33. Amico è bello, amico è tutto, è l'eternità
Che fai, se stai lì da solo?
In due più azzurro è il tuo volo
Amico è bello, amico è tutto, è l'eternità
è quello che non passa
mentre tutto va
(R. Zero, F. Evangelisti, Amico, 1980)
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Nico aveva gli occhi bassi e il sangue pompava talmente rapido da oscurargli la vista.
Cosa ho fatto! Cosa cazzo ho fatto!
Raffaele se ne stava zitto e Nico i silenzi proprio non li sopportava. Quindi alzò la testa, pronto a esortarlo a dire qualcosa, fosse anche solo una parola di disprezzo.
Ma mise a fuoco il viso di Raffaele e ciò che vide lo bloccò.
I suoi occhi.
Il verde chiaro degli occhi di Raffaele scintillava. La sua bocca era socchiusa in un leggero sorriso, ma i suoi occhi, dio che occhi! Sorridevano più di quanto sorridesse la bocca. Ma che emozione esprimevano? Sembrava gioia, sembrava speranza.
Perché mi guarda così? Si chiese Nico, che non voleva o non poteva capire.
Poi, prima che Nico riuscisse a dire qualcosa, l'espressione di Raffaele mutò. Si fece seria, decisa. Finalmente parlò. «Tuo padre è il più grandissimo pezzo di merda sul pianeta terra!» Prese Nico per un braccio. «Hai ragione, forse mio padre ci può aiutare. Vieni con me, lo chiamiamo subito.» E così dicendo lo trascinò giù per le scale.
Nico guardò la mano di Raffaele, che lo teneva, stringendolo per il polso.
Perché mi tocca? Cosa vuole? Non ha paura che io fraintenda?
O forse lo voleva. Voleva che Nico fraintendesse. Tutte quelle allusioni, il colpo di fulmine... E quegli occhi! Uno sguardo sorridente che luccicava di lacrime, dopo che Nico gli aveva confessato quella verità difficile. Quasi Raffaele volesse sentirselo dire, come se anche lui...
Ma cosa cazzo sto pensando?
Nico si sentiva sempre più confuso e sempre più sbagliato. Non riusciva più a capire quali fossero le priorità razionali di quel momento: fermare suo padre; capire Raffaele; vergognarsi; temere per il suo futuro.
Tutti quei pensieri diversi non ci stavano, nella sua testa, strabordavano, fuori controllo.
«Ci deve essere una legge che ti protegge» stava intanto dicendo Raffaele. «Tipo diffamazione o qualcosa del genere. Eccoci, merda, ce l'ho qualche gettone? Ehi? Nic? Pronto? Tutto ok?» Raffaele agitò una mano davanti al suo viso. Erano arrivati davanti a un corridoio con tre telefoni pubblici.
«Non dici niente?» bisbigliò Nico.
«Cazzo, ne ho solo due, e due monete da cento. Mi bastano giusto per lo scatto. Devo farmi richiamare» disse Raffaele guardando nel suo portafogli. Poi alzò lo sguardo su Nico. «Come dici, scusa? Nic, dai, relax, troviamo un modo per risolverla, giuro!»
«Ti ho appena detto che... quella cosa là e... non dici niente?» ripeté Nico.
Raffaele fece una smorfia che era un mezzo sorriso. «Non so cosa vorresti che dica, a parte che voglio aiutarti.»
Nico era incredulo. «E non pensi niente? Non ci credo che non pensi niente!»
E perché mi guardavi così? Cos'era quello sguardo!
«Certo. Penso tante cose. Una te l'ho già detta: che tuo padre è un pezzo di merda. Poi penso che mi dispiace per te e non posso neanche immaginare cosa devi aver passato con lui. E l'ultima cosa che penso è... è molto personale.» Abbassò la testa.
«Dimmela» lo esortò Nic.
Raf esitò un attimo, sembrava quasi imbarazzato. «Sono contento che ti sei fidato di me.»
«Oh» disse Nic, deluso da quella che gli sembrava una sciocchezza.
Ma Raffaele non aveva finito. «No, scusa, contento non rende l'idea. Sono commosso! Sai... poco fa, quando stavi per dirlo e non l'avevi ancora detto, avevo già mezzo capito che volevi dirmi proprio questo, e... non sono mai stato tanto emozionato in vita mia. Mai! Neanche il mio primo bacio e la mia prima scopata!»
Raffaele fece una risatina. A Nico dolevano i palmi delle mani, cercò di stringere i pugni, ma scoprì di non avere forza nelle dita. «Cioè io credevo...» Raffaele proseguì, «credevo, sai, quando ho fatto l'amore per la prima volta, l'anno scorso, ah! non proverò mai un'emozione simile nella mia vita, tanto vale che muoio adesso. E invece no! Un amico che si fida di me così tanto da raccontarmi un segreto così grande!» Raffaele portò le mani al cuore. «No, un'emozione così grande e così bella non l'ho mai provata. Scusa, ho ripetuto così duecento volte, ma non so come altro esprimere la gigantosità di quello che ho sentito.»
