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28. Al mondo siamo io e te

Se mi fai l'amore ti
canterò come se
fossi una canzone

(G. Bigazzi, U. Tozzi, Tu, 1978)

Avviso importante: la versione che state per leggere di questo capitolo è stata pesantemente editata per non violare le regole di Wattpad. Ho tagliato alcune parti e riscritto altre, cercando di non cambiare il senso di ciò che accade. Per leggere la versione completa del capitolo trovate un link a un PDF pubblico qui a destra. Vi prego di leggere quella versione perché più completa, autentica e aderente alle mie intenzioni narrative e psicologiche.

Per questo capitolo è particolarmente importante perché ho dovuto tagliare veramente tanto, se leggete la versione di Wattpad la portata drammatica degli eventi è pesantemente ridotta.

Leo cambiò espressione. «Oddio, cosa è successo?» chiese, preoccupato. «Non sei contento di vedermi?»

Nico era talmente sotto shock dalla delusione che si lasciò sfuggire la verità. «Ce l'hai già...» sussurrò.

«In che senso? Non mi dire che...»

Nico si sentì un'idiota per averlo detto. Un po' più di prontezza e avrebbe potuto far finta di niente. Ma ormai...

Aprì lo zaino e tirò fuori il pacchettino. «Sono un coiòn. Avrei dovuto pensarci che era un regalo abbastanza scontato, per uno come te a cui piace la musica.» Si strinse nelle spalle. «Bon dai, vorrà dire che lo userò io.»

Leo fissava il pacchetto con la bocca aperta, da cui usciva della condensa di freddo talmente densa da sembrare fumo di sigaretta. «Cioè questo... era per me? Mi avevi comprato un Walkman?»

Nico annuì. Fece per rimettere il pacchetto nello zaino ma Leo lo fermò. «No, no, aspetta! Posso aprirlo?»

Nico alzò le spalle e glielo porse. «Se vuoi... è uguale al tuo, eh!»

Leo scartò il pacchettino e osservò la scatola. Era serio, sembrava concentratissimo, come se stesse decifrando un qualche messaggio alieno. «Diobòn, Nico! Ma perché non mi hai detto niente?»

«Ma perché non mi hai detto niente tu, piuttosto! Io non ti ho detto niente perché volevo farti una sorpresa, ma... cioè, da quanto tempo ce l'hai?»

«Presente un mese fa, quando ti avevo detto che mia mamma è venuta a trovarmi? Mi ha portato questo regalo di Natale in anticipo da parte del nonno. In caserma ero terrorizzato che me lo fregavano, ma per fortuna non sono così tanto stronzi. Lo hanno voluto provare tutti! E da quando è venuta giù mia mamma, ci siamo sentiti solo due volte e tutte e due le volte non mi è venuto in mente di dirti, perché abbiamo parlato soprattutto di oggi, di quando ci vedevamo e...» Leo sorrise. «Son così contento che ti vedo, finalmente! E mi hai preso un walkman! Nico! Non dovevi!»

«Ma sì, dai, quante vite. Ti ho detto che lo tengo io. Guarda che prima o poi me lo compravo» mentì Nico, già pensando se fosse possibile restituirlo e farselo rimborsare. Lo scontrino l'aveva tenuto.

«No, no. Aspetta. Posso tenere io questo qui e ti do il mio?»

Nico aggrottò le sopracciglia. «Perché? Cosa cambia, non sono uguali?»

«Ti giuro che è nuovissimo anche il mio, l'ho tenuto da conto, guarda.» Glielo mostrò e sembrava davvero nuovo, doveva averlo custodito molto gelosamente, durante quel mese. «Però voglio avere il tuo.»

«Ma cosa cambia?»

«Cambia che è il tuo!»

A Nico sembrava un discorso senza senso, che per giunta gli impediva di restituirlo. Ma Leo sembrava così contento di avere proprio quel Walkman, che alla fine Nico cedette. «Bon, ok, se ci tieni tanto va bene.»

Leo aprì la confezione e tirò fuori il Walkman, sorridendo. Poi diede il suo a Nico. «Tieni anche la cassetta che c'è dentro, tanto è una cassetta pirata che ho comprato da un vucumprà, me la ricompro. Ascolta la prima canzone del lato A! Te la volevo proprio fare sentire!»

«Che cos'è, un pezzo di liscio?»

