24. Nos vies aient l'air d'un film parfait
Eh, toi, dis-moi que tu m'aimes
Même si c'est un mensonge
Et qu'on n'a pas une chance
La vie est si triste
Dis-moi que tu m'aimes
Tous les jours sont les mêmes
J'ai besoin de romance
Ehi, tu, dimmi che mi ami, anche se è una bugia e non c'è possibilità. La vita è così triste, dimmi che mi ami, i giorni sono tutti uguali, ho bisogno di romanticismo
(E. Medeiros, Amourex Solitaires, 1980)
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Nota censura: questo capitolo è rimasto invariato.
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Nico avrebbe voluto gridare e distruggere qualcosa. Ad esempio la faccia di Novelli.
Che nel frattempo si era fatto di nuovo serio ed era corso dietro all'arbitro. «Signor arbitro, la prego, non lo squalifichi. È colpa mia che l'ho provocato.»
«No» ribatté l'arbitro, «è colpa sua che non si è saputo controllare.»
L'arbitro aveva ragione. Era sempre così. Ogni volta che Nico perdeva il controllo le conseguenze erano amare.
Leo... non potrò stare con Leo...
Fu quel pensiero che lo spinse a un comportamento poco dignitoso. Corse anche lui dietro all'arbitro e lo implorò: «Signor arbitro, la prego. Questo torneo è molto importante per me.»
L'arbitro si fermò e fronteggiò Nico. «Se fosse stato importante, ci avresti pensato due volte prima di fare quella scenata assolutamente non dignitosa. Tu hai diciassette anni, giusto?»
Nico annuì. «La scongiuro...»
«La disciplina si deve imparare da giovani. Avete il cattivo esempio di McEnroe e pensate di poter fare quello che volete. Questa squalifica ti servirà ad avere maggior rispetto in futuro. Non cambio la mia decisione. Arrivederci.»
«È una decisione ingiusta. Io ho detto una parolaccia e mi hai solo ammonito» intervenne Novelli.
«Lui non ha detto solo una parolaccia, ti ha insultato e mancato di rispetto.»
«Non mi sono sentito mancato di rispetto.»
«È una decisione che spetta a me, e non ho altro tempo da perdere.»
«Ma...»
Nico trattenne Novelli per la spalla. «Lascia perdere. Ha ragione. La disciplina è importante. Ho dato davvero il peggio di me.»
«Çe isel chist bordèl?» arrivò il padre di Nico, e lanciò uno sguardo preoccupato alla mano del figlio che ancora indugiava sulla spalla di Novelli.
Nico la ritrasse. «Papà, non potresti stare qui dentro.»
«L'ho fatto entrare col mio pass, e mi permetto di chiederti anch'io che cazzo è 'sto bordello. Ho capito bene? Ti ha squalificato?» chiese Maurizio.
«Sì. Sono un cretino. Mi sono arrabbiato e mi son fatto squalificare.»
«Che cosa ti aveva detto questo cretinetti qua per farti incazzare tanto?» chiese il padre.
Novelli rise. «Cretinetti! Biga! Ma come parlate?»
«Non importa» disse Nico. «Non avrei dovuto incazzarmi.»
«Cosa hai fatto a mio figlio?»
Novelli alzò le mani. «Niente!»
Nico spiegò brevemente ciò che era successo, e mentre discutevano arrivò anche un'altra persona. Era una donna dall'età indefinibile tra i trenta e i sessanta, il fisico era snello e scattante e indossava una sbarazzina tuta da ginnastica color rosa, ma la faccia era cotta dal sole e reticolata di rughe.
«Ah, mamma menomale che sei arrivata» disse allegro Novelli. «Dovresti sganciare cinquantamila lire.»
«Che hai combinato stavolta? Ma soprattutto, ti sembra il modo di giocare quello? A questo scarso, qua, avresti dovuto batterlo cento volte di fila!»
«Mi scusi... chi è lei? Come si permette di parlare in questo modo di mio figlio?» intervenne il padre di Nico.
La donna incrociò le braccia. «Io sono...»
«Mamma, no, ti prego» la interruppe il figlio.
«Zitto tu! Sono...»
«Ti prego ti prego ti prego non lo dire!»
«...Patrizia Farini contessa di Monteprelati.»
«L'ha detto.»
