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100. Non andare, vai, non restare, stai

Rimanere così, annaspare nel niente
Custodire i ricordi, carezzare le età
È uno stallo o un rifiuto crudele e incosciente
Del diritto alla felicità

(F. Guccini, Canzone delle domande consuete, 1990)

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13 agosto 2018

Il pubblico degli incontri di doppio era sempre ridotto, anche per le finali, spesso anche quando si tenevano immediatamente prima di quelle di singolare.

Nic si chiedeva se Daniele ne soffrisse. Aveva scelto una disciplina considerata di secondo piano, trattata da buona parte dei tennisti come una carriera di ripiego o un'occasione di allenamento. A parole Daniele si diceva felice della sua scelta. Aveva tentato per anni anche la strada del singolarista, ma quando si era reso conto che avrebbe ottenuto solo risultati mediocri, anziché continuare a vivacchiare nelle parti basse della classifica, aveva preferito darci un taglio netto per eccellere in uno sport per cui era decisamente più portato.

Perché sulla carta lo sport era lo stesso, era sempre tennis. Si giocava con una racchetta e una pallina e la rete aveva la stessa altezza. I punti iniziavano tutti con un servizio, i colpi erano il dritto, il rovescio e la volée. Ma ciò che molti non capivano era che in realtà le abilità da sviluppare erano diverse. Il campo era più largo e consentiva traiettorie che non si sarebbero mai potute vedere in un singolare; bisognava sapersi coordinare con un'altra persona in campo, sviluppare con lei un affiatamento; si doveva avere una sensibilità molto maggiore nel gioco a rete; il campo era più coperto, perciò si doveva avere più occhio per le zone morte. Daniele era molto portato per tutte queste cose, l'aveva capito e aveva deciso di assecondare le sue naturali tendenze.

E finalmente i suoi sforzi erano stati premiati da un titolo importante: la vittoria del 1000 di Montreal.

Nic provava un po' di amarezza, perché le sue emozioni intime non corrispondevano alle sue convinzioni razionali: i miei figli sono uguali, le loro scelte di carriera sono uguali anche se quella di Daniele ha meno seguito di pubblico; le loro vittorie mi soddisferanno nello stesso modo.

Ma Nic ricordava bene l'emozione che aveva provato quando aveva visto Michele sollevare lo scettro di Madrid, il primo torneo 1000 che aveva vinto a diciannove anni appena compiuti. Ed era stata più intensa, più travolgente di quella che stava provando in quel momento. Era stato solo perché era la prima volta? Oppure, inconsciamente, Nic reputava il traguardo di Michele più importante, più degno di soddisfazione? Non poteva nascondersi, la ragione era la seconda.

Ma era contento, questo sì. Era orgoglioso di Daniele e della scelta che aveva fatto, più difficile, meno sfavillante. Avrebbe fatto strada, avrebbe vinto tanto, sarebbe stato felice.

Quella era la cosa più importante: la sua felicità.

***

14 agosto 2018

A Cincinnati Nic prese camera con Raf, tornato a lavorare in campo dopo le terapie.

«Sei sicuro? Ti tengo sveglio con la motosega...» gli aveva chiesto lui.

«Mi comprerò dei tappi per le orecchie.»

Era il suo migliore amico e i giorni con lui erano contati, la sera in camera era forse l'unica occasione in cui poteva vederlo e parlarci un po', nessuna ragione lo avrebbe dissuaso.

La prima sera Raf partecipò a una cena con Michele, Anna e Ivan su invito dello stesso Michele, che aveva accettato la sua presenza con l'esplicito divieto di parlare di Nic. Ivan e Michele avevano fatto pace, erano tornati amici. Raf diceva che entrambi ne sembravano felici, ma Nic non riusciva a capire come fosse possibile, visti i trascorsi sentimentali.

Raf tornò in camera intorno alle undici e mentre iniziava a spogliarsi per la notte, diede con la massima nonchalance una notizia oltremodo allarmante: «Abbiamo scoperto che Anna ha problemi con la cocaina.»

Nic ricordava benissimo quando la stronza aveva provato a offrirla a Michele. Sconvolto e terrorizzato all'idea che potesse averlo fatto di nuovo, portando Michele su una cattiva strada, il suo primo impulso fu quello di chiamarla per dirle di stare per sempre lontana da suo figlio, ma fu Raf a impedirglielo, almeno per quella sera. 

«Non ti sto a raccontare le beghe della serata, perché ti romperesti solo le palle, ma ti dico come ha reagito Michele quando l'abbiamo saputo: mi ha chiesto come si fa ad aiutare qualcuno che ha una dipendenza da cocaina. Se è difficile uscirne. Si è sentito in colpa perché secondo lui il motivo per cui lei si drogava è che l'ha fatta lavorare troppo.»