«Ma no, mona, non ascolto mica solo liscio. È una canzone italiana bellissima. Ascoltala!»

«Ok, dopo la sento.»

«Ah, ti ho preso un regalo anch'io.»

Ma dai?

Nico non se l'aspettava. Leo non gli sembrava tipo da regali. Cercò di indovinare cosa fosse e immaginò qualcosa di oltremodo banale come una bottiglia di vino o un paio di calzini.

Invece il pacchetto che Leo aveva appena preso dal suo zaino militare aveva tutta l'aria di essere un libro. E un libro grosso, per giunta.

Non è che mi ha regalato un dizionario, il mona?

«Spero che ti piace, mi ha consigliato la commessa secondo quello che gli ho detto io.»

Cosa significa "quello che gli ho detto io"? Non parliamo mai di libri, non conosce i miei gusti.

Nico decise che non aveva senso aspettare oltre facendosi domande, quando la risposta era lì a portata di mano. Scartò il pacchetto e ne emerse un volumone a copertina rigida de Il signore degli Anelli. Nico spalancò la bocca per lo stupore. «Ma dai! Ma sai che era da tanto che volevo leggerlo?»

«Dai, grande! Ero terrorizzato che l'avevi già letto, perché la tipa mi ha detto che è un libro tantonon famoso, infatti mi pareva che l'avevo sentito nominare. Bon, insomma, le ho detto: ho questo mio amico che gli piace un sacco leggere, e lei: che genere? Io non sapevo mica! Però mi ricordavo che eri andato a vedere al cinema Guerre Stellari e mi hai detto che ti era piaciuto, no? Allora le ho detto: qualche bel libro di avventura tipo Guerre Stellari, e lei mi ha detto: se gli piace l'epica gli piacerà sicuramente Il Signore degli Anelli. E io pensavo, ma l'epica non è tipo l'Iliade e l'Odissea che abbiamo studiato in prima superiore? Cioè, io non l'ho mai studiata più di tanto, però mi ricordo che era una delle poche robe di scuola che mi erano piaciute, l'Iliade e l'Odissea, la storia di Ulisse, quella roba lì, avevo anche preso sette nell'interrogazione, mi ricordo, uno dei pochi sette che ho preso in vita mia, e insomma ho pensato, grande! Nico legge il libro e poi se è una storia bella tipo l'Odissea, poi magari mi racconta la storia! Cosa ne pensi?»

Nico sorrise. «Che mi hai fatto un regalo bellissimo e non me l'aspettavo. Grazie!» 

Fece per aprire il libro ma Leo gli bloccò la mano. «No, no, leggilo dopo. Ti ho scritto una roba nella prima pagina, preferisco se la leggi quando sei da solo.»

Nico si chiese se doveva imbarazzarsi preventivamente. «Va bene.» Infilò il libro nello zaino.

«Piuttosto, visto che il regalo ti è piaciuto, cosa ne dici di... ringraziarmi in qualche modo?» La piccola stazione era deserta e Leo stava parlando ad alta voce. Il suo sguardo si fece serio. «Ho tanta di quella voglia, Nico. Ho bisogno di...» Si tolse un guanto e allungò una mano nuda verso di lui, Nico fece lo stesso e gliela toccò. Da quanto tempo non si toccavano! Nico gliela prese, la strinse, si affiancò a lui e iniziò a camminare.

«Ma cosa fai, sei scemo? Metti che arriva qualcuno e ci vede mano per mano?» Lo disse, ma non accennò a mollare la presa, anzi la strinse di più.

«Tengo sempre così la Lucia, quando camminiamo. Ma pensa che bello che sarebbe, se potessi tenere così te. Davanti a tutti, dico.»

«Nooo, io mi vergognerei un casino.»

Nico si strinse nelle spalle. «Forse anch'io, non so. Mi vergogno persino con la Lucia.»

«Quello forse perché è finto.»

Nico gli prese la mano anche con la seconda, ancora guantata. La alzò e la portò al proprio cuore. «Questo invece è vero.»

«Sì» disse Leo. «È l'unica cosa vera della mia vita.» Accennò un sorriso. «Allora ci imboschiamo o no?»

Nico roteo gli occhi. «Visto che anche il mio regalo ti è piaciuto, anche se era un doppione, facciamo la famigerata posizione numero sessantanove così siamo contenti tutti e due?»

