16. Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?
Ancora tu?
Ma non dovevamo vederci più?
[...]
Ancora tu, l'incorreggibile
ma lasciarti non è possibile
(Mogol, Ancora tu, 1975)
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Avviso importante: la versione che state per leggere di questo capitolo è stata editata per non violare le regole di Wattpad. Ho tagliato alcune parti e riscritto altre, cercando di non cambiare il senso di ciò che accade. In particolare ho dovuto togliere una frase molto importante a fine capitolo. Se volete leggere la versione completa del capitolo trovate un link a un PDF pubblico qui a destra. Vi prego di leggere quella versione perché più completa, autentica e aderente alle mie intenzioni narrative e psicologiche.
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5 luglio 1981
«Nicooo, al telefono!»
Nico, che stava leggendo un romanzo di Michael Crichton steso sul letto, si tirò sui gomiti. Chi poteva essere? Nessuno lo chiamava mai, da quando la Daiana l'aveva lasciato.
«'O rivi!» Aveva la sensazione che potesse essere lui. Leo. Non lo sentiva né vedeva da due settimane. Gli mancava come l'aria, ma non voleva stargli vicino. Non era una bella persona.
«Pronto?»
«Ehi, Nico. Se non ti chiamo io, qua...»
Era lui. E chi altri poteva essere?
«Ti volevo avvisare subito che abbiamo due telefoni» disse Nico.
«Oh... cioè?»
«Quella baba di mia sorella ha il telefono in camera e la tendenza a origliare le chiamate. Fulvia, stai ascoltando?»
Silenzio.
«Non ti fidare» disse Nico. «Cosa vuoi?»
«Ah. Eh...» tentennò Leo.
Menomale che l'ho fermato prima che dicesse qualche cazzata compromettente...
«Sto da mio nonno» disse infine.
Ah. E quindi?
«Ok?»
«Pensavo... sei ancora incazzato? Mi piacerebbe se... cioè, puoi venire da me stasera? Ti volevo chiamare prima, però pensavo che eri incazzato, ero indeciso... però poi non resistevo, cioè, nel senso, ho pensato che dovevo chiamarti anche a te, cavolo, perché ci siamo tutti, non sono solo, eh, è tipo una festa.»
Il fatto che avesse specificato quell'ultima informazione non richiesta fece sospettare a Nico che in realtà stesse mentendo e fosse solo.
E la cosa gli faceva piacere.
Gli faceva piacere, accidenti. Che Leo lo volesse vedere. Che si fosse lasciato sfuggire quel dettaglio: non resistevo. Avrebbe voluto chiamarlo prima e forse per orgoglio si era trattenuto, ma voleva vedere Nico. Dopo due settimane di silenzio e a due mesi dall'ultima scopata voleva ancora vedere Nico.
E anche Nico voleva vedere Leo, nonostante tutto. Provare a parlarci. A confrontarsi. Sapere come stava, se aveva davvero venduto la fisarmonica.
«E dov'è la casa di tuo nonno?» cedette.
Leo, oltremodo entusiasta, glielo spiegò. Era tra Mossa e Capriva, sulle colline, non sarebbe stato difficile trovarla. Non distava molto dal prato con la vecchia quercia di famiglia dei Sidìn.
«E mi spieghi perché dovrei venire?» chiese infine Nico, con un piccolo rigurgito di orgoglio.
«Lunedì prossimo comincio a lavorare, volevo fare una festa prima di cominciare.»
«Oh.»
«Suono un po' la fisarmonica, beviamo, cantiamo... e poi ci fermiamo tutti a dormire qua, mio nonno ha un giardino grande, abbiamo sacchi a pelo.»
Quindi ci sono davvero altre persone?
Quindi non è una scusa per vedere solo me.
«Non so... mi stanno un po' sul cazzo il Dondi, Loris e gli altri» disse Nico, scorato.
«Ah, eh... cioè, non so quando arrivano... e se vengono proprio tutti...»
Quindi non ci sono?
«Bon. Magari passo un salto.»
«Grande! Ok... vieni a che ora vuoi.»
