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108. Mi spiace se ho sbagliato, se non ci sono stato, se non sono tornato

Ho sassi nelle scarpe
E polvere sul cuore
Freddo nel sole
E non bastan le parole

Mi spiace se ho peccato

Mi spiace se ho sbagliato
Se non ci sono stato
Se non sono tornato

Ma ancora proteggi la grazia del mio cuore

Adesso e per quando tornerà il tempo
Il tempo per partire
Il tempo di restare
Il tempo di lasciare
Il tempo di abbracciare


(V. Capossela, Ovunque proteggi, 2006)

Non ci fu verso di far ragionare Daniele.

Nicolò ci provò in tutti modi: con parole gentili, parole razionali, facendo leva sulle sue emozioni, insultandolo, persino lottando fisicamente con lui per strappargli quella maledetta lettera di mano. Ma Daniele ebbe la meglio.

Quando Michele sentì di cosa si trattava ebbe un attacco di panico, ma dopo essersi ripreso sembrò lui stesso desideroso di leggere il contenuto di quella maledetta cosa.

Era stata Elena a spedirla, accompagnandola con una lettera di scuse a Michele, che forse Nicolò in seguito gli avrebbe fatto leggere. Elena ormai lavorava per l'agenzia di Fernando, e aveva rotto quasi del tutto i rapporti con la loro famiglia; ma pensava che Michele avesse il diritto di tenere quella lettera, visto che Elisa l'aveva indirizzata a lui.

E lo pensava anche Nicolò. 

Ma non in quel momento. 

Michele ancora non parlava e Daniele voleva scioccarlo con una cosa del genere?

Ma Nicolò non riuscì a impedire che accedesse, e non trovò niente di meglio da fare che scappare.

Uscì in cortile, si diresse ai garage, una larga tettoia che si trovava vicino all'ingresso delle cantine. In fila una accanto all'altra c'erano la BMW di suo padre, la Golf di Nicolò e lei.

La Lancia Delta di Raf.

Sul portachiavi che aveva in mano c'erano entrambe le chiavi: quelle della Golf e quella della Lancia, e per qualche istante Nicolò fu tentato di prendere proprio quella.

Ma non era il momento: non c'era spazio nella sua testa per sopportare anche le sue emozioni per Raf, ne aveva già sin troppe per Michele.

E quindi prese la Golf e partì. Guidò senza meta, perché aveva bisogno di azione, anche se era un'azione fine a se stessa. 

Nel suo vagabondare in campagna, passò davanti alla frasca di una privata, e quasi gli venne voglia di scendere andare a sedersi a un tavolo di beoni e ubriacarsi insieme a loro, pur di non dover sopportare l'angoscia.

Dopo circa un'ora che guidava, con la testa piena solo di un'angoscia confusa priva di parole, si fermò all'ingresso di una strada di campo in un paesino nei paraggi di Udine, emise un grido e prese a pugni il volante, facendo risuonare il clacson.

Respira.

Cosa aveva fatto? Si rese conto solo in quel momento di quanto infantile fosse stato e di quanto Michele avrebbe invece avuto bisogno di stare vicino a suo padre in un momento del genere. Come aveva potuto lasciarlo solo? Cosa gli era saltato in mente? L'idea di Daniele lo aveva sconvolto al punto da farlo agire in maniera del tutto irrazionale.

Tornò indietro, allora, e quando arrivò a casa, intorno alle sette, nella sala grande, nella penombra illuminata dalle lucine intermittenti dell'albero e dal fuoco del caminetto, c'era Michele seduto sul divano. 

Stava ascoltando musica.

Nicolò gli si parò davanti, sciarpa e giubbotto ancora addosso, e senza mezzi termini gli chiese, col tono di un ordine più che di una domanda: «Come stai?»

Michele con un gesto molto lento si tolse gli auricolari e lo guardò. Si era tolto gli auricolari, voleva sentire cosa aveva appena detto Nic, che quindi ripeté la domanda, stavolta in tono più dolce. 

Michele continuava ostinatamente a non parlare, ma una risposta gliela diede. Annuì e gli fece un sorriso a labbra strette.

Nicolò rimase a fissarlo senza riuscire a muoversi per parecchi secondi.

