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111. Ho poco tempo e troppa fame

E chiese al vecchio "dammi il pane,

Ho poco tempo e troppa fame."

(F. De Andrè, Il pescatore, 1968)

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L'espressione serena di Michele mentre guardava il falò, un bicchiere di vin brûlé fumante in una mano, e una fetta di putizza nell'altra. Quell'espressione Nicolò l'avrebbe portata sempre dentro di sé, come una fonte di felicità.

Lì accanto, Anna, Daniele e Maria scherzavano tra loro e Michele stava là, un po' in disparte, ma felice, assorto nei suoi pensieri.

Michele quella sera, uscendo, aveva mostrato un'insolito coraggio e indole di apertura. Nicolò non volle essere da meno, e decise di fare lui stesso qualcosa di insolito e contrario alla propria indole. 

A inizio serata aveva notato che tra i partecipanti al pignarûl c'erano alcune sue vecchie conoscenze: un gruppetto di cinque ragazzi che aveva frequentato quando viveva a Capriva, tra cui i due omonimi, Alex e il Dondi. 

Nonostante i capelli in meno e qualche chilo e ruga in più, nessuno di loro era invecchiato male, Nicolò li aveva riconosciuti subito ma aveva finto di non vederli, imbarazzato all'idea di subire domande e curiosità.

Ma se doveva cambiare e iniziare ad aprirsi, quale modo migliore di quello? Si fece coraggio e si avvicinò a loro, che lo salutarono da lontano, accorgendosi subito di lui. «Guarda che arriva il VIP...» disse proprio il Dondi. La voce un po' roca e i denti non proprio bianchissimi denunciavano una certa passione per le sigarette, ma a parte quel dettaglio e i capelli mancanti sulle tempie, era il meno invecchiato del gruppo.

Nicolò li salutò, ci fu qualche pacca sulla spalla, e scoprì che il Dondi veniva ancora chiamato da tutti con quel soprannome. 

Fu tutto sommato piacevole fare quella chiacchierata con loro. Gli fecero un sacco di domande, sulla vita in tour, sul tennis, sul Michele («Ma ho letto che è infortunato, cos'ha?»), Nicolò fu evasivo ma cercò di non essere mai maleducato. Sapeva che erano dei pettegoli curiosi, ma si sforzò di non farsi incattivire da pensieri di quel tipo. Sì, erano pettegoli, e da ragazzi erano stati dei bulletti. Ma chi non lo era, in provincia? E lo erano ancora dopo essere maturati? Probabilmente no, solo curiosi e desiderosi di avere qualcosa di cui parlare, aneddoti da raccontare... Poteva davvero biasimarli per quello? 

Le domande più personali cercò di sviarle facendo domande a sua volta, loro furono ben felici di rispondere e vantarsi un po' dei fatti propri. Il Dondi era il capo di un piccolo studio di geometri, Alex si era laureato in lettere e faceva il professore alle superiori; poi c'era Maurizio che aveva fatto l'alberghiero ed era chef in una gostilna tradizionale di Gorizia che si era meritata persino una forchetta sulla guida del gambero Rosso: ne andava molto fiero e invitò persino Nicolò a cena, promettendogli un prezzo di favore in nome della vecchia conoscenza. E anche gli altri due avevano vite soddisfacenti: uno era meccanico e aveva la sua piccola officina che gestiva insieme al fratello, l'altro aveva un'impresa idraulica. Tutti erano sposati, tutti avevano avuto dei figli, dell'età di Michele o poco più piccoli. Tutte vite che Nicolò da ragazzo avrebbe trovato stupide, piccole, banalmente campagnole. Non se n'erano andati dal buco di culo, non ne avevano mai sentito il bisogno ed erano realizzati e felici così. Perché Nicolò avrebbe dovuto disprezzarli? Non amava e non avrebbe mai amato la mentalità ristretta della provincia, e forse se avesse continuato a parlarci avrebbe trovato alcune di quelle di ristrettezze nei loro discorsi. Ma tutto sommato gli sembravano delle brave persone. Persone normali. Ed essere normali, forse, era noioso, ma cosa c'era di male nell'essere un po' noiosi?

La serata si avviava a conclusione, e quando Nicolò disse che stava tornando a casa, anche gli altri radunarono mogli e figli per incamminarsi verso le rispettive abitazioni. Michele era sempre pensieroso, ma non sembrava turbato, e Nicolò fu stupito in positivo dai suoi vecchi conoscenti, perché nessuno di loro si permise di importunarlo, dargli fastidio con richieste di autografi o simili.

Al momento di salutarsi, Nicolò venne invitato a un evento, il giorno dopo. «Fanno una festa dell'Epifania nella palestra di Farra e suona Leonardo Devetak.»

Quel nome venne buttato lì in maniera talmente improvvisa e disinvolta, che Nicolò si ritrovò con la più grande nonchalance a dire: «Ah, Leonardo! Quanto tempo che non lo vedo... Voi siete rimasti in contatto? Come sta?»

Ci furono risatine e sguardi maliziosi, da cui Nicolò capì immediatamente dove il discorso stesse per andare a parare.

