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22. Anche se per caso mi piacessero i fiori...

Non posso esternare pensieri strani
Non posso detestare liberamente
Anche se a volte avrei buone ragioni
Il questionario dei tre giorni è proprio fuori dal tempo

(M. Castoldi, Fuori dal tempo, 1997 - abbiamo preso una macchina del tempo per andare fuori dal tempo e spostarci nel 1997)

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Avviso importante: la versione che state per leggere di questo capitolo è stata editata per non violare le regole di Wattpad. Ho tagliato alcune parti e riscritto altre, cercando di non cambiare il senso di ciò che accade. Se volete leggere la versione completa del capitolo trovate un link a un PDF pubblico qui a destra. Vi prego di leggere quella versione perché più completa, autentica e aderente alle mie intenzioni narrative e psicologiche.

Per questo capitolo è particolarmente importante perché ho dovuto tagliare veramente tanto, se leggete la versione di Wattpad la portata degli eventi è pesantemente ridotta e le dinamiche di relazione meno comprensibili.

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Febbraio 1982

«Io pretendo da lei la massima serietà. Se vengo a sapere che mio figlio si assenta dalle lezioni vi denuncio.»

«Questo è un circolo serio e mi sorprende che lei pensi questo.»

«E state attenti a chi viene a vederlo!»

«Papà...» Nico stava iniziando a trovare quella discussione imbarazzante.

«In che senso, scusi?» chiese Maurizio, l'allenatore che seguiva personalmente Nico da ormai quattro anni.

«C'è un ragazzo, si chiama Leonardo Devetak, è alto circa come mio figlio, moro, capelli lunghi da scimunito, naso grosso... se lo vede in giro lo mandi via, è una cattiva influenza.»

Maurizio mise le mani ai fianchi. «In che senso? È un criminale?»

Il padre di Nico fece una smorfia. «Se fosse per me lo arresterebbero!»

«Che cosa ha fatto? È passibile di denuncia?» chiese Maurizio, molto serio e preoccupato.

«No» intervenne Nico. «È solo una persona sgradevole con cui io stesso non voglio avere nulla a che fare.»

Il padre gli lanciò un'occhiataccia ma non disse null'altro.

Maurizio annuì. «Bene. Ora può andare. Ci rivediamo tra un'ora e mezza.»

Il padre se ne andò senza nemmeno salutare.

Non era stato facile convincere i suoi a fargli riprendere le lezioni di tennis, e per ora avevano acconsentito ad accompagnarlo solo due volte a settimana. Prendere la corriera da solo era fuori discussione, non si fidavano di lui.

Avevano saputo della sua lippa con Leonardo. Era stato Nico stesso a decidere di dirglielo. Avrebbe dovuto falsificare la firma dei suoi sul libretto di scuola. Al padre, prima o poi, sarebbe venuto in mente di controllarlo e avrebbe visto quell'assenza. Era meglio essere onesti subito, in quel modo avrebbe avuto la possibilità di inventare una giustificazione credibile e avrebbe anche fatto la figura dell'onesto.

Perciò Nico, perfettamente consapevole del fatto che il padre l'avrebbe picchiato per punirlo, la sera stessa della lippa, a cena, davanti a tutti, genitori, sorelle e nonno, aveva annunciato con voce calma: «Stamattina ho visto Leonardo Devetak.»

Erano seguiti diversi secondi di silenzio, durante i quali Nico aveva sostenuto lo sguardo fiammeggiante del nonno, poi era intervenuto il padre: «Quel bastardo è venuto a scuola? Gli faccio passare io la voglia di...»

«Non è andata così.» Nico si era spiegato, esagerando con parole forti il malessere esistenziale di Leonardo. «Mi è arrivata voce che ha minacciato di suicidarsi per quello che è successo a luglio. Siccome non voglio avere morti sulla coscienza, ho fatto lippa e l'ho incontrato. Ho messo...»

«Hai fatto lippa?!» lo aveva interrotto il padre. «Cioè hai marinato la scuola?! Per vedere quel...»

«Cos'è successo a luglio?» aveva chiesto la Grazia.

