5. Tous les garçons et les filles de mon âge savent bien ce qu'aimer veut dire
Tous les garçons et les filles de mon âge
Savent très bien ce qu'aimer veut dire.
Et les yeux dans les yeux et la main dans la main
Ils s'en vont amoureux sans peur du lendemain
Tutti i ragazzi e le ragazze della mia età
sanno bene cosa vuol dire amare.
E gli occhi negli occhi e la mano nella mano
passeggiano innamorati senza paura del domani
(F. Hardy, R. Samyn, Tous les garçons et les filles, 1962)
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20 settembre 1980
Le vasche in corso.
Nico era basito dalla completa mancanza di senso di quell'attività.
C'erano tutte le scuole superiori di Gorizia che camminavano su e giù lungo Corso Italia e Corso Verdi, poi, una volta arrivati in fondo, via, di nuovo indietro. Senza meta. Senza senso. A salutare e risalutare sempre le stesse persone, quando le si incrociava.
Nico stava tenendo a braccetto la Daiana, che per l'occasione si era messa una minigonna di pelle e un profumo dolciastro che Nico trovava nauseabondo, e si mescolava per giunta all'odore altrettanto nauseabondo della abbondante lacca che usava per tenere in piega l'onda che si era fatta sul ciuffo in fronte. Quel giorno portava i capelli sciolti e un trucco decisamente più marcato del solito, aggiungendo alla linea nera sulla palpebra un ombretto scuro e un rossetto bordeaux.
Per fortuna l'inutile camminata era stata alleggerita da chiacchiere tutto sommato gradevoli. Avevano parlato di musica e cantanti, di nuovo. In vista dell'appuntamento, sapendo che la Daiana era un'appassionata, Nico si era preparato al meglio: aveva chiesto in prestito a sua sorella Fulvia un piccolo stereo portatile, e a un vicino patito di rock qualche cassetta dei Clash e Sex Pistols, causando persino le lamentele di sua madre per: «Quella porcheria da persone poco per bene!» Almeno inizialmente la preparazione gli era stata utile, era riuscito a non sembrare un completo sprovveduto.
Per lo più si era limitato ad ascoltare ciò che lei aveva da dire: la musica era un argomento che non gli interessava molto, ma il l'entusiasmo della Daiana riusciva a essere contagioso. Era davvero una ragazza simpatica.
«Sai che suono?» gli disse a un certo punto.
Come quel finocchio di Leonardo! fu il primo pensiero che passò per la testa di Nico.
Odiava quando Leonardo faceva capolino in maniera inaspettata tra i suoi pensieri.
«Dai! Che strumento?» le chiese.
«Indovina...»
«Mmm... batteria?»
Lei rise. «Fighissima la batteria! Mi piacerebbe, sai? Non si vedono tante ragazze che suonano la batteria... No, ma se mi metto a suonare la batteria i miei mi cacciano di casa! Già si lamentano dalla mattina alla sera perché tengo lo stereo alto e a loro il punk fa schifo, come a tutti i matusa...»
«Mia madre uguale» commentò Nico. «Allora... il violino!» disse per scherzare.
Lei rise. «Ma ti immagini un gruppo punk con il violinista? Magari viene fuori una cosa originale! Dai, terzo tentativo...»
«Chitarra?»
«Esatto! E sto cercando disperatamente di convincere i miei a comprarmi una chitarra elettrica per il compleanno, a giugno. Però non so se riesco. Ogni volta che glielo chiedo mi dicono che la chitarra elettrica non è roba da ragazze... Che palle!»
Ecco. La chitarra sì che era uno strumento serio. Mica come la fisarmonica! Leonardo era veramente uno sfigato...
E basta pensare a Leonardo!
«Il mio sogno è mettere su un complesso rock-punk di sole ragazze» aggiunse lei.
Ecco. Un complesso rock. Mica di ballo liscio! Che sfigato di merda...
«Sarebbe una cosa fighissima! Non ho mai visto ragazze che fanno musica rock» commentò Nico.
«Sono rare ma ci sono! Presente le Runaways?»
«Mmm... mi sa che non le conosco...» fu costretto ad ammettere Nico, temendo di essere stato colto in fallo su un gruppo seminale.
«Qua in Italia non le conosce nessuno. Io ho comprato il disco d'importazione dal mio spacciatore di fiducia. È un negozietto inculato di Udine, un giorno ti ci devo portare! Ha roba fighissima, tutta americana, inglese...»
«Figo!»