E infatti il succoso pettegolezzo venne subito portato alla luce, con dovizia di particolari su fantomatiche conquiste, relazioni clandestine e prospettive matrimoniali. Ma Nicolò ebbe la seconda sorpresa positiva della serata: i cinque campagnoli dalle vedute ristrette non sembravano in realtà per nulla turbati dall'orientamento sessuale del loro vecchio amico. Era vista come qualcosa di esotico, bizzarro, che meritava curiosità e forse qualche risatina, ma non cattiverie o prese in giro. E dopo l'iniziale tornado di pettegolezzi sentimentali, passarono a parlare di lui e della sua carriera musicale, del successo che aveva avuto nelle balere del Triveneto insieme al suo gruppo, e di come da un paio d'anni, dopo aver convissuto per un lungo periodo a Udine con un altro musicista, si fosse ristabilito nella sua vecchia casa di Mossa è dedicato a una più tranquilla carriera solista nei locali della zona. «Ma diobòn se è bravo! Quando suona lui i locali fanno sempre il pienone.»

«Ma suona da solo? Non ha più il gruppo? Com'è che si chiamava il suo gruppo?»

«I matuçs!» rispose Alex. «Sì, Ogni tanto fanno qualche reunion, ma perlopiù suona da solo, sì. Devi vedere com'è ben attrezzato: ha un computer con tutte le basi pronte, e se le fa tutte da solo, mica le scarica da internet! Una volta mi ha mostrato il programma che usa, ha cercato di spiegarmelo e io ovviamente non ho capito un cazzo, ma mi sembravano robe complicatissime!» Alex rise.

«E poi sopra le basi suona la fisarmonica e canta» completò il Dondi. «Dio che mano che ha... Eh, ma lo dicono tutti che le persone gay sono molto artistiche!»

Nicolò si ritrovò a ridere davanti a quel luogo comune campagnolo che forse sentito in un altro contesto avrebbe trovato persino fastidioso, ma era stato pronunciato con una tale ingenuità, e forse una punta di ammirazione, che lo trovò buffamente tenero.

La compagnia gli rinnovò l'invito, ma Nicolò declinò con cortesia, sia perché preferiva restare in famiglia, sia perché non gli andava di incontrare Leonardo dopo tanti anni. Come aveva già pensato diverse volte: era un ricordo del passato e voleva che restasse tale. Fu felice di salutarli e della bella serata trascorsa al pignarûl.

***

20 gennaio 2020

Nicolò aveva atteso con grande trepidazione l'inizio degli Australian Open.

Aveva chiesto sia a Ivan che Anna dettagli sul misterioso progetto di comunicazione a distanza con Michele, ma lui lo aveva liquidato con un: «È una sorpresa! E se dico non è più sorpresa!» E aveva poi chiesto a Nicolò di non imporre niente a Michele. «Lo so che a novembre hai fatto vedere il video a Misha, adesso lui sa che io parlo così con lui. Se vuole lui vede. Voglio che lui vuole, no che tu imposi.»

Nicolò seguì tutto il match di primo turno, giocato su un campo secondario e vinto facilmente in tre set:  Ivan era la testa di serie numero sette e aveva un buon tabellone.

Alla fine dell'incontro però Ivan uscì subito dal campo, non si facevano interviste sui campi secondari. Nicolò sperò in una conferenza stampa, ma i giocatori si presentavano in sala stampa (avevano il dovere di farlo) solo se almeno un giornalista ne richiedeva la presenza. Essendo Ivan un personaggio interessante, nonché un top ten, Nicolò si sarebbe stupito se nessuno l'avesse chiamato, ma non si poteva mai sapere... Il suo aspetto era più sobrio del solito: non rinnovava da parecchio la tintura ai capelli, per cui con un'abbondante ricrescita scura e il resto della tinta scolorita verso il biondo, sembrava quasi una persona normale, e Nicolò non sottovalutò la possibilità che questo stupido dettaglio bastasse a farlo ignorare dagli stupidi giornalisti. 

Nicolò aprì i due canali in diretta sulle sale stampa, uno sulla televisione (la sala due, quella che gli sembrava più probabile), l'altro sul cellulare. Si sentì come uno di quei ragazzini schermo-dipendenti, perché contemporaneamente si era anche messo a controllare tutti i social di Ivan per vedere se il messaggio l'avesse scritto lì.

Finalmente e per fortuna, dopo circa un'ora, Ivan apparve in sala stampa due, e il messaggio lo declamò proprio all'inizio. «Prima di cominciare con le domande vorrei fare una dichiarazione: le parole non sono affatto necessarie, possono solo fare del male.»

I giornalisti chiesero spiegazioni, Ivan non le diede e iniziarono le domande sull'incontro. 

Nicolò cercò subito su Google quelle parole, certo che fosse il testo di una canzone. Una canzone della famosa playlist di canzoni che piacevano a "Misha". Era emozionato all'idea di scoprire i gusti musicali di suo figlio.

Words are very unnecessary, they can only do harm. Com'erano perfette per Michele! Possibile che esistesse una canzone per tutto? Per qualsiasi situazione e stato d'animo? Quello era un pezzo del 1990, si intitolava Enjoy the Silence

Aspetta... Dove l'ho già sentito questo titolo?

Nicolò si orientò tra i ricordi e lo trovò: era la canzone che Ivan aveva cantato a Michele per tranquillizzarlo quel giorno a Roma, Raf l'aveva riconosciuta e aveva detto il titolo a Nicolò.