A questo punto le sorelle di Nico erano state spedite al piano di sopra ed era iniziato un litigio tra Nico e il padre, con il nonno che osservava zitto a braccia conserte, la madre che piangeva e Nico che cercava di raccontare la sua versione dei fatti: ossia che aveva voluto chiarire di persona con Leonardo che doveva mettersi il cuore in pace perché Nico non avrebbe più voluto vederlo.

Aveva cercato di dipingere Leonardo come un finocchio disperato e se stesso come una persona matura, e grazie al contegno pacato che era riuscito a mantenere persino quando suo padre lo aveva colpito con uno schiaffo, c'era riuscito. 

Aveva pronunciato menzogne che l'avevano fatto vergognare, con se stesso e coi genitori, aveva sentito le guance scaldarsi di rossore diverse volte e la sua voce aveva tremato su diverse bugie difficili. 

In tutto ciò non aveva aiutato il silenzio assordante del nonno, che ancora faceva a Nico quasi più effetto delle urla furibonde del padre.

Ma c'era riuscito. «Ho capito di aver perso la testa, ma è tutta colpa di quel finocchio» aveva detto. «Non succederà più, perché le ragazze mi piacciono molto.»

Dire quella frase fu la cosa più difficile di tutte, Nico aveva il terrore che suo nonno e i suoi leggessero la menzogna nei suoi occhi. 

«E se ti piacciono tanto allora perché! Perché!» aveva gridato il padre. «Cosa ti è saltato in mente!»

«In realtà è tutta colpa della Daiana» aveva proseguito Nico impassibile e controllato. «Volevo avere un rapporto sessuale con lei ma lei non voleva.» Avrebbe potuto usare un verbo più grezzo, più popolare, come tacconare o scopare, ma aveva preferito il linguaggio asciutto del dottor Visintin. Voleva esprimere contegno, maturità, consapevolezza.

«O signûr, udimi tu!» aveva esclamato la madre portando le mani alle orecchie. «Due ragazzini! Due ragazzini, ma cosa ti viene in mente un rapporto! Sei ancora un bambino!»

Il padre aveva però reagito in modo completamente diverso. Era diventato quasi comprensivo: «Le ragazze fanno sempre le difficili! Sempre!»

«E quindi... quel maledetto finocchio! Se n'è approfittato del fatto che ero insoddisfatto.» Questa frase era stata l'unica su cui Nico aveva cercato di mettere un po' di emozione. Un pizzico di rabbia, di risentimento nei confronti del "finocchio". Aveva guardato il nonno, mentre recitava, e lui non aveva mosso un muscolo. Una statua impassibile.

Il padre invece si era scaldato. «Quella troia! Ma non poteva dartela?» Il padre aveva sottolineato la frase con un pugno sul tavolo. Poi aveva puntato un dito verso Nico. «Resta il fatto comunque che una persona normale non avrebbe mai fatto una porcheria come quella!»

«Hai ragione» aveva ammesso Nico a capo chino. «Sono tendenze malate, hai ragione.» E questo, un po', lo pensava davvero. Pensava davvero che ci fosse qualcosa di malsano nel suo rapporto con Leo.

«E guarda che ti ho sentito cosa gli stavi dicendo quando sono entrato! Ti ho sentito, schifoso!»

«Mi vergogno di me stesso» aveva ribattuto Nico. «Ma gliel'ho detto solo perché voleva sentirselo dire.» Questo, invece, non lo pensava affatto, e mentire così spudoratamente lo fece sentire una merda. Ma non nei confronti dei suoi genitori, nei confronti di se stesso.

La discussione era proseguita ancora un po', e Nico era certo che adesso, grazie a quella recita e alla nuova fidanzata che aveva trovato un mese dopo, si fossero fatti l'idea che lui fosse un ragazzo normale, a cui piacevano le ragazze, ma con la pericolosa tendenza a farsi traviare sulla sponda sbagliata.

La sua nuova ragazza si chiamava Lucia, una matricola della sua scuola, di Gradisca. Nico l'aveva scelta con freddo calcolo. Sapeva di essere considerato generalmente "carino" dalle ragazze, quindi si era informato su chi fossero le compagne di scuola che gli facevano il filo e aveva scelto quella che gli era sembrata più timida e sfigata di tutte. Sperava in questo modo di risparmiarsi il più a lungo possibile un rapporto sessuale con lei.