Leo sbuffò. «Quando smetterai di prendermi per il culo per quella cazzata?»

Nico rise. «Mai!» 

«E comunque non possiamo metterci da nessuna parte a farla...»

«Andiamo là dietro!» disse Nico, indicando il fitto di acacie spoglie dietro la ferrovia.

Corsero lì, si inoltrarono e quando la stazione dietro di loro quasi non si vedeva più, Leo spinse Nico su un albero e si baciarono, si tolsero anche il secondo guanto e si toccarono con frenesia a mani nude. Si levarono le rispettive sciarpe per baciarsi anche sul collo. Sette mesi. Erano passati sette mesi dall'ultima volta che avevano avuto un rapporto. 

[...]

Fu un rapporto rapido, e alla fine Leonardo strinse forte Nico e gli uscì un singhiozzo di pianto.

Nico strinse le sue braccia. «Cosa c'è? Cosa ti prende?» 

«Scusa.» Leonardo si ricompose subito. 

Nico lo osservò, gli accarezzò la guancia rasata con le dita nude. «È successo qualcosa in caserma?»

«Non è che è successo qualcosa in caserma... è la caserma! Mi sento stupido a lamentarmi, perché a parte qualche flessione non mi hanno mai fatto fare niente di punizione, anzi, sto abbastanza simpatico a tutti. E il lavoro e gli addestramenti sono molto meno pesanti della fabbrica. E abbiamo uno in camera che è praticamente il capo in cucina e ci dà sempre i pezzi migliori col rancio, e... vedi? Dovrei essere contento, no? Dimmi che dovrei essere contento e che non dovrei lamentarmi come un bambino ricco viziato.»

«E cosa c'è che non va?»

«A parte che mi manchi tu, dici? Quella è una cosa. Ma non è l'unica cosa. C'è qualcosa di più... di più... uffa, non mi vengono le parole giuste, sai che sono ignorante e non sono bravo a parlare.»

«Vuoi un dizionario?» scherzò Nico. Ma quando vide che l'altro era in angoscia cercò di aiutarlo. «Dimmelo con parole tue. Tu, quando vuoi, le parole le trovi sempre. Come quella canzone bellissima che hai scritto.»

L'ombra di un sorriso distese le labbra di Leo, per un istante. «È un ambiente troppo maschio. Mi viene questa parola e secondo me è quella giusta. Maschio nel senso che... cioè... tipo i miei amici di Mossa, il Dondi, Loris, anche loro sono maschi e non è che fanno le femmine. Però sono maschi in un modo più... più normale, ecco. E quindi quando vado fuori con loro faccio qualche scena, se tipo passa una tettona le fischio dietro anche se non mi interessa, oppure faccio commenti: quella è figa, quella è un roito, ma stop. Gran parte del tempo non devo fare finta di niente, ok? Anche perché per fortuna non sono uno di quei finocchi checca, no? Cioè, almeno, non mi pare, nessuno mi ha mai detto checca in vita mia, se ero checca secondo me qualcuno che mi perculava lo trovavo, no?»

Leo rimase in silenzio, come se aspettasse una rassicurazione da Nico su quel punto, che annuì per invitarlo ad andare avanti.

Anche Leo annuì. «Ok. Lì in caserma, invece, mi sembra che è sempre una gara a chi è più maschio di tutti. Sempre, in ogni momento. E io ho paura, Nico. Ho paura che qualcuno si accorge che non son maschio avonda, e questa cosa qua mi stressa tantonononon. Di notte Bonsignore, il mio vicino di branda, mi ha detto che tipo faccio così coi denti e faccio tantissimo rumore,» Leo si mise a digrignarli strofinandoli tra loro, «che non mi sembra che io ho mai fatto una roba simile in vita mia, perché fino a due anni fa dormivo in camera con Paolo, e se facevo una roba simile figurati che Paolo non mi diceva. E infatti dopo che Bonsignore mi ha detto questa roba, mi sono accorto che di mattina mi svegliavo con tutto qua che mi faceva male,» Leo si toccò la mandibola, «e da quando mi ha detto non riesco più a dormire bene perché ho paura di fare così coi denti, che gli altri si accorgono e pensano che ho qualche malattia mentale, o non so, e poi pensano che non sono troppo maschio perché i maschi non fanno così coi denti. E di questa cosa non posso parlare con nessuno, neanche con te al telefono perché ho sempre qualcuno intorno che mi ascolta. Ti chiamo e ti voglio dire un sacco di robe e non ti dico mai quasi niente, solo monate, perché ho paura che qualcuno sente e pensa chissà cosa, e...» Leonardo aveva il fiatone. Si fermò per respirare, e ne approfittò per accendersi una sigaretta.