«Mammamia come sei melodrammatico» fu tutto ciò che riuscì a dire Nico, a gola asciutta. Ma lo disse anche per dissimulare il fatto che quelle parole lo avevano toccato più di quanto avesse voluto.
Raffaele rise. «Sì, me lo dicono in tanti. Mi prendono anche in giro perché scrivo poesie. Un giorno mi piacerebbe fartele leggere. Non le ho fatte leggere quasi a nessuno, sono una cosa molto privata. Mi piacerebbe fartele leggere perché anch'io vorrei condividere con te qualcosa di me.»
Poesie? No, pietà! Che imbarazzo!
«A me tu sembri un tipo che condivide molto facilmente. Anche troppo facilmente. Non ci credo che non le hai mai fatte leggere a nessuno, queste poesie» disse Nico. «Hai detto prima che ti prendono in giro perché le scrivi. Come fanno a sapere che le scrivi se non le hai mai fatte leggere a nessuno?»
Raffaele si incupì un po'. «Una volta a scuola mi hanno fregato uno dei quaderni su cui le scrivo e le hanno lette in giro.» Fece spallucce. «Ma basta parlare di queste cazzate, fammi chiamare mio padre.»
Raffaele infilò le quattro monete nel telefono.
Che tipo assurdo... È melodrammatico e sentimentale... proprio come un finocchio!
«Ciao Flavia sono Raf! Di' a papà che mi deve richiamare immediatamente urgentissimo... no no no, ascolta... chiamo da una cabina e mi son già caduti tutti i gettoni e sto a Milano... non mi interessa se ha riunione, è super urgente, importantissimo, ti prego! Non posso aspettare in linea perché adesso...» Raffaele guardò Nico e sbuffò. «Adesso cade la linea, stavo per dire. È caduta, infatti.»
«Ma come cazzo fa a richiamarti, scusa? Sei scemo?»
«Tutte le cabine hanno un numero, non lo sai?»
«E come fa a saperlo, secondo te? Per magia?»
«Ma quale magia, nel suo studio hanno quel servizio della SIP che ti dice il numero di chi sta chiamando.»
Nico rimase stupito dall'informazione. «Esiste una roba simile? Mi prendi per il culo?»
«Ma no! Figurati che negli Stati Uniti e in Giappone hanno persino i telefoni col display a cristalli liquidi dove ti compare il numero di chi ti chiama. Mio padre ce li ha, quei telefoni, ma non compare niente sul display perché qui quel servizio ancora non funziona, devi chiamare la SIP e te lo dicono loro.»
«Cioè mi stai dicendo che in futuro non si potranno più fare scherzi telefonici?»
Raffaele rise. «Probabile!»
«Bene. Ho sempre pensato che fossero una cretinata.»
Raffaele rise di nuovo. «È proprio una cosa da te, questa.»
«Se adesso tuo padre richiama... cosa gli dici?» chiese Nico, incerto e timoroso.
«Non ti preoccupare, Nic. Ti ho detto che mi porterò il tuo segreto nella tomba e lo farò. Glielo dirò in modo generico. Tipo che tuo padre vuole rendere pubblici fatti tuoi privati.»
«E se tuo padre ti fa domande?»
«Mio padre non fa mai domande.»
«Ieri hai detto che è missino... anzi, no, hai detto che è fascio.»
«Missino, fascio. Uguale. Esiste un missino non fascio? Boh, forse qualche vecchia che pensa che Almirante è figo e lo vota per quello.»
«Ma è vero, quindi?»
«Verissimo. Ha a casa sua una stanzetta di merda piena di cimeli di merda del duce.»
«Non credo di volere il suo aiuto. Ha presente cosa facevano a... cioè, durante il fascismo...»
«Ma figurati. Non è un fascio militante, è più che altro innamorato perso di Mussolini. Infatti ho sempre avuto il sospetto che mio padre sia un finocchio represso. Secondo me si fa le seghe guardando il busto del duce.» Raffaele mise le mani sul petto e fece un'espressione estatica. «Oh! Sì! Benito! Frustami col fascio! Mmmh! Non sono stato abbastanza maschio, nerbami!»
Nico non riuscì a capire se stava trovando quella scenetta più imbarazzante o divertente. Nel dubbio ridacchiò.
«Su quel genere, insomma. Sai, il tipico omofobico che è omofobico perché in realtà non accetta la propria omosessualità.»
«Omocosa?»