Nicolò era stato fuori per ore in preda all'angoscia, convinto di tornare a casa e trovare suo figlio a pezzi. Invece sembrava più tranquillo che mai. Balbettò infine un ok, sentendosi un idiota, e gli chiese se avesse già mangiato. Michele, anziché rispondere, si alzò e andò in cucina. Ok, si sarebbe fatto da mangiare da solo una delle schifezze che si preparava sempre. Il dottor Sfiligoj aveva consigliato una dieta adatta alla cura della depressione, che non consisteva in scatolette di tonno mescolate a casaccio con fagioli, mais e verdura surgelata riscaldata, come faceva spesso Michele, ma per quel giorno non se la sentì di mettersi a cucinare al posto suo. Michele voleva mangiare qualche schifezza? Che la mangiasse.

Quindi Nicolò si mise in cerca di Daniele. Lo trovò in studio che stava scrivendo qualcosa al computer, un'email, forse.

«Era in salotto che ascoltava musica tutto tranquillo. Ma l'ha letta?» esordì.

Daniele si voltò facendo ruotare la sedia girevole. «Sì.»

Nic dovette prendere parecchi respiri, prima di riuscire a calmarsi. «Sembrava tranquillo, ma ho come l'impressione che sia la tipica quiete prima della tempesta e stia per crollare da un momento all'altro.»

«Tu lo sottovaluti, papà. È stato... ha stupito anche me. Gli ho raccontato tutto, sai?»

«Tutto cosa?»

Daniele prese ad accarezzarsi un braccio con la mano opposta. «Prima di dargli la lettera, ho voluto raccontargli le premesse. E gli ho detto che la mamma era andata a fare un intervento di chirurgia estetica, non un'operazione al ginocchio. Gli ho raccontato anche dell'ultima telefonata, gli ho detto anche...» Gli occhi di Daniele  divennero lucidi e la sua voce si incrinò. «Quello che le ho detto io al telefono, e che mi sento ancora in colpa di averla ammazzata con le mie parole.»

Nicolò fece un passo verso di lui. «Oh Dani... riuscirai mai a...»

«Papà. Non preoccuparti» lo interruppe Daniele in tono fermo. «A modo mio ci convivo. Non credere che ci pensi giorno e notte. Non ci penso quasi mai. Ho Maria e ho una figlia bella e sveglia a cui spero di poter dare il futuro più felice possibile. È così che lo supero, rendendo felici loro due.»

«Ma...» 

«No, papà. Non serve che mi fai obiezioni razionali. Le obiezioni razionali me le so fare anch'io, e a livello razionale sono d'accordo con te, e a livello razionale lo accetto. E ti assicuro che va bene così. Ho raggiunto un equilibrio e sto bene così.»

«Non stai bene.»

«Tu non ti senti in parte responsabile? Sia per la mamma che per Raffaele?» lo provocò Daniele.

Sì. Sì, che si sentiva responsabile.

«Me lo ricordo cosa mi hai detto, di Raffaele, che pensi di non averlo saputo aiutare...» proseguì Daniele. «È una cosa che ti rovina la vita? No, impari a conviverci. Per me è lo stesso. La mia psicologa mi ha detto che è molto comune, quando qualcuno che ami muore o ancora peggio si suicida, è normale che ti senti responsabile. Poi le strategie che il cervello mette in atto per sopravvivere sono tante. Qualcuno dà tutta la colpa al morto, qualcun altro continua a tenersi il senso di colpa e impara a conviverci razionalmente... Però non voglio parlare di questo, papà. Non avevo finito di dirti di Michele. Non vuoi sapere come ha reagito a tutte queste cose che gli ho detto?»

«Sì, sì che voglio saperlo! In che senso ti ha stupito? in bene o in male?» Nic si accorse che si stava tormentando le dita. Le sciolse e rilassò le braccia lungo i fianchi.