Provò la curiosità di ascoltarlo. Recuperò degli auricolari, per non farsi sentire da Michele e lo cercò su YouTube. 

Era un bel pezzo, aveva delle sonorità molto "anni Ottanta". Ivan non era nemmeno nato, quando era uscito, come faceva a conoscerlo?

Da quel giorno Nicolò attese ogni incontro con trepidazione. E ogni intervista post partita portava una nuova canzone. Nicolò trovò davvero bizzarro il fatto che fossero tutte canzoni vecchie, brani degli anni Settanta e Ottanta che gli sembravano più adatti a una persona della sua età che a ragazzi come Ivan e Michele. 

Ivan aveva persino citato un verso da Il Pescatore di De Andrè, e appena Nic lo riconobbe penso a Elisa.

Elisa ascoltava spesso De Andrè... che fosse stato Michele a far conoscere quel brano a Ivan? Era sempre più evidente che quei pezzi fossero in qualche modo importanti nella loro amicizia. 

Di canzone in canzone Ivan era arrivato in semifinale. 

E coi turni vinti, una nuova idea si era fatta strada nella testa di Nicolò: e se Ivan fosse riuscito a realizzare il sogno di Raffaele? Vincere uno Slam... Non era il favorito, ma sembrava davvero determinato. Giocava con la stessa foga e compostezza che aveva mostrato a Wimbledon l'anno prima.

L'ultimo Slam di Raf.

Nicolò aveva guardato gli ultimi due incontri in camera sua insieme a Daniele, ed entrambi concordavano di non averlo mai visto giocare così bene. Tenevano sempre il volume molto basso perché avevano notato che Michele aveva reazioni ansiose ogni volta che qualcuno si metteva a parlare di tennis. 

Ivan giocava contro l'austriaco Thaler, numero quattro del mondo. L'altra semi si era già giocata durante la notte italiana ed era andata a Grković: chiunque l'avesse affrontato in finale avrebbe avuto del filo da torcere perché Grković aveva vinto sei finali su sei di quel torneo e ambiva alla settima.

Erano le dieci di mattina, quando iniziò la semi di Ivan, e dopo quattro ore i due contendenti erano ancora in campo. Che lotta feroce! Nicolò e Daniele dovettero diverse volte trattenere le esultanze e le imprecazioni. Le speranze di Nicolò erano sempre più alte: gli sarebbe davvero piaciuto vedere Ivan vincere uno Slam, per dare ragione a Raf che aveva sempre creduto in lui. Per realizzare il suo sogno. Anche se Raf non c'era più.

Quando si concluse l'ultimo punto sul sei pari del quinto set, e Daniele esultò per il tie-break, la porta della camera si aprì.

Il cuore di Nicolò ebbe un sussulto: era talmente concentrato sull'incontro che si era quasi dimenticato di essere in una casa popolata di persone.

E la persona che stava sulla porta era l'ultima che avrebbe dovuto vedere quell'incontro: Michele. Nicolò andò alla ricerca del telecomando, accanto a sé, mentre Michele fissava gli occhi sullo schermo.

C'era un primo piano di Ivan, proprio in quel momento. Lo sapeva Michele che incontro fosse?

«Michi, tutto bene?» chiese Daniele.

«Ti avevo detto che stavi facendo troppo casino!» lo ammonì Nicolò.

Michele era come in trance. Indicò il televisore con la bocca socchiusa e gli occhi sgranati.

«È la semi.» La spiegazione di Daniele non sembrò soddisfarlo.

«Thaler - Reshetnikov. Sono al quinto e stanno per giocare il tie-break decisivo» aggiunse Daniele, informazioni che Nicolò non avrebbe mai avuto il coraggio di dare.

Ora Michele sembrava ansioso, fissava alternativamente lo schermo e Nicolò, che si azzardò a chiedergli se volesse vedere la partita. Si stupì di vederlo annuire, quindi gli fece posto accanto a sé sul materasso del lettone.

Ma non fu molto sicuro di aver fatto bene. Ogni punto che passava Michele sembrava sempre più nervoso: si torceva le mani, deglutiva, il suo respiro era affrettato ed emise un rumoroso sospiro quando Ivan perse un mini-break. Nicolò aveva praticamente smesso di guardare il televisore, e sul 6-3 per Thaler si rese conto che Daniele gli stava rivolgendo uno sguardo preoccupato: gli fece anche cenno di stare calmo con la mano, e Nicolò dovette prendere un grande respiro per tranquillizzarsi.

Il tie-break finale degli Australian Open era a dieci punti, quindi c'era ancora tempo di recuperare, per Ivan. Ma fece un altro errore, un doppio fallo che fece di nuovo gemere Michele. Stava persino sudando, per quanto era teso, Nicolò avrebbe voluto chiudere il televisore, ma Daniele continuava a fargli segno di star calmo.

Sì, aveva ragione: non doveva pretendere di proteggerlo da tutte le emozioni negative. Era ansioso; ma l'ansia era qualcosa di cui tutti prima o poi facevano esperienza, inevitabile. E per una stupida partita a tennis guardata in TV, poi.