La Daiana proseguì a elencargli artisti sconosciuti che le piacevano e rocker donne. A Nico dispiaceva non capirci niente. La Daiana era una tipa energica e spigliata, gli ricordava un po' sua sorella Fulvia. Ma più il discorso proseguiva, più Nico si rendeva conto di perdere interesse: non riusciva a farsi coinvolgere dalla passione che la ragazza esprimeva. Si ritrovò ad annuire e fingere entusiasmo.
Per cercare di trovare un punto di contatto con lei, a un certo punto sviò la discussione sui libri, che erano la sua passione, il suo intrattenimento preferito.
Ma scoprì con rammarico che la Daiana non era una gran lettrice di romanzi, e anche le sue letture erano tutte incentrate sulla musica: riviste di rock, di musica alternativa, fanzine...
Lei gli fece un po' di domande, invitandolo a parlare dei suoi titoli preferiti, ma Nico ebbe l'impressione che lo stesse facendo solo per cortesia.
Mentre parlava sforzandosi di non annoiarla, d'improvviso venne assalito da un pensiero sgradevole: Che senso ha tutto questo?
I nostri interessi sono diversi... Quindi che cazzo parliamo a fare?
Solo per limonare?
Non potremmo limonare direttamente?
«Ehi, tutto ok?»
«Uh, sì, scusa, mi è venuta in mente una cazzata che mi sono dimenticato di fare per scuola...» inventò, per giustificare il suo improvviso silenzio. «Cosa facciamo adesso?»
«Ti sei rotto di camminare?» La Daiana fece una smorfia. «Un po' anch'io, sai? Stavo pensando... ti va se andiamo in un locale che è una figata assurda che hanno aperto da poco?» Guardò il Casio digitale che indossava al polso, segnava le cinque e due minuti e Nico se ne stupì: era passata solo un'ora da quando era arrivato? «È un po' prestino...» Poi fece spallucce. «Ma chissene!»
«Che locale è?»
«Il Coccodrillo Burger!» annunciò lei entusiasta.
«Ah...» inorridì Nico. Lo conosceva di fama, ma non mangiando carne non ci era mai stato: aveva aperto all'inizio dell'estate ed era gettonatissimo da giovani e adolescenti.«Hamburger a quest'ora?» aggiunse, cercando di nascondere il disagio. «Non ti andrebbe un gelato? A me andrebbe un gelato.»
«Ma dai, ci vanno tutti i miei amici, è fighissimo. Andiamo!»
La Daiana lo trascinò e Nico non si oppose.
Raggiunsero la paninoteca in pochi minuti ed entrarono, accolti da una nube di fritto e fumo di sigaretta. «Ehi ciaaaaooo!» salutò la Daiana. «Che bello, non pensavo che erano già qui!» Prese Nico per mano e lo trascinò verso un tavolo lungo dov'erano sedute altre due coppie di ragazzi, tutti vestiti in stile vagamente punk come la Daiana: pelle, borchie, jeans strappati. Uno dei maschi aveva persino un anellino al naso. Si presentarono e Nico dimenticò i loro nomi dopo un secondo.
«Fateci un po' di posto, dai!» li esortò la Daiana.
Ma di posto non ce n'era e la soluzione fu che Nico sedette su una sedia di fortuna a capotavola e la Daiana sedette su di lui.
I successivi dieci minuti furono un incubo: la Daiana gli faceva caldo e gli stava bloccando la circolazione a una gamba. Gli altri si misero a chiacchierare, ma Nico non partecipò alla discussione, in parte perché non li conosceva, in parte perché riguardava un concerto non meglio specificato che a Nico non interessava, in parte perché mezzo tavolo gli era nascosto dal corpo della Daiana.
A rendere tutto ancora più orribile, arrivò il cameriere a prendere le ordinazioni.
«Tu cosa mangi? Io il cheeseburger!» La Daiana sprizzava entusiasmo.
Di scelta non è che ce ne fosse molta: hamburger, hamburger doppio, cheeseburger, cheeseburger doppio, hot dog e "italiano", uno squallidissimo panino alla mortadella che non c'entrava nulla con tutto il resto.
«Ah... io... posso avere solo una porzione di patatine?» chiese Nico.
«Niente panino?» chiese il cameriere stupito.
«Solo patatine, grazie.»
Finirono di ordinare e dopo altri dieci minuti di torturante attesa, arrivarono i pasti.
Le patatine erano pessime, bruciate in olio vecchio, ma Nico ne mangiò un po' senza lamentarsi.
«Ti frego una patatina» disse la Daiana.
«Prego!»
«Vuoi un morso di cheeseburger?»
«No, grazie!»
«Ma dai, non fare complimenti! Prendi un morso sennò mi sento in colpa che ti ho fregato la patatina.»
