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42. Una vita che non è mai tardi

Voglio una vita che non è mai tardi
Di quelle che non dormo mai
Voglio una vita di quelle che non si sa mai

(V. Rossi, Vita spericolata, 1983)

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«Posso andare a prendere la racchetta di riserva?» chiese Nico all'arbitro indicando Raffaele.

«No! Non vale!» protestò l'avversario.

«Vuoi che continui a giocare con le corde rotte?» disse l'arbitro. «Non è contro il regolamento, può andare a prenderla. Basta che non ti fai dare suggerimenti di gioco altrimenti ti ammonisco.»

Nico corse da Raf col cuore in gola, il viso su cui si era ossessionato per giorni, di nuovo lì in tre dimensioni. Il suo salvatore! Com'era possibile? Stava guardando l'incontro e se n'era accorto? E cosa ci faceva lì? Forse giocava la finale del challenger che si sarebbe tenuta l'indomani?

«Grazie!»  disse Nico prendendo la racchetta.

«Ringrazia lei, è sua!» disse Raf indicando, accanto a sé, una ragazza che Nico non aveva nemmeno notato.

Nico non voleva indugiare troppo per non rischiare l'ammonizione, si limitò a un confuso grazie e scappò, senza quasi guardarla.

«Stava parlando! Arbitro!» protestò l'avversario.

«L'ho solo ringraziato!» ribatté Nico.

«Lo conosco, a Novelli! È un professionista, gli ha detto qualcosa!» insisté l'avversario.

«Stai zitto. Ho sentito tutto e non gli ha dato suggerimenti. Se continui a protestare ammonisco te» disse l'arbitro.

L'avversario si zittì, visibilmente irritato.

Nico si rigirò la racchetta tra le mani. Era incredibilmente leggera. Forse persino troppo leggera! Sarebbe stato difficilissimo giocarci. Si vedeva che era una racchetta da ragazza, il piatto corde era più grande del suo. Da un lato era un bene perché avrebbe colpito con più facilità. Dall'altro un male, perché Nico aveva giocato con racchette dal piatto largo e aveva sempre fatto più fatica a controllare la profondità dei colpi. Probabilmente, poi, le corde avevano anche una tensione un po' più bassa, com'era comune per le ragazze.

Erano di budello. Nico si sforzò di non pensarci. In fondo non le doveva mica mangiare, non sarebbe stato difficile.

«Tempo!»

Ricominciarono e Nico sparò la prima risposta talmente forte da mandare la pallina nel campo adiacente.

«Scusate» disse.

«Capita» rispose l'avversario con un ghignetto.

Pensa di aver già vinto.

E non era un pensiero molto lontano dalla realtà. Quella racchetta era impossibile da governare. Era troppo, troppo, troppo leggera. Non gli sembrava neanche di avere una racchetta in mano!

Ma mi ci devo abituare, cazzo! 

E sicuramente era meglio delle corde rotte.

Servizio. 

Accidenti, il servizio sarà un disastro.

Lo fu. 

La prima finì fuori. La seconda cercò di controllarla meglio e finì in rete.

«Zero quindici.»

Eddai, cazzo! Il servizio è il mio colpo migliore!

Non doveva contrarre il braccio. Era più probabile di sbagliare rattrappendosi che colpendo troppo forte.

Prese un respiro, lanciò la pallina e colpì.

Colpì la sventola più potente e veloce che avesse mai colpito in vita sua. E riuscì a mandarla dentro. Ace!

«Quindici pari.»

Applausi silenziosi da bordo campo.

Ma era stato un caso, un colpo di fortuna. Nico non sapeva come aveva fatto, non avrebbe saputo riprodurlo. Infatti l'ace fu seguito da un altro doppio fallo.

«Quindici trenta.»

Nico non riuscì a trattenere un ruggito di frustrazione.

Niente bombe, Nico. Servizi normali. Non contratti: normali. 

La racchetta era lunga come la sua, il piatto era più ampio quindi doveva mirare in modo meno preciso vicino alle righe. L'avversario avrebbe risposto con più facilità, vero, ma almeno avrebbero giocato i punti.

Servizio al corpo, corto, l'avversario rispose comodo. Nico scambiò male, però, sempre per difficoltà di controllo e al terzo colpo la mandò fuori.