«È stato...» Daniele fece un sospiro. «Faccio quasi fatica a descriverlo. Io gli ho raccontato tutto quello che è successo e come mi sentivo in colpa, e raccontandoglielo un po' ho rivissuto tutto, ero super sottosopra, e oltretutto avevo paura di come lui la stava prendendo, pensavo che anche lui avrebbe dato la colpa me, perché stravedeva così tanto per la mamma che pensavo: ovvio che anche lui mi darà la colpa, e un po', lì per lì, sentivo anche di meritarmela... E gli ho detto tutte quelle cose terribili, e lui mi fissava con lo sguardo così...» Daniele spalancò gli occhi. «Allucinato. Gli ho chiesto di dirmi qualcosa, di dirmi come stava, di parlare, di farmi capire se avevo sbagliato... e... e lui sai che cosa ha fatto? Mi ha... mi ha abbracciato!» 

Sull'ultima parola Daniele pianse di nuovo. Nicolò si avvicinò a lui, che era ancora seduto; si avvicinò e mise una mano sulla sua spalla e poi quella stessa mano la posò sulla testa, sui capelli. Daniele lo abbracciò, e fu come se fosse tornato per un attimo bambino, perché da seduto cinse Nicolò in vita e appoggiò la guancia sul suo ventre. «Ha allargato le braccia» disse tirando un po' su col naso, «e mi guardava come per dirmi: vieni... È stato bellissimo, è stata la prima volta in vita mia che ho sentito davvero di avere un fratello, ed è stato bellissimo.»

Nicolò gli accarezzò la testa. «Non ho parole per dirti quanto sono contento di questa cosa. Mi ero rassegnato, ormai mi ero rassegnato ad avere due figli che erano estranei tra di loro. È bello avere un fratello su cui puoi contare.»

«Tu con le zie non ci vai molto d'accordo...» osservò Daniele, liberandosi dall'abbraccio e guardando Nicolò dal basso.

«Un po' è vero. Con la Grazia non ho mai avuto un legame, ci siamo sempre abbastanza ignorati. Con la Fulvia, invece... Quando eravamo ragazzini, lei mi aiutato tanto. Sai... Una volta...» Esitò.

«Parla, papà. Fa bene parlare, qualsiasi cosa vuoi dire.»

«Era un aneddoto un po' stupido... Ma in realtà no, sto minimizzando, non era stupido per niente. Una volta mi è successo... che il papà, cioè mio papà, tuo nonno, mi ha beccato... Puoi immaginare dove mi ha beccato. Cioè, con chi mi ha beccato, con qualcuno con cui era meglio se non mi beccava.»

Daniele sembrò molto stupito. «Il nonno lo sa?»

«Sì.»

«Oh... cazzo, immagino che non deve aver reagito tanto bene, all'epoca la mentalità era quella che era...»

«Be', no. Non ha reagito bene per niente.» Glielo dico? Perché dovrei dirglielo? Per rovinare il rapporto con suo nonno? Nicolò decise che non gli avrebbe detto delle botte, almeno per il momento. «Però la Fulvia, invece, mi è stata vicino. Mi ha davvero aiutato tanto. Non ti dico che siamo diventati amici, ma mi ha aiutato, l'ha fatto in diverse occasioni. Poi ci siamo persi completamente di vista, dopo che io sono partito per giocare a tennis, però...»

«Adesso mi spiego tante cose... Che stupido, non ci avevo mai pensato, ma avrei dovuto capire, perché sei praticamente scappato di casa a diciotto anni... Il nonno l'ho sentito dire un sacco di volte che avrebbe voluto lasciare l'azienda a te, ma tu non l'hai voluta... Adesso ho capito perché non la volevi.»

«Io l'azienda non l'avrei voluta a prescindere. Volevo andare via da questo buco di merda. Volevo andare via e ci sono riuscito. Non ho avuto la vita scoppiettante che sognavo quando ero ragazzino, ma mi sono tolto tutte le soddisfazioni che mi volevo togliere con il tennis. E poi me ne sono tolte ancora di più grazie a voi due.»

Daniele sorrise. «Sono contento che lo dici.»

«Ma poi, la lettera... Michele l'ha letta o no?»

«Sì. Per leggerla sai dove mi ha portato? Hai presente la braida con la quercia?»

Nicolò sorrise. «Sì che ho presente.» Quanti ricordi...

«Saranno stati venti anni che non ci andavo. Ci andavo da piccolo, una volta a tredici anni ci avevo portato la mia morosetta per limonare, ahah! Mi è piaciuto tanto tornarci, uno di questi giorni ci porto la Maria e la Eli... Comunque, scusa, divagavo, mi ha portato lì. È stato molto commovente guardarlo. Si è commosso prima di aprirla. Poi però dopo che l'ha letta si è arrabbiato e...»

