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47. Come potrò dire a mia madre che ho paura?

Mentre fra gli altri nudi
io striscio verso un fuoco
che illumina i fantasmi
di questo osceno giuoco.
Come potrò dire a mia madre
che ho paura?

(F. De Andrè, Cantico dei drogati, 1968)

--

Nic si fece accompagnare da Raf in spogliatoio. Non voleva lasciarlo solo. Lo mise seduto sulla panchina sotto all'armadietto solo per i due minuti necessari a farsi la doccia (fu velocissimo) e per fortuna Raf non si mosse.

Letteralmente. Non si era mosso. L'aveva lasciato seduto in una precisa posizione, un po' storto, stravaccato, sguardo fisso a terra, e l'aveva ritrovato così.

Prima di andare a docciarsi Nic aveva salutato Elisa ed Elena, ringraziandole di essere venute e dell'aiuto che gli avevano dato. Elisa era stata  molto carina con lui, gli aveva detto che sperava di incontrarlo di nuovo nel tour professionistico e lo aveva salutato con un bacio sulla guancia. 

Le due ragazze avevano guardato con aria perplessa Raffaele, ma non avevano commentato il suo evidente malessere, non gli avevano chiesto cosa avesse, come stesse. Forse per imbarazzo si erano limitate a salutarlo, e lui nemmeno aveva risposto.

Anche Nic non gli aveva fatto altre domande. Era evidente che Raf avesse preso qualche droga, non era semplicemente ubriaco, ma Nic aveva paura di sapere cosa avesse preso e Raf non sembrava volerne parlare in modo chiaro. Per ora la cosa sarebbe rimasta così, in sospeso. 

Uscirono dallo spogliatoio in silenzio, Raf camminava trascinando i piedi, ma sembrava in grado di deambulare e ascoltare. Se Nic diceva qualcosa rispondeva a tono.

«Adesso io devo tornare in hotel perché sono stanco, vieni con me, forse mi puoi accompagnare fino in camera, ok? E poi da lì chiamiamo tua madre e ci organizziamo per farti tornare a Roma.»

«No!» esclamò Raf in tono spaventato.

«E dove vuoi andare? Qui da solo non ci stai, è evidente che in questo momento non sei in grado. Ti metto su un treno diretto, se c'è, e se non c'è andiamo insieme fino a Milano e prendi il treno lì. Milano Roma penso ci sia, il diretto.»

Raf aveva iniziato a scuotere la testa alle prime parole di Nic e continuò a scuoterla in silenzio per qualche secondo, prima di dire: «Non lasciarmi di nuovo solo.»

«Di nuovo?» ribatté Nic irritato. «Quand'è che ti avrei lasciato solo? L'anno scorso?»

Raf annuì con gli occhi bassi.

«No. Questa accusa la rifiuto. Io non ti ho lasciato solo, eri tu a pretendere una cosa impossibile da me.»

«Scusa» piagnucolò Raf.

Nic non poté evitare di sentirsi in colpa, anche se la sua ragione gli diceva che non avrebbe dovuto. L'anno precedente Raf si era comportato da bambino, con lui, pretendendo l'impossibile. Eppure una voce dettata dal rimorso gli sussurrava: se non l'avessi lasciato solo forse non si sarebbe ridotto così...

«Non chiedermi scusa» lo rimproverò. «Se hai bisogno di un supporto, oggi... Ok, facciamo così. Prendiamo una doppia. Nella mia pensione, però, non ho soldi per pagare il tuo hotel lussuoso. Io domani gioco di nuovo, vuoi tenermi compagnia? Ti tengo compagnia stanotte, non ti lascio solo. Ok?» 

«Non mi importa dove stiamo, basta che stiamo insieme.»

Tornarono quindi in hotel. Prima al cinque stelle di Raf, per recuperare i suoi bagagli in camera. Nic rimase sconvolto dal disordine nell'armadio. Il letto era stato rifatto dal personale, quindi la camera a prima vista non si presentava male. C'erano vestiti fuori, ma erano tutti stati ripiegati sulle grucce – Nic ci avrebbe messo la mano sul fuoco: non da Raf. Ma appena aprì l'armadio gli crollò addosso un groviglio di vestiti che emanavano puzza di sudore stantio, e in mezzo al groviglio c'erano anche due diverse paia di scarpe da tennis, qualche rivista e una racchetta. 

Raf si buttò sul letto senza dire nulla e sembrò addormentarsi all'istante. Nic gli fece la valigia in silenzio, rimuginando sulla trasandatezza dell'amico.

L'ultima cosa che infilò in valigia fu una piccola Moleskine identica a quella da cui, l'anno prima Raf gli aveva fatto leggere la sua poesia, solo che questa aveva la copertina rossa. Era il suo nuovo quaderno di poesie? Non ebbe il coraggio di aprirlo, lo mise semplicemente via.

