115. Un concerto dedicato a te
Sull'eco del concerto
Che insieme ci trovò
Ripeterò ancor la strada
Che mi porta a te
(G. Calabrese, U. Bindi, Il nostro concerto, 1955)
—
20 marzo 2020
«Ho deciso che il tuo nome della settimana è: Teodosio.»
Nicolò quasi sputò il caffè che stava bevendo. «Non mi libererò mai di questa cazzata, vero?»
«Mai.» Leo sedette al tavolo dell'open space. Fece un cenno con la testa alla colazione di Nico. «E a me niente?»
«I pancake sono in frigo, se vuoi un caffè alza il culo e prendi una capsula. Se te lo facevo io si freddava, conoscendo i tuoi tempi biblici in doccia.»
Leo si rialzò sbuffando. «Se si freddava anche meglio, fa un caldo qua... Anzi, sai che me lo faccio shakerato? Lo shaker sta qua dentro, no?»
«Yes, scaffale alto.»
Passarono alcuni minuti di silenzio, Nico leggeva le ultime notizie sportive dal suo cellulare, mentre finiva un delizioso pancake con frutti di bosco e Leonardo si preparava il suo caffé freddo.
«A che ora arriva?» chiese Leo. Posò sul tavolo due pancake e un bicchiere di caffè e sedette.
«Tra pochissimo, non so se fai in tempo a mangiare, l'ultimo messaggio ha detto che il navigatore le dava dieci minuti e sono passati...» Il cellulare di Nico emise un Ding. «Eccola! È qua fuori! Le apro il cancello.» Si alzò. «Maria! Sono arrivati!» gridò con la testa rivolta al piano superiore.
«Porca...» imprecò Leo con la forchetta affondata in un pancake.
«Scendo!» rispose la voce distante di Maria.
«La mangi dopo quella roba» disse Nico.
«Ho fame, me la divoro in due secondi» ribatté Leo.
Nico scrollò la testa e non insisté. Alzò il citofono e aprì il cancello, poi la porta d'ingresso, attese un minuto che la macchina entrasse nel cortile, e infine sorrise alla vista delle braccia spalancate e del sorriso a trentadue denti di una persona che non vedeva da almeno una decina d'anni: sua sorella Fulvia.
I fratelli Bressan si andarono incontro sul vialetto e si stritolarono a vicenda in un abbraccio. «Ma perché non ci becchiamo più spesso?» fu la prima frase pronunciata dalla Fulvia.
Nico si liberò dall'abbraccio e le sorrise. «Come stai? In effetti è passato un bel po' dall'ultima volta.» Poi salutò con una stretta di mano Eric, il marito italoamericano, un sessantenne ben piazzato col cranio rasato e uno stile di abbigliamento forse un po' troppo giovanile per i gusti di Nico, e Aurora, la figlia tredicenne, una ragazzina molto somigliante alla madre, frangetta, capelli stretti in una coda di cavallo e due begli occhi scuri e vivaci.
«Ah, sì! L'Aurora aveva quattro o cinque anni, mi pare...» disse la Fulvia, proprio mentre la nipote salutava Nico con uno spigliato: «Ciao zio!»
«Ti ricordi ancora di me?» le chiese.
Lei rise. «Ma ti vedo sempre in TV, sì che mi ricordo! A proposito, posso fare un selfie con Michele?»
«Aurora, non essere invadente!» la rimproverò la madre.
Nico le sorrise. «Chiedilo dopo a lui, si sta...»
Ma la frase di Nico fu interrotta da un urlo acuto. «Non ci posso credereeee!» esclamò la Fulvia, e Nico udì la risata di Leonardo alle sue spalle. Prima ancora di andare da lui la Fulvia rimproverò il fratello: «Ma perché non mi hai detto niente? Ma siete...» Ebbe un'improvvisa esitazione. «Eh...» Stava forse per fare domande inopportune davanti a marito e figlia? «Dove sono Michi e Dani?»
«Si stanno allenando, tornano a casa tra qualche ora. Dai, andiamo dentro che vi presento Maria» disse Nico.
«Come stai, Fulvia?» disse Leo salutandola con i classici baci sulle guance. Nell'open space Maria stava già aspettando, e qualche minuto trascorse tra presentazioni e convenevoli.
Quando finalmente sedettero sul divano per chiacchierare fu la Fulvia la prima a parlare. «Diobòn, Leonardo Devetak dalla quinta dimensione!»
La sorella si era mantenuta davvero bene. Portava sempre i capelli corti, come quando era ragazza, e li tingeva del loro colore naturale, castano. Il suo viso poco truccato era giovanile, Nico sospettava si fosse concessa qualche ritocchino, ma l'aveva fatto con intelligenza, perché non era deformata da anomali gonfiori o innaturali lucentezze, era il viso asciutto di una cinquantaseienne che si portava bene la sua età.
Fu a Leo che vennero dedicate le maggiori attenzioni e lui fu felice di raccontarle qualche episodio della sua vita. Poi la Fulvia raccontò dell'azienda e della sorella Grazia che viveva a Milano e lavorava per lei, e che presto, probabilmente, si sarebbe trasferita in Friuli per seguire gli affari più da vicino perché «il papà ormai è vecchio.» Poi fu il turno di Eric, che parlava un ottimo italiano con una lieve inflessione americana, e chiese a Nico e a Maria pettegolezzi sportivi di vario genere (Maria aveva iniziato da poco a seguire l'NBA per la Gazzetta). Giocava a tennis lui stesso, nel circuito amatoriale, con uno stile e risultati discreti, Nico aveva visto qualche suo video condiviso dalla sorella su Facebook. Anche la giovane Aurora giocava a tennis, e quando parlò di nuovo sommerse Nico di domande su Michele.
