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43. Hai il sorriso di chi può cambiare il mondo intorno a sé

Tu sei bella come sei
Non dimenticarlo mai
Hai il sorriso di chi può
Cambiare il mondo intorno a sé
Porti il sole dove vai
Non dimenticarlo mai

(G. Cassia, S. Bardotti, Tu sei bella come sei, 1969)

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Raffaele e Nicolò non trovarono un bar con dei flipper, ma qualcosa di meglio: un bowling.

Senza aver mai giocato a bowling in vita loro, si tuffarono nel locale e passarono diverse ore a far rotolare le palle nel canalino laterale, prima di capire come buttare giù qualche birillo. 

Non parlarono più dei problemi di Raf, ma lui ci tenne a rassicurare Nico sul doping, dicendogli che era convinto che potesse farcela lo stesso e che non lo usassero davvero tutti.

Nico non ne era tanto convinto, e avrebbe aspettato il lunedì del suo primo incontro col morale a terra, con la consapevolezza che non fosse solo una questione di bravura, talento, grinta, motivazione... Nico giocava con uno svantaggio incolmabile.

Ma avrebbe giocato ugualmente.

Tornarono nei rispettivi hotel all'una. Il giorno dopo Nico era libero e avrebbe avuto accesso alle strutture del circolo per allenarsi: era davvero il torneo più ricco a cui avesse mai partecipato, un'occasione da non sprecare.

***

6 marzo 1984

Si svegliò alle nove e dopo colazione fece un'ora di palestra e un'altra ora di palleggio con un ragazzo che si era messo in lista senza partner.

Dopo la doccia, all'una, andò a vedere la finale di Raf. Diciassette anni e un mese, prima finale di un Challenger 100. 

L'avversario era un veterano, un ragazzo di ventinove anni che di challenger ne aveva vinti un paio, in carriera. Era lui il seed più alto.

Ma non era il più forte, in tre set Raffaele ebbe la meglio su di lui. E lo fece col suo stile inconfondibile, che Nico aveva già avuto modo di ammirare, le sue pennellate agili e allo stesso tempo composte, che infiammavano gli spalti di applausi e ruggiti di meraviglia e riempivano di bellezza gli occhi di Nico.

Raf diceva sempre di annoiarsi a giocare, di non voler essere un tennista, ma come era possibile? Sembrava nato per abitare il rettangolo di gioco, il suo cervello sembrava programmato per prevedere i colpi avversari con un tempismo e un'intuizione fuori dall'ordinario.

Avevano fatto le ore piccole, la sera prima, e Nico si chiese se Raf si fosse dopato per affrontare la stanchezza. Cercò indizi nel suo corpo, cercò di osservare la vascolarizzazione dei suoi muscoli: le vene sulle braccia si vedevano un po', ma non gli sembravano esagerate. Anche quelle di Nic erano visibili, soprattutto quando era sotto sforzo. 

E gli occhi? Le pupille dilatate? Da quella distanza non avrebbe potuto dirlo. Del resto Raf gli aveva giurato di non aver mai preso anfetamine per giocare.

Per giocare...

L'idea che si fosse fatto lo sconvolgeva. Chissà se aveva provato anche altre droghe... E quanto spesso? D'improvviso, in modo irrazionale, desiderò tornare indietro nel tempo e accettare la sua proposta folle, stare con lui e tenerlo d'occhio. L'aveva lasciato solo e chissà cosa aveva finito per fare, tutto solo.

No! Ma non posso mica diventare il suo  babysitter, cazzo!

Era ciò che gli aveva detto un anno prima: a te non serve un amico, serve un babysitter.

Ma forse gli serviva anche un amico.

Nel discorso di ringraziamento Raf menzionò, inaspettatamente, proprio Nico.

Fu un discorso breve e asciutto: complimenti di rito all'avversario, grazie al suo team e a sua madre e «un grazie speciale al mio migliore amico Nic.»