Quando ebbe finito, scosse Raf per svegliarlo, uscirono, Nic consegnò le chiavi alla reception senza neanche preoccuparsi quante notti Raf avesse pagato: Nic quell'hotel non poteva permetterselo neanche per una notte e non voleva stare lì a spese di Raf.

Arrivati all'albergo di Nic, chiese alla reception se fosse possibile aggiungere un letto alla sua camera o cambiare stanza e prendere una doppia con letti separati. La soluzione fu quest'ultima. Ventiseimila lire.

«Raf, hai soldi con te? Non posso permettermi di pagare anche per te.» 

Raf sembrò svegliarsi da uno stato di catatonia. «Ma dormiamo in questo posto merdoso? Andiamo all'Astoria, ho le mie cose lì!»

Nic lo fissò senza parole.

«Se i signori preferiscono l'Astoria per me non c'è problema» disse il concierge, piccato.

«Lo perdoni, ha bevuto» lo giustificò Nic. «E io in questo hotel ci sto benissimo. Raf, dammi tredicimila lire e non lamentarti.»

Raf, con un improvviso e immotivato piglio da pappone, prese il portafogli di tasca e sbatté sul bancone un biglietto da cinquanta. «Pago io.»

Trasferirono rapidamente le cose di Nico nella nuova camera, e appena chiusero la porta si ripeté la scena che Nic aveva visto all'Astoria: Raf si buttò sul letto e sembrò addormentarsi all'istante.

Nic non voleva metter mano alla valigia di Raf e non aveva nulla da fare, quindi sedette e lo osservò. Aveva i capelli un po' sudati, la pelle del viso lucida. Era steso a pancia sotto con la testa rivolta a destra e respirava a bocca aperta.

Tutta la maturità che aveva scorto sul suo viso cresciuto di un anno era sparita, sembrava ancora quel bambino che aveva salutato a gennaio dell'anno prima.

Provò il desiderio di accarezzarlo. Era così bello. Nic si sentiva stronzo e superficiale, a pensarlo, ma non poteva evitarlo: la delicatezza dei suoi lineamenti, la fragilità che esprimevano, lo riempivano di meraviglia perché erano belle. 

Ma era sbagliato che lo fossero. Raffaele era un ragazzo che stava soffrendo, che aveva preso qualche tipo di droga pesante, e se l'aveva fatto significava che stava male. Non poteva averlo fatto per capriccio.

O sì? 

Forse era solo un coglione festaiolo annoiato a cui la voglia di far festa era sfuggita di mano.

Un pensiero si insinuò nella sua testa: il desiderio di leggere il quaderno di Raf. Spiare i suoi turbamenti, sapere cosa si nascondeva dietro ai suoi occhi tristi. 

Nico cercò di distrarsi mettendosi ad ascoltare musica dal suo Walkman, ma le due cassette che si era portato dietro le aveva fatte girare fino allo sfinimento e dopo neanche dieci minuti gli diedero la nausea.

Guardò l'ora. Erano le sette. Cominciava ad avere fame. Forse l'aveva da ore ma non se n'era reso conto. E anche a Raf avrebbe fatto bene mettere qualcosa sotto i denti, fosse anche la cucina mediocre di quella pensione da quattro soldi.

Alzò il telefono di servizio, con lo zero ci si collegava alla reception.

Quell'hotel aveva un ristorante, ma non facevano servizio in camera. Nic dovette pregare il receptionist di portargli ugualmente qualcosa, dicendogli che il suo amico stava male e che Nic non voleva lasciarlo solo. Per fortuna il receptionist non era un tipo permaloso, non si era offeso per i commenti sgradevoli che Raf aveva fatto poco prima e venne impietosito dalle preghiere, ma insisté perché Nic scendesse a prendersi i piatti da solo.

In poco meno di venti minuti Nic tornò in camera con una pasta al pesto per sé e una bresaola con grana e rucola per Raf, un piatto nutriente, facile da digerire e veloce da preparare.

Tornò e trovò Raf sveglio, seduto sul letto che scriveva sul quaderno appoggiato alle ginocchia, curvo come un punto di domanda. Accolse Nic con un: «Non dovevi, non ho fame.»

«Non ti fa male la schiena a stare così?»

«Ora che mi ci fai pensare sì.» Raf si drizzò e si stiracchiò. «Ahi.»

«Ti ho preso della bresaola. Mangiala che ti fa bene.»

Litigarono un po' e Nic riuscì a convincerlo. Raf ne mangiò mezza porzione. Nic provò a cavargli qualche parola di bocca, su ciò che aveva preso, su come si sentiva, ma l'altro non parlò.

«Cosa scrivevi quando sono entrato?»

«Quando lo finirò te lo farò leggere. È come mi sento. Ma non ho ancora trovato tutte le parole.»

Giunse l'ora di coricarsi. Nic avrebbe voluto fare dei piani per l'indomani, ma non se la sentiva di opprimere Raf. Avrebbero avuto tempo di discuterne in mattinata.

Raf parlò nel buio, pochi secondi dopo che Nic ebbe spento la luce. 