E per ora la cosa era andata come da programma. L'aveva già portata al Luc di Zuan un paio di volte e i suoi erano stati al settimo cielo. «Tant une brave frute» aveva commentato la madre, mentre il padre aveva approvato la delicatezza dei suoi modi. «È davvero una ragazzina molto femminile.»

Il nonno era stato l'unico a dare problemi. La Lucia, ingenuamente, era andata da lui a presentarsi. Lui aveva risposto alzandosi e andando in un'altra stanza. Lei ci era rimasta malissimo, ma erano stati gli stessi genitori di Nico a scusarsi dicendole che il nonno era un vecchio scorbutico all'antica.

Nico e la Lucia erano anche usciti insieme diverse volte, a Gradisca dove viveva lei, a prendere un gelato o fare una passeggiata al parco. Il padre lo portava lì in macchina, aspettava che i piccioncini si incontrassero e poi tornava a prenderli. 

La prima di queste uscite era stata attentamente sorvegliata: il padre aveva fatto finto di andarsene, ma poi Nico l'aveva visto che li sbirciava di nascosto. Nico aveva fatto in modo di baciarla e coccolarla più possibile, quel giorno. Durante le uscite successive a Nico sembrava se ne fosse andato, ma non ne era sicuro al cento per cento: poteva anche darsi che il padre si fosse fatto semplicemente più bravo a nascondersi. Siccome, comunque, non era un perdigiorno, a Nico sembrava improbabile che perdesse un pomeriggio intero solo per controllare che suo figlio pomiciasse con la sua ragazza.

Pian piano, avevano ricominciato a fidarsi di lui.

E gli ottimi voti che aveva preso in pagella alla fine del primo quadrimestre li avevano convinti: poteva ricominciare finalmente a giocare a tennis al circolo.

Che poi era il suo scopo ultimo, l'unica ragione per cui stava facendo tutti quei sacrifici e quelle messinscene.

Diventare un professionista, fare carriera, scappare da quel buco di culo del mondo. Farsi una vita libera e felice.

Con Leonardo.

Niente lo avrebbe distratto da quello scopo, nemmeno le scopate che si faceva con lo stesso Leo nel cesso di scuola durante le settimane in cui lui aveva turno in fabbrica di pomeriggio. 

E quindi la prima cosa che Nico disse a Maurizio non appena il padre si fu allontanato, al primo allenamento, fu: «Voglio diventare pro.»

Maurizio rise. «Calma, calma. Come stai intanto? Sei cresciuto parecchio! Mi fa piacere che hai messo su anche un po' di muscoli. Non tanti.»

«Come faccio a diventare professionista?»

«Come stai, ho detto?»

«Bene.»

«Non è vero. Ci sono troppe cose che ha detto tuo padre che non mi son piaciute. Chi è questo Leonardo, intanto? Uno spacciatore?»

Nico sgranò gli occhi. «No!»

«Riconosco le storie di droga, Nico. L'anno scorso c'erano periodi che eri fisicamente distrutto. Non riuscivi a prendere peso, avevi sempre le occhiaie, eri distratto quando giocavi. Poi d'improvviso mi dici al telefono che i tuoi ti hanno messo in punizione e non mi hai voluto dire perché, e adesso questo Leonardo che sarebbe una cattiva influenza. Puoi dirmelo se hai avuto problemi di droga, io non giudico. Anzi, ti posso aiutare.»

Nico fu quasi commosso da quelle parole. Scosse la testa. «È una storia molto più complicata, in realtà. Non... non me la sento di raccontartela. Però ti giuro che la droga non c'entra niente. Neanche fumo sigarette!»

«Bravo, bravo. Quello è proprio un vizio che dovrei togliermi...» Maurizio sospirò. «Comunque, mi sembri sincero. E mi fa piacere che sei tornato, e ricordati che se vuoi parlarmi dei tuoi problemi, ti ascolto volentieri.» 

Nico annuì. «Grazie. Adesso puoi rispondere alla mia domanda? Come faccio a diventare professionista?»

«Sì, ti rispondo volentieri: non potrai mai diventare professionista.»

«È una risposta che non accetto. Mi hai sempre detto che sono uno degli allievi migliori che hai mai avuto.»

«Sì, sei bravo. Penso potresti cavartela molto bene nei tornei dilettanti, diventare un tre o giù di lì. Al massimo, forse, puoi giocare la serie A.»