«In che senso si è arrabbiato?»

«L'ha letta un paio di volte e ha accartocciato il foglio. Poi però dopo due secondi lo ha raddrizzato e ha cercato di togliere tutte le pieghe con la mano.» Daniele sospirò. «Chissà cosa stava pensando. La lettera me l'ha ridata, alla fine. Ha voluto che la tenessi io.»

«Prima mi è sembrato sereno, mi ha sorriso.»

«Ha sorriso anche a me.»

Ma Nicolò non riusciva a essere tranquillo: Daniele gli aveva appena detto che una delle strategie con cui le persone superavano i lutti era addossare tutte le colpe al morto. E se Michele fosse passato da un estremo all'altro reagendo proprio così? Non gli sembrava un modo sano di risolvere la relazione con sua madre.

***

25 dicembre 2019

Ma Michele nei giorni successivi, tranquillizzò Nicolò mostrandosi sempre più sereno e attivo.

Cominciò a trascorrere del tempo insieme alla piccola Elisa e giocare insieme a lei coi suoi amati peluche. Vederli insieme era uno spettacolo bizzarro: la bambina non sembrava disturbata dal fatto che lo zio non parlasse, mentre lui la studiava come fosse un curioso animaletto.

Anche Nicolò aveva provato diverse volte a parlare con lui. Gli era andato vicino e gli aveva chiesto come stava, gli aveva raccontato qualcosa.

Aveva cercato di parlargli di Elisa, sua madre, soprattutto, ma senza mai riuscirci fino in fondo. La reazione rabbiosa che Daniele gli aveva riferito non aveva smesso di preoccuparlo: sentiva un crescente bisogno di fare chiarezza, di spiegare a Michele la situazione e perché Elisa si fosse scollata sempre di più dalla realtà, finendo per fare quel gesto tragico. Avrebbe voluto parlarle di lei e ricordargli anche le cose belle.

Anna tornò il giorno di Natale e Michele sembrò felicissimo di vederla, anche se non lo espresse a parole, perché continuava a essere muto. Lo espresse, però, in modo forse ancora più esplicito, con un lunghissimo e profondo abbraccio e infiniti sorrisi.

Nicolò e Anna fecero una chiacchierata davanti a un tè e una fetta di panettone, il pomeriggio del suo ritorno, mentre Michele era impegnato con il dottor Sfiligoj nello studio. «Come è andata a San Pietroburgo? Cosa dice Ivan?» 

«Non l'hai sentito? Mi diceva che ti sentiva...»

«Quasi sempre via messaggio. L'avrò invitato qui un centinaio di volte, ma non vuole venire. Non so, questa sua teoria che deve aspettare che sia Michele a fargli capire che lo vuole vedere...»

«Non ti convince? Secondo me invece ha ragione.» Anna staccò un pezzo di panettone con le dita e lo portò alla bocca: com'erano sempre eleganti i suoi movimenti.

«Ma gli ha fatto tanto bene quando è venuto il mese scorso...» ribatté Nicolò.

Anna finì di masticare e rispose: «Michele ha bisogno dei suoi tempi. Secondo me ha bisogno di fare chiarezza dentro se stesso.»

«Sì, ho capito, ma... non si sentirà abbandonato dal suo amico?»

«L'ha sentita la dedica alle Finals. Lui lo sa che Ivan lo pensa.»

«Sì, ma è passato un mese! E lo sai anche tu come funzionano queste cose, lo sai meglio di me, probabilmente. Che tu, e con tu intendo Michele, pensi: ok lo chiamo, ma no, non ho il coraggio, e poi passa il tempo e inizi a dirti: ma forse è passato troppo tempo e non mi vuole più sentire...»

Anna rise. «Non ti facevo così commedia adolescenziale!»

«Dimmi che non è così!»

«Sì, è vero. E soprattutto per Michele che è un ragazzo molto insicuro e paranoico. Ivan ha un progettino in mente, comunque.»

Nicolò aggrottò le sopracciglia e soffiò sul tè. «Quale progettino?» Bevve un sorso.