Il problema era che – Nicolò lo percepiva chiaramente – quella non era solo una stupida partita a tennis. Era qualcosa di più per Michele. Nicolò era quasi certo che fosse il primo tennis che guardava da quando avevano lasciato Pechino quattro mesi prima. Era forse il suo modo di afferrare la mano che Ivan continuava a tendergli da lontano.

Quando Ivan recuperò un mini-break sul 4-7 per andare 5-7 Michele alzò le braccia al soffitto per esultare e Nicolò vide chiaramente sul suo viso le emozioni cambiare. Ora ci credeva. L'ansia aveva lasciato spazio alla speranza. Ogni punto che seguì, la sua espressione si fece più determinata, un'espressione che Nicolò gli aveva visto molte volte quando era lui stesso a giocare.

Arrivarono al 7-8 per Ivan, serviva Thaler, che aveva ancora un mini-break di vantaggio. Ivan giocò una risposta molto coraggiosa, scendendo a rete, e il coraggio pagò: recuperò anche il secondo mini-break. Nicolò, più che per il punto, si emozionò per la reazione di Michele, che gridò, una specie di «Aaah!» e strinse Nicolò in un abbraccio di slancio.

Il punto successivo, sempre sul servizio di Thaler, fu uno dei più lunghi dell'intero match, uno di quei punti che non finivano mai, fatto di reciproche sassate, cambi di direzione, slice e top in variazioni folli, finché Ivan non la chiuse con un vincente. Non solo aveva recuperato tutti i mini-break, ma proprio sul più bello ne aveva ottenuto uno lui per andare 9-8.

Accade quindi una cosa molto bella. Nicolò stava guardando Michele e lo vide pronunciare una frase con le sole labbra, senza emettere alcun suono, ma sopra quel labiale si innestò perfettamente, come fosse un doppiatore professionista, la voce di Daniele che diceva: «Match point.»

Serviva Ivan. Come tutti i servizi su match point che aveva avuto in quel torneo, fece un gesto speciale che a Nicolò piaceva pensare fosse un omaggio a Raf: appoggiò la pallina alla fronte e poi al cuore, prima di lanciarla in aria per il servizio.

Prima in campo, risposta in rete.

Ivan era in finale.

Il grido di esultanza di Michele impiegò qualche secondo ad arrivare: il suo volto venne trasfigurato da un'intensa gioia.

«Sei contento... Sei davvero contento!» disse Nicolò.

Michele lo sorprese rispondendo sicuro, con la sua voce: «Sì!»

«Peccato che non l'hai vista tutta» disse Daniele. «Partita dell'anno, per ora. Quasi cinque ore, lotta epica, guardati gli highlight, hanno fatto punti stupendi, tutti e due.»

Michele guardava lo schermo con un mezzo sorriso in volto, e gli occhi un po' lustri. Nicolò tentennò, ma infine si azzardò a suggerire: «Vuoi sentire l'intervista?»

«Sentila» disse prontamente Daniele.

E Michele rimase lì seduto, in evidente attesa.

L'intervistatore, Jim Courier, cominciò facendo a Ivan le solite domande sull'incontro e sull'avversario che avrebbe incontrato in finale, Grković. Michele guardava e ascoltava con aria attenta.

E quando all'ultima domanda Courier chiese a Ivan se volesse come al solito recitare il verso di una canzone, l'espressione di Michele si fece meravigliata.

«Certo!» disse Ivan. Tossicchiò. «Faccio fatica a dirtelo, perché faccio fatica ad accettarlo.»

Michele mise entrambe le mani davanti alla bocca. Aveva capito! Aveva riconosciuto quelle parole, era evidente!

«E come sempre non vuoi spiegare cosa significa» disse Courier in video.

«Ho l'impressione che Michele sappia benissimo cosa significa...» disse Daniele in tono malizioso.

«Ne hai già una pronta per la finale?» chiese Courier.

«Purtroppo ancora no» rispose Ivan. Poi guardò in camera. «Ma spero di trovarla entro domenica

E Michele scattò all'istante. Doveva aver capito che quel messaggio era per lui e corse fuori dalla stanza con l'espressione più entusiasta del mondo.

«Andato. L'abbiamo perso» scherzò Daniele. «Chi chiami?»

«Nessuno, sto gugolando la canzone... Mad World, Michael Andrews, è un pezzo del 2001. Ah no, aspetta... la prima versione è del 1982, ecco, mi sembrava strano che fosse così recente, erano tutte vecchie, le altre... ti dispiace se l'ascolto?»

Daniele Fece un sorrisetto canzonatorio. «E Da quand'è che ascolti musica, tu?»

«Uno a cinquant'anni e anche ora che se le levi di testa, le convinzioni sceme.»

Daniele rise. «Così mi piaci, papà!»

***

«A Michele serve un computer, gli puoi prestare il tuo portatile ché il mio mi serve per lavorare?» Anna era andata da Nicolò con questa strana richiesta circa un'ora dopo la fine della semifinale, e da ormai un paio d'ore Michele stava facendo chissà cosa con quel portatile.

Nicolò aveva provato a sbirciare, con discrezione: Michele aveva aperto un documento Word dove scriveva di tanto in tanto qualche frase, mentre ascoltava musica dall'iPad. Forse una lettera per Ivan? Si era preparato da solo un panino per pranzo, e lo aveva già mangiato davanti al computer. Aveva chiesto a gesti di essere lasciato in pace e Nicolò lo aveva fatto.