«Non me ne frega niente della serie A, voglio diventare pro. Cosa mi manca?»

«Tutto.»

«Fammi un elenco.»

«Forza fisica. Manualità. Agilità. Intelligenza tattica. Ore e ore e ore di allenamento che avresti dovuto fare da bambino. Un allenatore più bravo di me che sia stato professionista o abbia allenato professionisti. È troppo tardi e non hai abbastanza talento, mi dispiace. Però come ti dicevo puoi diventare un dignitoso tre e se ti piacerebbe lavorare col tennis, più avanti puoi fare il corso per diventare maestro.» 

Nico scosse la testa. «Non mi accontento di fare il maestro. Io voglio girare il mondo. Voglio un sogno grande, sono stufo di pensare in piccolo e della gente che pensa sempre in piccolo!»

Nico si era lasciato andare, sull'ultima frase. Aveva perso il controllo. Non andava bene. Il controllo era la cosa più importante, era quello che gli aveva dato la disciplina e la forza di volontà di studiare per prendere buoni voti, quello che aveva tenuto in piedi la sua tenera relazione con la Lucia, fatta di baci, abbracci, chiacchiere e carezze, quello che gli aveva dato la forza di imporre a Leonardo: «Le settimane che hai turno di pomeriggio non possiamo vederci ogni giorno a scuola come vorresti tu. Due sole volte a settimana, e ogni settimana dobbiamo scegliere giorni diversi e orari diversi in modo che nessuno ti noti e nessuno faccia caso alle mie uscite di classe.» Ah, quanto aveva protestato Leo, e quanto sarebbe piaciuto a Nico dirgli: sì, vieni ogni giorno e scopiamo fino a sfinirci, come facevamo l'anno scorso.

Ma si era imposto una disciplina e l'aveva seguita. E da quando l'aveva fatto tutto nella sua vita aveva cominciato ad andare meglio.

«Io non voglio che sogni in piccolo. Ma non voglio neanche che ti illudi. Non ho mai visto un professionista che alla tua età era ancora a questo livello» disse Maurizio.

«Quanti professionisti hai conosciuto?»

«Uhm, be'...»

«Nessuno, vero?»

«Ho giocato contro diversi ex pro nei tornei dilettanti, e ci ho parlato, so che tipo di percorso hanno avuto.»

«Sì, ma non sei sicuro, non li conosci tutti.»

«Conosco abbastanza storie per sapere che sono tutte simili: sono tutti ben instradati da quando sono piccoli. Borg, McEnroe, Lendl, già vincevano tornei importanti quando erano bambini e alla tua età erano professionisti, tu hai vinto solo torneini locali.»

«Io sogno in grande, ma non sono un illuso. So che non posso diventare né Borg, né McEnroe, e neanche Panatta. Non voglio vincere uno Slam, voglio solo diventare professionista. Voglio andare via da qui.»

Maurizio fece un'espressione amareggiata. «Hai problemi a casa?»

«No.»

Maurizio non sembrò credergli, ma non disse nulla.

«E comunque» aggiunse Nico. «Mica lo sai a che livello sono arrivato. Non vuoi vedere com'è migliorato il mio servizio?»

Maurizio sollevò un angolo della bocca. «Ok. Prima però ci scaldiamo un po': un cestino di dritti e uno di rovesci. E poi magari, più avanti, ne riparliamo.»

Nico sorrise. Aveva sempre odiato i cestini. Ora non vedeva l'ora di ricominciare a farli.

***

15 Giugno 1982

Erano iniziati i mondiali di calcio, che quell'anno si giocavano in Spagna, e in classe non si parlava d'altro.

Il mondiale di quell'anno sarebbe stato più lungo del solito, partecipavano ben ventiquattro squadre. L'Italia era in girone con Polonia, Perù e Camerun. Era facile prevedere che sarebbe passata come prima, nonostante la squadra mediocre messa su da Bearzot, e nonostante il giorno prima avessero pareggiato contro la Polonia di Boniek. A detta di tutti Perù e Camerun erano davvero due squadre scarse: Nico seguiva poco il calcio ma si fidava del parere dei compagni di classe. Leonardo era di parere opposto: da interista ce l'aveva a morte con Bearzot per aver convocato mezza Juve.