Il mio migliore amico era una definizione scandalosamente sbagliata. Lui e quel ragazzo non si conoscevano. Ma l'idea che scandalizzava di più Nico non era tanto che Raf avesse deciso di affibbiargli l'etichetta di migliore amico dopo cinque o sei giorni totali di conoscenza, ma che fosse probabilmente vero.

Nico era veramente il migliore amico che Raf avesse mai avuto, l'unico con cui se la fosse mai sentita di confessarsi, l'unico a cui avesse fatto leggere una delle sue poesie. 

Raf era un ragazzo solo.

Ma perché si era fissato proprio con Nico? Cosa ci aveva visto in lui? Domande che non avrebbero mai avuto una chiara risposta.

Nico aveva promesso a Raf che l'avrebbe aspettato, dopo la fine dell'incontro, ma si era già pentito della promessa. Sicuramente lui avrebbe voluto festeggiare, a Nico non andava. Anche perché non conosceva nessuno del suo staff, a parte la madre, a cui l'ultima volta aveva detto: «Suo figlio è un coglione.» Non sarebbe stata molto felice di rivederlo.

Siccome non aveva accesso agli spogliatoi del centrale (separati rispetto a quelli per comuni mortali) sedette fuori dall'ingresso giocatori a leggere l'Urania che si era portato da casa.

Dopo circa venti minuti venne interrotto. «Cosa leggi?»

Alzò la testa. Era la ragazza del giorno prima. Come si chiamava? Elisa! In divisa da tennis col borsone in spalla.

Nico si alzò in piedi. «Ciao! Oh, eh... un vecchio Urania...»

«Ti piace la fantascienza?» Era davvero alta per essere una ragazza, superava sicuramente il metro e ottanta.

«Sì, abbastanza. Mi piacciono i romanzi d'avventura, più che altro.»

Il viso della ragazza si illuminò. «Ora ragioniamo! Io non sono una grande amante della fantascienza, ma vado matta per le storie d'avventura tipo Salgari!»

«Di Salgari ho letto solo I Pirati della Malesia e non mi è piaciuto.»

Elisa fece un'espressione oltraggiata. «Ma come è possibile! È un maestro della narrativa!»

«Mh... io lo trovo un po' vecchiotto, come stile.»

«Bah! Non capisci. Non è vecchio. È pura avventura senza menate psicologiche! Personaggi stereotipici in cui chiunque si può immedesimare perché sono tabule rase emozionali!»

«Vai all'università?» le chiese Nico stupito da quei paroloni.

«No, ho dato due esami a lettere e ho mollato perché non riuscivo a conciliare studio e carriera. E sono troppo promettente come tennista per mollare il tennis. Me lo chiedi perché parlo troppo difficile?»

«No! Mi piace come parli. Odio le persone che parlano in modo sciatto.»

Appena lo disse il suo pensiero corse a Leonardo, al suo italiano spesso sgrammaticato, e un leggero senso di colpa lo fece pentire del commento, anche se lui non l'avrebbe mai sentito. Leo era sciatto nel parlare, sì, ma sapeva sopperire ai suoi limiti linguistici con la fantasia, e quando voleva sapeva esprimersi benissimo.

Come quella canzone...

«Bravo! Che scuola fai tu?» stava intanto dicendo Elisa.

Nico cancellò dalla mente il ricordo di Leo, e lasciò spazio a un nuovo imbarazzo. «Facevo ragioneria, ma... eh, ho dovuto mollare per lavorare.»

«Lavori e giochi?»

«Part time. Vivo coi miei e col lavoro mi pago il tennis.»

«Bravo di nuovo! Non conosco molti che lo fanno. Anzi, non conosco nessuno che lo fa.»

Nico si strinse nelle spalle. «Ci provo.» 

«Morandi, in campo tra cinque minuti!» gridò qualcuno.

«Arrivo!»

«Giochi? La finale femminile?» le chiese Nico.