«Quindici quaranta.»

Due palle break. Due stramaledette palle break che l'avrebbero potuto portare sul quattro cinque.

Nico decise di tentare il tutto per tutto. Avrebbe cercato di nuovo l'ace.

La prima uscì.

No, cazzo!

Avrebbe dovuto cercare una seconda comoda.

Ma si disse: che senso ha cercare una seconda comoda se poi tanto la perdo scambiando perché non riesco a controllare?

E allora tentò il tutto per tutto. 

Un ace di seconda. 

Che gli riuscì! Con tanto di oooh da parte delle poche persone presenti.

«Quaranta trenta!»

E quell'ace, oltre a fargli vincere il punto ebbe anche un secondo effetto positivo: innervosire l'avversario. Lo vedeva nell'espressione del suo viso e nei movimenti scattosi con cui si portò sul lato del vantaggio.

Nico non gli diede tempo di calmarsi, servì subito, un servizio più comodo, sperando di spiazzarlo. Funzionò perché fu l'altro, adesso, a sparare la pallina fuori cercando di essere più aggressivo.

«Parità.»

Nico strinse il pugno per esultare.

Stava iniziando a capire un po' meglio come controllare la palla con quell'arnese. Tentò un servizio ben piazzato ma non troppo spinto. Gli riuscì, ma stavolta l'avversario rispose.

Quando Nico si ritrovò la palla sul dritto provò a tagliarla da sopra per imprimere alla palla una rotazione in avanti. Il famoso top spin. 

Lo fece d'istinto senza pensarci troppo e quando la palla atterrò il rimbalzo fu tale da costringere l'avversario a rispondere col braccio all'altezza della testa. La palla atterrò corta nel campo di Nico che chiuse il punto con facilità.

«Vantaggio Bressan.»

Solo dopo aver concluso il punto ricordò che la Caterina gli aveva consigliato di comprare una di quelle racchette proprio perché consentivano un miglior gioco in top.

Era vero, era riuscito a imprimere rotazione a quella palla con una facilità incredibile. 

Decise di continuare con quella strategia. Vinse l'ultimo punto in modo simile, andarono a sedersi sul cinque quattro.

Il gioco successivo sarebbe stato fondamentale. Se riusciva a fare break Nico si poteva qualificare.

Si voltò a guardare Raffaele e la ragazza, che stavano alle sue spalle. Li guardò per pochi secondi, non voleva dare argomenti di discussione all'avversario.

Chi era quella tipa? La ragazza di Raffaele, probabilmente. Ma sembrava più grande di lui. Era certamente una bella ragazza, per quel poco che riusciva a vedere.

«Tempo.»

Nico scese in campo determinato. I top spin del gioco precedente avevano scottato l'avversario: subito dopo il servizio arretrò, per prendere le palle di Nico ad altezze più consone.

Nico si avvalse di quell'atteggiamento pavido per essere più aggressivo. Ogni tanto qualche colpo lo sbagliava ancora, ma riusciva anche a vincerne, con le variazioni, i top, il gioco di rimessa. Quella racchetta era fantastica. Se ne avesse acquistata una sentiva che sarebbe riuscito a prenderci mano in pochissimo tempo, e il suo gioco ne avrebbe giovato molto. Ma chissà quando sarebbe potuto succedere, coi pochi soldi che aveva.

«Parità.»

Era la seconda parità che giocavano, Nico aveva già annullato un vantaggio all'avversario.

Rispose a una seconda moscia e l'avversario lo chiamò a rete con una palla corta. Ne aveva fatte pochissime perché non aveva molta mano. Infatti anche questa gli riuscì male e Nico la riprese con facilità.

«Vantaggio Bressan.»

Match point!

No, non doveva pensarci. L'avversario era palesemente in confusione non doveva agitarsi anche lui.

I dettagli inutili. Doveva pensare alle inezie di contorno. Mentre cambiava lato di risposta  guardò la ragazza. Era in piedi. Alta, gambe magre e sottili, poco seno e busto lungo, un collo elegante e una posa aggraziata a braccia conserte. I capelli castani, lisci, ondeggiavano mossi dalla leggera brezza che aveva soffiato per tutta la partita. Una divisa da tennis candida, semplicissima.