Nico ricordava di essersi molto stupito quando aveva scoperto la fede interista di Leo. «Ma scusa, e il poster di Cabrini in camera tua?»

«Con quello mi ci facevo le seghe, mica colpa mia se il calciatore più figo della storia gioca nella Juve... Uno di 'sti giorni sai cosa faccio? Prendo un pennarello blu e coloro tutte le righe bianche» aveva risposto Leo.

Leo ce l'aveva a morte soprattutto con un giocatore: Paolo Rossi.

«Paolo Rossi che è fermo da due anni?!» aveva berciato proprio l'ultima volta che si erano visti, subito dopo la scopata.

«Ma perché l'ha chiamato secondo te?» gli aveva chiesto Nico che era sempre avido di argometi calcistci da usare in classe o al circolo, per non sembrare uno sprovveduto.

«Ma cosa so io, è raccomandato! C'è tipo Pruzzo della Roma, no? Ha segnato quindici gol, quest'anno, quindici! Rossi arriva bello bello, fresco fresco ad aprile, segna un golletto del cazzo e nonno Bearzot lo convoca. Son tutti che dicono che era meglio se convocava Pruzzo.»

«Il vero scandalo non è il numero di gol, secondo me» si era arrischiato a dire Nico. «Lo scandalo è che se vieni squalificato per scommesse meriti la squalifica a vita dalle competizioni con la nazionale. A me fa schifo che l'Italia venga rappresentata da un disonesto come Rossi. Schifo. Non so se tu in queste cose ci credi, se ti frega qualcosa, ma per me nello sport l'onestà è tutto.»

Leo aveva annuito a quelle parole. «Sono d'accordo. Le scommesse fanno schifo e anche il doping fa schifo.» Poi aveva tentennato guardando Nico negli occhi, da vicino, lui seduto sulla tazza del water, Nico su di lui. «Ma quindi quel sogno che hai... che vuoi giocare a tennis... pensi che ce la fai senza doping?»

«Certo! Devo farcela!»

«Secondo il Dondi e Alex si dopano tutti, ad alto livello» aveva ribattuto Leo.

«Ma no! E i controlli antidoping secondo te a cosa servono?»

Leo si era stretto nelle spalle. «Non so. Ma spero che hai ragione tu.»

Nico ripensava a quelle parole, mentre ascoltava distrattamente il chiacchiericcio della classe, quella mattina: tutti i ragazzi e persino qualche ragazza sembravano destinati a diventare prossimi CT della nazionale, tanto erano abili a sciorinare formazioni, moduli e strategie. I professori, in clima d'ozio pre-vacanziero, ascoltavano e commentavano a loro volta.

L'atmosfera era talmente rilassata che Nico uscì cinque minuti prima per andare in bagno da Leo: quello sarebbe stato l'ultimo giorno che si vedevano.

E per chissà quanto.

Leo, a metà maggio, aveva fatto la famigerata visita dei tre giorni. Ciò significava che a breve sarebbe dovuto partire per C.A.R. e naja. Avrebbe compiuto diciotto anni a fine mese.

Poi sarebbe stato via un anno.

Un anno senza vederlo. Un anno intero.

Nico non aveva idea di come avrebbero fatto a resistere. La prospettiva lo angosciava.

Sebbene gli incontri scolastici fossero stati solo pochi al mese, separati da settimane di astinenza (perché di solito i turni pomeridiani in fabbrica si alternavano) Nico li aveva sempre aspettati come un bambino aspetta il Natale. Nonostante lo squallore, l'egoismo di Leo che voleva sempre fare l'attivo, quelli, per il momento, restavano i minuti più felici della sua vita.

Ma Nico era contento di averli ridotti e non aver esagerato incontrandolo una volta al giorno. In questo modo si erano entrambi già abituati all'astinenza, e stare lontani, forse, avrebbe fatto meno male.

Quel giorno, ultimo di lezione, Nico aveva deciso di dedicare a Leo l'intera ricreazione, come ai vecchi tempi. 

Di corsa giù per le scale, destra, corridoio, bagno.

La porta era aperta e Leo era lì. Il suo viso si illuminò, si alzò in piedi. «Grande! Sei venuto in anticipo!»

Nico si chiuse la porta alle spalle e gli gettò le braccia al collo.

Si baciarono.

«Dai, girati» gli sussurrò Leo nell'orecchio.