Quel pomeriggio Daniele aveva una seduta di allenamento con un fisioterapista: era ancora in fase di recupero, Nicolò lo seguiva saltuariamente, e quando Daniele arrivò tutto trafelato in camera sua, Nicolò stava parlando al telefono con Ethan, il fisio di Michele, per chiedergli se sarebbe stato interessato a seguire il recupero di Daniele. «Sorry Ethan, can I call you in five minutes?» disse notando l'espressione allarmata di Daniele. «Cosa c'è? È successo qualcosa?» gli chiese preoccupato.

«No, cioè, sì! Volevo farti vedere questo, prima di uscire.» Gli porse il proprio cellulare, c'era una frase che sembrava fotografata da uno schermo, aveva la tipica texture pixelata delle foto di quel tipo. 

Ognuno è responsabile delle proprie azioni.

«Cos'è?» chiese Nicolò.

«Me l'ha scritto Michele.» Lo sguardo di Daniele era commosso.

Nicolò ne fu molto sorpreso. «A te? Davvero? E... cosa...?»

«Non è l'unica cosa che mi ha scritto. Sai cosa sta facendo? Sta cercando la canzone preferita di Ivan. Sta scartabellando seimila testi online e si scrive sul computer versi che gli ispirano. Mi ha chiesto di aiutarlo a stare sveglio, e poi, non ti sto neanche a dire come, ho nominato la mamma e... e lui mi ha scritto questa cosa. E poi... ha anche parlato, a voce, perché io non capivo bene cosa voleva dire con questa frase, e sai cosa mi ha detto? Non è colpa tua.» Daniele strizzò gli occhi e tirò su col naso.

«Davvero? A voce?»

«Sì» disse Daniele, accompagnando la parola con un cenno della testa. «Ti rendi conto? Ci pensava dal giorno che gliel'ho raccontato. E mi ha detto questa cosa bellissima...»

Nicolò sorrise e su due piedi prese una decisione. «Sai... vorrei dirti una cosa anch'io, Dani. Una cosa che non ti ho mai detto perché... per tante ragioni era una frase che non riuscivo a dire e quasi neanche a pensare...»

Daniele lo guardò con curiosità e forse un po' di trepidazione.

Nicolò lo trovò faticoso, ma non terrificante come la prima volta, quando l'aveva detto coi segni a Michele: «Ti  voglio bene.»

Daniele fece una risatina, che si tramutò in un accenno di pianto. Asciugò una lacrima che spuntava dall'occhio, sorrise e allargò le braccia. 

E Nicolò si prese quel bellissimo abbraccio di risposta.

***

Quella ricerca di Michele dava senso a un bizzarro episodio accaduto durante l'ultima settimana di vita di Raffaele.

Ivan si era presentato in camera di Raf e aveva chiesto a Nicolò di lasciarlo da solo con lui perché: «Devo dire una cosa importante.»

Nicolò era uscito, e quando poi era tornato e aveva chiesto a Raf di cosa si trattasse, lui con un sorriso aveva spiegato: «La sua canzone preferita.»

Nicolò aveva pensato che lo stesse prendendo in giro, ma Raf era serissimo. «Sono proprio un cretino che non l'avevo mai indovinata, adesso che me l'ha detta penso che fosse così ovvia...»

«Ma quale sarebbe questa canzone?» gli aveva chiesto Nicolò, continuando a sospettare che Raf lo stesse prendendo in giro, perché gli sembrava assurdo che Ivan l'avesse fatto uscire dalla stanza per una sciocchezza simile.

«Non te lo direi per nessun motivo al mondo. È un segreto che Ivan mi ha regalato.» Poi aveva fatto un sorriso stanco a Nicolò. «Forse un giorno Michele la scoprirà e te la dirà.»

E quindi doveva essere una specie di gioco. Ivan aveva una canzone preferita segreta e chiedeva alle persone di indovinarla.

Michele sembrava davvero determinato a trovarla. Aveva passato tutto il pomeriggio incollato al computer, e si era persino fatto un caffè per stare sveglio, forse il primo della sua vita, non lo beveva mai perché ne odiava il sapore.

La mattina dopo, Nicolò lo trovò nella stessa postazione del giorno prima, con un'altra tazza di caffè finita accanto a sé è un piattino con dei resti di una colazione che si era preparato da solo. Gli chiese se stesse bene, e lui rispose a cenni di sì, quindi decise di lasciarlo stare. Quel giorno Nicolò lo dedicò tutto a Daniele, lo seguì nei suoi allenamenti.

Quando tornò a casa dall'allenamento, comincio un po' a preoccuparsi, perché Michele aveva le occhiaie e sembrava più stressato che mai: gli stava davvero facendo bene cercare quella maledetta canzone? Ma lui continuava ad annuire ogni volta che Nicolò gli chiedeva come stesse, e lo ringraziò con un segno quando gli portò la cena. Nicolò lo invitò poi ad andare a dormire, solo per ricevere un netto rifiuto.

Quando però lo sorprese in cucina alle undici di notte a farsi l'ennesimo caffè, decise che era il caso di intervenire. Gli tolse la capsula di mano e ordinò: «Tu adesso vai a dormire.»

Michele reagì gridando, come un bambino o un pazzo.

«Michele! Mi stai facendo preoccupare!»

