bella, per giunta.

Qualche volta, le giornate in cui si masturbava in bagno, lì in caserma, aveva provato a pensare a lei. Aveva chiuso gli occhi e pensato al suo corpo esile, al suo viso perfetto, alla sua grazia. Ma dopo i secondi iniziali, i suoi pensieri viravano sempre a muscoli, peli, cazzi e strette virili.

Ma quell'invito lo intrigava. Decise di accettare.

***

24 dicembre 1985

«E così tu sei Nicolò, ma che piacere, entra! Entra! Ma che bel ragazzo!»

La madre di Elisa, la signora Velia Morandi, era una bella donna tra i cinquanta e i sessanta, capelli castani, evidentemente tinti, acconciati in modo artistico con una crocchia a spirale, abito elegante e portamento da danzatrice simile a quello della figlia. Anche il padre era di bell'aspetto, un viso esile e stempiato con lineamenti mascolini per nulla rovinati dall'età. 

La casa di Elisa era un moderno appartamento signorile nel quartiere più ricco della città, e dal terrazzo si vedevano le luci del porto. Nic incontrò di nuovo, dopo due anni, Elena, anche lei fresca di maturità. Era un po' ingrassata, ma a differenza della sorella che era sempre a dieta, non sembrava preoccuparsi troppo della propria linea o del proprio aspetto, notò che non era nemmeno truccata. La minore ossessione per l'apparenza non le impediva di essere fidanzata, con un bel biondino, per giunta, un universitario due anni più grande di lei, anche lui invitato alla cena.

Nic era sempre a disagio, quando era ospite a cena da qualcuno, perché doveva dire di essere vegetariano: si sentiva una specie di bambino capriccioso nel pretendere dei piatti speciali. Del resto evitare di mangiare se glieli avessero presentati gli sembrava ancor più maleducato, oltre che crudele nei confronti dell'animale morto, perciò quando accettava un invito, le rare volte che lo faceva, spiegava: chiedo scusa per il disturbo, ma non posso mangiare carne. I genitori di Elisa per fortuna non avevano fatto obiezioni, anzi anche loro, come Nic e la contessa, avevano applaudito la sua scelta (atteggiamento che lo convinse, per l'ennesima volta, della superiorità dei cittadini sui campagnoli) e gli avevano servito solo verdure, lenticchie e formaggi.

Nel corso della cena si pentì di aver partecipato a quella messinscena da finto fidanzato. Dovette tenere per buona parte della serata la mano a Elisa, e ogni tanto lei gli suggeriva pure di abbracciarla e darle qualche bacio sulla guancia. Gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo alle recite per suo padre con la Lucia, solo che stavolta stava fingendo per qualcun altro, e non per nascondere se stesso. Questo rendeva la recita un po' meno difficile, ma non meno imbarazzante.

Alla fine del pasto i quattro ragazzi uscirono in balcone per fumare una sigaretta (tutti tranne Nic). Anche Elisa ogni tanto fumava, quelle stupide sigarette lunghe e sottili da signora, ma era un vezzo, più che un vizio, lo faceva quando voleva darsi qualche aria elegante, alle feste dell'accademia o quando veniva a prenderla qualche ragazzo per uscire la sera. Di ragazzi ufficiali, da giugno, ne aveva cambiati tre. Ma di corteggiatori ne aveva avuti parecchi, tutti passati al vaglio del giudizio di Nic che era diventato il confidente ufficiale della ragazza. 

Alessio, il ragazzo di Elena, era la caricatura di uno yuppie americano, uno di quei paninari di cui ogni tanto parlavano in tv: studiava economia all'università e i suoi unici argomenti di conversazione erano carriera e soldi. Indossava un piumino Moncler, jeans Armani e Timberland ai piedi, e aveva i capelli cotonati con la lacca, come il cantante degli A-Ha. Elisa un giorno aveva proposto a Nic di farsi crescere un po' i capelli per farsi un bel ciuffo, ma lui si era rifiutato: gli era sempre piaciuto portarli corti, senza fronzoli. Si era stupito della sua richiesta perché anche lei, da quel punto di vista, non seguiva la moda: i capelli, lunghi fin sotto le spalle, li acconciava sempre in modo semplice. Portava la frangetta, e li teneva per lo più sciolti, sempre ben pettinati, lisci, senza cotonature o permanenti. Quando giocava li legava in una codina alta alla Nadia Comaneci.