«No. Poi non so quando ti rivedo, voglio baciarti ancora.»

Si baciarono, quindi. Ma Leo era impaziente, come al solito e insisté di nuovo, con le parole e coi gesti.

E Nico si fece convincere, perché in fondo lo voleva anche lui. Ciò che non voleva era che quell'ultimo incontro durasse poco. Voleva imprimerselo nella mente e sopportare così di dovergli stare lontano.

Fecero un po' di ruvido tira e molla, per convincersi a vicenda, e mentre Nico era seduto sulle sue gambe si udirono dei rumori alla porta, entrò qualcuno. Nico vide la bocca di Leo sillabare una silenziosa bestemmia.

Nico gli sorrise, gli accarezzò il viso, ne approfittò per baciarlo, visto che non potevano rischiare di fare altro.

E finalmente Leo lo baciò con dolcezza, come Nico avrebbe voluto subito. Accarezzandogli le labbra con la lingua, assaporandolo lentamente. Bisognava costringerlo a esser dolce, Leo, che gli baciò il collo, lo abbracciò, premette il viso sul petto rialzato di Nico, inspirò. Lo strinse, gli accarezzò la schiena.

Fuori dalla porta erano in due, parlavano. Lì dentro anche erano in due, soli, a rendersi felici in segreto.

I due intrusi impiegarono cinque minuti o giù di lì a sloggiare. «Oh, finalmente, non ce la facevo più.»

«A me è piaciuto» disse Nico.

«Io non vedevo l'ora che uscivano. Dai girati.»

«Ma tu non hai mai voglia di fermarti un attimo? Perché dobbiamo sempre fare tutto di corsa?»

«Perché abbiamo poco tempo.»

Purtroppo non aveva tutti i torti.

«Ti giri o no?» insisté.

«Scivola un po' in avanti.»

Nico dovette insistere un po', ma alla fine riuscì a convincerlo.

«È strano guardarti» disse Leo.

«Non ti piace?»

Leo annuì. «Mi dici quella cosa?»

Nico strinse la presa sulle spalle e chiuse gli occhi. Aveva paura di dirlo. Ogni volta che gli veniva l'impulso di dirlo vedeva la faccia di suo padre.

Continuò a fare ciò che stava facendo restando in silenzio.

Finito tutto, rimasero insieme ancora un po', consapevoli che un incontro futuro era un'incognita. E Leo espresse per la prima volta paura per la vita militare che lo aspettava.

«Nico... come faccio se si accorgono che sono un finocchio?»

«E se glielo dicessi tu, così ti esonerano?»

«Ma sei mona? Poi vengono a saperlo tutti e non posso più farmi vedere in giro! E poi ormai è tardi, il questionario dei tre giorni l'ho fatto e dove chiedevano ti piacciono i fiori ho risposto no.»

«Dai, non preoccuparti. Non penso che sei il primo finocchio che va a fare il militare.»

«E chissà che brutta fine che hanno fatto tutti gli altri.»

***

22 giugno 1982

«Devi venire a Pordenone a fine mese.» Nico si guardò alle spalle stringendo la cornetta del telefono pubblico: nessuna traccia della Lucia. O, ancora peggio, di suo padre.

«A quel torneo che mi dicevi che ti sei iscritto?»

«Sì.»

«Ma tuo padre...»

«Mio padre viene a vedermi giocare il primo giorno, poi se passo il primo turno e gioco anche il giorno dopo, mi ha già detto che non può fermarsi e non può neanche perder tempo a portarmi su e giù perché vuole vedere i mondiali coi suoi amici, quindi...»

«Ma quali mondiali? Se continua così l'Italia esce domani, stanno giocando di merda... Due pareggi su due, diobòn!»

«Sempre pessimista tu. Domani col Camerun vincono sicuro, che cazzo di squadra è il Camerun? Non c'è neanche mezzo giocatore famoso...»

«Perché non vediamo la partita insieme?»

«Sì... e come? Secondo te mio padre mi lascia uscire? Lui va al bar coi suoi amici, io sto a casa a guardare in tv con la Fulvia, la Grazia, mia mamma che di calcio capisce meno di me, e mio nonno col muso. E comunque anche se l'Italia esce, mio padre ha da fare, non ti preoccupare che a Pordenone non ci rimane. Si fida di Maurizio perché è sposato con figli. L'hotel a me me lo paga mio papà. Tu una notte in doppia riesci a pagarla? Hai soldi?»

