38. Come fossi una bambola
Tu mi fai girar, tu mi fai girar
Come fossi una bambola
Poi mi butti giù, poi mi butti giù
Come fossi una bambola
(R. Cini, F. Migliacci, C. Zambrini, La bambola, 1968)
—
Raffaele poggiò le mani sul petto di Nicolò e lo spinse indietro.
Nic per qualche istante non capì. Nella testa c'era ancora quell'impulso al contatto fisico, il desiderio di baciarlo.
Poi si fece strada la ragione.
E capì.
«Oh... eh...» disse Raffaele.
Nic voltò la testa, vergognadosi come se fosse nudo. In un certo senso lo era. Si era scoperto davanti a lui. «Io... ho frainteso, scusa.» E parlare lo fece avvampare.
Il primo sentimento fu la vergogna, che lo spinse a desiderare di scappare da lì.
Il secondo fu il senso di colpa.
Leo.
Leo che era geloso di lui e aveva ragione a esserlo.
Il terzo fu la rabbia. Quando possiamo noi uomini tacconiamo. Aveva ragione suo padre, con tutta la sua squallida meschinità, e questa consapevolezza lo riempì di rabbia nei confronti di se stesso.
Raf ridacchiò. «Eddai, Nic! Non è niente! Dormiamo, domattina ti sei dimenticato tutto.»
Nic si voltò di scatto verso Raf, incredulo alle sue orecchie. «Dormiamo?»
L'espressione di Raf si fece dubbiosa. «Sì... Io sono un po' stanco, tu no?»
«E dove vorresti dormire?»
«Qui, come l'altra sera, io con la testa rivolta giù, tu con...»
Nic non lo lasciò finire. «Fammi capire una cosa, ma lo fai apposta o sei ricoglionito?»
Raf lo fissò serio. «A me non dà fastidio dormire con te.»
«Ma sei scemo o cosa?»
«Non gridare, Nic! Altrimenti arriva mia madre!»
Nico scosse la testa. «Ok.» Prese un respiro. «Ok, devo dire che sono contento che sia successa questa cosa. Mi stavo facendo trascinare in un'idiozia e adesso capisco che era un'idiozia venuta in mente a uno sbozzo di quindici anni. Coglione io che do ascolto a un quindicenne come fosse una persona adulta.»
Raf era preoccupato, adesso. «Nic, ma cosa dici? Ok, se ti dà fastidio e sei in imbarazzo vado a dormire con mia mamma, ma ti giuro, per me non è cambiato niente!»
«E non ti viene il dubbio che per me sì?»
«Ma perché, scusa?»
Nico non riusciva a credere a quanto fosse ignaro e insensibile quel cretino.
E io che gli do corda! Sono proprio un coglione!
«Ok. Adesso dimmi chiaramente: che cosa cazzo volevano dire tutti quei paroloni enfatici che mi hai detto prima?»
Raf sembrava sempre più spaventato. «Io... non... esattamente quello che volevano dire! Lo penso ancora!»
«Cosa pensi? Spiegamelo! Perché vuoi sapere cosa ho capito io?»
«Be'... scusa, Nic, perdonami, ti giuro, non volevo che...»
«Stai con me! Le stesse passioni sotto la pelle! Siamo uguali! Ma secondo te io cosa cazzo posso pensare?»
L'espressione di Raf era sempre più affranta. «Io non volevo, io...»
«Lo scrittore di poesie! Devi parlare sempre come se fosse una poesia? Ma che cazzo di testa da quindicenne hai? No, non rispondere, scusa, domanda idiota: una testa da quindicenne. Ero quindicenne anch'io, due anni fa, me le ricordo le coglionate che pensavo!»
«Eddai, Nic, non dire così! E ti prego, non gridare! Io le penso ancora quelle cose!»
«E che cazzo di senso hanno? Me lo vuoi spiegare con parole che non sembrino una brutta copia di Giacomo Leopardi?»
«Che io e te siamo uguali! Anche tu hai vissuto un... un'ossessione, una dipendenza, l'hai chiamata.»
«E quale cazzo di dipendenza avresti vissuto, tu?»
«Faccio fatica a parlarne» mormorò.