«Ho vinto il torneo di doppio misto a Wimbledon nel 1960, ho avuto l'onore di palleggiare col grande Rod Laver e sono attualmente campionessa nazionale di dressage.»
«Di cosa?» mormorò Nico.
«Balletti gay coi cavalli» spiegò Novelli.
Nonostante la gravità della situazione, la definizione fece ridere Nico, anche se non aveva chiarito molto di cosa si trattasse.
«A mio figlio piace fare l'anticonformista e dire cose provocatorie, il dressage è uno sport di antica tradizione nobiliare, proprio come il tennis. Il mio punto è che sono un'atleta madre di atleta e ho gli strumenti critici per giudicare la mediocrità di suo figlio.»
«Be', ma le sembra questo il modo? A un ragazzino?» commentò Maurizio.
«Ma se me lo dici sempre anche tu che sono mediocre!» ribatté Nico.
«Cosa c'entra? Io sono il tuo allenatore e posso.»
«Comunque sto lavorando per migliorare» disse Nico, di nuovo serio.
«Vedo pochi margini di miglioramento. Ma torniamo a noi.» La contessa si rivolse di nuovo al figlio. «Cos'hai combinato? Ce le dovresti avere cinquantamila lire, se pensi di aver fatto un danno, usale.»
«Non ce l'ho, le ho spese» disse Novelli. «Questo ragazzo dovrà pagare una multa per colpa mia, mi sembra giusto risarcirlo.»
«Una multa? Oltre alla squalifica anche una multa?» chiese il padre sempre più arrabbiato.
Nico stava cominciando a trovare l'atmosfera pesante. «Scusate, ho bisogno di farmi una doccia.»
«Dove vai!» Il padre lo prese per un braccio.
Ma Nico lo strattonò. «Se non mi doccio subito esplodo!» Si liberò e se ne andò quasi correndo.
«Dove vai tu? Lascia in pace mio figlio!» sentì il padre dire alle sue spalle.
«Devo fare la doccia anch'io, ma che modi sono?» ribatté Novelli.
Fu l'ultima cosa che Nico udì.
Non gli piaceva fare la doccia negli spogliatoi comuni, ma ne aveva davvero bisogno. Ciò di cui aveva più bisogno, però, era parlare con Leo. E nell'area spogliatoi c'era un telefono pubblico. Lo avrebbe chiamato da lì.
Fu rapido con il lavaggio, acqua freddissima per togliere di dosso i bollori, lo fece stare meglio.
Infilò una maglietta pulita, e coi capelli ancora bagnati e in mutande corse alla cabina. Sarebbe stata una chiamata breve perché da Pordenone a Mossa la tariffa era interurbana.
Leo rispose subito.
«Salta tutto» disse Nico.
«No! No! No, cazzo! Ho preso ferie apposta! Ho sprecato un giorno di ferie per niente! Ma quindi hai perso?»
«Peggio.» Nico raccontò in poche parole cos'era successo.
«Eh ma sei un coiòn allora!»
A Nico venne quasi da piangere. «Sì! E ho preso anche una multa, come te col borderò! Siamo due coglioni, cazzo! Ci siamo proprio trovati!» Nico lasciò andare le lacrime. «Ci siamo trovati e io non so come farò senza te per un anno! Mi manchi, cazzo!» Il gettone cadde. «E sto già finendo i gettoni.»
Una mano spuntò sopra la sua spalla. Una mano con un rotolino di cartone.
Nico allontanò d'istinto la cornetta, la voce di Leo, che stava iniziando a dire qualcosa, si perse, non si udiva più.
E di sicuro non poteva udirla neanche il proprietario della mano, Novelli, che gli stava porgendo un rotolo di gettoni del telefono. «Usali pure tutti.»
«Grazie... ah...» Nico aveva ancora un po' di pianto in gola, lo inghiottì. «Puoi andare a farti i cazzi tuoi però?»
«Sì, tanto devo ancora fare la doccia.»
Merda... cosa ha sentito?
Nico ripercorse mentalmente le ultime cose che aveva detto, mentre infilava due gettoni nel telefono.
Ci siamo trovati... merda! Maschile! Ha capito che siamo due maschi!
Poi però si rese conto che avrebbe usato il maschile plurale anche se avesse parlato con una ragazza.