«Non me ne può fregare di meno perché la stronza si droga! È una cattiva influenza per Michele.»

Raf era rimasto ormai in maglietta della salute: era ancora visibilmente sovrappeso, ma aveva perso parecchi chili. «E invece no, ti dico. Lui si preoccupa per lei! Fidati se ti dico che tuo figlio è ancora più rigoroso di te su queste cose: quel ragazzo non ha mai toccato neanche una goccia di alcol, figurati se si mette a sniffare cocaina. È proprio fuori dalla sua indole.»

«Però adesso farà lo stesso mio errore di cercare di curare un tossico. Sbatterà la testa, ci starà male...»

Raffaele finì di togliersi anche i pantaloni, rimanendo in boxer. «Anna non mi ha dato l'impressione di essere messa così male. Quando Michele ha detto che si drogava per stare al passo con i ritmi di lavoro, secondo me un fondo di verità c'era. Mi sembra una ragazza solida, mentalmente, e non credo ci sia troppo dentro da non riuscire a tirarsene fuori. E sta aiutando tanto Michele. Sai che ha assunto una cuoca?»

«Una cuoca? Che spesa inutile! Gli facevo da mangiare io, di solito, non poteva Anna... be', forse lei non aveva tempo, facendo anche il lavoro da manager, ora che ci penso...»

«Non è solo per quello. Secondo me l'ha fatto per renderlo più felice. Lui è estasiato, dice di non aver mai mangiato tanto bene in vita sua, sembrava quasi innamorato della cuoca, ci ha descritto almeno una decina di piatti abbastanza banali, sinceramente, tipo salmone con l'avocado, come se fossero delle cose che non aveva mai mangiato in vita sua.»

«Ma se gliel'avrò preparato un centinaio di volte, il salmone con l'avocado!»

Raf alzò le lenzuola e si infilò sotto: la camera aveva due letti singoli. «Ma sicuro non gliel'hai cucinato bene come lo cucina bene lei. Lei è una professionista.»

Nic sbuffò. «Benissimo. Quindi adesso Michele si ingozzerà di schifezze unte, ingrasserà, darà sfogo ai suoi istinti e...»

«Ma cosa dici? Anna mica è scema, ha preso un'esperta in nutrizione sportiva! È una body builder, Michele ha persino preso in giro Vanja dicendogli che ha meno bicipiti di lei, ahah!»

Nic rimuginò su quella informazione. Forse Anna aveva capito l'ennesima cosa che Nic non aveva capito di suo figlio. «Mi sa che ho sbagliato proprio tutto come padre...» pensò ad alta voce.

«E adesso perché dici così?»

«Michele ha un problema a controllarsi. Te ne ho parlato, no? Quando è nervoso si ingozza e poi vomita.»

«Sì, me ne ha parlato anche Vanja perché era preoccupatissimo che Michele fosse bulimico e mi ha chiesto di aiutarlo a convincerlo... cioè, a convincere Michele ad andare da uno specialista in disturbi dell'alimentazione.»

«Ma quante cazzate!» sì inalberò Nic. «Uno specialista cosa significherebbe? Uno psicologo? Quelli fanno più danni di quanti ne risolvono! Ma poi cosa cazzo significa bulimico? Sempre inventare parole nuove per definire cazzate come essere ingordi...»

«Quella di Michele non mi sembra una banale ingordigia. Lui ha un disturbo collegato all'ansia, secondo me Ivan non aveva tutti i torti a preoccuparsi.»

«Va be'» tagliò corto Nic. «A ogni modo, sì, che avesse un problema me ne rendevo conto anch'io. Ma per risolverlo io ho sempre cercato di applicare la soluzione... chiamiamola soluzione Nicolò.»

«Che sarebbe?»

«Rigore e disciplina. Qualsiasi problema abbia mai avuto in vita mia io l'ho risolto sempre con rigore e disciplina, però...» Nic fece schioccare la lingua. «Cioè, non me la sento di dire che sia una cosa sbagliata. Anzi. Penso che senza disciplina nella vita non si possa combinare niente di buono, però...» Era come se un puzzle si stesse componendo nella mente di Nic, un puzzle a cui mancava un pezzo, c'era un buco nel ragionamento e non stava riuscendo a riempirlo.

Guardò Raf, come se potesse aiutarlo in qualche modo, e lui si limitò a rivolgergli un'occhiata perplessa.

Ma il semplice atto di guardarlo lo aiutò a completare il ragionamento.

Perché era Raf il pezzo mancante del puzzle. «Con te non ha funzionato.»

«Il rigore e la disciplina? Mai. Non sono mai stato bravo.»