«Ma ti pare che non tiro fuori trentamila lire per stare con te prima che parto per il C.A.R.! Ma aspetta, che giorni è? Mi tocca prender ferie?»

«Sì, il torneo comincia lunedì 28. Comunque sarebbe la notte del 28, quindi devi prender ferie solo il 29.»

«Dipende, se ho turno di pomeriggio il 28 e stacco alle sette, non so se riesco a prendere il treno, poi.»

«E non puoi farti mettere il turno di mattina?»

«Fai tutto facile tu.»

«Bon, devo andare adesso, tu comincia a organizzarti, faccio di tutto per chiamarti entro la prossima settimana, se non ci riesco chiedo a mia sorella che ti chiami dalla cabina.»

«Cerca di chiamarmi tu che mi vergogno di parlare con tua sorella.»

Si salutarono, Nico mise giù la cornetta. In quel bar il box del telefono pubblico si trovava nel corridoio che portava ai bagni: aveva chiesto alla Lucia di andare in quel locale apposta per quel motivo, il telefono nascosto.

Tornò in sala e lei era lì che lo aspettava seduta al tavolino, con una coppetta fragola e limone.

Com'era carina. Be', era bruttina, a dire il vero, aveva molta acne che cercava disperatamente di coprire col fondotinta, i capelli castano topo e i denti un po' sporgenti, ma faceva di tutto per cercare di conciarsi in modo grazioso. Profumava sempre di buono e quando Nico la baciava sapeva di Big Babol e chiudendo gli occhi gli sembrava quasi di poter essere felice, con lei.

Si sentiva sempre più in colpa.

«Ti si scioglie il gelato!» esclamò appena lo vide.

«Eh bon, amen. Mi stavi raccontando dell'allenatore stronzo a pallavolo, no?»

La Lucia ricominciò il suo sciocco racconto.

***

28 giugno 1982

«Se so che ti vai a fare la doccia negli spogliatoi comuni...»

«Ti ho già detto di non preoccuparti, che la faccio in hotel, se devo. E se mi eliminano la faccio a casa.» Nico non ne poteva più di quelle rassicurazioni. «Posso andare?»

«Non mi piace che usi gli spogliatoi.»

«E dove mi cambio altrimenti? Non ti preoccupare, faccio velocissimo.»

«Nico...» Il padre lo prese per le spalle. «Non farmi pentire.»

«Lasciami andare, devo fare riscaldamento.»

Finalmente solo. Il padre si incamminò verso gli spalti, già gremiti di pubblico (per lo più allenatori e genitori), Nico verso gli spogliatoi.

Aveva già identificato la più vicina cabina telefonica, si trovava subito fuori dall'edificio della palestra, lato strada. Il suo incontro era previsto alle 15, al meglio dei tre. Un'ora e mezza o due e se la sarebbe cavata, sia in caso di sconfitta che in caso di vittoria, quindi intorno alle 17 avrebbe potuto chiamare Leo per avvisarlo. Nico sperava solo che il padre se ne andasse prima possibile.

L'Italia alla fine aveva passato il turno di qualificazione ai mondiali per il rotto della cuffia, come seconda del girone con tre pareggi, e l'indomani era prevista la prima partita del secondo girone di qualificazione, contro l'Argentina. Il padre non si sarebbe perso per nulla al mondo la partita ed erano due giorni che ripeteva: «Non vedo l'ora di vedere questo famoso Maradona. Secondo me è sopravvalutato e Gentile lo massacra.» 

Quell'entusiasmo era un'ottima notizia per Nico perché per vedere la partita coi suoi amici il padre lo avrebbe di sicuro lasciato solo a Pordenone con Maurizio. Esattamente come previsto.

La sconfitta non era un'opzione. Nico non conosceva il suo avversario, il cui nome aveva letto quella stessa mattina sul tabellone, ma Maurizio stava già indagando su che tipo fosse.

Entrato in spogliatoio ebbe una bella sorpresa: nel corridoio d'accesso c'era un secondo telefono pubblico, forse persino più comodo della cabina esterna.