«D-d-d-devo t-t-t-t...» Nicolò si stupì di sentirlo parlare, e provò la solita pena vedendo che non riusciva a terminare la frase, ma la sua urgenza di comunicare era talmente grande che non ebbe esitazioni nel prendere il proprio iPad e scrivere lì ciò che voleva dire:

Devo trovare la canzone per Ivan! Ho solo poche ore prima che scenda in campo. Poi dormo.

Nicolò cercò di parlare nel tono più tranquillo e conciliante possibile:«Michele. Lo sai che il sonno è importantissimo per chi ha problemi di depressione? Se ti rovini il ritmo del sonno ti si squilibrano i livelli ormonali, i neurotrasmettitori... Uff, non farmi parlare in medichese ché di medicina ci capisco poco, ma è così. Devi dormire. Adesso!»

Ma Michele non voleva sentire ragioni. Con due occhiaie violacee ma lo sguardo determinato scosse la testa e scrisse di nuovo: 

Quello che sto facendo è importante. Tu forse non lo capisci, ma è una delle cose più importanti che abbia mai fatto in vita mia.

Nicolò lesse due volte quella frase. A lui quella storia della canzone sembrava una sciocchezza. Ma la vedeva l'importanza che quella "sciocchezza" aveva per suo figlio. La vedeva nei suoi occhi.

 «Perché è tanto importante?» gli chiese.

Michele rispose scrivendo: È il mio messaggio per Ivan. Voglio ricominciare a parlare. Voglio ricominciare a comunicare.

«Stai già comunicando. Con me. Non lo facevi da mesi e mesi. Puoi farlo allo stesso modo anche con Ivan. Scrivigli!»

Ma Michele scosse la testa.

Questo è l'unico modo per ricominciare!

L'unico modo.

Michele era un ragazzo strano, Nicolò lo aveva sempre pensato, sin da quando era bambino. La sua testa funzionava in modo strano, in modo diverso dalla maggioranza delle persone, seguiva logiche che aveva sempre faticato a capire. Era quella stranezza che gli aveva sempre causato grandi difficoltà di interazione, prima ancora della sua balbuzie. 

Ivan sembrava la prima persona che capiva la stranezza di Michele e riusciva a relazionarcisi. Era come se Michele parlasse una lingua tutta sua e Ivan fosse il primo essere umano che era riuscito a decodificarla.

Nicolò aveva sempre pensato che Elisa capisse Michele, ma non era così. All'inizio della pubertà, Michele aveva iniziato a divergere dall'aspettativa che lei aveva sempre avuto di lui, e forse – se ne rendeva conto in quel momento – era stata proprio quella divergenza, quella discrepanza dal bambino ideale, che aveva innescato la crisi che poi l'aveva uccisa.

E poi Michele era rimasto solo. Solo per sei anni, isolato e non capito da nessuno, ed era arrivato Ivan a scardinare quella solitudine, a metterlo in crisi, farlo bruciare come una fenice per poi riemergere da quelle ceneri.

E quindi sì. Forse Nicolò adesso capiva. Forse. Che quella canzone, che a lui sembrava una sciocchezza, era in realtà la chiave di volta che avrebbe ricomposto l'arco della integrità mentale di Michele. Non doveva sforzarsi di ragionare In termini tradizionali, con lui. Una canzone sarebbe stata una sciocchezza per gran parte delle persone, ma non lo era per Michele e per la sua testa strana. Strana, unica, bellissima.

«È davvero tanto importante per te?» Gli chiese, in cerca di rassicurazione.

Michele annuì.

«Posso aiutarti?»

Michele scosse la testa.

«Va bene.» Nicolò riconsegnò la capsula di caffè a suo figlio. «Ma poi non voglio vederti toccare caffè per almeno un mese.»

Michele scrisse un ultimo messaggio, che fece ridere Nic: 

Non ti preoccupare. Mi fa schifo il caffè.

***

Nicolò era comunque preoccupato per Michele e di conseguenza dormì male anche lui. Si alzò alle cinque e trenta del mattino e trovò il figlio che dormiva con la testa appoggiata alle braccia, seduto al tavolo, accanto al portatile e all'iPad.

Lo scosse delicatamente per una spalla. «Michele...» sussurrò.

Dovette scuoterlo una seconda volta per fargli aprire gli occhi. «Sonno...» sussurrò lui.

«Vieni, andiamo in camera.»

Si alzò in piedi e camminò con gli occhi chiusi, quasi in stato di sonnambulismo. Si buttò a letto E Nicolò gli rimboccò le coperte. Gli chiese se fosse riuscito a trovare la canzone, e Michele non ebbe la forza di rispondere. Ma la sua espressione sembrava serena.

La finale decisero di guardarla al televisore della sala grande, tutti insieme: Nicolò, Daniele, Maria e Anna. La piccola Elisa di mattina era all'asilo. Chissà se Ivan avrebbe realizzato il sogno di Raf. Nicolò avrebbe fatto il tifo perché accadesse. Gli aveva anche scritto un messaggio per augurargli in bocca al lupo, che Ivan aveva letto senza rispondere.

Non svegliarono Michele: aveva bisogno di dormire, e fu lui a emergere in tarda mattinata, verso la fine del terzo set. Nicolò udì i suoi passi dietro al divano, si voltò e scattò subito in piedi, andò da lui e gli chiese se avesse dormito abbastanza.

