107. Quello che una musica può fare
Una musica può fare
Salvarti sull'orlo del precipizio
Quello che la musica può fare
(F. Gazzè, M. Gazzè, Una musica può fare, 1998)
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Fine novembre 2019
Michele per un attimo sorrise, quando Nicolò gli diede il suo nuovo iPad.
«È pulito» si affrettò a spiegargli. «È registrato su un account email vuoto e c'è una sim nuova dentro, il numero non ce l'ha nessuno. Non ti arriveranno mail o messaggi. Puoi usarlo per ascoltare musica, se vuoi.»
Nicolò quella mattina era uscito molto presto, con in mente un progetto pianificato la sera prima, subito dopo aver lasciato Michele da solo in camera col suo telefono. Si era recato in un centro commerciale vicino, deciso ad acquistargli un lettore musicale di qualche tipo. E alla fine aveva scelto quel tablet: aveva pensato che su quello schermo più grande si sarebbe potuto divertire a guardare anche qualche videoclip o qualche cartone animato, perché no? I cartoni animati gli erano sempre piaciuti.
Ma soprattutto, gliel'aveva preso per consentirgli di ascoltare tanta musica.
E Michele lo fece. Cominciò subito.
Lo vide sparire in camera sua, e un'ora dopo lo trovò seduto sul divano della sala grande che ascoltava qualcosa con gli occhi chiusi e un'espressione serena. Non stava usando gli auricolari che c'erano in dotazione, ma quelli wireless che gli aveva regalato Ivan due anni prima.
E da quel giorno in poi diventò la sua attività preferita. Non faceva molto altro, oltre ad ascoltare musica, ma era qualcosa, e ogni volta che Nicolò lo vedeva con l'iPad in mano, lo trovava sereno e rilassato.
Nicolò aveva riflettuto molto sulla gioia dell'ascoltare musica, e aveva ripensato a un piccolo oggetto rimasto chiuso in un armadio dal Natale dei due anni prima: la cassettina che gli aveva regalato Raf.
Gli sarebbe piaciuto far fronte anche a quel suo atavico limite emotivo, e aveva pensato che forse quella cassettina sarebbe potuta essere il punto da cui ricominciare.
Ma il pensiero era rimasto lì, fermo nella sua testa, e non aveva portato ad alcuna azione. Sentiva di non essere ancora pronto. E per il momento godeva semplicemente dello spettacolo di suo figlio, come se vedendo le sue emozioni potesse viverle di riflesso.
Michele usciva anche più spesso in cortile. Soprattutto quando c'era il sole, usciva e sedeva sotto il portico, oppure rimaneva in piedi a calpestare la ghiaia. Un paio di volte Nicolò aveva visto suo padre, il nonno di Michele, avvicinarsi a lui e dirgli qualche parola. Era rimasto molto in disparte, negli ultimi mesi. Non si era fatto vedere quasi mai, forse capendo che la famiglia sta vivendo un periodo di problemi e che la sua presenza li avrebbe solo complicati di più. Michele non sembrava infastidito dalla sua presenza. Ma se a Nicolò, Daniele, Maria o Anna accennava qualche risposta a gesti o qualche sguardo, l'unica risposta che aveva rivolto a suo nonno era una completa indifferenza.
Daniele, nel frattempo, si era già operato e stava passando la convalescenza lì a Capriva, come aveva promesso. Era bello avere lui, Maria e la piccola Elisa in casa. Michele ogni tanto li guardava, guardava la bambina con aria incuriosita, ma non diceva niente, e quando la bimba lo guardava di rimando, Michele di solito scappava, o girava la testa dall'altra parte.
Negli ultimi giorni c'erano stati solo loro, a casa, perché Anna era dovuta partire: c'erano molte questioni legate alla carriera di Michele rimaste in sospeso, e andavano risolte; gli sponsor scalpitavano per l'assenza della star dalle scene e per l'assenza di notizie e post sui social, e Anna aveva deciso di incontrare qualche dirigente e responsabile marketing e diramare qualche comunicato stampa inventando dettagli su un infortunio fisico che non esisteva. C'erano poi da risolvere i contratti di Leon, Vincent e Gwen, il coach di Michele, l'assistente di Anna e la cuoca, che non lavoravano più per loro, ma erano rimasti a libro paga per quei due mesi, e anche Ethan e Armando erano fermi, senza lavoro, e volevano sapere se, in attesa che Michele tornasse, potevano occuparsi di qualche altro atleta. Ne avrebbe approfittato, poi, per andare a trovare Andrej, il suo ragazzo: era giusto che lo facesse e che curasse un po' anche la sua vita privata, stavano spesso lontani e sicuramente sentivano uno la mancanza dell'altro.