«Leo, mi dispiace. Ma non devi stressarti. Tu non hai niente di effeminato, nessuno potrebbe mai capire qualcosa. Di cosa hai paura? Se mi hai detto che ci vai d'accordo e...»

«Ma io non ce la faccio più di fare questa recitazione!» sbottò lui. «Mi sento che devo esagerare come esagerano loro e faccio fatica, ogni minuto, ogni secondo, faccio fatica, hai capito? E son solo come un cane!» La sua voce si incrinò. «Nico, poi leggi quelle cose che ti ho scritto davanti al libro, ti ho scritto un pezzo di una canzone, e secondo me son le parole giuste. È la canzone che c'è nella cassetta, nel Walkman. Ti ricordi? È la prima del lato A. Così se vuoi, quando la leggi, la senti mentre leggi.»

«Le posso leggere adesso?»

«No, per favore, leggi dopo che mi vergogno.» Leo diede un tiro lunghissimo alla sigaretta. «Due pacchetti faccio fuori. Due! Son troppi ma di meno non riesco, son l'unica cosa che mi sembra che mi tira via il nervoso e la paura. Praticamente i soldi di diaria li butto via tutti in sigarette, che mona.»

«E in fabbrica perché c'è puzza di mentolo, e qua perché sei nervoso... hai sempre la scusa per fumare, tu.»

Leonardo non rispose, diede un altro tiro. L'aveva appena accesa ed era già quasi finita. «Sei l'unica persona in tutto il mondo che mi conosce, Nico.»

Quelle parole lo commossero. Allargò le braccia. «Spegni quella sigaretta che sennò mi bruci.»

Leonardo la strofinò contro una corteccia e si buttò in quell'abbraccio come se fosse l'ultimo.

***

Nico e Leo si salutarono alle sei e mezza. Tanta era la voglia di stare insieme che le ore volarono. Trascorsero tutto il tempo nel bosco, a passeggiare tra gli alberi, cercando di non addentrarsi troppo per non perdersi. Nico raccontò a Leo del tennis, e di come andava la preparazione al torneo che avrebbe giocato a inizio gennaio, e Leo era talmente felice che quasi non espresse gelosia per Novelli. Ma fu soprattutto Leo a parlare, raccontando la vita di caserma, e Nico ascoltò avidamente, perché sapeva che entro due o massimo tre anni (se prendeva l'esenzione per finire le superiori) sarebbe toccata a lui. 

Era una prospettiva che non gli piaceva per niente, perché a meno di non finire tra i Vigili del Fuoco, sarebbe stato costretto a maneggiare armi. Era tentato di fare richiesta per l'obiezione di coscienza e il servizio civile, ma suo padre l'avrebbe diseredato e disconosciuto per sempre come la vergogna della famiglia, se l'avesse fatto.

Maneggiare un fucile. Come quel giorno alla battuta di caccia. Quel giorno orribile i cui ricordi ancora ogni tanto lo perseguitavano. Non mangiare più carne e non pensare più alla caccia lo aveva aiutato a superare il senso di colpa, ma Nico aveva paura che toccare di nuovo un arma potesse risvegliare le brutte emozioni.

L'addio fu un bacio lunghissimo. Si salutarono al limitare del bosco, da dove presero strade separate, Leonardo verso la fermata della corriera, Nico verso il centro.

Tornò a piedi al Caffè Centrale, prendendo strade secondarie in modo da non rischiare di incontrare il padre, magari arrivato in anticipo. Aveva già pronta un'eventuale scusa se avesse visto Nico sbucare dalla strada laterale («Stavamo facendo una passeggiata») e sapeva già come giustificare il fatto che era solo («La Lucia è tornata a casa un po' prima perché era stanca»).

Non aveva lasciato Leo da neanche un minuto, quando, impaziente e curioso, Nico estrasse il libro dallo zaino, per leggere la famigerata dedica.

Non aveva mai visto la grafia di Leo ed era davvero orribile. Il messaggio era molto breve.