«Ti serviva qualcos'altro. Qualcosa che non ho mai capito. Ho sempre cercato di aiutarti dandoti disciplina ma... non è solo questione di trovare uno scopo a cui applicarla, questa disciplina. È proprio che...» Nic fece quasi fatica a pronunciare quelle parole, perché erano talmente contrarie a ciò che aveva sempre pensato da suonargli sbagliate. «A volte rigore, disciplina e scopo non bastano.»

Raf gli sorrise a labbra chiuse. «Io te l'ho detto che la cosa di cui avevo bisogno era l'amore. Disciplina, uno scopo, un amore. Forse sono le tre cose di cui hanno bisogno tutti.»

«Ma può essere anche qualcosa di più semplice» disse Nic. «Forse Anna ha avuto l'intuizione giusta. Imporre disciplina e basta a Michele non era sufficiente. Ci voleva anche qualcosa che rendesse piacevole il regime di disciplina. E lei l'ha trovato. Perché non ci ho mai pensato? Te lo dico io: perché ho sempre associato la disciplina al sacrificio, la dedizione totale, ma forse la disciplina è possibile anche in un regime diverso... È possibile adottare delle strategie per renderla più piacevole. Perché no? Toglie valore alla disciplina? C'è una parte di me che ti risponderebbe sì, toglie valore perché toglie sacrificio. Ma chi l'ha detto che il sacrificio è sempre una cosa giusta?» Nic che era seduto a letto, avvicinò le ginocchia al busto e le abbracciò, appoggiò la testa su di esse. «Mi sto facendo delle domande esistenziali del cazzo per la prima volta in vita mia, sono peggio di un ragazzino...»

«Perché devi sempre sminuire ogni ragionamento umano che fai? Perché devi sempre minimizzare ogni volta che ammetti qualche tua debolezza? Dio come non ti sopporto quando fai così...»

«La soluzione di Anna è stata semplicissima... Ma se è così semplice, perché non ci ho mai pensato?»

«Perché sei una testa dura. Lo hai detto anche tu poco fa, no? Dai valore al sacrificio, e non ti è mai passato in mente che ci fosse un modo per combinare disciplina e piacere. Ti ricordi cosa ti ho detto quel giorno quando ho visto il primo allenamento di Michele dal vivo? Ero mezzo ubriaco ma nonostante i miei problemi di memoria me lo ricordo ancora. Sai perché me lo ricordo? Perché era una cosa e che avrei voluto dirti da tanto tempo, e forse in un passato remoto te l'ho anche detto e l'ho dimenticata, può essere. Ti ricordi cosa ho detto?»

«Sinceramente no.»

«Bisogna trovare un equilibrio tra libertà e controllo.»

«Ah sì. Sul momento ho pensato che fosse una grandissima cazzata.»

«E lo pensi ancora?»

Nic inspirò profondamente, e si accorse che il suo diaframma tremava un po' per la tensione. «Non lo so. Ma perdere Michele mi sta facendo rimettere in discussione parecchi dogmi della mia vita.»

La parola perdita portò nella sua mente quel concetto, e lo legò alla figura di Raffaele, che sedeva lì accanto a lui, a un metro di distanza.

«Non riuscirei mai a sopportare di perdervi tutti e due» confessò.

«Oh, Nic...» sussurrò Raffaele. «Io con la mia morte ci sono venuto a patti. Ma con l'idea che ti lascerò di nuovo e ti farò soffrire no.»

«Dai, basta. Finché sei vivo e stai bene non deprimiamoci con questi discorsi... Scusa se mi sono messo a parlare di questa cosa.»

«Non ti scusare mai dei tuoi sentimenti.»

***

Settembre 2018

Dopo aver vinto Montreal, Daniele arrivò in semifinale a Cincinnati e fece il suo miglior risultato Slam con dei quarti agli US Open. Grazie a quei risultati lui e Stephen entrarono in top 20, e lui da solo si guadagnò la sua prima convocazione in coppa Davis.

Nic non lo seguì in Giappone (c'erano già i coach della squadra italiana) e volò invece a San Pietroburgo con Raf. 

Aveva trascorso col suo amico ogni sera a partire da Cincinnati, US Open compresi.

A San Pietroburgo c'era anche Michele. Era stato Nic a firmare il contratto col torneo, a dicembre dell'anno prima: lo avrebbero pagato molto bene e tutto sommato a Nic aveva fatto piacere che Michele tornasse a omaggiare la città in cui aveva ottenuto la sua prima vittoria a sedici anni.

Nic non era lì per Michele, voleva solo stare vicino a Raf.

Peccato che Raf avesse deciso di testa sua di intromettersi, e il giorno prima che iniziasse il torneo Nic si vide arrivare a casa un furibondo Ivan.

