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15. Gli arcobaleni d'altri mondi hanno colori che non so

Gli arcobaleni d'altri mondi hanno colori che non so,

lungo i ruscelli d'altri mondi nascono fiori che non ho.

(F. De Andrè, Primo intermezzo, 1968)

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Avviso: la versione che state per leggere di questo capitolo è stata leggermente editata per non violare le regole di Wattpad: ho eliminato solo due battute un po' volgari di Leo. Metto a destra il link alla versione non editata per completezza, ma potete leggere anche questa.

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19 giugno 1981

«Coooosa?» Leo non solo sbiancò, ma perse anche l'equilibrio facendo un passo all'indietro, mentre suo fratello Matteo stava bestemmiando tutti gli dei e i santi conosciuti e anche qualcuno inventato. 

L'ufficiale SIAE era impassibile. «Ho detto che è stato compilato erroneamente il programma musicale e...»

«Ma no! No! Scusi, ma cosa ho sbagliato? Ho messo tutto! Deve aver sentito male qualcosa!»

«Avete eseguito un brano di cui ignoro il titolo, suppongo vi riferiate a esso con la frase ripetuta più volte nel ritornello, il Valzer di Campagna

Leo tirò un vistoso sospiro di sollievo. «Aaah, quello! Ma no, quella è una canzone che ho scritto io, non è protetta da diritto d'autore, non l'ho registrata alla SIAE. Per quello non c'era!»

«Coiòn! Coiòn tu e coiona io che l'ho cantata!» commentò a denti stretti la Fede.

«Ma...» cominciò Leo.

Il funzionario SIAE gli parlò sopra. «Cito dall'articolo 175 della legge numero 663 del 22 aprile 1943 sul diritto d'autore» lesse da un foglio. Si schiarì la voce, drizzò la schiena e proseguì. «Chi dirige l'esecuzione di opere musicali di qualsiasi genere deve compilare il programma di tutte le opere effettivamente eseguite e consegnarlo all'Ufficio incaricato della riscossione del diritto, come ribadito nei permessi di esecuzione rilasciati dalla SIAE. Il Programma musicale riporta l'elenco dei brani eseguiti nel corso dello spettacolo o intrattenimento, dal vivo o con strumento meccanico, e costituisce il documento base utilizzato per attribuire agli aventi diritto i proventi incassati dalla SIAE per l'utilizzazione delle opere musicali. Le infrazioni nella compilazione del programma musicale comportano per l'organizzatore dello spettacolo o intrattenimento l'applicazione delle penali previste dal permesso di esecuzione e per gli associati alla SIAE che firmano il Programma l'applicazione di sanzioni disciplinari. La falsificazione del programma musicale può configurare ipotesi di reato.» Alzò gli occhi e si rivolse a Leo. «Ha sentito? L'elenco delle opere eseguite. Significa tutte le opere, anche quelle in pubblico dominio o non altrimenti tutelate dalla SIAE. Il vostro documento è una falsificazione, pertanto gli organizzatori devono pagare la multa.»

«E gli organizzatori poi chiedono i danni ai coioni che gli hanno dato il borderò sbagliato!» inveì l'uomo baffuto.

La discussione che seguì fu disperata e furiosa: da un lato Leo che cercava di ragionare e di impietosire funzionario e organizzatore, ripetendo ossessivamente che loro non avevano rubato niente a nessuno con quel pezzo, il funzionario che ripeteva come un disco rotto l'articolo di legge, la Federica che piangeva, gli altri tre membri del gruppo con gli occhi fissi a terra che ogni tanto borbottavano: «Lascia stare, è inutile», Dondi, Loris e compagnia che ridacchiavano in disparte, i vari genitori e parenti, nel frattempo accorsi, che ascoltavano in silenzio con facce cupe e il fratello maggiore di Leo che bestemmiava e dava del «coiòn, cocâl, mona, cudumar, imbambinît, cjâf di miarde» e chi più ne ha più ne metta al fratello.