«Ah. Bravo. E allora meglio usare parole ambigue e altisonanti, che dette a un finocchio secondo te il finocchio come le interpreta? Ma vaffanculo, Raf. Sei un bambino e io sono un coglione a non essermene accorto.»
Raf lo prese per un braccio, Nico si divincolò. «E non mi toccare, stronzo! Anche prima... ma cosa cazzo mi toccavi?»
«Io... ero emozionato!»
«Ma di cosa? Diobòn, sei sicuro di non essere finocchio? Sembri più finocchio di me!»
«Ero emozionato che finalmente ho trovato un amico e una persona che mi capisce e...» La voce di Raf era rotta, sul punto del pianto. «E che volevi venire a stare da me!»
Nico guardò quel ragazzo piangere, e vide tutta la sua immaturità. «No... no, adesso capisco. Mi sono fatto trascinare dal tuo entusiasmo, ed ero talmente disperato che ho voluto crederti. Ma cazzo! Adesso lo vedo! Possibile che non lo vedi anche tu? Ci conosciamo da cinque giorni. Cinque cazzo di giorni. Che significa che non ci conosciamo. E il fatto che tu mi abbia proposto, seriamente, di venire a vivere con te dopo cinque, no, anzi, quattro giorni che mi conoscevi, significa che o sei un cretino o sei uno squilibrato. E siccome cretino non mi sembri, vuol dire che sei uno squilibrato, e io con gli squilibrati non voglio averci a che fare. Ciao, Raf.»
Nico si alzò, Raf questa volta gli balzò addosso, lo atterrò sul letto. «No! No, non andare! Ti prego!»
«Lasciami!»
«Un attimo! Un attimo solo, ti prego! Fammi spiegare! Ti scongiuro!»
«Cos'è questo casino?» la madre di Raf in vestaglia irruppe nella camera.
Nic ne approfittò per dare uno spintone a Raffaele. «Dica a suo figlio di tenere le mani a posto!»
«Raffaele, che diamine stavi combinando?»
Nico si diresse al suo borsone da tennis, che per fortuna era già fatto, seguito da Raf che lo teneva per la maglietta. «Mamma! Diglielo! Digli che eri d'accordo che stesse da noi! Non mi crede!»
«È per questo che litigavate?» rispose la donna a braccia conserte.
«No» disse Nico mettendo la borsa in spalla. «Litigavamo perché mi sono appena reso conto che suo figlio è un coglione.» Poi afferrò il polso di Raffaele, che ancora lo teneva per la maglietta, lo stritolò, lo strattonò fino a convincerlo a mollare la presa.
«Mamma! Aiutami tu!»
Nico si diresse all'uscita, alle sue spalle udì la madre dire: «Sono affari vostri, non mi voglio immischiare.»
«Nic! Dove vai, Nic? Resta qui, ti prego! Ti lascio dormire in camera da solo, ti prego!»
«Se credi che il problema sia solo quello, sei più coglione di quel che pensavo.» Nico sbatté la porta dietro di sé, ma non aveva percorso un metro che la sentì, ovviamente, riaprirsi. «Nic!» Raffaele piangeva senza ritegno. «Non mi lasciare, Nic.»
Nico si bloccò, incredulo. Si voltò e Raffaele per un attimo sembrò quasi speranzoso.
«Ma ti senti?» gli disse Nico.
Raffaele gli rispose con un'espressione stolida.
«Ti senti quanto sembri un finocchio? Uuuh, non mi lasciare Nic» gli fece il verso. «Ma io secondo te posso passare il mio tempo con uno così incapace di capire... di capire come può essere interpretato da uno come me? Lo capisci o no che non puoi dirmi una cosa simile? Che sei uno stronzo se la dici?»
«Ma perché?»
«Perché se esageri a insistere e a dire stai con me, non mi lasciare e colpo di fulmine e finché morte non ci separi, il coglione finocchio di turno finisce per crederti! E questa cosa te l'ho spiegata tipo cinque minuti fa e dopo cinque minuti sei di nuovo lì a gridarmi dietro non mi lasciare?»
Un uomo spuntò da una stanza. «Froci del cazzo, andate a litigare da un'altra parte!»