Fu con quella bella immagine in testa che si approntò a rispondere. 

Mi serve sul rovescio. 

La bloccò.

Hai paura. Lo so che hai paura. 
Io no.

Nico fece una cosa che non faceva mai: attaccò e scese a rete.

Non lo faceva mai perché a rete era scarso, e con quella racchetta era un suicidio.

Ma il suo scopo era mettere paura all'avversario, mandarlo in confusione. E ci riuscì: l'avversario provò a passarlo e la mandò fuori.

Nei suo sogni, Nico avrebbe voluto concludere con un vincente, ma andava benissimo anche quella vittoria da pallettaro. Alzò le braccia al cielo ed esultò: ce l'aveva fatta! Era in tabellone! E sullo sfondò udì distinta la voce di Raffaele che lo incitava.

Si aspettò qualche parola di lagnanza dall'avversario, ma quello si limitò a stringergli la mano con aria cupa. 

Nico raccolse in fretta le sue cose e corse da Raffaele e dalla ragazza. «Io non so come ringraziarvi, anzi, ringraziarti» disse ridando la racchetta alla ragazza.

Lei la riprese e gli sorrise. «Devi ringraziare soprattutto lui che è corso nello spogliatoio femminile a gridare: mi serve una racchettaaaaa!»

Nico rise. «Ma cosa cazz... perché in quello femminile?»

«Una bella scusa per vedere qualche ragazza nuda» disse lei.

«Ma no! Ero appena uscito da quello maschile che era vuoto!»

«Ma stavi guardando il mio incontro?» gli chiese Nico.

«Ma ovvio! Appena mi sono accorto che eri in tabellone. Mi spiace che mi sono perso i primi due! E appena ho visto che ti si è rotta la corda e non la cambiavi ho capito che c'era bisogno di risolvere il problema più veloce possibile e sono corso alla ricerca della racchetta. Anche perché conosco Arnaldo e so che è uno stronzo che non ti avrebbe mai prestato la sua.»

«Infatti gliel'ho chiesta e non me l'ha voluta dare.»

«Stronzo...» commentò la ragazza.

«Ma come stai, Nic? Dimmi! Ci sei riuscito! Come hai fatto ad allenarti con tuo padre che...?» Lanciò un'occhiata alla ragazza e poi guardò di nuovo Nico. «Ah, se ti va di parlarne.»

Nico si rese conto solo in quel momento di esser stato maleducato con lei. «Scusa, che cafone... Sono Nicolò» disse tendendole la mano.

«Elisa» disse lei ricambiando. Aveva una stretta anche troppo delicata.

«La più bella tennista italiana in attività» commentò Raffaele.

«Ma quale in attività! Della storia!» scherzò lei. Ma si vedeva che il complimento di Raffaele le aveva fatto molto piacere.

«Dovrei andare a docciarmi... però...» Nico si interruppe per grattarsi la testa. «Ci ho ripensato spesso a come ci siamo salutati male, mi farebbe piacere, cioè...»

«Cena stasera?» propose Raffaele. «E poi disco per festeggiare?»

«Uff, beati voi che andate in disco...» disse Elisa accennando un passo di danza.

«Vieni anche tu, no?» la invitò Raffaele.

Lei gli rispose a braccia incrociate e con una smorfia scherzosa in viso. «A differenza tua io quando devo giocare l'indomani non faccio le ore piccole.»

Non ha perso le sue abitudini festaiole, notò Nico. «No alla cena e no alla disco» rispose. «Una chiacchierata dopo la doccia, se sei nei paraggi.»

«Eddaiii... neanche la cena?» Raffaele lo implorò con gli occhi.

Erano occhi a cui era difficile dire di no. Dal vivo sembrava ancora più cresciuto che in foto. Era cresciuto anche in altezza, una decina di centimetri almeno: un anno prima era un tappetto, ora aveva raggiunto un'altezza decente, a occhio e croce intorno al metro ottanta. Ma era sempre secco come un chiodo.

Nico decise di accettare con faccia tosta. «Ok per la cena, ma solo se paghi tu.»

Dicendolo si sentì improvvisamente in debito, ma non tanto con lui quanto con la ragazza.

«Ma ovvio che pago io!» disse Raffaele.