«Nic... se ti chiedo una cosa ti incazzi?»

Nic si rigirò nel suo letto rivolgendosi verso quello di Raf, a due metri dal suo. «Eh... dipende.»

«Sono un po' agitato... Mi puoi tenere la mano?» Fece un piccolo sospiro. «Solo cinque minuti finché non mi addormento. Non è una cosa gay.»

A Nic scappò una risatina amara. «Sì che è una cosa gay, coglione.»

Nic accese di nuovo la lampada e fissò Raf duramente, mentre lui gli rimandava uno sguardo vacuo.

«Lo chiederesti mai a un tuo amico non gay?» insisté Nic.

«Io non ho amici.»

«Io non sono tuo amico. Sono solo un tipo su cui ti sei fissato senza motivo.»

Raf non rispose, ma una lacrima stabordò dai suoi occhi apatici e bagnò il cuscino.

Nic sentì un peso sul petto, e senza discutere oltre si alzò, sedette sul materasso di Raf e gli prese la mano.

Raf chiuse gli occhi, sospirò e fece un debole sorriso. «Hai vinto, oggi.»

«Be'... sì» disse Nic, stranito dall'osservazione.

«Ero stonato, ma me lo ricordo. Hai vinto una delle partite più importanti della tua vita, potrai scrivere a Ravaioli senza inganni, e hai battuto pure uno forte, e nonostante questo due secondi dopo aver vinto ti sei preoccupato per me.»

«Be', stavi molto male e si vedeva. Durante la partita ho cercato di non pensarci, ma appena è finita sono venuto da te. Non ci vedo niente di strano.»

«Avresti dovuto essere completamente assorbito dalla gioia e dalla vittoria» continuò Raf, «e invece dieci secondi dopo sei venuto a chiedermi come stavo. E poi sei rimasto con me.»

«Ti ripeto che stavi male» si giustificò Nic. Ma si rese conto di non aver quasi pensato alla vittoria, a Ravaioli e al suo futuro col tennis, da quando si era preso in carica il malessere di Raf.

«Non me lo dimenticherò mai.»

«Esagerato, è una cazzata. Dormi, adesso, dai.» 

Nic spense la luce. Lo tenne per mano per una decina di minuti, e quando sentì il ritmo del suo respiro cambiare, si arrischiò a lasciargliela e si infilò di nuovo sotto le sue coperte.

Era stanco morto e si addormentò molto in fretta, ma venne svegliato dopo un tempo imprecisato da dei gemiti a intensità crescente.

«Raf?»

«Nnnh... no, no, è finita...»

«Finita? Cosa?»

«Stronzo... non è vero...» Il suo tono di voce era angosciato.

«Raf! Svegliati!»

«No, basta! Basta!»

Nic accese la luce sul suo comodino, Raf aveva gli occhi spalancati e stava agguantando il lenzuolo, stringendoselo al petto. «Basta! Sparisci!»

Nic si alzò, lo scosse. «Svegliati!»

Nic percepì lo sguardo di Raf mettersi a fuoco. Prese le mani con cui Nic ancora lo scuoteva. «Oh Nic, menomale! Sono qui!»

«Cosa stavi sognando? Sembravi disperato!»

«Quello che sogno sempre» rispose lui. «Sognavo che... non... non l'avrei più vista.»

«Chi?»

«Vorrei dimenticare tutto, dimenticarmi per sempre di lei. Ma lei mi ossessiona.»

Nic scosse la testa. «Stai parlando della droga?»

Raf ebbe una piccola crisi di pianto. Breve. Si ricompose subito. «Ho paura, puoi dormire nel letto con me?»

«Cooosa? No!»

«Ti prego. Mi sento uno stronzo a chiedertelo, ma nel letto sprofondo, affogo, ogni notte affogo e affogare mi fa venir voglia di tornare da lei.»

«Perché cazzo devi parlare per metafore? Parla chiaro, cazzo! La vita non è una poesia. Dimmi che cazzo hai! Una crisi di astinenza?»

«No. Te lo giuro, no. È solo... è... vorrei scriverlo, Nic, non ce la faccio a parlare. Non ne ho ancora il coraggio.»

Nico scosse la testa. «Fai quello che  vuoi. Coglione io che insisto. Che cazzo ci faccio qua? Con un pazzo drogato in stanza? Che conosco un giorno alla volta, per sei giorni, e che...»

«Un giorno alla volta per sei giorni. È vero. Sono bastati sei giorni per capire che sei già e sarai sempre la persona più importante della mia vita.»

Nico si lasciò scappare uno schiaffo. Fu più rapido della sua capacità di controllo. La sua mano ondeggiò e colpì il viso di Raf.

Se ne pentì subito. Ma mascherò il pentimento con la rabbia. «Finiscila di fare il finocchio melodramnatico!»

Raf reagì con una smorfia che prometteva lacrime.