Nico ascoltava, attonito davanti a quello che gli sembrava un gigantesco sopruso costruito ad arte su un cavillo legale.

Alla fine il funzionario se ne andò lasciando all'uomo baffuto la notifica della multa e le istruzioni per pagarla.

«Tu e la tua canzone di merda!» gridò la Fede a Leo appena l'uomo se ne andò. «Faceva anche schifo!»

«Mi avevi detto che ti piaceva!» protestò Leo con uno sguardo ferito che fece tornare in mente a Nico tutte le prese in giro udite poco prima. Sullo sfondo infatti, Dondi, Loris e compagnia ridacchiavano.

«Sì, per non offenderti! Ma faceva cagare! Brutta e sfigata come tutto il liscio! E tra tutte le canzoni di liscio che ho sentito era la più merdosa! Vieni, vieni a cantare liscio che si fanno soldi... due milioni di lire! Due milioni! Dove li trovo adesso?» La Fede scoppiò a piangere.

Leo sembrava devastato dall'offesa alla sua canzone più che dall'idea di dover pagare la multa. Ma ribatté a quest'ultima parte: «Non sono due milioni, dobbiamo dividerli per cinque» cercò di ragionare.

«Eh no, caro mio» intervenne la madre della Fede, parlando per la prima volta da quando si era avvicinata, all'inizio della discussione. «Mia figlia col cazzo che paga! Hai fatto tu l'errore sul borderò e devono pagare gli altri?»

Ora la discussione si spostò tra gli adulti, erano presenti tutti i genitori dei membri del complesso. E tutti, tranne la madre e il fratello di Leo, erano d'accordo sul fatto che Leo fosse l'unico che doveva pagare perché responsabile dell'errore. Nico era d'accordo col principio, nonostante gli dispiacesse per lui.

«Benissimo» disse infine Matteo, il fratello maggiore di Leo. «Pagherai questi due milioni. Vendi la fisarmonica.»

Se Leo fosse stato pugnalato allo stomaco non avrebbe fatto un'espressione tanto sofferente. «No!» gridò.

«Hai due milioni in banca? No. Vendi la fisarmonica e li paghi con quella.»

«Ma tra un mese comincio a lavorare e...»

«E se riesci a mettere via soldi ti compri una fisarmonica nuova» ribatté la madre, dura. La stessa madre che il giorno prima era sembrata fiera di lui.

«Ma questa me l'ha regalata il nonno!» Leo aveva gli occhi lucidi.

«Ma finiscila di piagnucolare sempre! E la fisarmonica, e i disegni... sempre quello artistico, lui! Quello speciale! Vai a lavorare e impara un lavoro serio! Guarda dove ti ha portato la tua arte! A perdere due milioni di lire!» sbraitò Matteo.

«Io non la vendo!» La voce di Leo era rotta, ma impassibile.

«E allora non torni a casa!» Matteo gridava sempre più forte.

«Matteo, su, non...» cercò di dire la madre, e ora sembrava un po' dispiaciuta, ma il figlio maggiore la zittì spintonandola via senza tante cerimonie. «E stai zitta che è anche colpa tua se è venuto su così viziato.»

«Non sono viziato» ribatté Leo.

«E allora perché stai piangendo come un frutut?»

«Io non...» Leo non riuscì a finire la frase. Trattenne un singhiozzo e scappò.

Mentre andava via, Loris e compagnia ovviamente non persero l'occasione per gridargli dietro prese in giro e cattiverie, ridendo come dei cretini.

Nico esitò. Cosa avrebbero pensato gli altri se lo seguiva?

Ma la pena che stava provando per lui superò ogni remora. Gli andò dietro, e mentre ci andava si vergognò del suo attimo di esitazione: chi erano quei pezzi di merda per lui? Nessuno. Solo dei campagnoli pezzi di merda, e lui coi pezzi di merda non voleva averci a che fare.