«Lo sai che l'Aurora ha vinto un torneo qualche mese fa?» disse a un certo punto la Fulvia.
«Eddai mamma! Ti ho detto che non volevo dirglielo, è un torneo scolastico del cavolo...»
«Un torneo che potrebbe fruttarti una borsa di studio per una high school molto buona» commentò la Fulvia.
«Brava!» si congratulò Nico.
Aurora accennò un sorriso. «Mi faccio ispirare da Michele... quand'è che torna?»
«Un'oretta e sono tutti a casa.»
«C'è anche Ivan Reshetnikov, vero?»
«Sì, anche lui è nostro ospite.»
«Sono curiosissima di conoscerlo!» esclamò Aurora entusiasta.
***
Michele (coi suoi capelli ancora azzurri e un dito di ricrescita scura), Daniele e Ivan tornarono a casa, e Aurora fu abbastanza sensibile da capire che se chiedeva un selfie al fratello famoso, ne doveva chiedere uno anche a quello meno noto, ma era evidente che avesse occhi solo per Michele e Ivan. Pendeva dalle loro labbra e li sommergeva di domande. Nico aveva avvisato Michele di aver invitato a Miami la zia Fulvia con marito e cuginetta, e lui era sembrato sereno a riguardo. E sembrava sereno anche in quel momento, nell'interagire con lei, e divertito dalle attenzioni che la ragazzina riservava a Ivan.
Michele era un ragazzo nuovo, rinato. Era volato a Miami con l'intenzione di ricominciare ad allenarsi insieme a Ivan e l'aveva fatto. Dopo mesi di immobilità aveva ripreso una racchetta in mano, ed era stato come se non l'avesse mai lasciata. Aveva un nuovo obiettivo, partecipare a un torneo di doppio in estate, e sembrava felice di lavorare per ottenerlo.
Ma la cosa più straordinaria era che parlava.
A fatica, e non poteva essere altrimenti; ma interagiva, tirava fuori la sua voce, balbettava, a volte arrossendo, a volte scusandosi perché inciampava troppo a lungo su una parola, ma ci provava. Una volta in cui Nico l'aveva visto in difficoltà, un po' in ansia con un suo collega troppo espansivo, gli aveva detto: «Se non te la senti puoi anche salutare e andartene subito. Non ti sforzare.» Michele gli aveva risposto: «È un allenamento.» Nico si era stupito e Michele aveva spiegato: «Io non sono b-bravo a parlare e farmi c-c-capire, e non sono bravo neanche a capire. Più parlo, più imparo a capire. È un allenamento. Non voglio d-dipendere sempre da Vanja o Anna per interagire con le altre persone.»
Michele, poi, aveva parlato molto a lungo anche con un giornalista, una videointervista per un quotidiano sportivo italiano, dove era stato incredibilmente sincero su ciò che gli era successo, sul periodo di depressione che aveva passato. L'intervista era stata sottotitolata in inglese e trasmessa persino da Tennis Channel.
«Ho b-bisogno di ripensare alla mia c-c-carriera da zero» aveva detto. «Perché non ero più felice. Mi sto allenando e quest'estate ricomincerò a giocare in d-doppio.»
«E il singolare?» aveva chiesto il giornalista.
«In futuro, forse. Chissà. Prendo le cose con calma.»
Gli avevano fatto ovviamente delle domande sui capelli, intuendo che fossero dovuti alla scommessa menzionata da Ivan durante la finale degli Australian Open. Lui aveva riso e scherzato su quell'argomento.
Le domande su Ivan erano state tante. Michele aveva raccontato quanto il suo amico gli fosse stato di aiuto nel periodo di depressione, chiamandolo sempre così: amico. Michele era un ragazzo talmente riservato che Nico ancora non aveva ben capito la natura della loro relazione. «Vanja mi ha t-tirato fuori dal pozzo nel p-periodo in cui stavo più male. È lui c-c-che mi ha c-convinto a curarmi. E poi mi è stato sempre vicino. Mio p-padre, mio fratello e Anna c-ci hanno provato, ma non ci sono riusciti. Vanja ha un modo t-tutto speciale di capirmi.»
Aveva poi avuto belle parole anche per Anna e Daniele.
Ma la parte dell'intervista che Nico aveva ascoltato più volte era stata l'unica domanda in cui aveva parlato di lui. «Q-quando ho licenziato mio p-padre, p-penso che avevate capito tutti che avevamo litigato. Anna, di recente, mmmi ha fatto leg-g-gere delle vecchie discussioni tra fan in cui lo definivano tossico e immaginavano c-che mi avesse costretto a giocare a t-tennis contro la mia volontà per soddisfare delle ambizioni p-personali. Non è vero niente. Non ho avuto un rapporto facile con lui, è vero, e non voglio p-parlare del motivo p-per cui abbiamo litigato e ci siamo allontanati, è un brutto episodio che si è risolto. Ma ho capito di non essere una p-persona molto facile da capire. Anna all'inizio p-pensava che fossi un insensibile. Mio fratello ha sempre p-pensato che fossi un b-bambino viziato. E anche Vanja ha sbattuto la t-testa un sacco di volte contro tutti i miei problemi. Mio padre, anche lui non mi c-capiva bene, ma anch'io non ho mai c-capito bene lui. Stiamo iniziando a c-capirci adesso, finalmente, dopo ventidue anni insieme. Mio fratello aveva ragione a p-pensare che fossi immaturo, lo ero e lo sono ancora.» Michele poi aveva sorriso e si era toccato i capelli. «Se non lo fossi non mi sarei fatto i c-c-capelli azzurri!»