Nic era seduto nel salotto-cucina a leggere notizie sul torneo e vide apparire i suoi capelli rosa sulla porta. Il ragazzo incrociò le braccia e parlò in tono sommesso: «Perché sei venuto qua per rovinare la vita di Michele?»

«Ivan, basta. Se sapevo che volevi parlare di questo non ti facevo entrare, te l'ho detto che è stata una mia idea» disse Raffaele alle sue spalle.

«Di quale idea stai parlando?» chiese Nic con un brutto presentimento.

«Ieri sera Raf viene in casa e dice a Michele che tu vuoi parlare con lui.»

«Io? Io non ne sapevo niente. È... Michele cosa ha detto?»

«Non credo che non sapevi niente. Perché sei qui a Peter, allora?»

«Per stare insieme al mio migliore amico che non sta bene. Credevo fosse evidente. Non ho intenzione di venire al torneo, non ti preoccupare.»

Ivan strinse le labbra, non sembrava convinto.

«E tu cosa cazzo ti impicci?» Nic aggiunse, rivolto a Raffaele. 

«L'ho fatto per te, Nic. Non ce la faccio a vederti stare così male.»

«E al male di Misha tu non pensi? Nicolò ha fatto bruttissima cosa. Io se sono Michele non lo perdono mai per tutta la vita!»

«Ne sono consapevole» disse Nic. «Ma perdonarmi o meno dovrebbe essere una decisione di Michele e non tua.»

Ivan mise le mani sul petto, a indicarsi. «Io dico cosa penso io. Io non dico mai niente a Michele di questa storia brutta. Michele decide con la sua testa e se lui decide che ti perdona, va bene.»

«Raccontagli com'è che sei diventato vegetariano» si intromise Raf.

«La finisci di voler raccontare i cazzi miei in giro? Ne abbiamo già discusso: quando uno fa una merdata non ha senso tirare fuori i traumi infantili. Discorso chiuso. La merdata resta.»

«Tu hai brutta storia di tuo passato con animale?» disse Ivan. «Non è una buona excusa. È contrario di una buona excusa. Se tu hai un problema di trauma devi essere ancora più sensitivo con queste cose, invece tu hai stato poco sensitivo con Michele. Tu hai calpestato sopra della sua testa e hai fatto quello che volevi tu, senza pensare di come stava lui.»

Nic sostenne lo sguardo duro del ragazzo. «Non mi capita molto spesso di pensarlo, ma stavolta ti dico che hai ragione. Sono d'accordo con te, e non ti preoccupare: ci sto male e vorrei che non fosse così, ma finché non sarà Michele a volermi parlare io non gli parlerò.»

Ivan annuì e il suo cipiglio si ammorbidì. «Bene. E non vieni in torneo mai.»

«Non avevo alcuna intenzione di venirci. Te lo ripeto: sono qui per Raffaele.» Nic concluse la frase con un'occhiataccia rivolta proprio a quest'ultimo.

«Vanja, tu non puoi proprio provare a parlare a Michele di questa cosa? Provare a...»

«No!»«Net!» Le voci di Nic e Ivan si sovrapposero.

«Non voglio che nessuno di voi due si intrometta in questa storia» aggiunse Nic.

«Io ho tanto rispetto per la testa di Michele, non dico a Michele cosa deve fare e cosa deve pensare. E se anche Nicolò non vuole, ancora meglio» disse Ivan.

Ivan e Raf, quindi, discussero dei rispettivi impegni per una manciata di secondi e poi il ragazzo li salutò.

Ma si fece vivo di nuovo, al telefono, il giorno dopo. «Ieri mi hai piaciuto, Nic» esordì.

«E perché me lo stai dicendo?»

«Avevo detto che io non ti perdono mai se sono Michele, ma io parlo sempre tanto grande e con l'emozione, e io ho tanta rabbia per quello che hai fatto perché non ho visto mai Michele stare così tanto male.»

Nic attese in linea senza dire niente, perché era evidente che il discorso di Ivan non fosse finito.

«Però io vedo dentro ai tuoi occhi. Tu e Michele avete gli occhi tanto uguali. Tutti e due avete l'universo in tumulto dentro gli occhi.»

Universo in tumulto? Dove aveva imparato quella frase così altisonante?

«Tu sei sempre tanto freddo, ancora più freddo di Misha. Ma io vedo che dietro freddo c'è tanto caldo. Anche se tu fai persona dura, tu stai male perché il tuo figlio ti odia. Io lo so che tu sei una persona buona che ha fatto una cosa tanto cattiva. Hai fatto una cosa veramente tanto, tanto, tanto cattiva che non capisco come è possibile. Però ti voglio dire che io spero che un giorno tu e Michele parlate di nuovo e vi comunicate.»