«La vita non è una poesia, la finisci?» Sospirò, mentre Raf iniziava a piangere. «Ma io che cazzo ci faccio qua? Davvero. Cosa mi è saltato in mente? Squilibrato come sei, per quanto ne so potresti accoltellarmi nel cuore della notte, o drogarmi, o...»

«Mai! Non sono uno squilibrato, te lo giuro, ho solo un casino di problemi!» protestò lui con veemenza. 

«Se non sei uno squilibrato, spiegami perché ti sei appiccicato a me conoscendomi così poco, e hai deciso che proprio io ti devo salvare e venire a vivere con te. Dimmi se non è un comportamento da squilibrato!»

Raffaele sembrò finalmente ricomporsi. Prese un respiro, si asciugò occhi e guance col lenzuolo. «Hai ragione su tutto. Il fatto è... che io mi fido di te e della tua solidità. È questo il motivo per cui mi sono aggrappato a te. Che sei solido e so che qualsiasi cosa succeda, a te non ti affonderò mai. Ho conosciuto altre persone, poche ma le ho conosciute, con cui ho provato a parlare, di cui ho sognato di essere amico, ma erano fragili, sotto sotto, e ho sempre avuto paura di poterle trascinare nell'abisso con me. E allora le ho tutte lasciate e sono sempre rimasto solo. Ma tu, invece, sei una roccia! Non ti posso affondare! Ti prego, aiutami.»

«Ma come? Non sarebbe meglio se andassi... in una comunità o qualcosa del genere?»

Lo sguardo di Raf si fece sfuggente. «Non sto messo così male.»

«Ma cosa vuoi che faccio? Cosa vuoi da me?»

«Non lo so di preciso. Che mi stai vicino, almeno per un po'.»

«Siamo al punto dell'anno scorso? Che ti serve un baby-sitter che ti controlli?»

«Forse sì. Non lo so. Non so di preciso di cosa ho bisogno, ma ho paura  di stare da solo. E non è solo perché ho paura di non sapermi controllare. Ho paura davvero, ho dei momenti che mi sembra di impazzire dalla paura e soffoco e vorrei non uscire di casa e seppellirmi vivo, piuttosto, e allora... È per quello che è... che... che faccio quello che faccio.» Raf aveva parlato tenendo gli occhi bassi, come se il peso stesso delle sue parole gli impedisse di alzarli. 

Ma alla fine guardò Nico negli occhi. «Ti prego. Aiutami» lo implorò.

Nico non poteva essere indifferente a quello sguardo così limpido e disperato. Ma cercò ancora qualche obiezione razionale. «Io... non sono la persona giusta. Ho la mia vita, ho i miei problemi, e la cosa che mi hai appena detto è... è troppo. Mi fa paura.»

Raf tirò su col naso, deglutì. Annuì, quasi sembrava che capisse e accettasse.

«Hai provato a parlarne con tua madre?»

«No, lei non capisce. Figurati se capisce. E poi ho paura che se glielo dico mi caccia di casa, smette di allenarmi e mi manda a vivere da mio padre, e con mio padre sarebbe ancora peggio, almeno con mia madre mi alleno.»

«Ma non se ne accorge?»

Raf alzò le spalle, si abbracciò e tirò su di nuovo col naso. «Ma sai quanto la vedo? Praticamente mai.»

«Ma non ti allena?»

«Mi gestisce come se fosse un businessman con la sua impresa. Ho un team di allenatori, lei ogni tanto viene a controllare, ogni tanto mi segue in qualche torneo, sempre meno. Passa le giornate a fare i suoi balletti gay coi cavalli, di sera è sempre impegnata in qualche cena di beneficienza o altre cagate radical chic. Sì, se ne accorge qualche volta che sono ubriaco, ma dice anch'io da ragazza mi ubriacavo, tutti i ragazzi fanno sciocchezze, poi crescono, l'ho sentita dire proprio una cosa simile.»

«Però se gliene parlassi più chiaramente, forse...»

«No.» Raf sembrava categorico. Tirò di nuovo su col naso e si strofinò un dito sotto le narici.

Nico si alzò, spazientito da tutto quello smoccolare, andò in bagno, prese la carta igienica e la lanciò a Raf. «Soffiati quel naso, per favore.»

«Vedi che sai prenderti cura di me?» ribatté lui.

«Sei la definizione vivente di moccioso, in questo momento.»

Raf accennò una risatina, un attimo prima di soffiarsi rumorosamente il naso.

«Ok. Va bene. Mi sento un idiota solo a dirlo ma voglio provare ad aiutarti.»

Raf emerse dal fazzoletto con un sorriso speranzoso.

«Però non so come, perché a casa tua non posso e non voglio venirci» aggiunse Nico.

«E se venissi io a casa tua?» propose Raf con prontezza.

«Con mio padre? Secondo te sarebbe felice di ospitarti?»

«Ti pago.»

«No.»

«No no no, ascolta: non voglio comprare la tua amicizia, come mi dicevi l'anno scorso, infatti come puoi notare te l'ho proposto solo dopo che mi hai detto di sì.»