Ci impiegò davvero poco a vestirsi, lasciò il borsone nell'armadietto che gli avevano assegnato e uscì, racchetta in mano, per fare un po' di corsa, sotto lo sguardo vigile di Maurizio. Poi un po' di affondi, scatti e movimenti con la racchetta.

«Dai, pausa, bevi un po'.» Maurizio lanciò a Nico una borraccia di plastica piena d'acqua tiepidina. «Ho indagato sul tuo avversario. La buona notizia è che ha solo quindici anni.»

«Benissimo!» esclamò Nico.

«La cattiva notizia è che è un fenomeno.»

Nico sospirò. «L'hai visto giocare?»

«No. Ma ho chiesto un po' in giro e il giudizio è unanime: dici il suo nome e vengono giù le Madonne dal cielo. È uno dei prospetti giovanili più promettenti, ha già un punto ATP. Ha gli occhi di tutta la FIT addosso.»

«Che sfiga, cazzo.»

«C'è un'altra buona notizia, però. È un tipo abbastanza scostante. Potrebbe essere in giornata storta.»

«Ma io non posso giocare così, che non so se aspettarmi un fenomeno o un pirla!»

«Dai, Nico, ascoltami: hai un servizio eccellente. Hai sentito questo aggettivo? Ec-cel-len-te. Questa è la prima e l'ultima volta che te lo dico. Le tue possibilità di diventare professionista passano attraverso il tuo servizio. Usalo e usalo bene, perché tutto il resto fa abbastanza cagare, per questi standard. Questo Novelli l'ho visto, è un mingherlino. Dominalo col servizio e con la forza fisica.»

Nico annuì.

Doveva vincere.

Doveva dormire con Leo.

--

Note 🎶 

Ma chi si vede chi si vede? Non farò spoiler per i non lettori di Play, ma i lettori di Play credo conoscano quel tale Novelli. Secondo voi Nico lo batterà? E riuscirà poi a incontrarsi con Leo?

Detto ciò, chiedo venia per la canzone molto recente. Inizialmente avevo messo l'orrenda Asso di Jovanotti (È la storia di uno, di uno regolare, che poi l'hanno mandato, a fare il militare...), aka UNA DELLE CANZONI PIÙ BRUTTE DELLA STORIA. No, dico davvero: non ascoltatela se non volete perdere all'istante 100 punti di QI. E poi mi son resa conto che era del 1989, quindi anche quella fuori dal tempo. E allora, mi son detta, se devo sgravare sgraviamo con stile. Vi presento, se non lo conoscete già, il pezzo migliore scritto da Marco Castoldi aka Morgan, quando ancora cantava e suonava coi Bluvertigo: arrangiamento superlativo dal sapore vagamente new wave, testo demenziale che io vedrei benissimo in una canzone di Elio e le storie Tese, melodia che riesce nel miracolo di essere allo stesso tempo bizzarra e cantabile. E parte dal questionario dei tre giorni per parlare di stranezza, conformismo, andare fuori dagli schemi. Un pezzo che adoro. Per altro penso abbia un potenziale meme altissimo, e se fosse uscita oggi giurerei ne sarebbero stati tratti almeno una decina di trend TikTok.

https://youtu.be/-WmkjgwmUB0

Poi forse alcuni di voi si staranno chiedendo: ma che minchia è il questionario dei tre giorni? Trattasi del MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory), un vecchio test della personalità tutt'ora in uso (in una versione aggiornata) che veniva sottoposto a tutti i coscritti della leva militare obbligatoria per giudicare la loro idoneità psicologica al servizio militare. Alcune domande, come quella che dà il titolo al capitolo (Ti piacciono i fiori?), venivano erroneamente interpretate dai ragazzi come un test di mascolinità, e si sentivano in dovere di rispondere "no". In realtà si trattava di un test di coerenza, perché una domanda successiva era "Vorresti fare il fiorista?". In teoria se uno avesse risposto sì alla prima e no alla seconda (o viceversa) sarebbe stato chiamato a colloquio dallo psicologo per indagare sull'incoerenza. Cosa a cui Morgan, col suo consueto acume, obietta: "Anche se per caso mi piacessero i fioooori, non è detto che io debba fare il fioristaaaa." Come dargli torto?

Ci rileggiamo lunedì e lasciatemi una stellina per ogni colossale minchiata sparata da Morgan nella sua decennale carriera.

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