«Vinco la finale femminile!» lo corresse lei. «E sarà il mio secondo cento. Perché non vieni a fare il tifo per me?»

La proposta improvvisa lo spiazzò. A Nico sarebbe piaciuto, era curioso di vederla giocare, ma era impegnato con Raf e glielo disse.

«Ah.» Elisa storse il naso. «Anche tu hai lo straordinario talento di giocare meglio coi postumi da sbornia?»

«Anche? Chi è che avrebbe questo talento?» disse, intuendo già la risposta.

«Novelli. Si è giocato il primo turno stonatissimo, ancora non ho capito come ha fatto a vincerlo, e l'ho sentito che a fine partita scherzava con un suo amico che lui gioca meglio da ubriaco che da sobrio.»

Nico scosse la testa. «Che cretino... No. Io non bevo mai prima di giocare. Bevo poco in generale.»

«E allora fidati, ti conviene non uscire con lui, oggi.»

«Anche se ci esco, mica detto che se si ubriaca lui mi devo ubriacare anch'io.»

«Morandi in campo!» ripeté la voce.

«Fai come vuoi! Se cambi idea mi fa piacere.» Fece uno scatto verso l'ingresso.

«In bocca al lupo!»

«Crepi!» Si voltò e sorrise. 

Che sorriso splendido! 

Nico trattenne il respiro quasi potesse in quel modo trattenere quell'attimo, che percepì come raro, forse unico. L'aveva sempre vista sorridere in modo trattenuto, a labbra strette, ma nell'istante prima di scappare, come le fosse sfuggito per errore, aveva lasciato cadere la sua maschera composta per far risplendere un sorriso schietto e aperto, completato da due piccole fossette sulle guance.

Aveva due labbra piene, rosa e ben disegnate, dei denti candidi e regolari, e il sorriso completava il suo volto. Nico non avrebbe saputo descriverlo altrimenti: era bella quando era seria, ma quando sorrideva era bella dieci volte tanto, sembrava disegnata per sorridere.

Quel sorriso gli piacque al punto da stupirlo. Non si era mai soffermato  ad ammirare delle qualità fisiche in una ragazza. Cosa aveva di diverso quella Elisa, a parte il fatto di essere oggettivamente bella?

E Raffaele, il giorno prima, gli aveva chiesto se lei gli piacesse. Aveva visto qualcosa in lui? Intuito un'attrazione?

Possibile che io sia davvero bisessuale? E semplicemente non avessi mai trovato la ragazza giusta?

Rimuginò su quelle idee finché non venne distratto da una specie di coro da stadio. «O lè lè, o là là! 'Sta pallina qua, nun te la fo toccà!»

Di tutti i cori idioti...

I cantanti apparvero dalla porta dello spogliatoio,  Raffaele in testa e un gruppetto di una decina di persone, per lo più ragazzi che Nico non conosceva, probabilmente gente del suo staff, amici. La contessa per fortuna non c'era.

«O lè lè, o... ehi Nic!» Raf si avvicinò a lui ridendo, mentre gli altri continuavano il coretto. «Andiamo tutti in disco, Nic!» Cantavano talmente forte che Nico comprese quelle parole a fatica.

 «No, guarda io...»

«Oh mama mama mamaaaaa» attaccò a cantare un tizio stempiato sui trenta, distraendo Raffaele che si voltò verso di lui e rispose un «sai perché mi batte il corazon!» Raffaele e il ragazzo proseguirono poi cantandosi uno sull'altro parole fuori ritmo che descrivevano quanto fosse fantastico veder giocare Raffaele Novelli. E dal modo in cui Raf sbraitava e ondeggiava il sedere Nico giudicò che dovesse essere già alticcio di festeggiamenti fatti in spogliatoio. 