Leo si stava dirigendo verso il palchetto, ma una volta arrivato lì lo superò, lo aggirò. Dietro al palco c'era un piccolo prato sterposo, lo attraversò, dirigendosi verso un caseggiato.

«Leo!» chiamò Nico.

«Lassimi in pâs!» rispose quello, con la voce rotta dal singhiozzi.

Sparì dietro un isolato. Nico accelerò il passo e lo vide, percorreva una stradina tra due caseggiati, si stava accendendo una sigaretta. Correndo lo raggiunse, lo prese per un braccio.

«Lassimi in pâs, 'o ai dit!» disse lui scrollando il braccio, la sigaretta appena accesa gli cadde di mano. 

Ma Nico lo trattenne, Leo piangeva, Nico lo tirò a sé e l'altro cedette. Si buttò tra le braccia di Nico piangendo. «Ci vedono» disse dopo pochi secondi. Lo spinse via e riprese a camminare.

Nico si guardò alle spalle. Un singolo lampione giallognolo illuminava la stradina e nessuno li aveva seguiti. Prese Leo per un braccio e lo trascinò in un secondo vicolo, più stretto, più nascosto, più buio. Leo si fece trascinare, e quando furono nel vicolo si fece di nuovo abbracciare. «Non ci ha seguiti nessuno» sussurrò Nico.

«Sono un mona. Sono proprio un mona sfigato» disse Leo. Singhiozzava. Nico non aveva mai visto un adulto piangere così, come un bimbo piccolo, con singulti rumorosi, risucchi, lamenti. A occhi chiusi gli accarezzò la nuca, i suoi morbidi capelli.

«Non mi ero mai accorto che sei diventato così alto» disse Leo dopo aver pianto per parecchi minuti. Piangeva ancora, ma si stava calmando. «L'anno scorso mi arrivavi alla spalla. Tra un po' ti arrivo io alla spalla, se continui così.»

Nico non rispose. Disse un'altra cosa. «A me è piaciuta la tua canzone.»

«Non raccontare balle. Lo so che a te piace il punk.»

Nico ebbe un accenno di risata. «Non è vero che mi piace il punk. Lo dico solo per non fare la figura dello sfigato. A me non piace nessuna musica, in realtà. Però per uno che non ascolta musica a me la tua canzone non sembrava peggio delle altre, anzi. Mi sembra incredibile che sei riuscito a scriverla. Mi sembra una roba difficilissima da fare.»

Leo tirò su col naso. Aveva ancora la guancia appoggiata alla spalla di Nico. «Come fa a non piacerti la musica?»

Nico rifletté un po', prima di rispondere. «Mi dà fastidio che è una roba che piace a tutti. Piace anche alle persone cretine. I libri invece, tipo. A me piace leggere. I libri sono una cosa per persone più intelligenti, non sono per tutti.»

«A me non piace leggere» ribatté Leo. «Perché sono un ignorante. Infatti mi piace la musica, perché sono stupido.»

Nico prese Leo per le spalle e lo allontanò da sé. Lo guardò nei suoi occhi scuri, gonfi e bagnati. «Perché ti vergogni di dire che ti piace il liscio?»

Leo tirò su col naso e prima che potesse dire qualcosa Nico proseguì: «No. Scusa. Lo so benissimo perché. Per lo stesso motivo per cui io dico che mi piace il punk. Perché il liscio è una roba da sfigati.»

«Quindi pensi anche tu che sono sfigato.»

«Non lo penso, mona. Sto parlando del giudizio degli altri.»

Le folte sopracciglia di Leo si contrassero come se volesse rimettersi a piangere, ma Nico lo scrollò. «Eddai, smettila di frignare! Ma cosa ti importa se quegli stronzi di Loris e Dondi pensano che sei sfigato? C'è tanta gente a cui piace il liscio! E tu sei bravo con la fisarmonica.»

«Tanto adesso devo venderla...»