Roma Termini, 22 dicembre 1982

Caro Nicolò,
ti scrivo a matita così se non ti piace puoi cancellare. 
Spero che questo libro ti piaccia e che quando lo leggerai penserai a me.
Ti scrivo un pezzo di una canzone di Umberto Tozzi  che mi piace moltissimo.

Canterò e camminando sveglierò
Chi sta sognando più di me
Al mondo siamo io e te
Ragazzo triste canterò
La pioggia perché venga giù
Il vento che si calmi un po'
Il cielo perché sia più blu
E mi sorrida tu

L.

Al mondo siamo io e te. Aveva sottolineato quel verso. 

E ne capì il senso. Sei l'unica persona in tutto il mondo che mi conosce, Nico. Ed era vero anche il contrario. Leonardo era l'unico con cui Nico potesse essere pienamente se stesso.

Rilesse tutto il messaggio e qualcosa gli oppresse il petto, emozioni contrastanti. Una parte di lui pensava che fosse un messaggio stupido, troppo semplice, pensieri da tema delle elementari: spero che ti piaccia, spero che mi pensi. 

Ma cosa c'era di male nella semplicità? Quello era Leo, un ragazzo che Nico amava con tutti i suoi difetti e la sua ignoranza.

Ripose il libro nello zaino e tirò fuori il Walkman. Tolse un guanto per maneggiare i pulsanti. Lato A, andava riavvolto un pezzo; sulla cassetta arancione c'era un'etichetta con scritto a penna "Umberto Tozzi -Tu". Nico premette il pulsante di rewind. Come il titolo della canzone di Leo.

A Nico non piaceva Umberto Tozzi. Non gli piaceva la sua voce un po' stridula e non gli piacevano i suoi pezzi sdolcinati.

Ti aaaamooo, ti amo ti... che palle. 

Si chiese se il verso fosse tratto da quella canzone orribile, non la conosceva a memoria e poteva anche darsi fosse proprio quella. Sperava di no.

Il Walkman emise un sonoro tlack quando il riavvolgimento terminò. Nico infilò le cuffie, infilò il Walkman – il suo Walkman, che era stato di Leo – nella tasca del giubbotto, fece partire la cassetta. 

La musica iniziò mentre Nico indossava di nuovo il guanto. Era molto enfatica, c'erano campane, c'era la voce troppo acuta di Tozzi che sillabava tu-ru-tuttuttù, proprio il tipo di robaccia melodica che piaceva a Leonardo. 

Camminando Nico ascoltò. Il testo era strano, pesi più della gommapiuma? Ma cosa significava?

Ed ecco il ritornello. I versi che Leo aveva scritto sul libro. La musica gli sembrò troppo facile, troppo popolare, troppo melodica, come un dolce troppo dolce, un film troppo svenevole, un'emozione gridata in modo troppo esagerato, ma quella melassa di sentimentalismo lo investì, lo commosse senza che potesse farci nulla. Lì, dentro le cuffie, immerso nella musica e isolato dalla realtà, al mondo c'erano solo lui, la musica e Leo, che stava cantando in prima persona quei versi.

Si dovette fermare e appoggiare a un muretto, sopraffatto. Era successa più o meno la stessa cosa quando Leo gli aveva cantato quella canzone d'amore con la fisarmonica. 

E non gli piaceva. Perché quella musica era robetta da niente, e lui non era un ragazzo da niente. 

Lui amava Leo in modo profondo e razionale, consapevole. Provava affetto per lui, voleva il suo bene e voleva il suo corpo. Quelli erano sentimenti con cui poteva venire a patti.

Ma farsi coinvolgere e commuovere da parole troppo facili, abbassarsi al livello della sempliciotteria di Leo, no, quello non poteva accettarlo.

Fermò il nastro

Riprese a camminare a passo svelto e in cinque minuti fu davanti al bar.

Il padre era già lì.

«Ciao papà» disse Nico con nonchalance.

«La Lucia dulà ise?» chiese lui, cupo.

È già ostile e diffidente, devo disinnescarlo.

«Abbiamo camminato un po', era stanca morta, poverina. Allora l'ho accompagnata a casa a piedi e son tornato qua.»

Il padre non disse niente. Non sembrava molto di buonumore, ma capitava talmente spesso che Nico non si allarmò. Continuava a pensare alla dedica di Leo ed turbarsi in segreto. Non vedeva l'ora di tornare a casa e rileggerla, nonostante le emozioni ambigue che gli aveva suscitato.