L'intervistatore aveva riso e aveva concluso con un'ultima domanda. «E quindi vi siete riavvicinati? Tu e tuo padre?»
Michele aveva sorriso e annuito. «Sì. Ha fatto t-tantissimo per me in questo periodo. Non so c-come avrei fatto senza di lui.»
Nico aveva ascoltato e riascoltato quelle parole un milione di volte e a ogni ascolto non poteva evitare di commuoversi un po'. E stava trattenendo la commozione anche in quel momento, in cui ci stava solo ripensando.
Fu riportato alla realtà dalla sorella Fulvia che si avvicinò con fare cospiratorio e lo prese in disparte. Leonardo stava chiacchierando con Daniele ed Eric, Maria era uscita per andare a prendere la piccola Elisa alla pre-school e sarebbe tornata a casa a breve, Michele e Ivan erano ancora impegnati con Aurora.
«Ma quindi, con Leonardo?» gli chiese a bassa voce.
Nico le sorrise. «L'ho beccato a Capriva tipo una settimana prima di partire e l'ho invitato qua.»
«L'hai beccato...» La sorella scrollò la testa. «No, aspetta fammi capire...»
«Un colpo di testa. Sì. Te lo saresti mai aspettato da me?»
«No» disse la Fulvia con gli occhi sgranati.
«Ci siamo incontrati dopo tipo trent'anni che non ci vedevamo. Siamo usciti in serata, ci siamo trovati bene e... e mi son detto: vaffanculo, proviamo a frequentarci per un po'. Se ci stiamo sul cazzo, amici come prima.»
La Fulvia rise. «Sei cambiato tanto in questi dieci anni che non ti ho visto.»
«No, non sono dieci anni. Sono gli ultimi due anni. Sono stati due anni davvero...» Nico sospirò. «Pesanti, stressanti, sconvolgenti. Non ho abbastanza aggettivi. Ma mi hanno fatto rimettere in discussione una vita intera passata a... a reprimermi.»
«E quindi sei passato da un estremo all'altro!»
Nico rise. «Più o meno.»
La Fulvia fece un cenno della testa verso Leonardo. «E come sta andando?»
Nico si strinse nelle spalle. «Non male, sai? Anche lui è cambiato tanto. È come se stessi conoscendo una nuova persona che somiglia a una vecchia persona. È strano. Ci sono cose familiari e ci sono cose diverse.»
«Da quanto dura la vacanza insieme?»
«È un mesetto su per giù. Con un periodo di due settimane separati perché io son venuto qua con Daniele, lui aveva impegni da sbrigare, il passaporto da rinnovare... In totale quindi... due settimane sì e no.»
La Fulvia alzò un sopracciglio. «Ok, sei ancora nella fase luna di miele.»
Nico scosse la testa. «No. È diverso. Niente colpo di fulmine. Niente farfalle... È... Ok, sì, in realtà un po' di farfalle ogni tanto ci sono.»
La Fulvia rise di gusto e gli diede una pacca sulla spalla. «Spero che non passi.»
«Ma no. Non sono le farfalle che cerco. È un po' di felicità. Un po' di libertà. Un amico, qualcuno che ogni tanto abbia voglia di abbracciarmi e di starmi a sentire. Qualcuno che ogni tanto io abbia voglia di abbracciare e sentir parlare.»
«Sembri davvero un fratello diverso, quando dici queste cose. Il Nico che conoscevo io non le avrebbe mai dette.»
«Il Nico che conoscevi sto cercando di mandarlo a fanculo.»
La Fulvia si guardò alle spalle con aria circospetta. «Giusto per sapere e non fare gaffe... Chi sa cosa?»
«Tutti sanno tutto. E se vuoi dirlo anche a tuo marito e a tua figlia per me non ci sono problemi.»
***
«Sei emozionato per domani?» Nico chiese a Leonardo, mentre erano stesi uno accanto all'altro in camera. «O ci sei abituato a queste cose?»
«Ci sono abituato, ma sono anche emozionato. È un pubblico completamente diverso da quello italiano, spero che apprezzeranno il repertorio. Mi son preparato che se vedo che le canzoni italiane non se le cagano, faccio tutta roba in inglese e strumentale. Insomma, mi adatto annusando la stanza.»
«Dai, che sei bravissimo e sarà un successone» disse Nico.
Leo rise. «Ancora qualche anno, e poi...» Il suo sguardo si immalinconì.
Nico appoggiò la testa su un gomito per guardarlo. «In che senso? Cos'è questa tristezza, adesso?»