«Lo spero anch'io» disse Nic.

«Però tu devi cambiare come tratti Michele. Se tu torni vicino a Michele e tratti Michele ancora come prima, che calpesti la sua testa e decidi tu invece che lui, non va bene. Se tu sei... sarai, se tu sarai ancora questa persona, io non voglio che parlate di nuovo. Capisci cosa dico? Ho detto bene? Non sono tanto bravo a parlare questa cosa in italiano.»

«E invece no, sei stato bravissimo. Ti sei fatto capire molto bene.»

«Ok.»

Nic si azzardò a fargli anche un altro complimento. «Tu sei molto più bravo di me a comunicare. Io magari parlo bene l'italiano e mi esprimo con una grammatica perfetta e so usare sempre le parole giuste al posto giusto, ma tu con il tuo italiano tutto storto comunichi quello che vuoi comunicare molto meglio di me.»

«Tu e Michele dovete imparare la lingua dell'emozione. È per quello che non comunicate bene. Perché parlate l'italiano, ma non parlate la lingua dell'emozione.»

Nic sospirò. «Non lo so. Forse hai ragione.»

«Arrivederci, Nic. Io non ti chiamo più. Forse ci parliamo di nuovo il giorno che Michele ti parla di nuovo.»

«Va bene. In bocca al lupo per il torneo.»

***

Settembre 2018/ maggio 2019

Era passato San Pietroburgo, dove Ivan e Michele si erano incontrati in finale e Ivan aveva battuto Michele per la quarta volta. 

Nic aveva vissuto tutto attraverso gli occhi e le orecchie di Raf. Ivan era fuori di sé e dalla gioia per aver vinto il torneo. Gli organizzatori e la federazione russa gli avevano fatto ostruzionismo e si erano inventati migliaia di scuse burocratiche per cercare di non farlo partecipare: Ivan con la sua aperta bisessualità era una persona molto scomoda. Ma era stato lui a spuntarla, e vincere il torneo e alzare la coppa in faccia agli organizzatori era stata una soddisfazione duplice, perché aveva vinto a casa sua, nella sua città che nonostante tutto amava, e perché aveva dato uno schiaffo a tutti i bigotti che lo avevano ostacolato. 

Persino il colore dei capelli era stato scelto a quello scopo. Ivan era stato indeciso fino all'ultimo tra l'azzurro e una sfumatura di rosa. L'azzurro perché in russo la parola azzurro, goluboj, era anche un termine gergale per definire gli omosessuali. Rosa perché era un colore considerato poco mascolino. Alla fine aveva scelto il secondo per il significato più immediato e internazionale. Nic aveva sempre pensato che i capelli colorati di Ivan fossero solo una delle sue tante forme di esibizionismo (e forse in parte lo erano), ma quelle spiegazioni di Raf per la prima volta glieli avevano fatti percepire in modo diverso: erano anche una genuina espressione della sua personalità.

Dopo San Pietroburgo Nic continuò a trascorrere gran parte del tempo con Raf, aiutato anche dal fatto che seguiva Ivan in tour negli stessi tornei in cui giocava Daniele, e quando a novembre un peggioramento aveva costretto Raf a tornare in Russia, Nic lo seguì e rimase con lui novembre e dicembre. 

Per Natale, Ivan fece a Raf un regalo piuttosto costoso: una Lancia Delta Integrale. 

D'epoca ma rimessa a nuovo alla perfezione, identica a quella che aveva avuto da ragazzo: rosso fuoco con una striscia nera che correva sul cofano e tetto. Raf si fece scarrozzare da Nic e Ivan in giro per San Pietroburgo su quella macchina, e riempì le loro orecchie e la loro testa di aneddoti e ricordi. Per qualche settimana, sembrò quasi fosse tornato un ragazzino.

A gennaio Nic fu costretto a partire per l'Australia e rivide Raf appena a marzo per il Sunshine Double, dove si presentò in condizioni fisiche in apparenza stabili. A Miami Nic lo ospitò nella loro casa, e lì Raf fece amicizia con Daniele, Maria e la piccola Elisa. Li aveva già incontrati diverse volte, ma non ci aveva mai trascorso insieme tanto tempo come durante quel soggiorno.

Raf adorava giocare con la bimba, che rideva sempre quando lui le faceva il gioco del cucù: sembrava non esserne mai sazia, e lui non si stancava mai di farlo. A volte la tormentava facendole un po' di solletico, e lei sembrava non vedere l'ora che lo facesse, salutando ogni attacco con gridolini e risate.