Ringraziando mentalmente con un sospiro di sollievo le regole grammaticali dell'italiano, riavvicinò la cornetta all'orecchio.
«Pronto? Ma ci sei? Ti stavo parlando!» disse Leo.
«Scusa, si era avvicinato un tipo.»
«Vediamoci lo stesso, domani» disse Leo.
«E dove? Ma lo capisci o no che mio padre mi sta addosso?»
«C'è Italia-Argentina domani alle cinque... tuo papà non va al bar con gli amici? Non riesci a trovare il modo di scappare un'oretta? Diobòn Nico, ti giuro, son disposto a non vedermi la partita, se mi dici dove possiamo beccarci...»
«E mia mamma secondo te non mi controlla?»
«Che palle! Per vedere la Lucia però il tempo ce l'hai sempre...»
«Sì, e mi accompagna mio padre e mi riviene a prendere, e una volta l'ho anche beccato che ci spiava! Non si fida! È già tanto che son riuscito ad allontanarmi dieci minuti adesso.»
«Nico! Io parto, cazzo! Ho la chiamata a Casale Monferrato il dodici luglio! Mi vuoi lasciare solo così? Lo capisci o no che la mia vita è una merda?»
«Non tirare di nuovo fuori questa storia! Li stai mettendo via o no i soldi per la fisarmonica?»
«Li metto via sì, quando riesco, ma sai quanto costa una fisarmonica buona? Non voglio una di mezza bigogna! E poi ho spese per vivere, sai? Non dipendo da mio nonno! E adesso che sto un anno in naja, da quello che ho capito la paga della naja è ancora più merdosa della fabbrica, tipo che mi basta a pelo per le sigarette e il treno dei congedi.»
«Smetti di fumare, vedi come aumentano i soldi.»
«Se mi togli anche le sigarette cosa cazzo mi rimane? Ti rendi conto che non ho un cazzo nella vita? Tu hai il tennis, la Lucia, leggi libri...»
«E leggi anche tu! Ascolta musica!»
«La ascolto. Sento la radio, però. Mi piacerebbe avere un mangianastri, sentire quello che voglio io. Ma è un'altra spesa.»
Nico rimase in silenzio per qualche secondo. «Se potessi ti aiuterei.» Infilò un altro gettone.
«Ti ho già detto una volta che non voglio la tua carità. Voglio il tuo cazzo» L'ultima frase la pronunciò a voce molto bassa. «Ho bisogno di vederti, sennò mi rimetto a bere.»
«Finiscila di ricattarmi!» sbottò Nico. «Ti voglio vedere anch'io, ma non posso. Non. Posso.»
«E io domani cosa faccio?»
Nico avrebbe voluto gridare dalla frustrazione, ma continuò a parlare a volume normale. «Io posso anche provare a... ma no! No! Cosa dico? Provare cosa? Non posso muovermi! Dovrei scappare di casa, lo capisci o no? E se scappo poi è ancora peggio! Senti, mi dispiace, ok? Mi dispiace che hai perso un giorno di ferie. Ma non posso fare niente! E se continui a farmi sentire in colpa mi fai solo stare male!»
«Bon, almeno così ogni tanto stai male anche tu.»
«Stronzo!»
Nico sbatté la cornetta sul telefono. Una, due, tre volte.
Poi sospirò. Cercò di respirare lentamente per calmarsi. Ma la rabbia era troppa e diede un ultimo pugno al telefono, cacciando fuori anche un grido secco.
Proprio in quel momento spuntò Novelli dallo spogliatoio coi capelli bagnati di doccia. «Cosa ti ha fatto la povera SIP?»
Stava andando via, aveva già il borsone con sé.
Doveva andarsene anche Nico, ma non voleva che suo padre li vedesse uscire insieme, conoscendolo si sarebbe di sicuro insospettito.
«Tieni» disse ridando il rotolino di gettoni a Novelli. «Grazie, ne ho usati quattro.»
Lui li riprese e fece spallucce. Fece per uscire, Nico lo fermò. «Scusa... se becchi mio padre, fuori, se ti chiede dove sono, per favore non dirgli che stavo al telefono.»
Novelli sorrise. «Relazione clandestina, eh? Cos'è? Più grande di te?»
Nico scosse la testa. «Non voglio parlarne.»
«Non preoccuparti, non dirò niente. Gli dico che stai ancora sotto la doccia.»