«Ho tennis tra due ore... stacco alle sette, ceno e poi vedo.»
Nico chiuse la chiamata e rifletté. Non era riuscito a capire se la compagnia ci sarebbe stata o meno. Il particolare dei sacchi a pelo era troppo fantasioso per essere stato inventato da un idiota come Leo. Suono la fisarmonica, aveva detto. Quindi non l'aveva venduta?
Mentre saliva le scale per tornare in camera, trovò in cima alla rampa sua sorella Fulvia. «Se il papà ti fa dormire fuori, stanotte, ti giuro... ti giuro che mi incazzo.»
Nico roteò gli occhi. «Lo sapevo che stavi origliando...»
«La Giovanna e la Sabrina avevano organizzato un pigiama party, la settimana scorsa, a casa della Sabri. Tre ragazze. Secondo te mi hanno lasciato andare?»
«E io che colpa ne ho?»
La Fulvia scosse la testa. «No, hai ragione. La colpa è mia che non son nata maschio.» Fece dietro front e sbatté la porta della sua camera dietro di sé.
***
Nico uscì mezz'ora in anticipo per andare a tennis. Ci aveva rimuginato per due ore e aveva infine deciso che voleva prima passare in farmacia per acquistare quella cosa proibita che il dottor Visintin gli aveva scritto su un foglio a parte «così decidi tu quando prenderla.»
Il lubrificante.
Voleva ricascarci? Voleva davvero ricominciare quella relazione da incubo?
Scelse una farmacia fuori mano di Gorizia e impiegò circa dieci minuti per trovare il coraggio di entrare, e poi, una volta dentro, altri dieci minuti per trovare il coraggio di mostrare il foglio alla farmacista. La donna non disse nulla, non cambiò la sua espressione. Andò alla ricerca del prodotto e lo consegnò a Nico già chiuso in un sacchettino di carta.
Mammamia quanto è piccolo, lo facciamo fuori nel giro di due volte! pensò col cuore in gola.
Due? I suoi bassi impulsi avevano già deciso di ricadere nella droga. Non poteva fare a meno di lui ancora per molto.
Ma perché cedere? Era stato così bene da solo!
Be', bene per modo di dire.
Gli era mancato. Ci aveva pensato. Ci aveva pensato anche troppo, e in maniera inopportuna.
Ma stare lontano da lui lo aveva fatto stare meglio. La sua vita era stata più regolare, più sana. Aveva avuto più tempo e più testa per dedicarsi a cose buone, come lo studio, la lettura o il tennis.
Il suo tennis era migliorato parecchio.
Era bastato stare lontano da Leo, col corpo e con la testa, per due mesi, per recuperare la concentrazione persa.
Nelle ultime due settimane, poi, si erano aggiunte le migliorie portate dalla nuova dieta. Si sentiva più energico, più in forma, da quando l'aveva iniziata. Ne aveva parlato anche con Maurizio, il suo allenatore, che gli aveva consigliato di comprare delle riviste per body builder, perché spesso contenevano anche indicazioni dietetiche per metter su muscoli. Nico ne aveva acquistate diverse, ricordandosi quando Leo gliene aveva fatta vedere una simile a casa sua, quel giorno di marzo, e poi l'aveva masturbato. Nico aveva cercato di non masturbarsi con le foto di quelle riviste. Qualche immagine aveva popolato i suoi pensieri, durante le seghe, però ci teneva a tenere le due cose separate e bene o male ci era riuscito. Gli sembrava un atteggiamento più maturo: quelle riviste servivano allo sport, non alle seghe.
Perché quando si trattava di riviste riusciva a essere maturo e controllarsi, e con Leonardo no?
Alla fine dell'allenamento andò a docciarsi.
Da quando aveva il motorino, Nico aveva preso l'abitudine di fare la doccia al circolo, per non viaggiare sudato. Durante la doccia teneva sempre gli occhi bassi per non guardare i gli altri tennisti nudi. Era terrorizzato all'idea di avere reazioni visibili. Gli sembrava improbabile che succedesse, proprio a causa del terrore e del disagio che provava, la situazione era tutt'altro che eccitante, ma per sicurezza guardava sempre basso. Non si fidava più di se stesso e dei propri istinti malati.