Nico incrociò le braccia. «Avevi già pensato a tutto, quindi...»

Raf annuì. «Posso sopportare tuo padre, e per ingraziarmelo farò io tutte le spese al supermercato e pagherò anche la mia parte di bollette.»

Nico alzò gli occhi al cielo. «A mio padre che gli paghi vitto e alloggio non gliene frega un cazzo. Lui non ti vuole. Probabilmente pensa ancora che sei un finocchio e se ti porto a casa, capace che pensa che sei il mio moroso o qualcosa del genere. E di conseguenza ti manda via a calci in culo.»

Raf ridacchiò. «Moroso è una parola bellissima.»

«Ma hai sentito cosa ho detto?»

Raf si soffiò un'ultima volta il naso. «Ho sentito. Non possiamo provare? E se non posso stare a casa tua sto in un albergo lì vicino e stiamo insieme durante il giorno.»

«In albergo staresti da solo...»

«È vero. Infatti preferirei casa tua. Ma meglio in hotel lì in campagna che a casa mia. Lì sono più al sicuro, non conosco... eh... giri strani. Passerei le giornate con te. Ci alleniamo, io mi rimetto in sesto, e ti aiuto, anche. Scommetto che uno sparring bravo come me non l'hai mai avuto, eheh.»

Nico sorrise. «Sicuramente no.»

«Allora? Posso venire?»

Nico  sospirò. «Ci penso. Proverò a parlarne con mia madre, che ha il cuore tenero..»

***

9 marzo 1984

Nico  chiamò la madre la mattina dopo, in presenza di Raf, dalla camera, annunciandole anzitutto che aveva vinto anche il secondo turno. Lei si disse felicissima e gli fece i complimenti.

Tergiversò un po' parlando del più e del meno, prima di venire al punto. «Mamma... prima di salutarti, ti volevo chiedere un favore.»

«Dimmi, tesoro.»

«Un mio amico ha un problema.»

Silenzio. «In che senso?»

Nico  sospirò. «È un mio amico. Non pensare male, so che stai già pensando male, ma non è come Leonardo...»

«Oh Nico...» piagnucolò lei.

«No, mamma, ti giuro. È un mio collega tennista ed è un mio caro amico. E ha un problema.»

«Ero tanto contenta che avevi vinto la partita, adesso mi devi dare questo dolore» si lagnò lei.

«Ma quale dolore?»

«Credevo che avessi messo la testa a posto!»

Nico  sbuffò. «Mamma, perché non mi credi? Non è... è fidanzato, persino!» inventò. «Ha la ragazza, non è... non è il mio moroso, ok?»

«Oh signûr, ùdimi tu!»

«Ok, va bene. Pensa quello che vuoi. Il punto è che questo ragazzo ha un problema, e mi serve una mano. Vorrei ospitarlo per un periodo a casa nostra.»

«Eeeh? Ma sei impazzito Nico? Sotto lo stesso tetto? Ma cosa ti salta in mente! Ma dove andremo a finire, par l'amûr di Diu, çe aio fat di mâl?»

«Mamma, per favore... io so che tu hai un cuore grande, e questo mio amico ha bisogno di aiuto. Ha... ha dei grandissimi problemi. Lo mettiamo nella camera degli ospiti e...»

«Problemi di soldi? Non puoi dargli un po' di soldi e rimane dov'è? Se hai bisogno di soldi ti faccio un vaglia, Nico, ma non portarmelo a casa, per favore, non darmi questo dolore.»

Nico mise una mano sul volto.

«Nic, me la passi?» sussurrò Raf.

«Se vuoi... Peggio non penso che possa andare.» Gli porse la cornetta.

«Signora, buongiorno. Mi chiamo Raffaele Novelli.»

«Raffaele Novelli!?» sbottò lei. «Sei quello schifoso che voleva portare via mio figlio dalla sua famiglia!» Raf stava tenendo la cornetta un po' distante dal suo viso, Nic era rimasto molto vicino e sentiva tutto, mise di nuovo la mano sugli occhi: Di male in peggio...

«No, signora. Da suo padre, non da lei. Nicolò mi ha sempre detto che lei è una donna fantastica dal cuore d'oro, le vuole un mondo di bene.»

Che leccaculo...

«Oh, Nico Nico...» La madre sembrava già ammorbidita.

«A me dispiace molto di averla fatta soffrire, l'anno scorso. Le chiedo scusa. Ma l'ho fatto solo per aiutare Nicolò, suo padre stava facendo di tutto per rendergli quel torneo un inferno. Voleva dire a tutti, a tutto il torneo dell'omosessualità di suo figlio.»

«Ma cosa dici quelle parole!» inveì la madre in tono scandalizzato.

«Non è una brutta parola, signora. È uguale a eterosessualità. Non c'è niente di male.»

«Non son cose che bisognerebbe parlare così alla vostra età!»