Circa una settimana dopo il regalo, Nicolò decise di confessare finalmente a Daniele: «Sto vedendo una psicologa due volte a settimana.» Cercò di guardarlo negli occhi, mentre lo diceva, nonostante la vergogna.
Glielo disse aspettandosi qualche osservazione cattivella, o una presa in giro. Ma Daniele invece fece un sorriso smagliante ed esclamò: «Dai, Grande! Bravo papà, bravissimo! Come come ti trovi? Quante volte l'hai già mandata a fanculo?»
Nicolò ridacchiò. «All'inizio sono stato un po' sgradevole con lei, sì, ma adesso va meglio. E... mi sto trovando bene. Mi sta facendo bene» ammise.
Daniele annuì sorridendo. «Sono così contento... Ma sai che te lo volevo dire? Che ti vedevo meglio, che mi sembravi più tranquillo?»
«Sto aspettando che arrivi il: te l'avevo detto, io...»
«No, non ti direi mai una cosa simile. Non in una situazione del genere. Lo so che ne hai passate tante e lo so che avevi bisogno del tuo tempo per capire cosa ti serviva per stare meglio.»
«Che saggio, che sei...»
«Ok, e adesso che non devo più romperti le palle con questa cosa dello psicologo, comincerò a romperti le palle per un'altra cosa.»
Nicolò roteò gli occhi. «Cosa?»
Daniele abbasso la voce e si guardò intorno con aria circospetta. «Quand'è che mi presenti il mio nuovo papà?»
Nicolò si sentì avvampare e sgranò gli occhi. «Ma che cazz... ma cosa ti salta in mente?»
Daniele rise, alzò le mani e abbassò lo sguardo. «Ok, forse questa era un po' affrettata. Mi rendo conto che per una cosa simile serve del tempo. Però volevo solo dirti che mi farebbe piacere se riuscissi a trovare anche una felicità sentimentale di qualche tipo.»
«Io sono contento così. Ho te, ho la piccola Elisa, e sto ritrovando pian piano Michele... Non ho bisogno d'altro, davvero.»
Daniele gli fece un sorriso sereno. «Lo sai tu, di cosa hai bisogno.»
***
Dicembre 2019
Insieme alla psicologa, Nicolò si stava tenendo attivo anche coi videocorsi di lingua dei segni americana. Faceva le lezioni di sera, subito dopo cena, due volte a settimana. Aveva acquistato un libro, e integrava le lezioni guardando anche qualcosa su YouTube. Era una lingua molto più complessa di quel che avrebbe pensato, piena di sfumature, personalizzazioni, accenti... Ci avrebbe messo parecchio a impararla bene, perché era diversa dalle forme di comunicazione a cui era abituato. Ma voleva ampliare il più possibile le sue possibilità di parlare a Michele.
Il 3 dicembre Nicolò andò a comprare un bell'albero di Natale, deciso a portare un po' di colore e allegria in casa. Chissà se Michele ne sarebbe stato contento.
Lui non era un granché con decorazioni e simili, e per giunta in tarda mattinata doveva vedere la psicologa, perciò tirò giù dalla soffitta le vecchie decorazioni e chiese a Maria e Daniele se volessero pensarci loro.
Maria ne fu entusiasta. «Uuh! Adoro fare l'albero! Lascia tutto a me, che mi diverto un sacco. Dani, vai a giocare con Elisa fuori, che se rimane qui ho paura che magari si infila qualche decorazione in bocca.»