A cena chiese permesso ai suoi di andare alla festa. Non specificò dove fosse, il padre non gli fece storie. La Fulvia non commentò, passò la cena a guardare i genitori con uno sguardo torvo.
«E quindi il Leo Devetak va a lavorare? Bravo, così smette di chiedere soldi in giro per la fisarmonica» commentò il padre in tono acido.
Nico sbuffò, mentre intingeva il pane nel tuorlo dell'uovo al tegamino. «Quante volte ti devo dire che era un'idea mia perché mi dispiaceva che doveva vendere la fisarmonica? Lui non mi ha mai chiesto niente. E non sa neanche che ve l'ho chiesto, non gliel'ho detto.»
«Sì, sì, li conosco i Devetak. Sempre buoni a chiedere soldi in giro» disse la madre.
«Pensavo foste amici...» osservò Nico.
«Il ciocco è amico di tuo padre» disse dura la madre.
«Son gente strana. Lo chiamo alle vendemmie perché mi fa pena» aggiunse il padre. «E perché Goran era amico del nonno.»
Il nonno obiettò che lui il vecchio Goran, il nonno di Leo, non lo vedeva da anni e che gli "jughi" non gli erano mai piaciuti.
Nico rinunciò a proseguire la discussione. Aveva lo stomaco chiuso all'idea che avrebbe rivisto Leo quella sera e preferiva non chiuderlo ancora di più con il malumore.
***
Alla festa c'erano tutti, ovviamente.
E quando Nico arrivò, intorno alle nove con la stupida boccetta di lubrificante in tasca, convinto che l'avrebbe usata subito, Leo era mezzo ubriaco, per giunta. Stava suonando la fisarmonica e cantava con gli altri a ripetizione La mula de Parenzo.
La sua fisarmonica, Nico la riconobbe. Quindi non l'aveva venduta.
C'erano anche la Fede e gli altri membri dei Matuçs, che Nico pensava odiassero Leo dopo quello che era successo. Evidentemente la prospettiva di essersi risparmiati la multa salata aveva riportato i buoni sentimenti nel loro cuore.
Che cazzo ci sono venuto a fare?
«Oh, è arrivato il vegetariano!» lo salutò il Dondi. «Cosa hai mangiato stasera?»
«Due uova, pane e tegoline» rispose secco Nico.
«Che schifo di cena. Ma chi te lo fa fare?»
«Cosa c'è da bere?» chiese Nico, ignorandolo.
«I vegetariani bevono?»
«Tutto tranne il sangue.»
Il Dondi rise. «Vieni dentro, c'è un po' di tutto.»
Nico si prese una Peroni. Era tiepida e faceva schifo, ma la sorseggiò lo stesso. «Ma il nonno di Leo dov'è?»
«In gita con altri vecchi a Lourdes, non ho capito bene quando torna. Ha lasciato la casa a... ohu, è arrivato il mio onomino!»
Omonimo, lo corresse mentalmente Nico, mentre Alessio Donda usciva ad accogliere Alessio Spessot.
«Dov'è il mio tennista preferito?» La voce un po' strascicata di Leo lo sorprese alle spalle.
«Tuo nonno non si incazza che gli distruggi la casa?»
Lui fece spallucce e suonò due accordi alla fisarmonica, che portava ancora indosso. Poi rise.
«Mi spieghi che cazzo mi hai chiamato a fare? Lo sai che non lego con quelli della tua compagnia.»
«Volevo tanto vederti» disse lui con un tono e uno sguardo inebetiti.
Nico si guardò intorno per controllare che nessuno avesse sentito, poi si rivolse a Leo sperando che capisse: «Stammi lontano o rischi di fare figure di merda. Anzi, guarda, tolgo io il disturbo e torno a casa.» Posò la birra sul tavolo. «'Sta birra fa schifo, non la finisco neanche.»
Leo lo bloccò prendendolo per un braccio e lo implorò con l'espressione più disperata del mondo: «Per favore, resta qui.»