«Ha ragione, scusi» gli rispose Nico. «Io me ne vado. Per sempre.»
«Ma se io le penso, queste cose? Anche senza essere gay?»
«Se lo pensi frocio lo sei, coglione!» disse l'uomo.
Nico lo indicò. «Vedi che lo pensa anche lui? Siamo in due a dirtelo!»
Nico decise che non aveva senso discutere oltre, proseguì la sua camminata verso l'uscita.
Raf corse per tenere il suo passo. «Nic» disse a voce più bassa. «Io ho bisogno di te. Non come amante, come amico!»
«Tu hai bisogno di uno psichiatra. Sei completamente pazzo.»
«Ho bisogno di un amico!»
Nico provò quasi pena per lui, ma non si fece intenerire. «E lo cerchi in una persona che non conosci?»
«Ma io è come se ti conoscessi da una vita!»
«E invece no. Mi conosci da cinque giorni e per qualche motivo ti sei fissato con me. Perché sei uno squilibrato, è evidente. Oppure perché sei viziato. Pensi di poter avere tutto perché hai sempre avuto tutto nella vita e hai deciso per qualche motivo che volevi avere me intorno.»
«Ti ho già detto perché mi piaci! E prima che mi dici che sono ambiguo, mi piaci non per forza ha quel senso lì!»
«Lasciami stare. Ciao. Anzi, addio.»
«Io non so cosa faccio, se non ci sei tu!»
Nico si fermò di nuovo davanti all'ascensore, lo chiamò al piano. «E poi dici di mio padre che mi fa le manipolazioni psicologhiche? Questa come la chiami? Stai minacciando il suicidio per farmi stare qua?» Nico scosse la testa. «Che pezzo di merda viziato.»
«Non sto minacciando nessun suicidio!»
«Ah no? E allora per essere un poeta sei davvero incapace di usare le parole, perché a casa mia "non so cosa posso fare" ha quel senso lì.»
L'ascensore arrivò e Nico non riuscì a tener fuori Raffaele.
«Intendevo dire che non so se sono in grado di controllare le mie tendenze autodistruttive! Cioè, non suicide, non mi voglio ammazzare, giuro!»
Nico annuì, capendo sempre più cose. «Che ti piace ubriacarti, far festa, la disciplina, quella roba lì.»
«Esatto!»
Nico scosse la testa. «E io coglione che mi sentivo perfino lusingato, quando me lo dicevi, lo prendevo come un complimento.»
«Lo è! Nic, non ho parole per dirti quanto ti ammiro.»
«Tu non hai bisogno di un amico. Tu hai bisogno di un babysitter.»
Raffaele per la prima volta non ebbe nulla da ribattere.
Nico lo guardò con odio. «A te di essere amico mio non te ne frega un cazzo. Ragioni da bambino viziato. Le persone le usi, pensi di poterle usare per i tuoi comodi. Mi chiedi di stare da te così io ti controllo, ma di me non te ne frega un cazzo!»
Raffaele continuava a fissarlo in silenzio, con la bocca socchiusa.
«E il modo in cui hai reagito, questi pianti disperati che stai facendo, sono i pianti di un bambino viziato che non può avere il suo giocattolo. Ma io non sono un giocattolo, sono una persona.»
Raffaele era rimasto completamente senza parole. Teneva la testa bassa e tirava su col naso.
Le porte dell'ascensore si aprirono.
«E adesso come fai?» disse infine Raffaele, con un filo di voce.
Nico uscì. «E come vuoi che faccio? Torno a casa mia. Se mio padre è ancora qua sotto.»
«Ma col tennis?»
«Cercherò di gestire la cosa come una persona adulta e non come uno sbozzo viziato. Perché mi stavo comportando anch'io da sbozzo viziato, a voler scappare di casa a fare il mantenuto.»
«Ma io ti avrei mantenuto volentieri.»
Nico non ebbe più la forza di arrabbiarsi. Si fermò in mezzo alla hall e decise di concedergli qualche ultima parola. «Nemmeno ti rendi conto di quanto è brutta la cosa che hai appena detto, vero?»