«E quanto a te» si affrettò a dire Nico, rivolto a Elisa. «Adesso i soldi non ce li ho, ma ti giuro che se ci incontriamo a un altro torneo ti pago...» Un caffè? No, un caffè è troppo poco! «...una cena!»

Lei rise. «Devi metterti in fila, caro!» disse con fare fintamente altezzoso.

L'osservazione lo spiazzò. «In che sens... oh! No, no! Scusa, non intendevo come appuntamento, ma per sdebitarmi della racchetta.»

«Oh.» Lei sembrò quasi restarci male. Ma sorrise dopo una prima esitazione. «Ma lascia perdere, ti ho aiutato volentieri! Che sarà mai?»

«Ok. Scusa, giuro che con l'invito a cena non mi volevo approfittare di te, non c'erano secondi fini.»

Gli occhi di Elisa si assottigliarono e un angolo della sua bocca si sollevò. «Se continui a insistere penso che ci fossero...»

Raffaele nel frattempo osservava lo scambio con un sorrisetto divertito, senza dire niente.

«Quanti anni hai?» gli chiese lei.

«Diciannove.» Quasi.

Elisa inarcò le sopracciglia. «Ah, però! Che fisico per un teenager! Pensavo fossimo coetanei.» Poi lo osservò socchiudendo gli occhi: due begli occhi color nocciola dalle ciglia molto lunghe. «Però in effetti guarda lì che faccetta da bambino che hai ancora.»

Nico si offese. «Non è vero!»

Elisa ridacchiò. Gli diede un buffetto sulla spalla. «Ci rivediamo quando hai qualche pelo di barba in più. Io adesso vado che ho giocato stamattina e sono un po' stanca.»

La salutarono.

«Ti piace?» chiese Raffaele quando lei si fu allontanata.

«In che senso?» chiese Nico.

«C'è qualche senso in cui ti piace?»

«È una bellissima ragazza, chiunque abbia due occhi lo vede.»

Raffaele fece un ghignetto.

«Scusa, ma non capisco. Tu sai... sai benissimo che non mi può piacere in quel senso» disse Nico a voce bassa.

L'espressione di Raffaele si addolcì. «Scusa, ho avuto l'impressione sbagliata. Dal modo in cui ci parlavi e la guardavi.»

Nico annuì. «Vado a docciarmi.»

«Sei sicuro di non essere bisessuale?»

«Vado a docciarmi» ribadì Nico, alzando leggermente il volume della voce.

E mentre si allontanava ricordò i motivi per cui si erano salutati male, un anno prima, e pensò che non era più tanto convinto di voler uscire a cena con lui.

Ma ormai l'appuntamento era preso.

***

«Nic, io non ho parole per dirti quanto incommensurabilmente ti ammiro.»

«E io non ho parole per dirti quanto mi sento incommensurabilmente preso per il culo ogni volta che mi dici questa cosa.»

Raf rise. Nico gli aveva appena raccontato il suo ultimo anno di vita e come faticava a barcamenarsi tra lavoro e allenamento.

«Ma raccontami un po' di te, piuttosto. Ho visto l'articolo su Tennis italiano!» gli chiese Nico.

«Ah, quello! Hai visto che fico che sono venuto nella foto in primo piano? Ho rimorchiato ben due ragazze, grazie a quella foto, sai?»

«Buon per te.»

«Nah. Non sono un grande fan del sesso senza amore. Ma come in tutte le cose quando la tentazione è troppo forte non riesco a resistere» disse lui con uno sguardo triste.

«E smettila di darti le arie. Non mi piace fare sesso... ma chi ti crede? Ti stai solo atteggiando a sentimentale per rimorchiare ancora più ragazze.»

«Vedi ragazze a questo tavolo?»

«No, ma si sente che è un discorso che hai ripetuto almeno cento volte.»

«Ce l'hai ancora con me, e mi dispiace molto» disse Raffaele.

Nico fece un sospiro. «Ma no che non ce l'ho con te, mi danno solo fastidio alcuni tuoi atteggiamenti.»

I due ragazzi rimasero in silenzio per qualche minuto, durante il quale finirono le rispettive pizze. 

Nico aveva apprezzato la scelta del locale. La prima idea di Raf era stata di portarlo in un ristorante di pesce. Nico non se l'era sentita di lamentarsi, ma era stato Raffaele stesso a ricordare con un po' di ritardo che Nico era vegetariano, e aveva quindi cambiato destinazione.