«No, cazzo! No!» Nico lo scosse ancora, stringendo la presa sulle spalle. «Io ho sempre pensato che fossi un coione. Uno stupido, arrogante, manipolatore, ignorante che non era buono di fare niente! E invece stasera ti ho sentito suonare la fisarmonica, ti ho visto suonare la fisarmonica e ho pensato: cazzo! Cazzo se è bravo! E devi vederti quando la suoni! Come sei... come...»

«Come sono?»

Nico si vergognò ma lo disse. «Sei bello quando la suoni.»

Si guardarono per diversi secondi. Poi Leo gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Si baciarono a occhi chiusi come non facevano quasi mai. Si baciarono a lungo.

Leo si scostò. Era serio, adesso. Triste. «Nico, mi sa che ti tocca sopportarmi come coione ignorante che non sa fare un cazzo, perché la fisarmonica devo venderla.»

«E se non la vendi cosa succede? Ti danno i soldi i tuoi, no?»

«Tu non capisci perché sei ricco. Ma noi non ce li abbiamo due milioni e tre. Mio papà non fa più un cazzo e abbiamo quei due campi in croce che vanno di male perché mia mamma da sola non riesce a stargli dietro. Viviamo con quello che prende alla Delicia Paolo, perché quello che prende Matteo lo spende quasi tutto in bere, tra lui e mio papà. Non paga neanche gli alimenti alla figlia, è in causa con la moglie.»

«Ma allora non è giusto cazzo! È un parassita! Digli queste cose, fagli notare che è un ipocrita!»

«E secondo te con Matteo si può ragionare? Basta che gli dici A e ti pesta.»

Nico rifletté qualche istante su quelle parole. «Quindi è lui che ti fa i lividi?»

«Quali lividi?»

«Quel giorno che abbiamo scopato a casa tua, ti ho visto che eri pieno di botte, di lividi viola. È lui che te li fa?»

Leo fece spallucce. «Ah, sì. Son talmente abituato che neanche mi accorgo più di averle.»

Nico scosse lentamente la testa. «Che pezzo di merda...»

Leo si frugò in tasca e prese il pacchetto di sigarette. «Guarda che non sto mica lì a prenderle, che lo pesto anch'io, qualche volta» ribatté accendendosene una. Diede una lunga tirata e sbuffò nell'aria. «Solo che lui è più grosso e non è che ci riesco sempre.»

«Se c'è una cosa che non farò mai nella vita è pestare mio figlio» disse Nico. 

«Ma dai, ogni tanto serve uno scappellotto. Se uno fa il coion.»

Nico scosse la testa. «No. Quando picchi qualcuno lo fai perché perdi il controllo. Io lo vedevo, mio padre, quando mi batteva con la cinghia, quando ero più piccolo. O quando tira le sberle a mia sorella. Dice che lo fa per il nostro bene, ma non è vero. Lo fa solo perché è incazzato, e a me non mi ha mai insegnato niente. Mi ha insegnato solo a pensare che è una persona che non sa controllarsi. Io coi miei figli non lo voglio fare.»

«Ma tu pensi davvero che avrai figli?»

Nico restò zitto.

Leo si appoggiò a un muretto e diede un altro tiro alla sigaretta. «A me fa schifo l'idea di scopare con una ragazza. Una volta l'ho fatto e ti giuro che non so ancora come ho fatto. Non voglio farlo mai più. Tu invece sì?»

Nico continuò a non rispondere.

«Moriremo soli, Nico.»

Rimasero in silenzio per un po', il tempo per Leo di finire la sigaretta. La gettò a terra e la schiacciò con il tacco del suo mocassino. Era vestito elegante, di un'eleganza un po' volgare e provinciale: pantaloni scuri, giacca bianca con le spalline e mocassini dello stesso colore, e una camicia con una fantasia geometrica colorata. Nico faticava ad ammettere a se stesso che gli piaceva, anche se quei vestiti volgarotti rappresentavano tutto ciò che odiava.