«Sestu divirtissût?» chiese il padre dopo tre minuti di guida.

«Sì, abbiamo passato un bel pomeriggio.»

«Cosa avete fatto?»

«Mah, niente di speciale. Abbiamo preso una cioccolata, abbiamo parlato un po', abbiamo camminato un po'. Le ho dato il regalo, le è piaciuto tanto.»

Il padre, di nuovo, non commentò. Erano quasi arrivati a casa.

«È una ragazza tanto coccola, la Lucia» disse il padre, mentre varcavano il cancello di casa.

«Sì. È veramente una delle persone più coccole che abbia mai conosciuto» rispose Nico. E lo pensava davvero. Era una ragazza dolce, gentile, buona. Ogni volta che pensava a lei si sentiva in colpa della menzogna a cui la stava sottoponendo da mesi.

Il padre spense il motore, scesero dalla macchina.

«È talmente coccola, che un'ora fa ha telefonato per sapere se eri tornato a casa.»

Nico sentì il fiato mozzarsi nella sua gola. 

Non ebbe il tempo di reagire. Uno schiaffo violento e inaspettato sulla nuca lo fece barcollare in avanti. «Ludro bastard!» gridò il padre mentre lo colpiva.

Nico cercò disperatamente una scusa. «Ti posso spiegare...» disse.

«Ho chiamato i Devetak! Ho saputo che oggi quello schifoso tornava in licenza!»

«Non lo sapevo!» mentì disperatamente Nico, le ginocchia molli dalla paura, il diaframma che tremava. 

Sul portico apparve il nonno, petto in fuori, mani incrociate dietro la schiena. «A me non mi ha mai fregato, quel finocchio.» Aveva parlato in terza persona, ma Nico capì, dal fatto che avesse parlato in italiano, che quella frase era rivolta a lui.

Non mi hai mai fregato, a me. L'ho sempre saputo. E stavo solo aspettando che facessi un passo falso.

Nico si sentì strattonare da un braccio, il padre lo trascinò dentro casa, e mentre lo trascinava gli tolse lo zaino dalla schiena. «A chi l'hai dato quel ciondolino?» sbraitò.

«Alla Lucia! Ti giuro! Alla Lucia, chiamala e chiedile! Ti posso spiegare papà, ti giuro!» implorava Nico cercando di aggrapparsi allo zaino. 

Ma le sue mani erano deboli per la paura, e il padre ebbe la meglio. Dentro casa, la madre li accolse in silenzio, ma con le lacrime agli occhi.

«Non ti vergogni che fai piangere tua madre?» berciò il padre. Fece cenno di volerlo colpire di nuovo, Nico nascose la testa nelle spalle.

Il padre aprì lo zaino.

«No!» disse Nico, afferrandolo, tirandolo verso di sé.

«Cosa c'è qua dentro? Che porcheria c'è?» 

«Ridammelo!»

Il padre ignorò il walkman, tirò fuori il libro. «Il Signore degli anelli? Che roba e?»

«È un romanzo! È il regalo della Lucia» rispose Nico, sperando che il padre si fidasse e non lo aprisse.

Ma lo aprì. 

«No!» Nico si aggrappò, cercò di strapparglielo di mano, piegando la copertina nello sforzo, strappando un po' una pagina.

Il padre lo strattonò, si allontanò da lui dandogli la schiena.

«Papà! Ridammelo!» gridò Nico, con la voce ormai rotta dal pianto, disperato perché non poteva più mentire.

«Elle. Elle di Leonardo!»

Nico ebbe un'improvvisa illuminazione. «No! È elle di Lucia!»

«Questa è una scrittura da maschio! E sopra c'è scritto Roma Termini! Non peggiorare la tua situazione!»

Il cervello di Nico cercò disperatamente una scusa, una bugia. «Ti giuro che...»

«Ha chiamato due ore fa per sapere quando tornavi, brutto falso finocchio schifoso! Son due ore che ti aspetto a Gradisca!»

«Ma...»

«Che schifo» disse il padre scorrendo con gli occhi la dedica. «Come le femmine! Peggio delle femmine! Tre femmine, ho avuto! Tre femmine!» Il padre gli tirò il libro addosso, e non fu tanto il dolore della botta a farlo piangere, quanto quello delle parole.