«Come vanno i tornei? Quanti ne hai già vinti?» gli chiese Nico, già ammorbidito.

«Per ora solo due ITF» rispose Raf.

Solo due... lo dice come se fosse una cosetta da nulla. E io non riesco nemmeno a fare un punto.

«Ma domani mi gioco la finale del challenger.»

«E volevi andare in discoteca stanotte...» disse Nico.

«Non volevo, voglio! Ci andrò, con o senza di te.»

«E dove è finita la tua promessa di mettere la testa a posto? È così che metti la testa a posto?»

Raf sbuffò. «Che palle, sembri mio padre. Anzi no. Sembri il padre che non ho mai avuto, lui non mi ha mai fatto storie se esco, anzi, mi allunga cinquantamila lire quando sono con lui e gli dico che esco.»

«Ci siamo salutati un anno fa con te disperato che mi dicevi non so come fare! Mi devo controllare! Ti voglio prendere ad esempio e...»

«Smettila di farmi il verso. Che tu ci creda o no la mia vita in questo momento è in uno stato di equilibrio perfetto. Mi piace divertirmi e mi diverto. E i tornei li vinco uguale.»

«Buon per te. E a che ora torni stanotte?»

«Sono cazzi miei.»

«Non voglio farti la morale, solo curiosità.»

Raffaele fece spallucce. «Boh, alle due, alle tre.»

«E domani giochi alle...?»

«Tredici. Posso anche svegliarmi tardi.»

«Magari col mal di testa da doposbornia.»

«Se ce l'ho prendo un aspirina.»

«E la stanchezza fisica non la metti in conto?»

«Tanto gli anabolizzanti mi fanno correre uguale.»

Nico spalancò gli occhi. «I cooooooosaaaa?»

«Sono degli ormoni che...»

«So cosa sono gli anabolizzanti. Sono doping! Ma sei idiota o cosa? E se ti beccano i controlli?» Nico stava parlando sottovoce, terrorizzato che quella conversazione venisse udita da qualcuno.

Raf fece un sorrisetto. «Quando sei il talento italiano più promettente del decennio è anche troppo facile non farsi beccare.»

Nico sentì la propria mascella scendere lentamente, mentre fissava Raf senza riuscire a metterlo a fuoco, tanto era scandalizzato dalle parole che aveva appena udito. Scosse la testa e deglutì a fatica, come per mandar giù parole che non riusciva a pronunciare.

L'espressione di Raffaele era cupa, adesso. «Anzi, ti dirò di più, sono loro stessi che mi incoraggiano a prenderli. E fanno pisciare altri al posto mio nelle provette.»

«Loro chi?»

«Loro. Sei un po' troppo basso, mi fanno l'anno scorso, dovresti prendere un po' di GH, di ormone della crescita. Iniezioni una volta a settimana. Guarda che bella statura che ho adesso. Mio padre è un tappo, mia madre pure, se non l'avessi preso probabilmente sarei rimasto sull'uno e settanta. Adesso sono uno e ottantuno, spero di arrivare a uno e ottantatre, ottantaquattro.»

«Ma... non è onesto!»

«No, ma lo fanno tutti. GH, insulina, testosterone, eritropoietina, anfetamine, altra roba che non voglio neanche sapere cos'è. Tutti prendono qualcosa, chi più chi meno. I ragazzi, le ragazze... I ragazzi usano più anabolizzanti. Lo capisci dalla vascolarizzazione se lo fanno, quando hanno troppe vene visibili sulle braccia.

«Le ragazze spesso prendono testosterone. Le vedi subito quelle che lo fanno. Sono più mascoline, hanno fisici più muscolosi e quadrati, l'ombra dei baffi sopra al labbro, se non si fanno la ceretta, gli si abbassa persino un po' la voce. Ne ho conosciuta una, poveretta, che ha cominciato a perdere i capelli. Si è cagata sotto e ha smesso di prenderlo, ma non le sono ancora ricresciuti e forse non le ricresceranno più, qui sopra è diradata. Gioca sempre col cappellino.»

Nico lo fissava senza riuscire a sbattere le palpebre.