La Daiana mise il panino davanti al naso di Nico.
Sentire l'odore della carne gli chiuse lo stomaco, gli fece tornare in mente quell'uccello che spalancava il becco disperato.
No, no, no!
Avrebbe voluto gridare, prendere il panino e scaraventarlo contro il muro.
Ma Nico non amava isterie ed escandescenze, la Daiana voleva solo essere gentile con lui, perciò esercitò tutta la propria capacità di autocontrollo per limitarsi a sorridere, allontanare delicatamente la mano di lei e dire: «Ti giuro, non mi va proprio il panino adesso, mangialo tu. E se vuoi ti lascio anche tutte le mie patatine.»
Anche lei gli sorrise. «Che coccolo che sei!»
Ma basta con questo aggettivo!
E d'improvviso accadde una cosa che Nico non si aspettava. Lei appoggiò il panino al tavolo e avvicinò la bocca a quella di lui.
Un bacio al sapore di hamburger.
Non era proprio come mangiarlo, ma gli diede comunque delle sensazioni sgradevoli. Mentre le loro lingue si toccavano, cercò di non pensarci, ma il suo cervello andava lì, alla beccaccia agonizzante, e non a quella ragazza carina e simpatica, alla sua lingua morbida, sì, morbida, com'era diversa dalla Fede, com'era stato più aggressivo il bacio della troia, com'era più delicato, questo, nonostante il retrogusto di carne e sigaretta, la sigaretta era una costante, Nico cercò di concentrarsi su quel gusto amaro, di sentire solo quello, e non la carne, ma la carne, la morte, la morte dominava tutto, rovinava tutto, tutte le cose belle, come quel bacio che bello avrebbe dovuto essere, ma sapeva solo di morte e agonia.
Nico si staccò da lei. Non ce la faceva più, mascherò il suo disagio abbracciandola e posando il viso sul suo petto, che era più abbondante di quello della Fede.
Chissà se mi ecciterei a toccare le sue tette, pensò. Sembrano più belle di quelle della Fede.
Anche lei lo abbracciò, e rimasero così per un po', mentre le altre due coppie avevano preso a limonare, come se Nico e la Daiana avessero dato il via a un rituale.
Che bella ragazza, si diceva. È davvero fantastica...
Era gentile senza essere melensa, aveva una personalità, delle passioni, e soprattutto era carina, molto più carina di qualsiasi ragazza avesse mai visto a Capriva e dintorni.
Ma quei pensieri non riuscivano a dargli sollievo, perché Nico sentiva ancora quel sapore di morte in bocca. Prese la Coca Cola che aveva ordinato con le patatine. Ne bevve un po', ma il sapore non spariva.
«Scusa, devo andare in bagno» disse.
La Daiana si alzò, Nico quasi scappò via.
Il bagno era orribile. In totale contrasto con il locale arredato all'americana con colori sgargianti e luci al neon, era stretto, vecchio, sporco, piastrellato di mattonelle in ceramica bianca e azzurra in buona parte rotte. Il cesso era un piccolo loculo con una turca. Il lavabo aveva i rubinetti arrugginiti.
Nico girò una manopola e mise la bocca sotto l'acqua, la sciacquò una, due, tre volte, cercando di lavare via il sapore di morte.
Al terzo sciacquo entrò qualcuno, e quando Nico alzò la testa incrociò nello specchio i grandi occhi castani di Leonardo Devetak.
Il panico lo fece inghiottire, l'acqua gli andò di traverso e si mise a tossire.
Leonardo rise. «Tanta paura ti faccio?» Batté qualche energica pacca sulla schiena di Nico.
«Non...» Nico tossì ancora, «toccarmi!» Si allontanò da lui, finendo a sbattere contro il muro. Si sentì in trappola. «Ma mi segui, cazzo?»
«Sì.»
La risposta sincera lasciò Nico spiazzato e senza parole.
«Cioè, non è che proprio ti seguo, ma l'altroieri quando la sbozza ti ha dato appuntamento ho pensato: sicuro vanno al Coccodrillo, e allora son venuto qua coi miei amici. Ma forse venivamo al Coccodrillo lo stesso, quindi non è che ho proprio cambiato programma per beccarti.»
«Ma cosa cazzo vuoi da me?»
«Non è che ho tante possibilità.»
«In che senso?»
Leonardo strinse le mandibole, respirò pesantemente. «Perché ti stavi resentando la bocca?»
«In Italiano si dice sciacquando. O magari preferisci dirmelo in jugo?»
«Perché ti stavi sciacquando la bocca?»