A Indian Wells Raf ebbe un nuovo peggioramento. Ivan e Nic dovettero costringerlo a tornare a San Pietroburgo a curarsi, durante la primavera europea su terra. Nic avrebbe voluto seguirlo, ma fu lo stesso Raf a imporgli un ultimatum: «Se vieni tu, non ci vado io. Non voglio che fai da badante a me, voglio che segui quel povero ragazzo che hai sempre trascurato.» Si riferiva a Daniele, ovviamente, e Nic era d'accordo con lui: Daniele era davvero stato messo in disparte troppo a lungo, si meritava tutte le sue attenzioni.

Raf decise di tornare agli Internazionali di Roma, il Master 1000 che veniva subito prima del Roland Garros. E lo fece con il parere contrario sia di Nic che di Ivan: quest'ultimo aveva insistito perché partecipasse solo allo Slam, il torneo più importante, ma Raf aveva detto di non poterne più di stare a casa. Nic, in realtà, era combattuto: pensava che all'amico facesse bene il riposo, ma allo stesso tempo voleva anche rivederlo, di persona, stargli accanto.

Lo trovò emaciato. E il giorno dopo essere atterrato, Raf ebbe un collasso che fece temere a Nic di essere davanti al suo momento finale.

Si trovavano al Foro Italico a sbrigare delle formalità burocratiche, quando accadde; per fortuna sul posto erano già presenti delle ambulanze (c'erano sempre, in tutti i tornei), e Raf venne soccorso all'istante e portato in ospedale. Nic lo seguì in macchina con una tale agitazione addosso da dimenticare felpa e cellulare al torneo.

Con un codice rosso di pronto soccorso, Raf fu assistito piuttosto in fretta e messo a recuperare in un lettino di un reparto di day-hospital, con una flebo ricostituente.

Mentre aspettava fuori, Nic cercò il modo di contattare Ivan, ma purtroppo anche il cellulare di Raf doveva essere o addosso a Raf, oppure anche esso al Foro. Nic aveva con sé il giubbotto dell'amico, gli frugò nelle tasche e trovò il suo portafogli.

Si stupì di trovare al suo interno una vecchissima foto stampata, un ricordo che lo colse di sorpresa e lo intenerì. Da destra a sinistra: Vika, Raf, Nic ed Elisa. Abbracciati uno all'altro in fila, su un campo da tennis. Tutti giovani. Tutti vivi. Presto ben due persone sarebbero mancate all'appello di quella foto. Nic strofinò con forza gli occhi per fermare il bruciore delle lacrime che volevano a tutti costi uscire. Frugò ancora ed ebbe la fortuna di trovare ciò che cercava: un foglietto su cui Raf si era segnato alcuni numeri importanti: Il primo era quello di Ivan.

Trovò un telefono pubblico in ospedale, e anche quello fu un tuffo nel passato. Da quanti anni non ne usava uno... Ma da ragazzo, quante telefonate aveva fatto da lì? A Raf, a Elisa... Ma soprattutto a Leonardo. Scacciò i ricordi sciocchi, compose il numero usando un po' di spiccioli trovati nello stesso portafogli di Raf.

Chiamò ben quattro volte, ma Ivan non rispondeva. Nic sapeva, perché gliel'aveva detto Raf, che quella mattina sarebbe andato a fare un giro turistico...

«Con Michele...» sussurrò tra sé e sé.

Chiamare Michele... La situazione era talmente tragica che necessitava uno strappo alla regola del silenzio.

Il numero di Michele lo ricordava a memoria. Michele non rispondeva mai agli sconosciuti, quindi era molto probabile che il tentativo sarebbe stato vano.

E adesso che ci penso, probabilmente è per quello che Ivan non mi rispondeva...

«P-p-pronto?»

La risposta inaspettata di Michele lo spiazzò per mezzo secondo, ma prese subito il controllo della situazione. «Non mettere giù. Ti prego. Passami Ivan, è urgente.»

Nic non gli parlava da quel giorno a Capriva. Tenne a bada le emozioni e, siccome Michele rimaneva zitto, per paura che chiudesse la chiamata Nic aggiunse in fretta: «Hanno ricoverato Raf! Passami Ivan!»

«Si dice Ivàn» fu l'unica sciocchezza che ribatté Michele. 

Gli aveva parlato, nonostante la promessa di non rivolgergli mai più la parola.

E poi Nic udì il pronto di "Ivàn".

La telefonata fu rapida, Nic gli diede le indicazioni per arrivare al reparto e si salutarono.

Recuperò il resto dal cassettino e ripensò alla voce di Michele mentre si dirigeva verso la camera di Raf. Pronto e si dice Ivàn. Queste erano state le prime parole che gli aveva rivolto da quasi un anno. Ma a ben vedere, la prima era involontaria. Solo la seconda era una frase che aveva diretto proprio a lui, a Nic: Si dice Ivàn.