«Il liscio ormai lo ballano solo i vecchi. E i vecchi muoiono.» Gli sorrise. «È triste, ma è la vita. I miei concerti sono sempre più vuoti. Ma va bene così. Ormai vado per i sessanta, ho soldi da parte, mi sono pagato dei contributi all'ENPALS e la pensione la prenderò.» Si mise a sedere e gli diede un buffetto alla spalla. «Oh, e poi c'è sempre l'opzione che mi sposo col buon partito che mi mantiene, eh!»
Leonardo rise e rise anche Nico. Gli venne voglia di baciarlo, lo fece. Si strinsero, rotolarono nel letto, e mentre si toccavano a Nico venne da ridere. «Cosa c'è?» gli chiese Leonardo.
«Sai cosa mi è tornato in mente? Ti ricordi...» Nico ebbe un'altra risatina. «Ti ricordi...» No, non riusciva a dirlo, fu preso da una ridarola irrefrenabile, che contagiò anche Leonardo. Nico dovette stendersi a pancia in su, rise, prese fiato, rise ancora.
«Ma allora? Ti ricordi cosa?» riuscì a dire Leonardo tra le risate.
«La posizione numero sessantanove!» disse Nico in falsetto, scoppiando di nuovo a ridere pochi secondi dopo averlo detto.
Leonardo dapprima lo guardò perplesso, poi i suoi occhi si illuminarono. «Oddio... sì! Ma sai che son quarant'anni che non ci pensavo?» Rise, e Nico pensò quanto fosse bello ridere e far ridere qualcuno. «Mi ero completamente dimenticato 'sta cazzata!»
Risero ancora un po', poi quando si furono calmati Leonardo alzò un sopracciglio e propose: «Ti va di farla?»
Nico, ancora steso a pancia in su, con la testa rivolta verso Leo, fece un sospiro e un sorrisino. «No. A forza di ridere mi è passata la voglia di tacconare. Ti scoccia?»
«Un po' sì, eh...» disse Leonardo. Poi fece spallucce. «Ma tanto tacconiamo domani.» Si fece serio e sorrise di nuovo. «O tra dieci minuti quando avrai cambiato idea.»
Nico si stiracchiò e incrociò le mani dietro la testa. «Sto bene, sai?»
Anche Leo si stese, nella stessa posizione. «Anch'io.»
Nico girò la testa verso di lui.«No, seriamente. Ho deciso che sarò sincero con te, sempre. Voglio essere spontaneo e dirti tutto, dai vaffanculo ai... alle cose più belle. E adesso voglio dirti che sto bene. Sto bene con te.»
«Anch'io» ripeté Leonardo. «E visto che sei in vena, vuoi parlarmi di Raffaele?»
Nico distolse lo sguardo. «E perché dovrei farlo?»
«Perché sto bene con te. E non voglio innamorarmi di te solo per scoprire che tu non riuscirai.»
L'affermazione molto seria di Leonardo gli strozzò il fiato in gola.
«Vedi? Anch'io sono sincero con te» disse Leonardo. «Mi piaci. Mi piaci più di quando ti avevo appena conosciuto da sbozzi, per adesso.»
«Noto il per adesso.»
«Noti bene. Ho le mie riserve. Sono rimasto troppo scottato dalla storia con Ettore per non averle.»
«Parlami tu di Ettore. A me non va di parlare di Raf. Per adesso.»
Leo era steso a pancia in su come Nico e il suo nasone puntava il soffitto. Fece un lento sospiro e le sue sopracciglia si incresparono. «Lo amavo da impazzire e...»
«E?» lo incalzò Nico dopo parecchi secondi di silenzio.
«E forse un po' lo amo ancora.»
Nico inghiottì un grumo di fastidio in gola, forse un principio di gelosia, solo per rendersi conto che anche lui si trovava nella stessa situazione. «Io credo che a Raf non smetterò mai di amarlo» ammise.
Leonardo si girò su un fianco e guardò Nico negli occhi. Serio.
«Era l'amico più grande che abbia mai avuto» proseguì Nico, «prima di amarlo in senso romantico io lo amavo come amico, e non smetterò mai di amarlo. Ci sarà sempre un pezzetto di... passami la frase fatta, un pezzetto del mio cuore che amerà Raffaele.»
Un pezzetto del mio grande cuore sanguinante, pensò Nico, ricordando la sciocca favola in riva al fiume.
«Se è solo un pezzetto, rimane un sacco di spazio, no?» Leo accennò un sorriso, che morì subito. «No, scusa, non credo di potercela fare.»
Nico annuì. Chiuse gli occhi per trattenere le emozioni. «Se te ne vai mi dispiace. Perché sto davvero bene con te.»
«Il problema è che sono parole che mi ricordano troppo quello che ho passato con Ettore.»
«Cioè?»
«Ti ho detto che scopava a destra e a sinistra, sì?»
Nico annuì.
«Il fatto è che l'ho fatta un po' facile, non ti ho detto tutta la storia. Era... una specie di relazione aperta.»
Nico rimase perplesso: conosceva ancora poco Leonardo ma non gli sembrava il tipo da relazioni aperte. «Quindi... scopavi a destra e sinistra anche tu?»