«Ma saranno cazzi miei?»
«Ti ha fatto schifo baciarla, vero?»
Nico non era stupido, capì dove stava andando a parare Leonardo e solo l'idea lo disgustava. «Vuoi sapere perché mi sto sciacquando la bocca? Benissimo. Te lo dirò, anche se è una cosa per cui so già che mi prenderai per il culo. Ma tanto io con te non voglio averci a che fare, voglio starti lontano mille chilometri almeno, quindi te lo dico e prendimi pure per il culo coi tuoi amici. Io non riesco a mangiare carne. Ok? Non ce la faccio. Mi fa schifo, tipo. E lei aveva mangiato l'hamburger. Mi ha fatto schifo per quello. Non metterti in testa idee strane.»
Leonardo rise. «Ma cosa cazzo dici? Ti ho visto mangiare prosciutto e salame un milione di volte, dopo le vendemmie.»
«Gli anni scorsi, magari. Ma non la mangio più.»
«E perché?»
«Son cazzi miei. Adesso per favore spostati e lasciami uscire.»
«Non mi arrendo.»
«Ma non mi arrendo cosa? Cosa cazzo vuoi da me? Guarda che ti denuncio!»
«Mi denunci per cosa?»
«Per rottura di coioni!»
Nico si fece forza. Chiuse gli occhi, perché gli faceva schifo persino guardarlo, allungò le braccia, palmi in avanti, e caricò per spingerlo via.
Ma quando le sue mani incontrarono il petto di Leonardo, lui gli agganciò i polsi. «Ti sto solo rendendo la vita più facile.»
Nico aveva ancora gli occhi chiusi, e di nuovo provò quell'ansia che gli strozzava la gola.
«Sai quanto ci ho messo io a capirlo? Tu puoi arrivarci in dieci secondi, se solo mi stai a sentire, bocon di mona.»
«Fammi andare...»
«Ti stai divertendo con la sbozza?»
«No.»
«Ti accompagno a casa col Bravo.»
La stretta sui polsi si sciolse, Nico riaprì gli occhi, Leonardo stava uscendo dal bagno. Lo seguì. Andare via. Voleva solo andare via.
Si diresse al tavolo della Daiana, che lo stava aspettando dove lui era seduto prima.
Avrebbe dovuto trascorrere un'altra ora con lei.
No, non poteva farcela.
«Ci vediamo a scuola lunedì» le disse, sorridendole.
«Vai già via? Non avevi detto che la corriera era alle sei e venti?»
«In realtà ho trovato un passaggio a casa, così mi risparmio la corriera. E poi... sono un po' stanco perché prima di venire qua mi sono allenato» mentì.
Lei sembrò crederci, sorrise. «Ah sì, le regionali! Hai ragione. Bon... allora a lunedì!»
Nico si chinò e la baciò sulla guancia. Gli sembrò un gesto carino. Un gesto coccolo. Lei sembrò apprezzare.
Uscì. Leonardo lo aspettava fuori, con la sua solita sigaretta in bocca, e lo salutò con un applauso: «Lo sapevo che venivi.»
«La biga, che vengo via con te! Sto andando in Ribi a prendere la corriera.»
Leo si diresse al suo Bravo, che era parcheggiato nel piccolo spiazzo antistante al locale insieme ad altre bici e motorini. «Non fare il mona, salta su» gli ordinò. Nico non rispose, già si stava incamminando lungo la strada. Con la coda dell'occhio vide Leonardo che pedalava per avviare il motore. Dopo pochi secondi gli fu accanto. «Salta su» ripeté, gridando per farsi sentire sopra all'inconfondibile sferragliare del motore truccato.
«E secondo te io mi siedo lì? Dietro di te?»
«Ho il sellino lungo mica per niente...» disse spostando il suo culo un po' in avanti.
La risposta a quell'invito era semplice: Nico avrebbe dovuto rifiutarsi e incamminarsi verso la stazione. Per qualche motivo che nemmeno lui capiva non lo fece. Rimase lì fermo come un idiota a fissare lo spazio vuoto dietro al sellino di Leo, che era uno di quelli lunghi, da due posti, non regolamentari.
«Dai mo, su po', ci ho portato sei miliardi di persone su questo affare. Cos'è, hai paura di fare un incidente?»
«Ma quale paura...» si difese Nico.
«E allora salta su.»
Al terzo invito Nico diede ascolto a quella pessima idea. Sedette sullo spazio vuoto, tirò su le gambe perché non intralciassero le ruote. L'interno delle sue cosce entrò in contatto con le natiche di Leonardo, una sensazione che lo fece sudare d'inquietudine e impartì al suo cervello l'ordine di scendere, scendere all'istante. I suoi muscoli non fecero in tempo a eseguire, però, perché Leonardo fece schizzare via con un colpo d'indice la sigaretta non finita e partì a razzo.