Non era la prima volta che glielo sentiva dire. Nic aveva sempre pronunciato il nome di Ivan all'italiana, con l'accento sulla prima lettera. Ma tutti i russi e anche Raf lo pronunciavano con l'accento sulla A. Michele si era ossessionato su quel piccolo dettaglio e Nic aveva perso il conto di tutte le volte che lo aveva sentito correggere chiunque usasse l'accento italiano. A Michele capitava spesso di fissarsi su sciocchezze, era un suo tratto caratteriale. Si dice Ivàn. Erano parole sciocche, ma gli suscitarono tanta tenerezza.

I dottori lo fecero finalmente entrare nella stanza di Raf.

Il suo amico stava male. Aveva una cera grigiastra, occhiaie profonde, ed era agitato da un evidente malessere. «Devi passare ad analgesici più forti» gli disse Nic.

Raf scosse la testa, corrucciato. «Il prossimo è la morfina, e non sono ancora pronto. È la fine, capisci? La mia fine dei sogni, quella che sognavo da ragazzo...» Raf sorrise. «Vedi? Perseverando i sogni si avverano!» E quando smise di sorridere, pianse. 

Nic gli prese la mano. «Non voglio arrendermi ancora,» continuò Raf, «i polmoni ancora non me li ha beccati. E se continuo con le terapie, fino a Wimbledon reggo. Voglio che Vanja vinca Wimbledon, voglio fargli vincere Wimbledon.»

E Di nuovo quel bruciore agli occhi e la gola che si stringeva. Ma non doveva piangere! Doveva essere forte per Raf.

«Cos'è quella faccia? Ho detto una castroneria talmente grande che ti viene da piangere dalla disperazione?» scherzò Raf.

E fu quello scherzo che riuscì a ricacciare del tutto indietro le lacrime. Nic gli strinse la mano con più forza. «Ho sentito Michele al telefono, sai?»

Lo sguardo di Raf si illuminò, e per un attimo parve quasi che stesse bene, che quella semplice frase avesse avuto il potere di guarirlo. «Davvero? Quando? Che ti ha detto? Oddio, che bello! Finalmente!»

Nic strofinò di nuovo gli occhi. «Stai correndo troppo. Ho chiamato lui perché Ivan non mi rispondeva, non ci siamo detti niente, mi ha detto solo pronto e quando gli ho detto di passarmi Ivan mi ha corretto: si dice Ivàn.» Nic ridacchiò. «È fissato con quell'accento...»

«Be', però ti ha risposto. È un buon segno, no?»

«No, mi ha risposto solo perché stavo chiamando da una cabina e non ha visto il mio numero.»

Raf sembrò immensamente deluso. «Ah...»

Entrò un'infermiera a controllare la flebo, e dietro di lei una dottoressa che chiese a Raf quali terapie seguisse e discusse con lui di un nuovo farmaco che avrebbe potuto rallentare il decorso della malattia; lui le disse di averlo già usato in passato senza successo, lei insisté per farglielo riprendere. «Agisce a livello metabolico. Nelle condizioni in cui si trova non farà miracoli, ma potrebbe regalarle uno o due mesi di vita.»

«Quanto ottimismo» scherzò Raf con un sorriso. Come faceva a trovare la forza di sorridere in quelle condizioni? Lui che, poi, era sempre stato così incline alla depressione.

Uscita la dottoressa, Raf disse: «Stavo scherzando solo a metà, prima. Mi ha davvero dato ottimismo, la cosa che mi ha detto. Uno o due mesi. È quello che mi serve, arrivare fino a luglio. Fargli vincere Wimbledon. Il gioco di Vanja si adatta molto bene all'erba. I suoi colpi, le sue traiettorie... si adattano benissimo ai rimbalzi bassi e alla palla che schizza veloce.»

Quando parlava di tennis e soprattutto di Ivan, Raf rinasceva. Perciò Nic lo assecondò, anche se pensava che in quel momento Raf avesse bisogno solo di riposo, riposo e ancora riposo; anche se con l'umore che aveva non avrebbe voluto parlare di niente; gli fece domande, gli diede suggerimenti, discusse con lui di tattiche e del tennis strambo di quel ragazzino russo che riusciva sempre a ribaltare qualsiasi aspettativa.

Ed eccolo, il ragazzino russo. Entrò nella stanza senza annunciarsi, con prepotenza, come faceva sempre qualsiasi cosa.

Dietro di lui Michele, che fissò per qualche secondo Raf con aria esterrefatta. 

Poi si accorse di Nic.