«Ma perché dici che è brutta? Prima mi dicevi che a me di te non me ne frega un cazzo, ma non è vero! Io voglio aiutarti a realizzare il tuo sogno, e... e infatti non ti ho aiutato anche con tuo padre, qualche giorno fa? La lettera di diffida? Se mio padre non la scriveva non potevi finire il torneo.»
«Quindi il tuo modo per avere amici è comprarli? Lo vedi o no che mi consideri un giocattolo?»
Raf sembrò incredibilmente colpito da quelle parole. «Forse hai ragione, Nic.»
Nico annuì. Fece per salutarlo, ma Raffaele aprì di nuovo la bocca e con lo sguardo fisso nel vuoto aggiunse: «Non me ne stavo nemmeno rendendo conto, ma è proprio come dici tu. Ti stavo comprando. Forse somiglio a mio padre più di quel che pensavo. Che tristezza.»
«Se te ne rendi conto è già un passo avanti.»
«Sono un viziato cagasotto senza spina dorsale, e forse non cambierò mai.»
«E invece adesso stai sparando di nuovo cazzate. Se parti rassegnato, ovvio che non cambi.»
Raffaele annuì cupo. «Hai ragione come sempre, Nic.» I suoi occhi si inumidirono. «Sei davvero un ragazzo saggio.»
«E smettila di piangere, su! Anche questo è un atteggiamento sbagliato.»
«Non ci riesco, scusami. Mi sento disperato e sull'orlo del baratro.» Strinse le labbra e aggiunse subito. «No, no, non me lo dire, sto facendo i miei soliti discorsi esagerati, vero? Ma è così che mi sento, queste parole sono le uniche che esprimono bene come mi sento.»
Nico provava fastidio per quell'atteggiamento melodrammatico, da vittima, che metteva per forza di cose Nico nel ruolo del carnefice. Ma gli faceva anche pena. Gli posò una mano sulla spalla. «Ciao Raf. Spero di riuscire a diventare un professionista e incontrarti di nuovo quando sarai diventato più maturo.»
«Scusa Nic. Scusa se sono stato stupido.»
«Non importa. Vedrai che ce la farai. Sei un tipo intelligente, non ossessionarti sulle cazzate.»
«Ci proverò. Ti prometto che ci proverò.»
Nic si voltò, uscì. Non lo guardò più. Raffaele, per fortuna, non lo seguì.
Suo padre era ancora fuori dall'hotel. Era seduto in macchina al posto di guida e si era addormentato con la testa appoggiata al finestrino.
Nico lo fissò per almeno un minuto prima di trovare il coraggio di bussare leggermente al finestrino.
Il padre sussultò, e dopo qualche secondo di smarrimento rivolse a Nico un'espressione dura. Abbassò il finestrino con la manovella.
«Scusa papà. Sono stato uno stupido.»
Il padre strinse le labbra. «Cosa ha fatto il contessino per fartelo capire?»
Nico si strinse nelle spalle. «Possiamo non parlarne, per favore?»
Il padre fece un cenno con la testa a indicare il posto del passeggero. «Sali. Andiamo a dormire in hotel e domani mattina torniamo a casa.»
Nico salì, e appena lo fece gli arrivò una sberla.
La incassò senza dire nulla pensando, per una volta, di essersela meritata.
—
Note 🎶
L'avventura con Raf finisce davvero in amarezza. Raf resta solo, Nico resta solo e nella orribile situazione di partenza, coi genitori che lo opprimono. Ci sarà mai una via d'uscita?
E poi c'è Leonardo. Cosa succederà adesso con lui? Nico l'ha tradito, secondo voi Leo lo saprà?
La canzone di oggi la conoscete tutti, credo. Sapete che ha in comune qualcosa con quella dello scorso capitolo? Lo stesso arrangiatore, il bravissimo Ruggero Cini. La mano si sente, sono entrambi due gran bei pezzi dall'orchestrazione lussureggiante. E la giovane Patty Pravo aveva una voce bellissimissima (quante volte ho già detto che adoro i contralti? Lo ripeto: adoro i contralti).
Ci rileggiamo giovedì, ultimo giorno di agosto, e lasciatemi una stellina per ogni stilla di sudore che avete gocciolato in questa caldissima estate.
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