«No. Ti ho detto che era una specie. Ma lui l'ha messa in chiaro subito con me, questa cosa, quando abbiamo iniziato a uscire. E all'inizio erano solo scopate una volta ogni tanto, e andava bene, ma poi mi sono innamorato, e si è innamorato anche lui, forse. Credo. Mi ha detto ti amo, sei la persona con cui voglio passare la mia vita, e allora io... io pensavo, ok, adesso questa cazzata della relazione aperta finisce, no? Ma no. Io sono uno spirito libero, diceva, non voglio avere limitazioni, se una persona mi piace ci scopo, ma quello che amo sei tu. Hai capito?» Leo fece una risatina. «E all'inizio io mi sentivo persino speciale! E forse ero speciale davvero, non so... Ogni tanto ci ripenso, perché lui veramente stava con me, ero io quello da cui tornava, gli altri erano avventure, io ero l'unico fisso, mi sembrava una prova d'amore grandissima, in certi momenti, in certi altri invece avevo i dubbi, mi sentivo preso per il culo, pensavo... non è che sono solo quello comodo che sta sempre lì ad aspettarlo quando non trova niente di meglio? Non è che sono solo quello da tenere buono per quando siamo vecchi e laidi e non ci vuole più nessuno? E in certi giorni invece gli credevo, credevo che il fatto che con me ci stava sempre era la prova che io ero l'unico che amava... E ho passato quindici anni così, a stare di merda a fasi alterne, e con la paura che se lo mollavo non avrei mai più avuto qualcuno che mi amava... La paura di stare solo... Ti ricorda qualcosa? Io mi ricordo bene che ne abbiamo parlato, da ragazzi... »
Nico deglutì. Annuì.
«Ma sai che è stato proprio ripensando a te che ho trovato la forza di mollarlo? Ho ripensato tanto a quando ci siamo lasciati, che io credevo che sarei morto solo e non avrei mai trovato nessuno, e invece avevo trovato Ettore, e prima di Ettore c'era stata anche qualche altra avventura, insomma... Pensavo: ok, ormai ho quasi cinquant'anni, sì, forse non lo trovo più il grande amore, ma... Va be', pensavo tante cose, e tanto incoerenti, anche. Ma son riuscito a trovare il coraggio di mollarlo pensando che avevo ancora tanta vita davanti. E soprattutto pensando: meglio solo che a tormentarmi in eterno dietro di lui.»
«Hai fatto bene.»
«Insomma, capisci che a sentire queste cose mi torna in mente lui?»
«È diverso, però» ragionò Nico.
«Sì, lo vedo anch'io che è diverso. Io dovevo dividermi Ettore con seimila persone, tu hai solo un'altra persona nel cuore.»
«E invece no, ne ho parecchie. Ho anche i miei figli. E anche Elisa. Anche a lei volevo bene, sai? E quando ci ripenso, alla sua morte, ci sto male, e vorrei tornare indietro, abbracciarla, darle tutto l'affetto che non le ho mai dato, un affetto da amico, non da marito. E un po' voglio bene anche a Ivan e a Maria. E anche Anna è una brava ragazza. E mia sorella Fulvia, be', lei ormai è praticamente un'estranea, ma mi piacerebbe riavvicinarmi, e imparare a volerle di nuovo un po' di bene.»
«Ma Raffaele era diverso.»
Nico annuì. «Lo era e non posso negarlo.»
Leonardo chiuse gli occhi e sospirò.
«E se è troppo per te da sopportare lo capisco. Davvero. Perché anche a me dà fastidio l'idea che pensi ancora a questo Ettore, e quindi ti capisco, e...» Nico si fermò perché si rese conto che la sua voce si stava incrinando.
«Cos'hai? Piangi?»
«No. Solo un po' di scombussolamento» disse Nico, di nuovo in controllo.
«E perchè?»
«Perché ero contento di averti ritrovato.»
Nico sentì la mano di Leonardo sulla guancia, e quando riaprì gli occhi gli stava sorridendo.
***
Il locale era gremito di gente, e Leonardo aveva ragione, riguardo al pubblico del liscio: nessuno dei presenti aveva meno di sessant'anni e la maggior parte ne aveva più di settanta. Nessuno a eccezione della loro compagnia: Fulvia, Eric, Anna, Andrej, Ivan, Michele, Daniele e Maria. E Nicolò. C'era una pista da ballo, dove per tutta la sera le coppie si erano divertite a suon di valzer, polke e mazurke.
Nico era rimasto seduto al tavolo prenotato, vicino al palchetto. Anna, che con le sue abilità da manager multitasking aveva organizzato la serata, gli aveva proposto un giro di ballo, lui aveva rifiutato. Michele e Ivan avevano ballato insieme una polka, facendo degli stupidi saltelli fuori tempo e ridendo come due bambini, ripresi col telefono da Anna che poi aveva minacciato scherzosamente Michele di pubblicare tutto su Instagram se non avesse fatto il bravo. Nico aveva notato diversi cellulari puntati sui due ragazzi, mentre ballavano: se non l'avesse fatto Anna, ci avrebbe pensato qualcun altro. Ma se Michele era sceso in pista, doveva aver messo in conto quell'ipotesi, e se a lui non dava fastidio, Nico non ci si sarebbe fasciato la testa.
Un piccolo applauso segnò la fine dell'ultima canzone, e Leonardo ringraziò con un: «Thank you!»