E come avrebbe mai potuto dirgli di no?
***
Nico era un po' alticcio. Ma nonostante bevesse poco aveva sempre retto bene l'alcol, e a parte una maggior socievolezza e i riflessi più lenti del normale, bere un po' più del dovuto non l'aveva reso molto diverso dal solito.
Leo, al contrario, era stramazzato al suolo. A metà serata Nico aveva preso in consegna la sua fisarmonica e l'aveva portata al piano di sopra, per evitare che qualcuno la rompesse o rovinasse. Aveva trovato due ragazzi che pomiciavano sul letto, nella camera del nonno, e senza scomporsi troppo aveva poggiato la fisarmonica a terra accanto a un armadio e aveva persino ordinato ai due: «Non la toccate.» Se fosse stato perfettamente sobrio forse non avrebbe avuto il coraggio di disturbarli.
Erano le due di notte e se n'erano andati quasi tutti. Erano rimasti solo lui, il Dondi, Alex e altri due ragazzi di cui non ricordava il nome, tutti abbastanza bevuti, ma in grado di camminare e parlare.
«Diobòn che sonno, torno a casa» disse il Dondi.
«Sei in motorino? Non puoi guidare il motorino messo così» disse Nico.
«E tu? Anche tu sei in motorino.»
Ah già.
Nico, per qualche ragione, stava dando per scontato che avrebbe dormito lì. La storia dei sacchi a pelo si era rivelata una scemenza, perciò Nico si era convinto che Leo gli avesse detto quelle cose al telefono solo perché voleva dare a Nico una scusa per dormire da lui.
E Nico era combattuto se accettare o meno quella scusa. Ai suoi ormai l'aveva detto, che forse si sarebbe fermato fuori a dormire, tanto valeva...
«Ho guidato messo anche peggio» disse il Dondi dirigendosi all'uscita. «Alex, tu cosa fai?»
«Aspetta, dammi una mano a portarlo su» disse Nico indicando Leo steso a terra.
«Su dove?»
«A letto.»
Il Dondi rise. «Ma lascialo dormire per terra!»
Nico chiese aiuto un po' a tutti, ma nessuno volle aiutarlo, quindi decise che lo avrebbe portato al piano di sopra da solo. Quando gli altri quattro lo salutarono, aveva appena trascinato Leo ai piedi delle scalette di legno.
Diede a Leo un paio di schiaffi e riuscì a svegliarlo. «Leo, alzati in piedi che ti porto su, pesi troppo per trascinarti.»
«Ah Nico, sei rimasto» biascicò lui. «Che coccolo.»
«Mona, più che coccolo. Alzati.»
Lo tirò su in piedi. Gli sollevò una gamba e la mise sul primo gradino, lui si aggrappò al passamano e si tirò su. Se Nico non lo avesse retto con entrambe le mani sul culo sarebbe caduto all'indietro al secondo gradino. E anche al terzo. E al quarto.
Le scale per fortuna non erano tante e non erano ripide. In un paio di minuti, tra pause, sedute, barcollii e altre pause, arrivarono in cima, e la strada fino alla camera fu più rapida.
Nico buttò Leo sul letto, Leo gli afferrò la maglietta, lo tirò a sé e disse delle parole che Nico non avrebbe mai e poi mai pensato di udire.
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Pre-note
E quali sono queste parole? Se leggete solo questa versione non lo saprete mail, Wattpad mi leva la storia, se gliele faccio dire. Forse potete intuirle, se volete esserne certi leggete la versione integrale sul PDF.
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Note 🎶
Che bel finale, eh? Beh, sappiate che originariamente non era un finale, ma si trovava a metà di un capitolo. Ho deciso però di dividerlo in questo punto, perché il tono delle due metà era troppo diverso. Anche se questo significa un bel cliffhanger proprio sul più bello 😁
Cosa ne pensate? Nico accontenterà la richiesta? Se mi conoscete bene, sapete già la risposta.
Ci rileggiamo lunedì, e lasciatemi una stellina per tutte le volte che ho fatto finire i capitoli sul più bello!
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