Michele in tutta risposta indicò la TV con un'espressione preoccupata, mentre Anna lo invitava a sedersi accanto a lei.

«Non è finita» lo tranquillizò Nicolò, «sono al terzo set. Sta per servire Ivan per il set, se lo fa è avanti due a uno.»

Michele ebbe un sussulto, Nicolò non capì se sorpreso o preoccupato.

«Partitone! Cosa ti sei perso!» Esclamò Daniele. Erano stati tre set molto combattuti e avvincenti.

Nicolò spinse Michele verso il divano, nel posto in cui fino a poco prima era seduto lui stesso, accanto ad Anna. «Dai, siediti che hai dormito poco.» 

Seguirono insieme l'ultimo game, che andò a Ivan a zero, ed esultarono tutti, Michele compreso, quando lo vinse, portandosi in vantaggio di due set a uno. 

Nicolò si alzò durante la pausa tra i set per andare a prendere uno snack a Michele, ma quando tornò lo trovo addormentato con la testa appoggiata alle gambe di Anna.

Era talmente stanco che nemmeno le esultanze e i commenti sull'incontro lo svegliarono, mentre Anna gli accarezzava distrattamente i ricciolini sopra le orecchie.

Si svegliò di nuovo dopo circa un'ora con l'incontro che si avviava verso un altro tie-break, e si alzò di scatto: «No... no... p-p-perché m-m...»

«Non volevamo svegliarti. Hai bisogno di dormire. Ti sei strapazzato, questi due giorni» disse Anna in tono materno.

«Hai due occhiaie da vampiro...» scherzò Daniele.

«A proposito, mangia qualcosa.» Nicolò gli porse una barretta energetica e una spremuta d'arancia, anche se probabilmente si era ormai del tutto ossidata.

Stava servendo Grković sul 5-6 per strappare il fatidico tie-break, e fece i primi due punti, ma sul terzo Ivan giocò con molta aggressività, riuscendo a strappargli un quindici. Michele esultò stringendo il pugno e ci furono mormorii di incoraggiamento da parte di tutti i presenti.

Il punto successivo fu uno scambio lungo che sembrò all'inizio andare a vantaggio di Grković, Michele lo seguì accompagnando ogni colpo di Ivan con un simile colpo delle sue mani, quasi come se lo stesse manovrando da remoto. Il punto si concluse con Ivan che alzava un pallonetto sopra la testa di Grković e quest'ultimo che sbagliava lo smash.

Trenta pari!

La stanza si fece silenziosa. Il trenta pari era un momento di grandissima tensione, di bilico, perché un errore di Ivan avrebbe portato Grković in sicurezza, ma un errore di Grković avrebbe portato Ivan a match point.

Grković era famoso per la sua freddezza, ma incredibilmente su quel punto così importante la perse.

Fece un gratuito.

Match point.

A un passo dalla profezia di Raf: Ivan vincerà uno Slam. 

Il talento più grande che abbia mai conosciuto. Quanto l'aveva preso in giro per quelle parole, di cui ora riconosceva la verità.

Michele comincio ad ansimare e nascose gli occhi con le mani.

«Ma cosa fai? Guarda!» lo esortò Daniele.

«Lascialo in pace» disse Nicolò.

«Non aver paura, Michi.» Anna era sempre così tenera, con lui. E le sue parole sembrarono tranquillizzarlo davvero, perché Michele emerse dal suo nascondiglio, drizzò la schiena, assunse un'espressione fiera, coraggiosa.

Fiduciosa.

Si alzò in piedi e si avvicinò di un passo alla TV. Nessuno gli disse niente.

Grković mise la prima, un servizio eccellente, esterno e con un forte kick.

Ma Ivan si mosse d'anticipo, saltò per impattare un rovescio violentissimo col cuore della racchetta, è la angolò come solo lui sapeva fare, con i suoi colpi tutti storti e strambi.

La pallina toccò la riga.

Schizzò verso le panchine.

Nicolò fece un salto e gridò, e le sue grida e quelle degli altri riempirono la stanza, mentre Michele cadeva a terra, come se fosse stato lui stesso a vincere.

Rise. Da quanto tempo non lo vedeva ridere? Non lo ricordava più. Rideva, sprizzava felicità, aprì gli occhi e guardò il soffitto, o un punto distante che esisteva solo nella sua fantasia.

A cosa pensi, figlio mio? La capirò mai la tua testa misteriosa?

Michele si rialzò, Daniele lo prese un po' in giro. «Che bello vederti contento» esclamò Maria, e Anna gli fece cenno di sedersi di nuovo accanto a lei. Tutti trattavano Michele come fosse stato lui a vincere lo Slam.

«Ti ricordi di Wimbledon 2018?» Anna chiese a Michele. La semifinale che Michele aveva perso da Ivan, quella che per un periodo aveva guastato il loro rapporto.

Lui annuì con un'espressione malinconica.

«Non c'è più il buco nello stomaco?» gli chiese, probabilmente facendo riferimento a una discussione che avevano avuto.

Michele scosse la testa abbassando gli occhi. «Il c-c-contrario» sussurrò.