«Scusi, ma lei non dice niente di quello che voleva fare suo marito l'anno scorso?» Raffaele stava parlando in tono molto calmo. «Non pensa che fosse una cosa brutta? Avrebbe fatto molto male a Nicolò. Lo sa che ci sono persone cattive che alle persone come suo figlio le picchiano?»

Sì, mio padre... pensò Nic.

«Suo marito, se avesse detto quelle cose, avrebbe messo in pericolo suo figlio,» proseguì Raf, «e io con quella lettera di diffida ho solo cercato di difenderlo, perché gli voglio bene come se fosse mio fratello.»

Ci fu qualche secondo di pausa. «Giacomo è così...» disse infine la madre. «Lui non è cattivo, tutto quello che fa lo fa per il bene di Nico, e tante volte non si rende conto delle conseguenze.»

Raf strinse la bocca e fece un'espressione di puro odio, ma con il tono più tranquillo del mondo disse: «Capisco.»

«Ma se Nico quelle cose non le farebbe, sarebbe tutto risolto» continuò lei. «Non capite che vi fa male, ragazzi?»

Raffaele chiuse gli occhi. Si vedeva che si stava trattenendo dallo sbottare. «Lei ha ragione... cioè... no. No, scusi, non è vero che lei ha ragione. Non posso fare questa recita.»

«Quale recita?» chiese lei.

«Lei è credente, vero? Nicolò mi ha detto che lei è molto credente.»

«Sì, vado a messa tutte le domeniche.»

«E non pensa che a Dio non importi di chi si innamorano gli esseri umani? Lui ama tutti i suoi figli allo stesso modo, no?»

La madre rimase in silenzio per un po' e Raf attese, con un'espressione dura. «Ho capito cosa vuoi dire. Io amo mio figlio, nonostante tutto, ma voi fate peccato e non va bene che fate queste cose! È una cosa contro natura! È una cosa brutta!»

«Raf, lascia perdere...» mormorò Nico.

«Lei e suo marito non siete tanto diversi. Nicolò mi ha detto che suo marito lo mena e che lei è più buona. Ma lei gli fa male in modo diverso. Non è buona con lui! Non ci pensa a come sta, lui, quando lei gli dice cose simili?»

«E lui non ci pensa a come mi fa soffrire quando si porta uomini in casa?» Il tono della madre, adesso, era quello di una persona che stava piangendo.

«Non è lui che deve dispiacersi, ca... cavolo!» sbottò Raf. «Lui non sta facendo male a nessuno, non lo capisce? È un ragazzo onesto, non beve, non fuma, lavora e si impegna nello sport ed è riuscito a diventare un professionista di tennis lavorando! Non conosco nessuno che ci sia mai riuscito, siamo tutti dei viziati figli di papà, noi tennisti! E suo figlio invece è riuscito a farcela da solo, lavorando e allenandosi. Non è contenta di queste cose?»

«Sono tanto fiera che ha vinto quelle partite» rispose lei. «Mi è dispiaciuto tanto che ha lasciato la scuola, ma è stato bravo, per un anno non ci ha chiesto niente.» La madre tirò su col naso. «È venuto su proprio un bravo ragazzo, il mio Nico. Proprio un ragazzo d'oro.»

«Su questo siamo perfettamente d'accordo» disse Raffaele in tono dolce. «Signora Bressan... scusi, io non so nemmeno il suo nome, me lo può dire?»

«Marisa» rispose lei.

«Signora Marisa, voglio essere sincero con lei. Che lei mi creda o meno, a me i ragazzi non interessano, da quel punto di vista. Suo figlio, l'anno scorso, ha fatto una cosa che nessuno ha mai fatto con me: ha avuto il coraggio di dirmi che è omosessuale e chiedermi aiuto per farsi difendere da suo padre.»

«Che brutta parola, che brutta parola...»

Raffaele roteò gli occhi ma non commentò. «Ha capito? Si è fidato di me, e questa cosa che si è fidato di me mi... mi ha commosso» la voce di Raf si incrinò davvero. «Perché deve sapere che sono un ragazzo molto solo, non ho amici, e suo figlio dicendomi quella cosa così privata si è fidato. Io ho capito quel giorno che Nicolò sarebbe stato per sempre il mio migliore amico. Da quel giorno ho iniziato a volergli bene come un fratello. E adesso mi trovo...» Raf ebbe un piccolo singhiozzo. «Mi trovo in una situazione personale molto difficile... mi scusi...» Raffaele non riuscì a trattenere un piccolo pianto.

«Non piangere, ninìn, cosa ti è successo di tanto brutto?» disse la madre.

Raffaele estrasse di tasca un fazzoletto e si soffiò il naso, si ricompose. «Non posso dirglielo, per favore, non me lo faccia dire, sono cose davvero brutte. E suo figlio ha accettato di aiutarmi, per ora mi sta aiutando qui a Genova, mi è stato vicino, si è rivelato davvero l'amico più grande che abbia mai avuto, nessuno si è mai preoccupato così per me.»