Doccia... uomini nudi... ragazzi nudi che si guardano... no!
«No no no, non dirgli che mi hai visto, ehm, in doccia. Digli... digli che sono seduto su una panchina dello spogliatoio, già vestito, mi raccomando, vestito, e sto fissando il pavimento con un'aria molto, molto triste, ok?»
Novelli rise. «Ma chi sei, Holden Caufield?»
Nico spalancò gli occhi. «Conosci il giovane Holden?»
«Finito di leggere il mese scorso, fichissimo.»
Nico fu per un attimo tentato di fare conversazione. Un ragazzo a cui piaceva leggere come a lui!
Ma non gli andava di stare lì dentro troppo tempo. «Ok. Grazie» disse. «Io esco tra un po'.»
«Di niente.»
Il ragazzino troppo magro se ne andò.
Nico attese qualche minuto, rimuginando su Leo e su come fare a vederlo, senza che gli venissero in mente soluzioni, e infine uscì.
Suo padre lo aspettava a braccia incrociate. «No mi plâs che tu stâs di besôl cun altris frus cros!» Non mi piace che stai da solo con altri ragazzi nudi.
«Ci ho messo tipo due minuti a fare la doccia e non c'era nessuno. Nello spogliatoio sono tutti vestiti, e io comunque stavo per conto mio. Avevo bisogno di stare un po' da solo a pensare, scusa.»
«A vaì come une frutute.»
«Non stavo piangendo.»
«Mi ha detto quel ragazzo che hai giocato contro, che eri seduto in un angolino a piangere. Come une frutute.»
Stronzo Novelli.
Del resto, era stato lo stesso Nico a dirgli di descriverlo triste, Novelli si era limitato ad arricchire un po' il racconto. E forse l'aveva reso persino più credibile agli occhi di suo padre.
Il padre di Nico lo invitò ad aspettarlo fuori, nel parcheggio, perché lui e Maurizio dovevano parlare con il direttore del torneo e capire come avrebbero dovuto pagare quelle cinquantamila lire di multa.
Nico uscì. E chi trovò fuori? Raffaele Novelli che fumava una sigaretta con due cuffiette che gli facevano da cerchietto sopra la testa. Appena vide spuntare Nico allargò le braccia e cantò qualcosa in francese: «No vièn lerdàn film paaaaarfè!»
Nico indicò le proprie orecchie, Novelli tolse le cuffie, mettendole intorno al collo, poi infilò la mano in tasca e qualcosa fece tlack!
«Cos'è? Ci stai ascoltando musica?»
«Sì! È un Walkman! Non ne hai mai visto uno?»
Nico aveva visto qualche pubblicità ma non se n'era mai interessato. Solo vedendolo usare a Novelli si formò nella sua testa per la prima volta un'idea.
Potrei regalarlo a Leo!
Novelli lo tirò fuori dalla tasca. Un parallelepipedo blu.
«Ma è minuscolo!»
«È un mangiacassette portatile.»
«Sì, lo so, non sono scemo.»
«Te lo faccio provare, senti.»
Novelli gli porse l'aggeggio, Nico infilò le cuffiette, le aggiustò per farle arrivare alle orecchie.
«Adesso premi Play, questo tasto qua.»
«Sì, lo so qual è il tasto Play, ce l'ho anch'io un mangianastri, eh.»
Ma dove pensa che vivo?
Nico fece partire il nastro e le sue orecchie furono sommerse di musica in stereofonia, una canzoncina francese allegra dal sound elettronico che aveva già sentito diverse volte in radio.
Era incredibile! Quei suoni escludevano il mondo, sembrava di entrare in un'altra dimensione, Nico non aveva mai ascoltato musica in cuffia e persino lui che non era un grande appassionato la trovava un'esperienza coinvolgente e bellissima.
Leo l'adorerebbe!
«Quanto costa questo affare?» chiese.
Vide Novelli ridere, prendergli il Walkman di mano e premere stop. «Non so quanto costa, me l'ha regalato mio padre. Comunque, stai attento quando parli con questa roba nelle orecchie, stavi urlando.» Novelli ridacchiò.
Nico tolse le cuffie e le restituì a Novelli. «Oh. Io odio urlare.»
«Sei un tipo un po' controllato, sì, me n'ero accorto. Anche in campo trattenevi sempre le esultanze.»