Nico fu sbilanciato all'indietro e, d'istinto, afferrò il giubbotto di Leo per evitare di cadere. Cercò poi di identificare un appiglio che non lo costringesse a stare in contatto con l'altro, ma non c'erano alternative; avrebbe potuto aggrapparsi al sellino, ma era troppo piccolo, perciò anziché mollare la presa strinse quel maledetto giubbotto ancora di più.
Perché era salito? Perché aveva il cuore in gola come se stesse commettendo un reato e qualcuno avesse potuto coglierlo in flagrante?
Be', forse perché in un certo senso un reato lo stavano commettendo davvero, in due su un cinquantino truccato. Se la polizia li beccava avrebbero ritirato il motorino a Leo e forse fatto una multa a entrambi.
Il piccolo motorino ronzava, percorrendo le strade di Gorizia a una velocità che a Nico sembrava esagerata, folle. Leonardo lo stava sicuramente facendo apposta, per fare lo spaccone, per farlo spaventare. E ci stava riuscendo: il cuore di Nico stava battendo con una tale violenza da ovattargli le orecchie.
Ma era una strana paura quella che stava provando. Non era solo la velocità a spaventarlo, erano anche le sue cosce che toccavano il culo di Leo. Forse non era solo paura, era anche disgusto. Sì, doveva essere disgusto.
Nico era ancora appeso al giubbotto di jeans, quando il motorino si fermò a un semaforo rosso e Leonardo disse: «Se continui a tirarmi così il giubbotto, me lo disledrosi via! Tieniti meglio, diobòn!»
All'ordine vocale ne seguì uno gestuale: Leo afferrò entrambi i polsi di Nico e sposto le mani sui suoi fianchi.
Poi ripartì.
E Nico anziché opporsi a quel contatto ancora più esteso, strinse le mani, le fece scorrere avanti, fino quasi a farle toccare davanti al ventre di Leonardo.
Man mano che il viaggio proseguiva, alla paura e al disgusto iniziò a mescolarsi anche il disagio fisico: era seduto in una posizione scomoda, aveva addominali e quadricipiti in tensione per mantenere le gambe sollevate, e per giunta i capelli lunghi di Leonardo gli stavano finendo in faccia.
C'era sempre meno pensiero razionale, nella sua testa, sempre più pura sensazione: disagio e paura. Disagio e paura che gli facevano stringere la presa, con le mani nude che dolevano per lo sferzare del vento freddo; disagio e paura che lo fecero cedere, appoggiare le spalle alla schiena di Leo, la guancia alla sua nuca, i capelli neri che oscuravano la vista, solo sensazione, sensazione, il mondo era un vortice di tatto e paura.
Passato il ponte dell'Isonzo, Leonardo imboccò la strada che portava verso Mossa e Capriva. Due paesi confinanti, Leo era di Mossa, Nico di Capriva.
Fu a Mossa che Leonardo deviò dalla statale, imboccò un campo. «Dove cazzo vai?» gridò Nico, l'altro non rispose, percorsero cento o duecento metri ed erano ormai nascosti tra due vigne, il motorino si fermò, Nico scese con un salto, ma le gambe gli facevano male, cedettero, cadde a terra.
Leonardo gli cadde accanto, o si lasciò cadere, prese Nico per le spalle e lo baciò sulla bocca.
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Note 🎶
E vi avevo promesso o no un finale scoppiettante?
Ci rileggiamo giovedì per sapere come finisce il bacio :)
Ok, no, in realtà ho due note.
La prima è una piccola inesattezza storica: ho anticipato di mezzo anno la moda paninara, ufficialmente nata nel 1981 con l'apertura del Burghy di Piazza San Babila a Milano. Me lo perdonate? Ci stava troppo bene la scena con la carne e volevo un luogo di ritrovo giovanile caratteristico.
La seconda è un ringraziamento alla beta Juiceissweet che mi ha dato delle consulenze preziosissime sui motorini anni '80 (qui appare il Bravo Piaggio, più avanti vedremo un Ciao), sui trucchi al motore, sellini lunghi e corse in due senza casco.
E a proposito di Bravo Piaggio, eccolo qua in tutto il suo splendore (con sellino lungo, che come vedete non è lunghissimo e quindi si sta belli stretti).
Lasciatemi una stellina per tutte le volte che vi ho lasciati in pena sul più bello!
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