Quando rientrarono dal balcone, i genitori tirarono fuori il tabellone della tombola, ma Elisa propose a Nic una passeggiata «per prendere un po' d'aria.» Nessuno fece notare loro che avevano appena preso aria in balcone. Probabilmente pensavano che volessero semplicemente appartarsi.

«Sono contento che mi hai portato fuori, le tombole non le reggo» disse Nic, una volta in strada.

«Neanch'io! Andiamo d'accordo su molte cose, io e te.»

La frase cadde nel silenzio. Non era comune che stessero zitti a lungo, avevano sempre qualcosa di cui parlare.

Nelle strade del quartiere non c'era in giro nessuno. Nic ripensò alla passeggiata solitaria con Raf, a Milano, nel traffico. Genova sembrava più tranquilla, ma forse era solo perché era la notte di Natale.

«Manca poco» disse lei, «dieci minuti. E io sono così cafona che non ti ho nemmeno preso un regalo.»

«Oh, non preoccuparti. Il mio è una stupidaggine.»

Lei sospirò. «Mi hai fatto un regalo?»

«Sì, ce l'ho qua» disse lui battendosi il giubbotto. «Mi sarebbe piaciuto prenderti un libro, ma come ben sai sono povero.»

«Hai vinto il primo turno a Marsiglia, due mesi fa!»

Nic alzò le mani come per fingere di festeggiare. «Ottantamila lire! Evviva! Di cui dodici le ho dovute dare a Tazio che si prende il quindici per cento.»

«Le ha volute subito?»

«Non è che le ha volute, vengono trattenute in automatico. A te no?»

«No, io gli pago le percentuali a fine mese.»

Nic sbuffò. «Va be', non parliamo della mia povertà che mi deprimo.»

«Non riesco però a capire cosa tu possa avermi preso di più economico di un libro.»

Nic sorrise. «Tra dieci minuti lo saprai.»

Elisa armeggiò col suo orologio e lo mostrò a Nic. «Guarda! È mezzanotte! Buon Natale!»

«Lei vuole vincere barando, signorina» disse Nic sorridendo.

«Io farei di tutto per vincere» ribatté Elisa.

Nic sbuffò. «E va bene, a me non cambia niente.» Infilò la mano in tasca e ne estrasse un pacchettino rettangolare molto piccolo avvolto in una carta da regalo rossa con delle stelline. «Buon Natale, Eli.» 

Lei lo prese incuriosita, lo osservò per qualche secondo prima di scartarlo.

«Una cassetta? Pirata per giunta?» 

«No, non pirata. Cioè sì, è pirata in un certo senso, ma non l'ho presa dai vu cumprà. L'ho fatta io mettendo insieme un po' di canzoni diverse.»

Elisa alzò le sopracciglia. «Wow! Sai come si chiamano queste in inglese? Mixtapes! E che canzoni ci hai messo? Mi spiace che non posso ascoltarla subito, ho il Walkman a casa.» 

«Ci ho messo delle canzoni che pensavo ti potessero piacere, rubando cassette in giro in caserma. E visto che non sono un grande esperto di musica, mi sono fatto un po' suggerire da Raf e dai miei compagni di branda. Però qualcosa l'ho messa anche di testa mia. C'è la lista delle canzoni dentro, se sei curiosa.»

«Sono curiosissima! Immagino che avrai una calligrafia orrenda come tutti i maschi.»

Prese il foglietto interno e lesse ciò che Nic vi aveva scritto. Gli era dispiaciuto molto averla offesa con leggerezza paragonandola alla ragazza che l'aveva sostituita nel cuore di Renato. Allora, per farsi perdonare, aveva deciso di scegliere un po' di canzoni "complimentose". Raf aveva trovato l'idea molto romantica.