A Raffaele piace davvero esagerare col melodramma, pensò Nic. Ma una parte di lui era commossa dalle sue parole.

«Suo figlio mi sta aiutando a vivere. Io sto molto male, e ho bisogno di avere la sua compagnia, il suo supporto per un periodo, anche per poco, una, due settimane, un mese massimo, pago tutto, non sono povero, vi pago la spesa, le bollette...»

«Sembri anche tu un bravo ragazzo, ninìn» disse la madre. «Io... a me mi dispiace...» Schioccò la lingua. Nic la sentì piangere di nuovo e pronunciare qualche parola sconnessa.

«Sai,» disse ancora la madre, «io in verità ho pensato tanto a quella storia dell'anno scorso, quella della denuncia e quello che voleva fare Giacomo e...» La madre ebbe l'ennesima piccola crisi di pianto, e quando riprese a parlare lo fece a mezza voce. «Ah, tante volte, Diu mi pardoni, tante volte penso che il papà di Nico è un uomo cattivo. Quella volta là ha fatto una cosa cattiva con lui. Io penso ancora che lui, nella sua testa, lo faceva per il suo bene, perché Nico stava andando un po' fuori di testa con questa storia del tennis e di Leonardo, ma non so, non so, puoi far patire tuo figlio così? E adesso tu mi fai pensare, ché mi dici che io faccio patire mio figlio dicendo certe cose... Mi fai pensare tanto! Perché forse lui non ha colpa di questa cosa!»

«Ma che discorso è?» sbottò Nico. «Cosa vuol dire che non ho colpa? Ne parlate come se fosse una malattia!»

«È una specie di malattia, Nico. Un turbamento della testa» disse la madre, che evidentemente aveva sentito il figlio.

E il suo tono era talmente convinto e lo diceva con una tale evidente buonafede, che Nico capì che quello era il massimo di accettazione che poteva avere da una come lei, una donna cresciuta nel buco di culo del mondo senza sapere che fuori da quel buco esisteva altro, tutta la vita a far la spola tra casa e chiesa.

«Raffaele, sei ancora lì?» chiese la madre.

«Sì, sono qui» rispose lui.

«Tu veramente non sei... non hai questi turbamenti nella testa?»

«No, non sono omosessuale.»

«Però vuoi bene lo stesso a mio figlio.»

«Sì. Come il fratello che non ho mai avuto.»

La madre sospirò. «E a te non ti importa di questa cosa, di questi suoi turbamenti.»

«No, non mi importa» disse sicuro Raf. «E non penso che ci sia niente di male.»

«E allora forse sei un cristiano meglio di me» disse lei.

Raf sembrò commosso da quelle parole, ma non rispose.

«Ragazzi, voi non potete venire a stare qua, il papà di Nico butta giù tutta la casa.»

«Capisco» disse Raffaele abbattuto. «La ringrazio di avermi ascoltato, signora Marisa.»

«Aspetta, aspetta... mi è venuta in mente un'idea. Noi abbiamo due case per le vacanze, non le usiamo quasi mai. Se... se tu veramente... mi sembra veramente che hai tanti problemi, a sentirti, e io credo che è importante aiutare le persone che hanno problemi, faccio sempre la beneficienza per i poveri con la Caritas.»

«È una cosa che le fa onore» disse Raffaele, con un barlume di speranza sul viso. Nic non poteva credere a ciò che la madre sembrava stesse per proporre.

«Io... voi venite qua su a Capriva, va bene? Però tu tapònati, non farti vedere in giro, che se il Giacomo ti vede finisce male. Il tempo che io do a Nico le chiavi di Lignano o quelle di Plezzo... magari è meglio quelle di Plezzo, che adesso che son belle giornate ho paura che magari il Giacomo gli viene voglia di andare a fare una passeggiata al mare... Hai il lasciapassare per andare in Jugo? Sei mai andato?»

«Ho il passaporto» disse Raffaele. «E sì, cioè, no, non sono mai stato in Jugoslavia e mi piacerebbe molto vederla, pago tutto, giuro, pago tutto io.»

«Ma non ti preoccupare, ninìn. Io non dico niente a Giacomo... Diu pardonimi, devo raccontare una bugia a mio marito e faccio peccato, ma... ma penso che è più importante aiutare una persona in difficoltà.»

«Oddio, non ci credo...» sussurò Nico.

«Però vi tocca andare su a Plezzo in corriera, io non ho la patente e non posso portarvi.»

«Non è un problema» disse Raf.

«E pensavo che magari Nico racconta che va a un torneo, no? Non doveva andare in Puglia?»

«Grazie, signora Marisa, grazie! Io... oh, non so con che parole ringraziarla, anche lei è appena diventata una mia cara amica.»

«Non ti preoccupare, ninìn. Tieniti da conto.»

***

10-11 marzo 1984

Nico  perse piuttosto male al terzo turno del torneo, nonostante sulla carta l'avversario fosse meno forte rispetto a quello di secondo turno. Si erano fatte sentire la stanchezza e il calo di adrenalina conseguente alla vittoria.