Anna era stata davvero brava: si era informata sui locali di zona, identificato un posto frequentato da appassionati di ballo liscio e aveva pubblicizzato la serata rimarcando la fama italiana di Leonardo nel genere. E la partecipazione era stata davvero eccellente. Diverse coppie di danzatori si erano avvicinate al palco per fare i complimenti a Leo, che spesso aveva chiamato in aiuto Nico per tradurre i complimenti da inglese a italiano. Per presentare i pezzi Leo si era preparato qualche breve frase, scritta su un foglio con la pronuncia: considerando che l'inglese lo parlava malissimo, era stato anche abbastanza bravo, integrando con qualche battuta in italiano qua e là.
Era stato bravo soprattutto a preparare il repertorio. Aveva alternato, come promesso, pezzi italiani, inglesi e strumentali, e quelli italiani erano stati ben ricevuti, anche perché c'erano parecchi italoamericani in sala.
Nico si avvicinò al palco. La situazione con Leo era rimasta in sospeso dalla sera prima. Cosa avrebbero fatto? Sarebbe continuata, quella strana relazione, o sarebbero rimasti solo amici? O vecchi conoscenti che si mettevano qualche like su Facebook? Nico non aveva ben chiaro lui stesso cosa voleva fare: stava bene con Leo, ma le incognite erano tante, e sia Ettore che Raffaele sembravano due figure ingombranti, che avrebbero potuto guastare tutto.
Ma si avvicinò a lui, con lo spirito più positivo che aveva, e gli fece dei complimenti sinceri e calorosi.
«Ti è piaciuto davvero?» disse Leo appoggiando a terra la fisarmonica.
«Tantissimo. Te l'ho detto un milione di volte: sei un genio con quell'affare.»
«Il liscio, però, è una musica da ballo, e tu non hai ballato.»
«Perché non mi piace ballare. Ma ti ho ascoltato. Non è anche meglio?»
Leo gli sorrise, e il dialogo venne interrotto da un: «Signor Divetek?» dal pesantissimo accento americano.
«Divetek ancora mi mancava» ridacchiò Leo. «Mi dica» disse rivolto al proprietario della voce, un vecchietto panciuto con un tappetino di ricci candidi sulla cima della testa e una coloratissima camicia hawaiana.
«Mi scusami, tantissimi congratulazioni per la serata bellissima, grazie! Grazie!»
«Ma grazie a lei» disse Leonardo, con un sorriso che si era allargato sempre di più a ogni parola dell'uomo.
«Io ti chiedo per piacere che fai la mia canzone preferita che stasera non hai suonato...»
Nico inutì al volo di che canzone si trattasse prima ancora che il vecchietto canuto dicesse: «Rewind.»
Il sorriso di Leonardo si smorzò appena. Si grattò la testa. «Eh... quella canzone!»
Nico e Leo ne avevano parlato, e Leo aveva detto a Nico che avrebbe preferito non suonarla. «La suono quasi sempre, ma... il fatto che ci sei tu a sentire... Non so, ho come paura che gli altri ascoltano e capiscono tutto. Sono scemo?»
Nessuno – a parte la Fulvia – aveva fatto domande a Nico su chi fosse davvero Leo e perché fosse andato con loro a Miami, nessuno aveva fatto commenti. Nico aveva dato per scontato che tutti avessero capito, senza bisogno di spiegazioni e annunci. L'imbarazzo di Leonardo era comprensibile.
«Se non ti va non farla.»
«Ma tu cosa ne pensi?»
«Che devi fare quello che vuoi tu, e fregatene di cosa penso io.»
Leo non aveva insistito.
Ora stava guardando Nico, mentre il vecchietto canuto ricominciava a parlare. «Vedi quella signora con vestito purple?» disse indicando una donna anziana seduta a un tavolino poco distante.
«È tua moglie?» gli chiese Leo.
«Sì. Noi siamo insieme di quarantatré anni, lei è il mio grande amore.»
Leonardo sorrise, il vecchietto proseguì. «Noi in 2002 veniamo... venimmo in Italia in viaggio per venticinque anni di matrimonio. Io sono italiano, mia famiglia viene in America di Pughlia due generazioni. Io sento molto la radice italiana, ho fatto viaggio in Italia con la mia moglie in 2002, due mesi noi giriamo per tutta la bellissima Italia. Ho portato lei in festa dove tu suoni in 2002, a Ferrara, con il tuo band, i Matuchis.»
«Wow!» disse Leonardo, con gli occhi che luccicavano.
«Quando hai cantato la canzone Rewind a Ferrara, io ho pensato che era la più bellissima canzone d'amore del mondo, e ho dedicato alla mia moglie. Ho comprato il CD dei Matuchis. Da quella volta ogni... come si dice... anniversary...»
«Anniversario» suggerì Leo.
«Anniversario del matrimonio, ogni anniversario del matrimonio io metto il CD e noi ballamo il nostro waltz.»
«E falla, dai» lo incoraggiò Nico.
Leo lo guardò negli occhi, pieno di evidente gioia e commozione.
«L'altro giorno non te l'ho detto per non metterti pressione, ma mi piacerebbe molto risentirla.»
Una volta. Una sola volta in vita sua. E gli era bastata per decidere che fosse la canzone più bella del mondo.
«E va bene, la faccio» disse Leo, e già imbracciava di nuovo la fisarmonica.
«Grazie! Grazie!» disse l'uomo, prima di allontanarsi per tornare tutto allegro dalla moglie.
«Ma puoi farmi un favore?» aggiunse Leo rivolto a Nico, quando l'uomo si fu allontanato. «Mi fai da interprete? Vorrei dire due parole, prima.»