Nic non era ignaro del fatto che la cassetta potesse avere quel tipo di implicazione. E si era stupito di aver avuto un po' di batticuore, all'idea di cosa Elisa avrebbe pensato, quando l'avesse ricevuta. Non riusciva a capire, però, se il batticuore fosse dovuto alla paura di fare una figuraccia o se ci fosse qualcos'altro, dietro. Se davvero lui fosse bisessuale, dopotutto, e semplicemente non avesse mai trovato la ragazza giusta.

Elisa lo sembrava davvero, la ragazza giusta. Avrebbe parlato per ore con lei. Gli piaceva stare in sua compagnia. La trovava molto bella, gli piaceva anche guardarla. Gli piaceva, soprattutto, ammirarla mentre giocava, ammirare la sua grazia, i suoi gesti, il suo stile che gli ricordava incredibilmente quello di Raf.

Capitava ogni tanto che palleggiassero insieme, per scaldarsi. E mentre palleggiavano Nic faceva un gioco, un gioco stupido. Socchiudeva gli occhi fino a sfocare l'immagine che aveva davanti. Anche Raf vestiva quasi sempre di bianco. Anche Raf aveva i capelli scuri, e quando giocava li raccoglieva in una coda. Anche Raf usava spesso il frontalino, al posto del cappellino. Nic socchiudeva gli occhi, e quella figura sfocata, là davanti, in certi frangenti, non gli sembrava più Elisa, gli sembrava Raf.

«Sei bellissima?» chiese lei dopo aver letto l'ultima canzone del lato B, alzando gli occhi verso di lui, che la sovrastava a un passo di distanza.

«Sì, lo sei» rispose distrattamente Nic, pensando ancora a Raf, chiedendosi cosa stesse facendo, se stesse insieme alla sua ragazza - sì, aveva una ragazza, ma ne aveva cambiate diverse. Ripensando a quell'abbraccio a Bovec, alla sua schiena a contatto col petto di Raf.

«Davvero lo pensi?»

Nic si risvegliò dal proprio sogno, la guardò. «Non è la cosa migliore che penso di te. Penso che sei intelligente, sveglia, dolce e che...»

«Tu ti ci metti proprio impegno, per conquistarmi.»

Il cuore di Nic andò in fibrillazione.

È un batticuore. E non è di paura. No. Non è paura.

Elisa si avvicinò.

Non è paura, questa ragazza mi piace davvero. Guarda com'è bella.

Lo era davvero. Le luci cittadine la illuminavano di un colore caldo, tra il giallo e l'arancione. 

Come Raf, quella sera a Milano.

I loro visi erano a un centimetro di distanza.

Nic chiuse gli occhi, prese coraggio e socchiuse le labbra per appoggiarle a quelle di lei.

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Note 🎶

Alzi la mano chi aveva sperato che il bacio del titolo fosse con Raf.

Vi siete stupiti dello stacco di tempo e cambio di scenario? Ho l'impressione che i lettori di Play si aspettassero si vedesse un altro luogo, durante la gita a Bovec, e forse questo significa che rivedremo quel paesino in futuro? Chissà...

Il capitolo di oggi è transitorio e tutto sommato tranquillo, ma è un ponte verso una serie molto intensa che dovrete affrontare a partire dalla prossima settimana: forza e coraggio!

Breve nota che avrei voluto mettere nel capitolo scorso: durante la scena in cui Raf fa ascoltare a Nic il Walkman, Nic cita Il tempo delle mele. Quanti di voi hanno visto questo film? Credo in pochissimi (non so se lo passino ancora in tv perché io non possiedo una tv da quando sono andata via di casa a diciannove anni). È una commedia adolescenziale francese, forse la prima di un genere che ha avuto poi molto successo, un vero fenomeno culturale popolare dei primi anni Ottanta, qui in Italia, famoso soprattutto per questa scena (la trovate alla fine del video):

https://youtu.be/V_GeazvR0vo

Ci rileggiamo lunedì, e lasciatemi una stellina per ogni milligrammo di zucchero che vi è entrato in circolo dopo aver visto questa scena.

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