Giunse finalmente il momento della premiazione e dei discorsi. Grković aveva la fama di essere un tipo stronzo, stava antipatico un po' a tutti, Ma a Nicolò piaceva ed era sempre molto corretto e rispettoso nei discorsi di premiazione. Era anche intelligente e faceva sempre qualche battuta simpatica, quel giorno fece i complimenti a Ivan per essere stato l'unico riuscito a strappargli la finale di quel torneo e lo prese un po' in giro per il suo tennis strambo, attribuendo scherzosamente alla sua stramberia la vittoria.

Quindi arrivò il turno di Ivan.

«Mi taglierò i capelli, domani»  fu la prima cosa che disse, indicandosi la testa. «Vedete questo centimetro di capelli scuri? Li taglierò fino a qui, taglierò via tutto il pezzo colorato. Qualche anno fa ho fatto una specie di scommessa con un amico. Lui era convinto che io non avrei mai vinto uno Slam e mi ha detto: se lo vinci mi coloro i capelli come te. Io gli ho risposto: se ti colori i capelli io li tengo per un anno del mio colore naturale.»

Nicolò udì Michele sussultare. Era un sussurro che non diceva niente di buono...

«Be', io la mia parte la faccio. Poi tocca a te...» Ivan rise.

No.

Pietà no!

«Oh. Mio. Dio.» Esclamò Daniele. «Oh mio Dio, non dirmi che quel suo amico sei tuuuu. Oh... oh... oddio non ci credooo!» Daniele prese sganasciarsi in maniera esagerata.

«Stai un po' zitto?» Lo ammonì Nicolò, in profondo imbarazzo all'idea che Michele dovesse tingersi capelli.

Ma Anna era del parere opposto. «Oddio Michi veramente? Che bello!»

E quindi Ivan passò a fare i ringraziamenti di rito, alla famiglia, al team, al torneo, e mentre li faceva Daniele continuava a prendere in giro Michele, che aveva – per fortuna – un'espressione disgustata.

Dai, che forse si rifiuta di farlo...

«Secondo me ti donerebbero!» disse Maria.

«Zitti!» disse Nicolò, sia perché non voleva incoraggiare Michele in quella scemenza, sia perché voleva sentire tutto ciò che Ivan aveva da dire.

Ed ecco, lo stava nominando. «Il mio ricordo va a una persona speciale che ha sempre creduto in me e ha sempre pensato che avrei vinto uno Slam, anche con il mio gioco così strano. Grazie Raf!»

Grazie Ivan, pensò Nic. Grazie di avergli regalato i due anni più felici della sua vita.

«E poi, un'ultima cosa... Ormai vi ho abituato a concludere i miei discorsi con il verso di una canzone. L'altroieri avevo detto a Jim che ancora non sapevo se e cosa avrei detto oggi. Ma ora lo so.»

Ivan prese un respiro, Nicolò guardò Michele che osservava il televisore con l'espressione tesa, come se Ivan stesse per giocare un altro match point.

Ivan recitò un verso, ma Nic non lo sentì.

Fece d'istinto, senza quasi pensarci, una cosa sciocca mentre nessuno lo stava guardando: si tappò le orecchie. 

Vide Ivan parlare sullo schermo, battersi il petto con un pugno, e infine commuoversi.

Quando si azzardò a togliere le mani, pubblico di Melbourne stava applaudendo, mentre una lacrima scendeva sulla guancia di Ivan.

Nicolò la canzone preferita di Ivan non l'avrebbe indovinata mai. Non ci avrebbe probabilmente nemmeno provato. Ma Ivan l'aveva tenuta nascosta a Raf e a Michele, e a tutte le persone della sua vita, aveva fatto un gioco con loro e quel gioco adesso era finito perché tutto il mondo ora conosceva quella canzone.

Tutti tranne Nicolò. Gli piaceva l'idea di avere ancora quel potenziale gioco con Ivan. Anche se non ci avrebbe mai giocato.

«Lo sapevo! Lo sapevo che l'avresti trovata!» disse Ivan, prima di prendersi un lunghissimo e meritato applauso.

In un mondo di gente noiosa lui porta scompiglio, aveva detto Raffaele. E coi suoi capelli colorati e i suoi colpi tutti storti, aveva vinto uno Slam.

Michele lo stava guardando con un sorriso.

È l'unico modo per ricominciare a parlare con lui, aveva detto a Nicolò.

E c'era riuscito.

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Note 🎶

Devo SUBITO fare ammenda, perché la scorsa settimana mi sono dimenticata di ringraziare rainbow-drop che mi aveva suggerito la canzone della Michielin abbinata al capitolo.

Ok, fatta l'ammenda, una buona notizia: vi avevo detto il capitolo scorso che ne mancavano quattro? Errore! Ne mancano quattro da oggi. E belli intensi, vedrete.

Lascio in sospeso i commenti al capitolo, e vi do appuntamento a lunedì prossimo! E se volete lasciarmi una stellina per ogni luogo comune campagnolo sui ghei, non mi offendo.

EDIT revisione: in questo capitolo inizialmente la canzone preferita di Ivan veniva rivelata, ma... ho pensato: perché devo spoilerare una parte così importante di Play a chi decide di leggere prima questo libro? E allora ho trovato questo stratagemma, che secondo me finisce per avere anche un bel significato narrativo! Che ne pensate nuovi lettori? :)

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