Nico temeva che Leo se ne uscisse con qualche dichiarazione inopportuna, ma decise di fregarsene. Acconsentì. Leo accese e gli passò un microfono, e iniziò subito a parlare nel suo, attirando l'attenzione dei presenti, alcuni dei quali già si accingevano ad andarsene. Dopo una breve introduzione in cui ringraziò tutti per aver ballato e applaudito, iniziò il vero discorso.
«A grande richiesta, suonerò un'ultima canzone. Un valzer che ho scritto quando avevo diciassette anni.» Leo attese che Nico traducesse. «Ora ne ho cinquantasei, sono passati quasi quarant'anni e dirlo mi fa sentire molto vecchio.» Nico tradusse anche questa frase, causando qualche risatina e un accenno di applauso.
«Questa canzone l'ho scritta per il mio primo amore. L'ho scritta perché non riuscivo a esprimere il mio amore a parole, con la musica mi veniva più facile.» Questa volta, mentre traduceva, Nico non poté evitare di guardare i suoi figli, seduti al tavolino a qualche metro dal palco: Daniele stava sorridendo, a braccia conserte, con lo sguardo di chi aveva capito tutto, Michele era serissimo e impenetrabile, come suo solito.
«Poi quel grande amore è finito, ma il giorno in cui ci siamo lasciati, quel... quella persona speciale mi ha detto una cosa, una cosa che non dimenticherò mai.» Nico tradusse, incuriosito.
«Era un periodo molto difficile della mia vita, un periodo nero in cui pensavo che la vita non avesse senso, ma quella persona mi ha regalato un senso dicendomi: Leo, non buttarti giù, con la tua musica bellissima tu potrai fare felici molte persone.»
Nico esitò a tradurre, la sua voce ebbe un inciampo e uscì dalla sua bocca carica di emozione quando ripeté quelle parole in inglese, parole che aveva dimenticato di aver detto. Scaturì un applauso, che fece commuovere Leo, Nico lo vide strofinare il dorso della mano sugli occhi.
Ricominciò a parlare con voce ferma. «Stasera una coppia sposata da quarant'anni mi ha detto che Rewind, quella canzone, è diventata la loro canzone d'amore. Quarant'anni. Più o meno l'età della canzone. Il tempo del mio primo amore.»
Nico tradusse, faticando parecchio a tenere la voce sotto controllo. Vide la coppia di anziani scambiarsi un bacio a labbra chiuse.
«È successo il miracolo, è successo davvero. Una cosa che avevo scritto per una persona, l'ho portata nel mondo, e altre persone l'hanno amata e l'hanno fatta diventare una cosa loro. È bellissimo, è...» Leo si fermò, fece un piccolo sospiro, fu incoraggiato da un applauso. Nico intanto tradusse.
«È bellissimo» ripeté Leo. «È la magia delle canzoni.»
«It's wonderful» disse Nico. «It's the magic of songs.»
«The magic of songs» ripeté Leo.
«So true» commentò Nico, mentre un applauso scrosciante celebrava il bel discorso di Leonardo.
Nico appoggiò il microfono, lasciò il palco a Leo e andò a sedersi proprio lì, sotto al palco, in un posto che si era liberato.
Leonardo fece partire una base. La prima volta Nico aveva ascoltato la voce di Leo accompagnata dalla sola fisarmonica, ora si aggiungeva qualche altro strumento. Un arrangiamento molto semplice, un ritmo leggero di valzer, una chitarra arpeggiata.
E ritornarono dal passato quelle parole, udite una volta, dimenticate nel tempo.
«Se ascolterai il mio cuore
musica sentirai,
concerti di emozione
che parole non trovano mai»
Nico ricordava ancora le emozioni ambivalenti della prima volta: il cuore che batteva e il suo stupido disprezzo da snob per delle emozioni che considerava troppo banali.
«Ti prenderò per mano
ti porterò con me
E per parlarti io suonerò
quest'ultimo valzer per te»
Com'era bella nella sua semplicità. Aveva dimenticato tutto o quasi, riascoltandola gli sembrò quasi di sentire di nuovo il caldo dell'estate, qualche cicala in sottofondo, la spensieratezza dell'adolescenza.
«Non andare via, non mi lasciare.
Per non scordarti mai voglio cantare
Se fossi una canzone,
Un nastro, uno spartito
Farei rewind
Ti ascolterei
All'infinito.»
E con quarant'anni di ritardo Nico si concesse commuoversi, farsi pienamente coinvolgere dall'emozione, senza vergogna, senza l'idea che condividere quei sentimenti con tante altre persone li rendesse meno speciali.
La strofa venne ripetuta, e Nico si emozionò di nuovo, ammirò la sua bravura, l'espressività della sua voce, la delicatezza dell'arrangiamento. Ammirò le coppie che ballavano guardandosi negli occhi con affetto, i due vecchietti che si stringevano ondeggiando lentamente a ritmo, ammirò i sorrisi delle persone sedute.
Guardò negli occhi Daniele. Non sorrideva più, ma il suo sguardo risplendeva, e disse qualcosa a Nico col labiale. Nico capì: «È bellissima.»
Michele, invece, adesso stava sorridendo. E fece un gesto, mani aperte davanti a sé, due spinte. Era la stessa cosa che aveva detto Daniele, ma in lingua dei segni: wonderful.