Anna fece un sorriso divertito portando la sua tazza alle labbra. «Non ha voluto dire niente né a me né ad Andrej, ma farà qualcosa agli Australian Open...» Anna sorbì il suo tè a sorsi piccoli. «Sono molto curiosa.»

Lo era anche Nicolò.

***

1 gennaio 2020

«Il 6 gennaio In Italia è la festa della vecchia strega che porta i regali ai bambini, vero?» Ivan fece quella domanda a Nicolò di punto in bianco, dopo che lo stesso Nicolò l'aveva chiamato per fargli gli auguri di buon anno.

«È la befana, sì. Come fai a saperlo? Avete qualcosa di simile in Russia?»

«No, lo so perché Misha una volta mi ha raccontato una storia tanto bella, di quando ha visto l'ultima volta la neve in vita sua.»

«Oh... e cioè?»

«Mi ha detto che era il giorno di festa della vecchia signora che porta i regali, e mi ricordavo che era vicino di Natale russo. Mi ha detto che c'era una festa a Capriva, con un grande fuoco, che si chiamava pigna... pigna qualcosa...»

«Il pignarûl!» esclamò Nicolò. «Davvero Michele si ricorda ancora di quell'unica volta che l'abbiamo portato al pignarûl?»

«Sì! Era un ricordo bellissimo per lui. Quando mi hai raccontato si è tanto emozionato, mi ha detto che si ha divertito tantissimo coi bambini, e la neve, e lo snowman, il fuoco e quei bastoni piccoli che fanno le stelline sulla punta.»

«Incredibile...» mormorò Nicolò. «Sì, me la ricordo bene quella serata. Michele non stava mai volentieri con gli altri bambini, perché... sai, puoi immaginare come lo prendevano in giro...»

«Sì, i bambini in gruppo sono stronzi» sentenziò Ivan.

«Invece quella sera al pignarûl, i bambini l'hanno invitato a giocare e poi hanno passato tutta la sera a rincorrersi e fare nascondino.» Nicolò sorrise, al ricordo. «Se se lo ricorda tanto bene deve essere stata proprio una bella esperienza, per lui.»

«Ti ricordi quando mi... come si dice drag in italiano...»

«Drag nel senso di drag queen?»

Ivan rise. «Ma no! Drag nel senso di... drag around...»

«Ah, trascinare.»

«Bravo! Quando Misha mi ha trascinato sul campo a Roma, ti ricordi?»

«Certo! Come mai ci stai pensando?»

«A Misha piace di giocare. Lui ha bisonnio di giocare. Non è abituato di giocare, è sempre stato tanto serio, e allora quando gioca è felice e si fa il ricordo felice.»

Nicolò emise un sospiro. «Mi stai dicendo che l'ho fatto giocare troppo poco?»

«Non importa che Misha ha giocato poco, puoi incominciare di giocare in ogni età.»

«Però i giochi che ha perso da bambino non glieli ridarà mai nessuno...»

«E a te chi ti ridà i giochi che non hai mai giocato e la musica che non hai mai suonato? Non pensare del passato, pensa del futuro. Tu non hai mai sentito la cassetta di Raf, vero?»

«Tu non ti fai mai...»

«...i cazzi tuoi» dissero insieme.

Ivan rise. «Raf mi diceva sempre. Impiccione ficcanaso rompicoglioni, mi diceva. Io mi faccio sempre i cazzi delle persone che voglio bene.»

Come fai a dirlo con tanta facilità? avrebbe voluto chiedergli.

«Io so che tu non hai sentito la cassetta e so che non ascolti tanta musica. Anche Misha ascoltava poca musica e adesso ascolta tanto. E io ti volevo dire... fai come fa Misha! Lui ascolta adesso la musica che non ha mai ascoltato. Anche se tu per cinquanta anni non ascolti musica, non è tardi per incominciare. E perché non incominci di quella cassetta? Raf ti conosce e ha messo le canzoni che pensa che ti piace.»

Avrà messo quella stramaledetta canzone di Anna Oxa, pensò.

«Ho paura che mi faccia troppo male» ammise con sincerità.

Ivan sospirò rumorosamente. «Sì. Questo io capisco. Sono stato invadente, vero?»

«Sì. Ma non importa.»

«Vuoi che provo a farti una playlist con le cose che secondo me ti piace?»