«Non mi piace dare spettacolo.»
Novelli alzò le spalle. «Se non fai un po' di spettacolo che gusto c'è a giocare?» Il suo sguardo si intristì e diede un tiro alla sigaretta. Poi fece un'espressione disgustata. «Le sigarette fanno proprio schifo.»
«Ma sei scemo? E allora perché fumi? Sei un atleta, ti fa male!»
Novelli alzò le spalle. «Boh. Perché mi annoio.»
Nico intravide il pacchetto spuntare dalla tasca.
Era la stessa marca che fumava Leo.
Gli prese d'improvviso un'intensa nostalgia, il desiderio bruciante di averlo accanto.
«La tua ragazza suona? Canta?» chiese Novelli giochicchiando con la sigaretta.
«Cosa?»
«Prima al telefono ho sentito che parlavi di borderò. È quello che compilano i complessi per suonare, no?»
«Sei davvero un pettegolo.»
«Ma no, dai! Era solo per chiacchierare.»
«Sì, suona la fisarmonica.»
«Wow, che strumento strano!»
«Sono Marlboro rosse?»
«Cos... oh, queste? Sì.»
«Me ne dai una?»
Novelli rise. «Ma non facevano male?»
«E non rompere. Me la vuoi dare o no?»
«Tieni.»
Nico si accese la sigaretta. Si riempì la bocca di fumo e sentì quello che cercava.
Quel sapore. Era il sapore amaro dei baci di Leo. I baci che aveva buttato nel cesso facendosi squalificare. Ed era probabile che sarebbe passata tutta l'estate senza che potesse più sentirli. Come avrebbe fatto? Come avrebbe fatto senza di lui?
«Non sei capace di fumare.»
«Eh?»
«Non aspiri. Tieni il fumo in bocca e poi lo lasci uscire subito.»
«Era proprio quello che volevo fare. Volevo solo sentire il sapore.» Nico guardò la sigaretta e prese in bocca un altro po' di fumo.
Era molto intenso e già iniziava a dargli il voltastomaco.
«Mmmmm....» disse Novelli.
Nico lo guardò. «Mmm cosa?»
Novelli fece un sorrisetto. «Credo di aver appena capito tutto.»
«Tutto cosa?»
«Più di quello che pensi.»
Il cuore di Nico accelerò dalla paura. Cosa stava insinuando quel ragazzino?
«Fumi questa sigaretta per sentire il sapore. Prima ho sentito un pezzo della tua telefonata. Dovevi vedere la tua ragazza qui, di nascosto, ma per qualche motivo non vi siete potuti vedere... sembravi molto disperato. E adesso fumi questa sigaretta solo per sentire il sapore, dopo che mi avevi detto che fumare fa male, quindi non sei un fumatore... mi viene da pensare che la tua ragazza fuma questa marca di sigarette. Ti sei assicurato che fossero Marlboro rosse e poi me ne hai chiesta una.»
Nico applaudì, sollevato che il ragionamento fosse così convenzionale. «Bravo Sherlock Holmes.» Nico prese un altro tiro, promettendosi che fosse l'ultimo perché gli stava dando la nausea.
«Solo che c'è un problema. Io non ho mai conosciuto una ragazza che fumasse Marlboro Rosse.»
Nico buttò fuori tutto il fumo con un colpo di tosse.
«Le ragazze fumano sempre sigarette light. Questa non è una marca da ragazze.»
Nico lo fissò incredulo, con il cuore che accelerava di nuovo. «Ma cosa cazzo ne sai? La mia ragazza fuma proprio queste!»
«E c'è anche un altro particolare: ho sentito che al telefono parlavi di stare lontani per un anno... cosa può tenere una ragazza lontana un anno? Non so, forse un viaggio studio... E un ragazzo? Per un ragazzo c'è una risposta molto semplice: la naja.»
«Era giusta la prima ipotesi, scemo. È proprio un viaggio studio. E fatti i cazzi tuoi, tra parentesi, e non origliare le chiamate altrui.»
«Ultimo dettaglio: prima tuo padre non voleva che venissi in spogliatoio con te, e non voleva farci andare nemmeno te... e quando ti ho detto: gli dico che ti stavi facendo la doccia, mi hai detto di non dirgli che ti avevo visto sotto la doccia e mi hai pregato due volte di dirgli che ti ho visto vestito. Perché tuo padre ha paura che qualcuno ti veda nudo? Sa qualcosa? È per quello che dovevate vedervi di nascosto?»