Raf lo mise in guardia per il futuro e gli spiegò che era un fenomeno molto comune: una volta ottenuto un traguardo agognato, il cervello si metteva in uno stato di relax da cui non era facile tirarsi fuori, e aveva ammesso che era capitato anche a lui di subire brutte sconfitte inaspettate dopo aver vinto tornei o turni importanti.

Quante cose doveva imparare! Ma era tutta esperienza che gli sarebbe servita per il futuro.

L'emozione più grande Nico l'ebbe alla consegna dell'assegno da parte degli organizzatori del torneo. Centoduemila lire per la vittoria dei due turni. Erano i soldi che sancivano il suo ingresso nel professionismo. Ebbe per un attimo lo stupido desiderio di metterli in una teca, stile Numero Uno di Zio Paperone.

Nico e Raf presero il treno per Capriva, e Nico fu felice di vedere Raf felice, loquace, positivo. Guardava il paesaggio fuori dal finestrino, commentando le nebbiose cartoline padane («Quant'è meglio il clima di Roma!»), gli raccontò un bel po' di noiosi pettegolezzi tennistici («Quella ragazza che ti ha preso in simpatia, Elisa, ha fatto scandalo perché ha avuto una storia col suo allenatore che aveva vent'anni più di lei!»), gli parlò del suo liceo classico e disse che con tutti i tornei che aveva fatto già sapeva che avrebbe saltato l'anno, e probabilmente sarebbe stato costretto a non iscriversi più, l'anno successivo, e prendere il diploma da privatista o non prenderlo affatto. La prospettiva di dover partire per la naja non lo preoccupava, sembrava piuttosto certo del fatto che sarebbe stato assegnato alla compagnia atleti a Roma, e che avrebbe quindi continuato la sua vita da tennista con poche variazioni al programma.

Arrivati in Friuli, in attesa del visto sul passaporto, Raf fu costretto a dormire ben due notti da solo in hotel a Gradisca. Approfittò delle due giornate in Italia per farsi mandare un vaglia telegrafico sia dalla madre che dal padre, che gli inviarono soldi senza quasi preoccuparsi di dove si trovasse e quali fossero i suoi programmi. Raf voleva pagare tutte le spese. Nico, che di soldi da parte non ne aveva molti – ciò che gli restava delle cinquantamila lire della madre e ciò che aveva vinto a Genova – accettò di buon grado, anche perché durante le settimane che avrebbe passato con lui non avrebbe lavorato.

Il pomeriggio prima di partire, Nico scrisse a Ravaioli. Fu una lettera breve e asciutta.

Capriva del Friuli, 11 marzo 1984

Gentile signor Ravaioli,

sono Nicolò Bressan. L'anno scorso, durante il torneo juniores indoor di Milano, mi ha chiesto di scriverle in caso fossi riuscito a diventare professionista prima di aver compiuto diciannove anni. La volevo informare che ho guadagnato i miei primi due punti ATP all'M15 di Genova, iniziato in data 8 marzo, a diciotto anni, 11 mesi e 21 giorni. Spero di avere sue notizie. Trascorrerò, per ragioni personali inderogabili, un breve periodo di tempo nella località di Plezzo/Bovec, in Jugoslavia. Poi tornerò a Capriva del Friuli, nella mia residenza di famiglia. Non smetterò di allenarmi e di provare a vincere tornei professionistici in attesa di un suo cortese riscontro. Le lascio i miei recapiti telefonici di Bovec e Capriva.

Seguivano numeri di telefono, orari di chiamata (dopo le sette, perché di giorno si allenava) cordiali saluti e firma. Nico imbustò, affrancò e imbucò nella cassetta rossa, in piazza a Capriva.

Il suo futuro era in viaggio verso Modena.

L'indomani l'attendevano delle settimane di incognite a Bovec insieme a Raffaele.

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Note 🎶

Un capitolo di transizione bello lungo, che originariamente finiva prima della telefonata, ma le due metà mi sembravano un po' monche, da sole, ed eccessivamente transitorie, quindi ho deciso di unirlo (siete contenti, sì)? Nel prossimo capitolo entriamo nel vivo!

Lettori di Play, vi dice niente la località di Bovec? Ehehehe (lascio i non lettori di Play con questa enigmatica risatina).

Cosa succederà secondo voi? Nico sarà in grado di aiutare Raffaele?

Una veloce nota sul personaggio della madre di Nico, che è un personaggio secondario a cui tengo davvero tanto. È una donna con tantissimi difetti e tantissimi limiti di pensiero, ma che è guidata in fondo da sentimenti d'amore. Il suo percorso non è ancora finito e mi piacerebbe riparlarvene e chiedervi un parere completo su di lei più avanti.

Intanto vi do appuntamento a giovedì, e lasciatemi una stellina per ogni volta che la madre di Nico ha piagnucolato per qualcosa nei suoi quarantatré anni di vita.

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