Nicolò rise. «Ma perché ci tieni tanto?»

«Ti ho detto: perché secondo me ti fa bene a te come gli fa bene a Misha. La musica è la cosa più bella del mondo.»

Nicolò sorrise. «Sai, mi piacerebbe farti conoscere...» Nicolò si interruppe nel bel mezzo di una frase che era emersa spontanea sulle sue labbra. Non era più sicuro di volerla dire. 

«Chi?» lo incalzò Ivan.

Ma a Nicolò non piaceva neanche lasciare le cose in sospeso. «Oh... be', quella frase che hai detto mi ha fatto tornare in mente una persona del mio passato che la pensava come te. Un...» Un mio amico? Nicolò si sentì ridicolo all'idea di usare quella parola, all'idea che Ivan probabilmente sapeva tutto di lui. Era ovvio, ad esempio, che Michele avesse conosciuto Un'emozione da poco tramite Ivan. A bruciapelo glielo chiese: «Ivan, tu cosa sai di me?»

«Quello che mi ha detto Raf. Cioè niente.»

«So che conosci la canzone di Anna Oxa.»

«Un'emozione da poco? Sì. So che era la tua canzone preferita. Questo Raf mi ha detto. Poi ha spiegato che era canzone legata a un amore del tuo passato, di prima di tua moglie, non ha detto niente altro.»

Nicolò rimase in silenzio.

«Sai...» proseguì Ivan, «io... ti dico una cosa che un po' mi vergonnio, ma ero piccolo e scemo. Avevo... non so, forse quattordici anni o quindici, e Raf mi diceva sempre di te: Nic, Nicolò, il mio migliore amico, mi salva la vita, una persona tanto importante della mia vita... Io allora mi faccio le fantasie, no? Era il tempo che ho appena capito di poco che ero bisexuale, quindi... sì, tipo quattordici anni, e allora mi sono fatto la grande fantasia che tu eri l'ex fidanzato di Raf che lui non voleva dire, e allora siccome ero piccolo e curioso, una volta Raf era ubriaco e io ho chiesto a lui e pensavo: è ubriaco e adesso dice tutto. Gli dico: Nic è il tuo ex fidanzato, vero? Lui è ubriachissimo, ma appena io ho fatto quella domanda, lui diventa tutto serio che mi sembrava quasi che era diventato tutto... come si dice non ubriaco? Insomma che aveva perso l'ubriacatura tutta in un colpo e dice: io non parlo di Nic! E allora ho capito che Nic era una cosa tanto seria per Raf, se lui non vuole dire niente neanche quando è ubriaco...»

Nic si accorse di aver trattenuto il respiro. 

«Oh Raf...» si lasciò sfuggire quando ricominciò a respirare.

Aveva custodito il suo segreto. 

«Lui...» proseguì, sentendo che Ivan restava zitto. «Quello era... Una volta mi ha detto che... Che avrebbe mantenuto per sempre il mio segreto, perché era il dono più prezioso che avesse mai ricevuto e...» Nicolò sentì gli occhi inumidirsi, ed era troppo abituato a trattenerle sempre, le lacrime, quindi le ricacciò indietro anche in quel momento. «E io non ci ho mai creduto, pensavo che stesse dicendo cazzate enfatiche, ma... Ma se... se nemmeno l'ubriachezza ha sciolto la sua lingua, dovevo essere davvero... io... cioè...» Nic deglutì. «Scusa» disse, rendendosi conto che stava faticando a parlare.

«Non chiedere scusa, Kolja» sussurrò Ivan. «Tu eri una cosa preziosa per Raf.»

Le parole di Ivan suonarono talmente sincere da spingere Nic ad aprirsi. «Quindici anni» disse. «Lui aveva quindici anni e io diciassette, quando... quando gliel'ho detto.» Prese un respiro tremante. «E da quel giorno lui ha deciso... che io...» Chiuse gli occhi, rovesciò la testa all'indietro e prese ancora qualche respiro. Incredibile che quell'invadente di Ivan non lo stesse interrompendo: chissà se aveva la stessa pazienza anche con la balbuzie di Michele. «Una volta mi ha detto che quel giorno aveva capito che io sarei stato la persona più importante della sua vita.» Nicolò ebbe una risatina, una specie di singhiozzo in cui dentro c'era un principio di pianto trattenuto. «Io lo detestavo quando usava queste parole così esagerate, perché mi facevano male, mi facevano sperare... Mentre per lui non avrebbe mai potuto essere niente più che un'amicizia. Ma io... forse... forse erano vere. Non ci ho mai voluto credere, ma forse erano vere.» Nicolò sbuffò. «Scusa, che discorsi rompiballe che ti sto facendo...»