Vederlo in quello stato gli fece passare la voglia di uscire con lui, e quando gli disse che preferiva restare a vedere la finale femminile, Raf sembrò più interessato a proseguire i festeggiamenti che insistere per stare con il suo "migliore amico", e non ci pensò neanche mezzo secondo a voltargli  le spalle e andarsene cantando l'ennesimo coro idiota con la sua compagnia.

Nico aveva dato decisamente troppo peso a quella definizione, quando l'aveva udita poco più di un'ora prima, aveva provato pena per lui e creduto che quel ragazzo fosse solo al mondo. Ma quale solitudine! Era pieno di amici e probabilmente cambiava "migliore amico" con la rapidità con cui cambiava maglioni.

Nico decise quindi di accettare l'invito di Elisa, entrò nel piccolo stadio mostrando al tornello il suo pass da giocatore e prese posto sulle gradinate più alte, proprio quando il match stava per iniziare, con le due giocatrici che si posizionavano a fondo campo.

Serviva Elisa. E Nico capì sin dal primo gesto, dal primo impatto della pallina sulla racchetta (la stessa usata da lui il giorno prima) di trovarsi davanti a una tennista fuori dall'ordinario.

Raffaele ed Elisa erano stati plasmati dalla stessa argilla.

La stessa eleganza. La stessa inumana fluidità nei gesti, la sensazione che la racchetta e la pallina fossero parte di un'unica opera d'arte che racchiudeva i loro corpi e i loro movimenti.

Raffaele era eleganza applicata allo scatto, alla velocità, alla precisione.

Elisa era eleganza pura. Pura bellezza scintillante. I suoi movimenti sembravano una danza. Sembrava aver messo nella ricerca estetica del gesto tanto impegno quanto nella ricerca dell'efficacia.

Perché non era solo elegante. Era anche efficace. Determinata, forte, molto tattica. Ingabbiava l'avversaria in una maglia di traiettorie e spostamenti.

Nico seguì tutto l'incontro, che finì in due set con la vittoria di Elisa, e non si annoiò un secondo, cosa che con il tennis femminile gli capitava quasi sempre. Rimase anche ad ascoltare il discorso di ringraziamento – molto standard – e quando alla fine si alzò per andarsene, sentì la voce di lei che lo chiamava. «Nichi! Ehi! Nicolò!»

Lo stadio era piccolo, la udì benissimo. Parlava con lui? Nicolò non era un nome molto comune. Si voltò e vide che sì, stava chiamando proprio lui, agitando una mano.

«Dimmi!» le gridò.

«Domani a che ora giochi?»

«Orario previsto quindici e trenta, perché?»

«Su che campo?»

«Quindici!» Vuole mica venire a vedermi?

«Se non ho impegni vengo a fare un po' di tifo per ricambiare!»

«Oh! Eh... grazie ma...»

«A domani, ciao!»

Nicolò non ebbe modo di ribattere altro, Elisa andò a mettersi in posa per delle foto.

L'idea che lei lo avrebbe visto giocare gli faceva fremere il diaframma dal nervosismo. Era solo vergogna perché lei era infinitamente più brava di lui?

O era qualcosa di diverso?

Note 🎶 

O era qualcosa di diverso? Secondo voi? Mmm, questa Elisa non ce la conta giusta.

Prima di salutarvi, volevo spendere giusto due paroline sulla canzone di oggi, ossia "Ciù sei bellai couuume seaiiiii" che è una cosa molto trasciosa e molto melodica (ma melodica fatta bene) di fine anni sessanta, cantata da quel belloccio dall'accento britannico di Mal, che in quel periodo coi suoi occhi azzurri e il suo mascellone faceva sospirare tutto il pubblico femminile italiano. Non è decisamente il mio genere musicale, ma è una canzone a cui sono molto affezionata perché la adorava la mia cara nonnina ❤️ 

Detto questo, ci rileggiamo lunedì e lasciatemi una stellina per ogni dubbio etero della mente di Nico (ohibò, me la rischio, potrebbero essere pochi...)

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