Nico annuì ai suoi figli. Era davvero una canzone bellissima: l'aggettivo più semplice e anche il migliore per descriverla.
Leonardo scese dal palco, dopo la fine della canzone, lasciando lì la fisarmonica, e andò dritto da Nico. «Non so se è l'emozione a parlare, ma ho deciso che sto con te.»
Nico si alzò in piedi e gli sorrise. Ebbe l'impulso di abbracciarlo ma la presenza del pubblico lo frenò.
«Sei d'accordo, sì?» aggiunse Leo corrugando la fronte.
Nico sorrise e si grattò la testa. «Sai... dopo una canzone così non vale. Ti direi di sì a qualsiasi richiesta, in questo momento.»
Leonardo sembrava euforico come un ragazzino.
«Canzone a parte, c'è qualcosa di concreto che ti ha fatto cambiare idea?» gli chiese Nico.
«Tante cose. Che non posso pretendere che tutto sia perfetto. Che abbiamo tutti e due un passato complicato e che son cose che possiamo superare insieme, volendo. No?»
«Sono d'accordo.»
«E poi... una cazzata.»
«E dimmela.»
«Che ieri sera ti dispiaceva, quando ti ho detto quelle cose.»
Nico accennò un sorriso. «Ovvio che mi dispiaceva.»
«Quindi... ci tieni.»
«Ovvio che ci tengo. Sei ancora molto insicuro. Mi ricordo che mi chiedevi sempre... dimmi quella cosa. Ti ricordi che me lo chiedevi?»
«Sì che mi ricordo.»
Nico e Leo si guardarono negli occhi in silenzio.
«Ho imparato anche a dirla oltre che a chiederla, sai?» disse Leo.
«E io ho imparato a dirla di nuovo, dopo tanti anni che avevo disimparato.»
Leo sorrise. «Spero di potertela dire.»
Nico gli prese una mano e lo guardò negli occhi. «Spero di potertela dire anch'io.»
FINE
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Note finali 🎶
Il viaggio di Nic è finito con la promessa mantenuta: gireremo il mondo insieme, io col tennis tu con la musica. Quando ho pensato alla storia ho pensato che doveva essere così: una seconda possibilità a un amore che la prima volta era andato male perché non sarebbe potuto andare diversamente. Perché Leonardo era ancora troppo egoista e immaturo, perché Nico aveva troppi pregiudizi, perché entrambi erano troppo giovani e inermi di fronte a un mondo che non li accettava. E ho voluto concluderlo mantenendo quella promessa che aveva l'entusiasmo e l'assurdità delle promesse adolescenziali, perché mi piaceva l'idea di dar ragione, dopo tanti anni, ai sogni di due ragazzini.
Non so quanto spesso succeda nella realtà che una persona riesca a rinascere dopo una vita di traumi, automatismi negativi e chiusura mentale, ma le persone scrivono storie dall'alba dei secoli per sconfiggere, attraverso personaggi di finzione, draghi che nella realtà sarebbero invincibili, ed è anche grazie a quelle storie che trovano il coraggio di tirar fuori la spada per le proprie battaglie personali. Nico non sarebbe stato un eroe se non avesse sconfitto il suo, di drago, e io spero di avervi fatto diventare tutti un po' eroi insieme a lui.
La canzone del capitolo è una canzone a cui tengo molto che che sapevo avrei messo nella storia prima ancora di iniziare a scriverla. La volevo mettere in un punto importante e alla fine la scelta è caduta proprio sul capitolo finale. È stata scritta da un cantautore che di draghi ne ha davvero dovuti affrontare troppi, e non ne è sempre uscito vittorioso. Si tratta di Umberto Bindi, che a causa della sua omosessualità dichiarata negli anni Sessanta e Settanta è stato osteggiato in tutti i modi possibili da Rai e case discografiche, e che ha vissuto gli ultimi anni vessato da malattie e difficoltà economiche. Il pezzo che ho scelto è il suo più famoso, un brano che è stato interpretato da molti cantanti diversi, da Massimo Ranieri a Morgan. La versione che sentite è proprio quella cantata da Bindi stesso. Aveva un gusto per gli arrangiamenti raffinatissimo che veniva dai suoi studi classici-jazz, e una vena melodica davvero invidiabile. Il nostro concerto è, secondo me, una delle canzoni d'amore italiane più belle che siano mai state scritte. Siccome questo è il mese del pride, questo è il mio personale omaggio al pride: ricordare un artista che tutti hanno cercato di nascondere ed emarginare proprio a causa del modo in cui avrebbe voluto vivere l'amore. Vi invito più di ogni altra volta ad ascoltarla e volere un po' di bene a questo autore.
https://youtu.be/grDlxUTKQt8
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Vi do appuntamento a domani per i ringraziamenti e per aggiornarvi sui miei progetti futuri (alcuni riguardano anche Play/Rewind), per chi fosse interessato. Nel frattempo vi invito già a followarmi qui su Wattpad e/o su Instagram, se già non lo fate, dove pubblicherò costanti work in progress, disegnetti, scleri e cavolate varie, nonché gli annunci sulle mie prossime storie. Vi aspetto! Il profilo Instagram ve lo lascio qui nel primo commento (è ella_snufkin con l'underscore).
E lasciatemi un'ultima stellina per aiutare questa storia a crescere e incoraggiare tutti i Nichi del mondo a sconfiggere i propri draghi.
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