«Mi sembra una buona idea. Eli, vuoi giocare con la moto?» Era un giocattolo che le aveva comprato Nicolò al centro commerciale, il giorno in cui aveva acquistato l'iPad a Michele. Aveva visto la piccola moto giocattolo esposta nella vetrina di un negozio e aveva pensato che se avesse avuto lui, una cosa simile da piccolo, si sarebbe divertito un mondo. Si era chiesto se anche a Elisa sarebbe potuta piacere o se non fosse un gioco più adatto ai maschietti. Sì, gli erano familiari le discussioni sugli stereotipi di genere, e aveva sentito anche Maria dire che non voleva imporre a sua figlia giochi da femminuccia, ma lasciarla libera di scegliere ciò che preferiva. Di fatto, però, il gioco preferito di Elisa erano i peluche, che erano un gioco da bambina, aveva riflettuto Nicolò, un attimo prima di ricordare che sia Michele che Daniele, da bambini avevano adorato i peluche.
«Oh, a ramengo tutte 'ste menate!» si era ritrovato a dire ad alta voce in mezzo alla gente.
Era entrato in negozio e aveva comprato la moto. Ed era stata un successone, la piccola Elisa l'aveva adorata.
Perciò quando, quella mattina, Daniele le propose di giocarci, Elisa alzò le manine entusiasta e gridò: «Moto!»
Li lasciò così, che giocavano in cortile. Dopo circa un'ora e mezza, Nicolò tornò a casa dalla seduta e Daniele uscì in cortile con uno sguardo allucinato e l'aria di chi aveva assistito a uno spettacolo preoccupante.
Nicolò scese dalla macchina, la vecchia Golf che aveva sempre usato lì in Friuli – la Lancia Delta chissà quando sarebbe riuscito anche solo a toccarla. «Cos'è successo?» chiese preoccupato.
Ma Daniele sorrise, facendogli capire che non era una cosa allarmante.
«Michele ha parlato!»
Nicolò spalancò la bocca. «Cos'ha detto?»
«M.»
Nicolò credette di aver capito male. «M?»
«Sì! Non è riuscito a finire la parola, ma voleva dire mamma.»
«E... e... cioè?»
Daniele gli spiegò cos'era successo. «È venuto giù in cortile che io e la Eli Stavamo ancora giocando con la moto, no? Si è messo a fissare l'Elisa, lei gli ha fatto un salutino con la mano, così, ciao ciao, e lui... le ha risposto! Non se la caga mai, ma oggi non so perché, ha alzato la mano e le ha fatto ciao ciao con la mano anche lui. Già mi sembrava un miracolo incredibile, ma non è finita. Indovina cosa è successo? Che ha guardato me e si è messo a farmi ciao ciao anche a me.
«Ero senza parole, ti giuro, non sapevo cosa voleva dire quella specie di saluto. All'inizio pensavo che fosse stonato per colpa dei medicinali, ma non sembrava stonato per niente, sembrava molto presente. Allora gli ho detto: ciao Michele. Ero accucciato vicino alla Eli, mi sono alzato e gli sono andato vicino, lui ha aperto la bocca, sai come fa quando ha gli attacchi di mutismo che annaspa e poi non dice niente? Bon, oggi qualcosa gli è uscito: mmm.
«Poveretto, mi ha fatto una pena assurda, perché si vedeva che si stava sforzando con tutto se stesso di dire una parola, allora, anche se dicono che ai balbuzienti non li si deve aiutare, no? Però mi sembrava un caso straordinario e l'ho aiutato, e gli faccio ma? E lui mi annuisce! Io ancora non avevo capito che parola voleva dire e ho cominciato a tentare varie combinazioni: mab, mac... Lui faceva no no no con la testa, mi sembrava che si stesse innervosendo, quando a un certo punto indica la Eli. Vuoi parlare con Elisa, gli ho chiesto... Non l'avessi mai detto! Appena ho detto il nome ho visto che si è tutto irrigidito, e gli ho chiesto: ti dà tanto fastidio che si chiama come la mamma? E lì bam!» Daniele mimò una specie di esplosione con le mani. «Ho capito! Mi è venuta l'illuminazione: mamma? Stavi cercando di dire mamma? Sì. Stava cercando di dire proprio mamma, perché appena gliel'ho detto si è impanicato ed è scappato dentro.»
«Wow...» Nicolò era sopraffatto dal racconto.