Lo colpirono, in un momento in cui era ancora scosso per quelle emozioni da quattro soldi, da femminuccia, quel suo commuoversi ascoltando i versi della canzone di Tozzi, e in quel momento desiderò davvero essere nato femmina, non dover provare quella vergogna, poter stare con Leo liberamente e tenersi per mano davanti a tutti, andare a mangiare il gelato a Gradisca e darsi teneri baci sui divanetti. Con l'approvazione dei suoi genitori.

«No, 'spetta, ridammelo qua quel libro» disse il padre. Lo raccolse prima che Nico potesse capirci qualcosa, si diresse al caminetto acceso e ce lo lanciò dentro.

«Noooo!» Il grido di Nico fu feroce, disperato. Non si trattenne. Corse verso il fuoco. «Il regalo, no!» Prese l'attizzatoio per far rotolare il libro fuori dalle fiamme, ma il padre glielo strappò di mano e colpì Nico sulla schiena con l'arnese, poi lo scaraventò lontano, in centro al salotto.

«Jacum! Fâs planc!» gridò la madre.

«Sta' indaûr, femine!» gridò lui, mentre già teneva Nico da dietro, da sotto le ascelle, lo teneva fermo, lui si divincolava.

«No! No! Fammelo tirare fuori! Ti prego! Ti scongiuro!» gridò Nico con la voce rotta dal pianto, mentre le fiamme già iniziavano ad attecchire sul volume. «Mamma! Mamma, ti prego aiutami! Tira fuori il libro! Ti prego!»

La madre si torse le dita, sembrava sul punto di piangere. «Oh, Jacum... par plasè... puar frut!»

«Tiralo fuori, ti prego! Non chiedere permesso a lui!» gridò Nico, frustrato, disperato, il libro ormai era praticamente perso.

«Guardalo! Guarda come brucia! In casa mia queste porcherie non ci entrano!» disse spietato il padre.

«Noo! Noo!» 

Le pagine si annerivano, si deformavano. Un fuoco giallo brillante guizzava sopra al volume. Nico pianse. Non riuscì a far altro che piangere.

«Frutute viziade» commentò il nonno, cupo. Nico nemmeno si era accorto che fosse rientrato in casa.

Il padre finalmente lo lasciò andare, perché evidentemente per il libro non c'era più niente da fare. Nico cadde sulle sue ginocchia, e strisciando sulle ginocchia si avvicinò al fuoco. 

Guardò il libro.

Era la prima pagina, quella? Era una scritta a matita? Nico non avrebbe saputo dirlo.

Le parole di Leo erano perse per sempre.

--

Note

Padre crudele, nonno senza cuore, madre codarda: Nico si ritrova davvero una bella famiglia. E adesso? Cosa succederà secondo voi? Come reagirà Nico a questa batosta? Che conseguenze ci saranno?

E cosa ne pensate dei timori di Leo in caserma? Secondo voi sono fondati o si fa troppe paranoie?

Due note sulla canzone: Tu di Umberto Tozzi. Io come Nico non sono una grande fan di Tozzi (ammetto di aver fatto parlare Nico con la mia voce, nel capitolo, quando esprime i suoi giudizi mentali su di lui), non credo sia un cattivo cantautore melodico, solo non troppo affine ai miei gusti. Pensavo però che questo pezzo fosse perfetto sia per i gusti di Leo, sia per il significato emotivo del testo. È innegabile che abbia una melodia intrigante nel ritornello, una di quelle cose enfatiche e sentimentali che un po' non puoi evitare di fartici coinvolgere, anche se razionalmente non ti piacciono. Sappiate, poi, che è una canzone davvero importante, che tornerà più avanti, parecchio più avanti nella storia, non vi dico quando, ma in una scena davvero potente che mi ha smarmellato lo stomaco e le lacrime mentre la scrivevo (ogni tanto mi succede). Quindi tiè, beccatevi uno dei più grandi successi radiofonici del 1978 e aspettate con trepidazione il suo ritorno.

https://youtu.be/x39KPRT1BH8

Quest'oggi (lunedì) sono in viaggio per tornare ma sono riuscita ugualmente a postare, visto che brava? Risponderò ai commenti da domani in poi, però, per ovvie ragioni.

Ci rileggiamo giovedì, e lasciatemi una stellina per tutte le volte che Umberto Tozzi ha cantato la frase "Ti amo" nella sua quarantennale carriera.

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