Nico scosse la testa. Il terrore gli fece tremare la voce. «No, guarda, sei completamente fuori strada, idiota!»
«Stai alzando la voce.»
«Sì, perché stai dicendo cazzate che mi fanno incazzare!»
«Ehi, dai, calma. Non te lo stavo dicendo per farti incazzare. Te lo stavo dicendo perché mi dispiace. Mi pare che tuo padre sta facendo lo stronzo con te. Volevo capire se potevo aiutarti.»
«Sei fuori strada, ho detto.» Nico deglutì, la sua bocca era asciutta e amara di sigaretta. La spense strofinandola su un muretto.
«Mi sembri un tipo simpatico, Nic. Non so se ci vedremo di nuovo, col tennis, a qualche torneo. Ma se hai bisogno di un amico ti aiuto volentieri.»
Cosa significa questa frase?
«Chi ti ha detto che puoi chiamarmi Nic?»
«Nicolò è troppo lungo. Se non ti piace e vuoi vendicarti puoi chiamarmi Raffa, se vuoi.»
«Raffa?»
«Sì, come la Carrà. I miei amici mi chiamano Raffa quando vogliono farmi incazzare.»
«E quando non vogliono farti incazzare come ti chiamano?»
«Raf.»
«Ok. Siccome sono una persona civile e non mi piace far incazzare la gente senza motivo, ti chiamerò Raf.»
«E io posso chiamarti Nic o devo usare il nome esteso?»
Nico fece spallucce. «Ma chiamami Nic, non mi cambia niente.»
Raffaele gli sorrise.
Gli aveva detto di aver capito che era un finocchio. Poi gli aveva offerto amicizia. E gli aveva detto che i suoi amici per prenderlo in giro gli davano un nome da femmina. E prima aveva fatto anche quella battuta sui cavalli gay. Era finocchio anche lui?
Possibile? Era un modo per farglielo capire?
«Sarebbe bello se la vita fosse davvero un film perfetto.»
«Di cosa parli adesso?» chiese Nico.
«La canzone di prima. Nos vies aient l'air d'un film parfait. Le nostre vite sembrano un film perfetto. Non sarebbe bello? Se le nostre vite fossero un film? I film hanno sempre il lieto fine.»
«Non è vero. E i film tragici?»
«Hai ragione, ho detto una cazzata.»
Silenzio.
«Però hanno una fine» proseguì Raffaele. «Hanno un senso. Io vorrei che la mia vita fosse un film perfetto. Divento un tennista famoso e vado in Belgio a chiedere a Liò di sposarmi.»
«A chi?»
«Liò, la ragazza che canta questa canzone. Non l'hai mai vista? È bellissima. Hanno fatto vedere il video su Mister Fantasy. Canta in baby doll.»
La somiglianza tra Liò e Leo aveva fatto pensare a Nico che Raffaele stesse parlando di un ragazzo e gli stesse davvero dicendo di essere finocchio.
Invece si trattava di una ragazza in baby doll.
«Una vita perfetta con la persona perfetta accanto. Spero che la troviamo tutti e due.»
Questo ragazzo fa davvero dei discorsi assurdi.
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Note 🎶
E allora conosciamo finalmente un po' questo Raffaele Novelli. Che tipo vi sembra? Un po' invadente, impiccione ma perspicace. Non vi ricorda un po' Qualcuno? Dev'essere per quello che Raf e Qualcuno sono andati d'accordo ;) (Scusate non lettori di Play, ma non considero queste allusioni spoiler, non dicono davvero nulla di rilevante sul proseguimento della presente storia!)
Fa la sua prima apparizione un oggettino che avrà un ruolo importante nella storia: il mitico Walkman Sony, the first of its kind. Il primissimo modello, a mio avviso anche il più bello.
La canzone che ho scelto per questo capitolo è una delle robe più anni Ottanta che potrebbe mai capitarvi di ascoltare. Sentitela, è francese, ma divertentissima. E restate anche voi ipnotizzati dal Baby Doll della sedicenne Lio (pronuncia Liò) come Raf.
https://youtu.be/0P6jYLXhnmg
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