«Poi alcuni prendono delle specie di anfetamine per essere più reattivi» aggiunse Raf.

«Ma fanno malissimo! E poi... non danno dipendenza?»

«Oh sì che la danno. Ma quando uno vuole vincere è disposto a tutto.»

«Non io! Tu, forse! Io no!»

«A dire il vero io pure farei a meno di prenderle, 'ste cose» disse lui con lo sguardo perso. «Ti ricordi che bella quella serata a giocare a flipper?»

«E allora perché le prendi?»

«Perché sono arrivato a un livello che le sto provando tutte per vedere se mi va di giocare. Magari se mi viene tutto ancora più facile mi diverto di più.»

Nico batté un pugno sul tavolo. «Ma porcoddio! Brutto capriccioso viziato di merda! Io mi rompo il culo da un anno e tu mi dici che ti dopi per non annoiarti a giocare? Sai una cosa? Vaffanculo! Vaffanculo tu e tutto il tennis di merda!»

Nicolò aveva urlato. Era una cosa che non faceva quasi mai.

Uscì dal locale, un po' per la rabbia e un po' per la vergogna di aver bestemmiato e dato in escandescenze.

Raffaele ovviamente lo seguì, apparve fuori dalla porta dopo una manciata di secondi. «Nic, scusa, ti faccio sempre incazzare.»

«Sì, esatto! Sai quando è stata l'ultima volta che ho gridato? Quella sera di gennaio di un anno fa che abbiamo litigato! Ti incontro di nuovo dopo un anno e non è cambiato niente.»

Raffaele sembrava mortificato. «Mi spiace. Mi dispiace davvero.»

Nico scosse la testa. «Non dovresti dispiacerti. A pensarci bene non è colpa tua. Mi hai detto solo la verità. E la verità non è mai sbagliata. La verità andrebbe sempre accettata, anche quanto ti fa incazzare. Anzi, soprattutto quanto ti fa incazzare.»

«Sei così saggio, Nic.»

«Ti giuro che se mi dici ancora una volta nella tua vita che sono saggio o che mi ammiri ti pesto.»

Raffaele ridacchiò. «Mi piace l'espressione ti pesto. Qui a Genova è molto appropriata.»

Anche Nico fece una risatina. La battuta lo stemperò un po'. «Che cazzo ci gioco a fare a tennis?» disse in tono scorato, dopo qualche secondo di silenzio.

«È la tua passione.»

«Che cazzo ci gioco a fare se sono l'unico tennista al mondo che gioca per passione e che pensa di farcela solo con la passione?»

«Non sei l'unico.»

«Ma se mi hai appena detto che si dopano tutti?»

«Ma no, stavo esagerando. Io... io non posso mica saperlo. E poi ti ho anche detto come si fa a capire: i ragazzi con troppe vene, le ragazze troppo mascoline... le anfetamine invece le sgami dagli occhi: se hanno le pupille dilatate probabilmente hanno preso qualche anfetamina.»

«Tu le hai mai prese?»

«Per doping mai.»

Nico elaborò mentalmente la frase. «Cosa significa per doping mai? Che per altri motivi le hai prese?»

Raffaele abbassò lo sguardo. «Non preoccuparti, non mi sono piaciute.»

Nico inorridì. «Ma cosa ti è saltato in mente anche solo di provarle! Ma cosa significa che non ti son piaciute? E metti che ti piacevano? Diventavi un drogato?»

Raffaele sembrò infastidito. «Eddai, non esagerare! Uno non è che diventa un drogato prendendo una roba ogni tanto...»

«Ma cosa dici! Sono cose pericolosissime! Non ci puoi scherzare! Guarda che...»

«Guarda che lo so!» sbottò Raffaele con un tono improvvisamente molto angosciato.

Nico lo fissò negli occhi a lungo, riflettendo, rimuginando. «Senti, ma...» Deglutì. «L'anno scorso, quando mi pregavi di stare con te, e mi dicevi di avere paura e... era...» Nico avrebbe voluto che Raffaele terminasse per lui le frasi, ma restava zitto, con gli occhi sgranati e la fronte tesa. «Era...» proseguì Nico. «Era questo? Cioè... Stavi cercando di dirmi questo?»