«Ti avevo detto che non dovevi venire!» Il rimprovero di Ivan era per Raf.

Nic e Michele si guardarono negli occhi per qualche secondo, poi Nic abbassò la testa.

«Sto bene, sono solo svenuto, bassa pressione. Mi danno un po' di integratori e sono come nuovo» minimizzò Raf.

«Sei un cretino» sussurrò Nic.

«C-cos'hai?» chiese Michele. Occhi sgranati, bocca socchiusa e un po' tremante... sembrava davvero sconvolto, Ivan non doveva avergli mai detto niente, delle condizioni di Raf. E in effetti erano due mesi che Michele non lo vedeva, e in quei due mesi Raf era peggiorato parecchio.

«Ho che ho passato una vita a introdurre cagate nel mio corpo e il mio corpo ha deciso finalmente di gettare la spugna.»

Michele aveva il respiro accelerato, sembra quasi sul punto di piangere.

«Non preoccuparti, Michele. Non muoio mica oggi. Ho ancora qualche mese, forse persino un annetto.»

«Non se ricominci a seguire Ivan in tour» lo rimproverò Nic.

«Nicolò ha ragione» disse Ivan. «Non dovevi venire.»

«Quindi cosa devo fare? Passare i miei ultimi mesi di vita chiuso in casa a fare cure?»

Nic non riusciva a togliere gli occhi da Michele, dalle sue guance su cui stavano scendendo delle silenziose lacrime.

Il pianto di suo figlio smosse qualcosa dentro di lui. Un desiderio di lasciarsi andare. Ma lui era adulto, e il suo dovere era essere forte: Nic prese un respiro e abbassò la testa. Non avrebbe pianto. 

«Vanja» disse Raf, «allenare te è stata forse l'unica grande soddisfazione della mia vita. L'unica in una vita di merda. Non mi interessa se vivo qualche mese in meno. Preferisco morire facendo qualcosa che mi dà gioia.»

Ivan reagì iniziando a singhiozzare a sua volta.

«Tu pensa l'ironia... ho passato una vita intera a cercare di ammazzarmi, e quando finalmente trovo qualcosa per cui valga la pena vivere, il mio corpo decide di arrendersi.»

«Perché cazzo devi sempre fare il melodrammatico!» sbottò Nic, che non capiva se era più incazzato con il suo amico che riusciva a fare dell'ironia più amara e pungente di un triste dolore, o con il proprio desiderio di unirsi al pianto di Michele e Ivan.

Ma non l'avrebbe fatto. L'uomo dalla lacrima facile, Raffaele, stava dimostrando una forza di spirito incredibile non piangendo. Nic sarebbe stato forte insieme a lui. Inghiottì in groppo e il desiderio passò, lasciando un dolore sordo in centro al petto.

Michele uscì in silenzio dalla stanza. Poco dopo Ivan si avvicinò al letto e con estrema cura, facendo evidente attenzione a non toccargli le cannule della flebo, abbracciò Raf. E il sorriso sereno che Nic vede sul volto del suo amico gli fece capire che aveva ragione: forse avrebbe perso un mese di vita, ma stare con Ivan era ciò che gli dava gioia.

Nic avrebbe fatto di tutto per farlo star bene e tenerlo in piedi durante quegli ultimi mesi in tour.

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Note 🎶

Capitoli difficili da scrivere e forse anche da leggere. Difficili da scrivere, perché non sono mai stata un'amante delle storie che parlano nel dettaglio di malattie, mi mettono a profondo disagio. Infatti noterete che ho cercato di sorvolare sui dettagli più medici: spero che la mia personale idiosincrasia non finisca per rovinare la storia, ma ho cercato di sopperire concentrandomi sulle emozioni, che sono poi la cosa che mi interessa di più.

Vi do appuntamento a giovedì prossimo, e lasciatemi una stellina per tutti i gettoni caduti nelle cabine da cui Nic ha telefonato, nella sua adolescenza anni Ottanta.

PS: dopo dieci giorni gli ambassador non mi hanno risposto. Non credo mi risponderanno più. A questo punto direi che comincio lentamente e mestamente a ripubblicare i capitoli epurati. Metterò dei link alle versioni integrali su file esterni sul mio Drive, per i nuovi lettori e per chi volesse rileggerli. Sto pensando di pubblicare il romanzo in forma integrale anche su EFP, per chi avesse un account lì. Vi chiedo scusa in anticipo per le notifiche che riceverete quando li ripubblicherò.

Nel frattempo sappiate che ho litigato su Reddit con una tipa che mi ha detto che sono "weird and disturbing" perché ho scritto delle scene di sesso tra adolescenti. Daje! 😎 (Aggiungo: americani e come riconoscerli)

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