«Sta cercando di risolvere il lutto, hai capito? Non so cosa mi voleva dire, però voleva parlare di lei! È ancora un nodo gigantesco nella sua testa. Io ho la sensazione che quando riuscirà a sciogliere quel nodo, riuscirà a parlare di nuovo.»
«Non so... mi sembra che la fai troppo facile...» disse Nicolò.
***
Ripensò per giorni a quella scena, e gli sembrava quasi di vederla davanti suoi occhi. Si chiese se fosse il caso di affrontare l'argomento "Elisa" con Michele, se fosse il caso di fargli delle domande, ma non ne ebbe mai il coraggio. Chiese consiglio sia alla dottoressa Turchet che al Dottor Sfiligoj. La prima gli disse che era una decisione che doveva prendere Nicolò secondo la sua sensibilità, su cui lei non voleva dare consigli: «Perché io non do consigli, io ti aiuto solo a capire te stesso, ma sei tu che devi prendere le decisioni.» Il dottore, invece, gli aveva detto esplicitamente che era meglio di no: «Sarà Michele a decidere quando e se vorrà parlarne, nei suoi tempi.»
Ma il tempo passò senza portare a niente: Michele continuava ad ascoltare musica e a rimanere zitto.
Nicolò si rendeva conto di essere apatico e poco coraggioso. Michele aveva cercato di dire una parola, e poi più niente: la cosa giusta da fare sarebbe stata incoraggiarlo a continuare, spronarlo in qualche modo. Ma qualsiasi tipo di sprone gli sembrava potenzialmente dannoso.
Peccato che Daniele non la pensasse allo stesso modo.
Circa una decina di giorni dopo quel tentativo di parola, si presentò con una proposta scioccante.
Una busta bianca.
«Adesso vado di là, e do questa a Michele» disse a Nicolò.
«Cos'è?»
«Prima di spiegarti che cos'è, ti devo far vedere una cosa.»
Daniele mise la mano in tasca ed estrasse una foto. Era una foto di Elisa, non sua figlia, sua madre. Una rara foto in cui sorrideva. Accanto alla testa c'era disegnato un fumetto a penna rossa. L'apice del fumetto puntava sulla testa di Elisa, come se dovesse dire qualcosa, ma il cerchio era vuoto, senza parole. «Questa la tenevo nel portafogli, sai?»
«Perché ci hai disegnato un fumetto?»
«Non sono stato io a disegnarlo.» Daniele fece una pausa, quasi volesse far assaporare a Nicolò la rivelazione: «L'ha fatto Michele.»
Nicolò fissò la piccola foto per parecchi secondi, meravigliato. «E... cosa significa? Quando l'ha fatto? L'ha fatto davanti a te? Ti ha detto qualcosa? Perché non mi hai detto niente?»
«Il giorno in cui ha provato a parlare, io poi sono rimasto un po' con lui, ho tirato fuori questa foto, mi sembrava che gli piacesse e gliel'ho lasciata. Due giorni dopo la Sebastiana me l'ha portata, tu non c'eri, quindi l'ha data a me, mi ha detto: ho trovato questo sulla scrivania di Michele mentre pulivo.»
Sebastiana. La donna delle pulizie. Perché l'aveva data a Daniele e non a Nic?
«E perché cazzo non mi hai detto niente fino adesso? Mi sembra una cosa importante!»
«Perché non volevo che mi impedissi di fare una cosa importantissima che va assolutamente fatta.» Daniele gli mostrò di nuovo la busta bianca.
Nicolò ebbe un terribile presentimento. Ma non voleva crederci. Non voleva credere che dentro quella busta ci fosse ciò che temeva.
«È la lettera di addio della mamma. È arrivato il momento che Michele la legga.»
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Note 🎶
E dopo otto anni Michele finalmente affronterà questo lutto. Sempre che Nic consenta a Daniele di dare a Michele la lettera...
Ci rileggiamo lunedì e lasciatemi una stellina per ogni brum brum pronunciato da Elisa mentre guida la sua minimoto (io avrei ucciso per avere una minimoto da piccola, stavo sempre a far finta di guidare la Honda di mio zio).
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Note 2 - Leggere Play in parallelo ▶️
Arrivate al capitolo 118! O anche 119 se volete sapere come finisce questa scena prima dal punto di vista di Michele.
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