«Omosess...»
«No, la parola prima.»
«Omofobico. È una persona che tipo... è contro i gay, che li odia. Cioè, ora che ci penso non ho mai sentito mio padre dire qualcosa sui gay. Non so cosa ne pensa davvero.»
«Ma che parola è? Te la sei inventata? Non l'ho mai sentita.»
«Ma no. Non mi ricordo dove l'ho sentita, ma esiste. È tipo xenofobia, il senso è simile. Forse, adesso che ci penso, si dice omofobo, non omofobico. Va be', hai capito.»
Nico rifletté sul termine. «Ma cosa c'entra la fobia, scusa? Fobia non significa paura? Tipo claustrofobia. Mio padre... lui... mica ha paura di me.» Nico si sentì arrossire. Si vergognava, ma era in qualche modo anche liberatorio, potersi confidare.
«Però forse ha paura dei tuoi sentimenti. E reagisce a questa paura con la violenza.»
«Non ha paura. Gli fanno schifo. Li disprezza. È diverso. Quando una cosa ti fa schifo mica detto che ne hai paura. A me fa schifo la carne, ma...» Nico si fermò nel mezzo del suo ragionamento ad alta voce.
In realtà lui aveva paura davvero. La sua repulsione nascondeva una sorta di paura, paura di rivivere nella mente quell'orribile esperienza, quell'atroce senso di colpa che ancora lo perseguitava in qualche incubo.
«Ma? Perché ti sei fermato?»
Nico scosse la testa. «No. Niente. Forse hai ragione tu.»
«Ti fa schifo la carne? Anche il pesce? Sei vegetariano?»
«Fatti i cazzi tuoi» rispose brutalmente Nico.
Raffaele alzò le mani. «Ok, ok, non vuoi parlarne, capito.»
Attesero qualche altro minuto in silenzio, prima che il telefono pubblico squillasse.
«Papà?» disse Raffaele rispondendo. «Ciao! No, non ho fatto niente io, giuro. Un mio amico ha un grosso problema.»
Raffaele spiegò la questione al padre, mantenendosi sul vago come aveva promesso, e ogni tanto spiegava a Nico ciò che il padre spiegava a lui. Alla fine, per far prima, decise di passarglielo.
«Allora, le questioni legali sono due» disse il padre di Raffaele senza nemmeno presentarsi. «Uno: tuo padre ha la patria potestà su di te perché non sei maggiorenne, perciò se lui non ti autorizza a partecipare a questo torneo non c'è legge che ti tuteli. In teoria dovresti avere anche un'autorizzazione scritta da parte sua e mi stupisce che al torneo tu non l'abbia dovuta esibire.»
«Al momento dell'iscrizione non me l'hanno chiesta.»
«Sei fortunato che in Italia le cose si fanno sempre a cazzo di cane. Comunque se tuo padre si fosse reso conto di questo, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata andare dai direttori del torneo a farglielo presente. Invece ti ha minacciato di spiattellare le tue questioni private per dissuaderti dal restare. È evidente che non sa come agire e pensa che tu abbia tutto il diritto di stare lì.»
«È un bene, no?»
«Certo che lo è. Ma mo' veniamo alle informazioni private che tuo padre vuole diffondere. Purtroppo non esiste legge che ti tuteli.»
«Com'è possibile?» chiese Nico incredulo. «Cioè... tipo... non è diffamazione?»
«Aspetta. Non avevo finito. Non c'è legge ma esistono delle sentenze della cassazione che hanno difeso il diritto alla riservatezza. Gli avvocati del mio studio le hanno usate, per qualche cliente, ma non essendo leggi sono di difficile applicazione. Esiste poi l'articolo sulla diffamazione nel codice di diritto penale. Di solito si applica quando le informazioni diffuse sono false, ma è applicabile anche in caso di lesione della dignità personale. Diciamo che è una questione controversa e molto sta alla bravura dell'avvocato. Le informazioni che tuo padre vuole diffondere mi pare di capire non siano false.»
Nico chiuse gli occhi. «No. Non lo sono.»
«Conoscendo le amicizie discutibili di mio figlio immagino si tratti di uso di stupefacenti.»
Nico restò per qualche istante senza fiato. «Cos... no! No! Ma è impazzito?»
«Non serve che ti difendi, non me ne frega assolutamente niente di quello che fai. Sappi però che se è questo il caso sei tu nel torto, perché la detenzione e l'uso di stupefacenti...»
«Non è questo il caso! Si tratta di questioni... eh... diciamo sentimentali.»
Il padre di Raffaele fece una risatina. «Ho capito. Relazioni discutibili. Non raccontarmi i dettagli, non mi interessano. Sei un po' più fortunato, ma si tratta di questioni in cui è difficile dimostrare che la loro diffusione lede la tua dignità e la tua reputazione.»