«Ancora chiedi scusa? Basta! Io sapevo che tu avevi l'universo in tumulto dietro agli occhi, uguale a Michele, e oggi tu mi hai mostrato il tuo universo. Grazie.»

«Tu e Raf avete in comune il gusto per le frasi melodrammatiche.»

«Eri veramente la persona più importante della sua vita. Lui ti amava tanto.»

Quel verbo! Quel maledetto verbo che pungeva i suoi occhi con mille aghi, maciullava il suo cuore, prendeva a pugni il suo diaframma.

«E... e quindi? Chi era quella persona che volevi che conosco?» disse Ivan.

«Ah già... Sì... Lui era... il protagonista di quella canzone. E la pensava come te sulla musica. Era un ragazzo ignorante e stronzo, ma quando suonava la fisarmonica...»

«La fisa... cosa?»

«Ah... è... in inglese non so come si dice, aspetta.» Nicolò guardò il dizionario sul telefono. «Accordion.»

«Acardiòn! In russo si dice uguale a inglese! Ma che stranissimo strumento di musica folk! Che bello!»

«Sì, ed era bravissimo. E anche lui mi ha detto molte volte questa cosa, che la musica è la cosa più bella del mondo. Io però avevo il cuore troppo di pietra per riuscire a capirlo.»

«Tu non hai il cuore di pietra. E sono sicuro che riesciarai a sentire la musica come ha imparato Misha.»

«Riuscirai» lo corresse Nicolò.

Ivan rise. «Ah, mi manca tanto che Misha mi corregge le parole sbagliate quando parlo male. Correggimi sempre, Kolja, che quando mi correggi penso a Misha.»

Nicolò rise. «Ok, lo farò più spesso, allora.»

«Allora buona musica, Kolja.»

Nicolò lo salutò, e su due piedi decise di seguire il suo consiglio. Se c'era una cosa che Ivan sapeva fare benissimo era esprimere le proprie emozioni.

Forse Nicolò sarebbe riuscito a riappropriarsi delle sue ricominciando da lì, dal rifugio di tutte le persone in cerca di emozione: la musica.

Sapeva dove aveva lasciato la cassettina che Raf gli aveva regalato: in un armadio della sua camera da letto.

E sapeva anche dove l'avrebbe ascoltata: nell'autoradio della Lancia Delta.

Note 🎶

E finalmente sta cassettina verrà tirata fuori! E Nic ha fatto una specie di coming out a mezze parole con Ivan. Che ne pensate? 

Questo era un dialogo a cui tenevo molto. Nel corso della storia, da quando è apparso Ivan, e anche in Play, quasi tutti i lettori hanno sempre ipotizzato che Ivan sapesse tutto di Nic. Io però non l'ho mai pensato. I segreti e la privacy sono due cose a cui personalmente tengo molto, e per me che Raf non avesse mai detto nulla del più grande segreto di Nic era qualcosa di fondamentale. Quel momento, il coming out di Nicolò al torneo quando erano ragazzi, per me è IL MOMENTO; è una pietra miliare della loro amicizia, il colpo di fulmine che ha fatto innamorare platonicamente Raf. Nella testa di Raf quel segreto è il regalo più prezioso e speciale che qualcuno gli abbia mai fatto, e non c'è ubriachezza che l'avrebbe fatto cedere, era scolpito nel suo cervello che lo avrebbe custodito fino alla morte. Quindi sì, Ivan ipotizza e fantastica, ma in realtà non sa mai nulla. E viene a sapere con certezza la verità solo oggi, col dialogo che avete appena letto qui sopra.

Ci rileggiamo giovedì, e lasciatemi una stellina per ogni volta che Vanja ha fatto l'impiccione pettegolo nel corso della sua vita.

Note 2: leggere Play in parallelo ▶️

Non andate più in là del capitolo 119!

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