«Dai, mo. Tornìn indaûr. Sennò chissà cosa pensano.»

Nico lo seguì. «Prima di salutarti devo darti una cosa.»

«Un regalo?»

«No. Un medicinale.»

Leo si fermò di botto, si voltò verso Nico e mise le mani ai fianchi.

«Ti ricordi che ti dicevo che mi faceva male il culo?»

Leo fece una risatina. «Sì.» Il suo sguardo poi si incupì. «Ti fa ancora male? Cioè... Sei ancora arrabbiato? Perché non mi hai detto che ti faceva tanto male?»

Nico strinse le labbra. «Guarda che te l'ho detto. Te l'ho detto chiaro e tondo, ma tu te ne sei fregato.»

Leo mise le mani in tasca e si strinse nelle spalle, sguardo sfuggente. «Ma diobòn, non è che me ne sono fregato, pensavo... cioè pensavo che stavi facendo scena solo perché non ti andava... cioè...» Sbuffò, alzò gli occhi al cielo. «Scusa, dai...»

Nico scrollò la testa. «Lasciamo perdere. È passata. Il punto è che mi faceva male... mi fa ancora un po' male perché ho un'infezione. Mi devo mettere una crema e te la devi mettere anche tu.»

«Un'infezione?» Leo fece un sorrisetto di scherno. «Ma come ti è venuta?»

Eccolo. Eccolo che ricomincia a fare lo stronzo.

«Un po' la vasellina, un po' che mi lavavo troppo il culo.»

Leo rise apertamente, ora.

Nico sbuffò, si frugò in tasca e diede a Leo l'unguento. «Ti devi mettere questa sul cazzo.»

Leo la prese, la guardò. «E se non me la metto cosa succede, mi va di male il cazzo?»

«Ti viene l'infezione anche a te.»

«Guarda che il mio cazzo sta benissimo.»

«Il dottore mi ha detto che...»

«Sei andato da un dottore a farti vedere il culo?» Leo scoppiò a ridere di nuovo.

«Senti stronzo!» sbottò Nico. «Se vuoi mettertela mettila, se non vuoi metterla spero che ti cade il cazzo, ma veramente. Vaffanculo.»

Nico si allontanò da Leo a passi svelti. «Ehi Nico, dai, non si può neanche scherzare?» gli gridò dietro Leo.

Quello che gli avevano detto anche i bulli di merda, poco prima. Permaloso, non si può mai scherzare... Il problema era che quelli non erano scherzi. Erano solo metodi di sopraffazione da campagnoli ignoranti di merda. 

E Nico si era illuso, per qualche minuto, che Leo non lo fosse.

Ma anche lui era come tutti gli altri. Un bullo campagnolo di merda.

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Note 🎶 

Questo per ora è stato il capitolo per cui ho fatto più fatica a trovare la citazione musicale da abbinare. Il primo titolo provvisorio era stato "La fisarmonica", che è anche il titolo di una canzone cantata da Morandi, ma il testo della canzone in realtà non ci azzeccava niente col capitolo e per giunta era anche un pezzo abbastanza bruttarello. Avevo bisogno di un testo che parlasse di morte, di solitudine. Avevo preso in considerazione per un po' Eleanor Rigby dei Beatles. Poi mi son detta: per parlare di morte chi meglio di Faber? Mi è subito venuto in mente il suo concept album Tutti Morimmo a stento, e ho ritrovato questa poesia stupenda, che per me descrive perfettamente il personaggio di Leonardo, un ragazzo che non riesce neanche a immaginare di poter essere una persona diversa o vivere in un mondo migliore, perché nella vita non ha mai conosciuto altro.

Cosa ne pensate delle emozioni che ha mostrato e del suo pessimismo? E secondo voi la fisarmonica la venderà davvero?

Ci rileggiamo giovedì, e lasciatemi una stellina per tutte le sigarette che si sono fumati Leonardo e De Andrè messi insieme.

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