Nico si sentì d'improvviso piccolo e impotente. «Quindi non c'è nulla da fare.»
«Non ho detto questo. Se tuo padre non si rende conto che può far valere su di te il suo diritto di patria potestà, figuriamoci se ha idea di cosa sia il diritto penale in tema di diffamazione. Ho già detto a uno dei miei avvocati di preparare una lettera di diffida in modo da spaventarlo. È una specie di bluff, ma con uno sprovveduto come tuo padre dovrebbe bastare. Perdonami la franchezza.»
Nico si stupì nel sentire suo padre definito in quel modo. Sprovveduto. Aveva sempre pensato a lui come una figura autoritaria, sicura di sé. Ma era, dopotutto, un campagnolo. Un ignorante. Una persona colta e studiata come il padre di Raffaele se lo sarebbe divorato in due secondi, uno come suo padre.
«Wow, ma... una lettera, dice? Mio padre mi ha dato un ultimatum di un'ora.»
«Un'ora è un po' poco, ma penso che entro il tardo pomeriggio posso farti avere tutto.»
«E come? Con la rapidità delle poste...»
«Ma quali poste, con un telefax! Penso che l'hotel dove alloggia Raffaele abbia un apparecchio per riceverli.»
Un telefax! Nico aveva sentito parlare in tv di quella nuova tecnologia, ma non ne aveva mai visto uno dal vivo. Era molto curioso.
«Io... non so come ringraziarla.»
«Se è vero che non sei un balordo come i tipi che di solito Raffaele mi chiede di aiutare, ringraziami tenendo mio figlio lontano dai balordi.»
«Va bene» rispose Nico, senza capire bene a cosa il padre si stesse riferendo.
«Ti passo all'interno dell'avvocato a cui dare le tue generalità e quelle di tuo padre. Buon torneo.»
Nico non ebbe neanche modo di salutarlo, venne subito reindirizzato. Rispose a tutte le domande, ripassò il telefono a Raffaele che diede all'ufficio informazioni sull'hotel a cui inviare il fax e la chiamata infine si concluse.
«Ma tuo padre è una persona fantastica! A parlarci non avrei mai detto che è un fascio» commentò Nico.
«Ah, sì, è gentilissimo, lui. Un gran leccaculo. Lecca il culo perfino a me, non fa altro che darmi soldi e farmi regali. Tutto quello che gli chiedo me lo dà. Non ci fosse stata mia madre che me lo fa vedere tipo due volte all'anno, penso che sarei venuto su un bel viziato prepotente di merda.»
«Non mi pare che tua madre si faccia molti problemi a darti soldi. O tu a chiederglieli. Mi ricordo ancora quel giorno a Pordenone: mamma sgancia cinquantamila lire...»
«Va be', ma che vuoi che siano cinquantamila lire? Se le chiedevo cinquecentomila lire col cazzo che me le dava!»
«Credo che io e te abbiamo un'idea un po' diversa di quanto siano pochi soldi.»
Raffaele abbassò lo sguardo, come se d'improvviso si sentisse a disagio.
Nico decise di toglierlo dall'imbarazzo levandosi di torno. «Avevo detto a mio padre che dovevo fare la doccia e devo farla davvero: puzzo come un caprone.»
«Sì, io pure dovrei andare a scaldarmi un po'. Come fai a temporeggiare fino a stasera con tuo padre?»
«Un modo me lo invento. Ora ci penso, sotto la doccia.»
Raffaele annuì. «Digli che vuoi vedere la mia partita, magari.»
«Non credo che funzionerebbe...»
«Va be', ti lascio andare. Mi trovi nello spiazzo, nell'area giocatori dove si scaldano tutti.»
Raffaele si allontanò, ma Nico lo fermò. «Ehi, Raf!»
Lui si voltò.
«Io... grazie.»
Raffaele gli regalò un sorriso. E Nico si rese conto di non aver mai visto sul suo volto un sorriso, felice, aperto, sincero come quello. I suoi occhi brillarono di nuovo, per un istante. «No, grazie tu» disse.
«E di cosa?»
«Te l'ho già detto, Nic. Di esserti fidato.»
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Note 🎶
Sorcini ne abbiamo tra i lettori?
Scelta musicale a parte, Raf si mostra davvero un buon amico. Ma cosa significa secondo voi quello sguardo sognante?
E come reagirà il babbo alla diffida, se gli arriverà?
Ci rileggiamo lunedì in piena settimana ferragostana e lasciatemi una stellina per ogni granello di sabbia che vi si infila nel letto e vi fa dormire male dopo una giornata in spiaggia (la mia soluzione infatti è: niente spiaggia, w la montagna).
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