Raffaele abbassò lo sguardo. «L'anno scorso stavo facendo il melodrammatico. Mi vergogno molto di quella scenata, ogni volta che ci ripenso.»

«No, no. Io pensavo che stessi parlando di festini e bevute. Ma me lo ricordo bene cosa hai detto. Parlavi di autodistruzione, hai usato proprio questa parola, me la ricordo benissimo.»

«Stavo facendo il melodrammatico» ribadì Raffaele.

«E mi dicevi di non volerne parlare perché ti vergognavi e...» Nico ricordò un dettaglio. «E aspetta, adesso che ci penso avevi parlato anche di dipendenza e io mica avevo capito di cosa parlavi, lì per lì, pensavo che stavi parlando col tuo solito linguaggio poetico.»

«Sì, infatti. Lascia perdere, veramente, stavo facendo scenate esagerate su sciocchezze, perché sono un viziato.»

Nico d'improvviso ebbe paura, provò una strana angoscia per quel ragazzo che a malapena conosceva. «Raf, guardami negli occhi.»

Raffaele roteò gli occhi, proprio come avrebbe fatto un bambino viziato di fronte a un genitore che gli stava facendo una ramanzina. Fece un giro completo e infine guardò Nico.

Che non voleva affatto fargli una ramanzina. «Raf, hai bisogno di aiuto?»

«No» rispose lui con una rapidità sospetta e distogliendo subito lo sguardo.

«Ti ho detto di guardarmi negli occhi!»

«Non ho bisogno di aiuto» disse lui fissando Nic negli occhi.

«Cosa è cambiato rispetto a un anno fa?»

«Che sono cresciuto e non faccio più discorsi melodrammatici solo per attirare l'attenzione.»

«E perché volevi attirare la mia attenzione? Ci sarà stato un motivo, no?»

«No. Erano solo capricci.» Raf non aveva smesso un attimo di fissarlo e quasi non aveva sbattuto le ciglia.

Non erano le risposte che Nico avrebbe voluto. Tentò una strada diversa. «Scrivi ancora poesie?»

«Sì, ogni tanto» rispose lui stringendosi nelle spalle. «Mi sono vergognato anche di averti fatto leggere quella roba. Era così esagerata!»

«Non era esagerata, era molto bella.»

Raffaele accennò un sorriso. «Lo pensi davvero?»

«Sì. Mi piacerebbe se me ne facessi leggere altre.»

«Magari un giorno. Vedremo. Magari un po' meno melodrammatiche!» Raffaele ridacchiò.

«Quindi... quindi adesso vai in disco?»

«Hai qualche altra idea?» disse Raf.

E Nico vide una specie di preghiera muta nei suoi occhi. Una preghiera che lo spinse a dire: «Non conosci un posto con dei flipper?»

Il sorriso di Raffaele fu radioso. «No! Ma lo troviamo!»

--

Note 🎶 

Raffaele fa discorsi brutti, Nico si demoralizza. E voi che ne pensate? Sarà vero che si trova in una situazione di equilibrio?

E che ne pensate del personaggio di Elisa? Vi dico solo che la rivedremo, senza anticipare nulla.

Nota sulla canzone e disclaimer: io non sono una grande fan di Vasco. Mi piacciono (molto) alcune delle sue primissime canzoni e riconosco la grandezza innovativa dei suoi primi album (fino a Bollicine), con qualche raro sprazzo successivo, ma qui con questo pezzo, io già ci vedo l'inizio del declino verso la caricatura di se stesso che è diventato negli anni. PERÒ. Vorrei far notare, a livello di marketing, come si fa una canzone davvero trasgressiva per épater le bourgeois: così. 

https://youtu.be/CVRspuvw1cI

Andando a Sanremo, ossia la fiera del conformismo borghese benpensante, cantando mezzi ubriachi, stonatelli e fuori tempo, scazzatissimi con le mani in tasca, e classificandosi di conseguenza penultimi. Di certo non vincendolo facendo delle trasgressive linguacce in camera. Se vinci, mi spiace, hai perso in automatico il patentino da trasgressivo. Ogni riferimento a persone, cose e Måneskin realmente esistiti è puramente casuale.

Fine del mini-rant musicale, appuntamento a giovedì e lasciatemi una stellina per il bestemmione numero due della storia che, giuro, sarà l'ultimo :)

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