IV
Avevo chiamato Will per chiedergli di venire e ravvivare la serata, ma lui aveva declinato il mio invito dicendomi di dover andare a dormire presto perché avrebbe avuto una partita il giorno dopo.
Il solito egoista.
La mattina mi svegliai più presto del solito, così decisi di andare a fare un po' di jogging.
Ovviamente non potevo indossare niente di aderente o appariscente, così optai per qualcosa di più comodo, ovvero dei leggins neri lunghi fino al ginocchio ed un top sportivo rosa evidenziatore, che mi lasciava il ventre scoperto.
Raccolsi i miei capelli in una lunga coda alta ed infine infilai le scarpe da ginnastica.
Non mi truccai, mi limitai a ritoccare le sopracciglia con la pinzetta, strappando i pochi peletti che erano cresciuti sotto l'arcata.
Le lentiggini sul mio viso mi facevano apparire molto più piccola del solito. Più che altro, dimostravo i miei diciannove anni. Di solito sembravo più adulta.
Poggiai anche gli occhiali da sole sul naso, e poi preparai tutto il necessario riempiendo una borsa.
****
Ero riuscita a tenere la felpa per un po', ma poi ero stata obbligata a toglierla perché faceva davvero caldo e fui costretta a tenerla al braccio.
I paparazzi non si avvicinavano troppo per fortuna, e nessun flash mi disturbava più di tanto dato che era giorno.
Quando arrivai vicino ad una panchina mi fermai poggiando le mani sulle ginocchia per prendere un po' di fiato.
Il mio respiro era accelerato come il mio cuore, così decisi che per quel giorno era abbastanza.
Quelle due ore erano bastate, anche perché stavo sudando ed odiavo il sudore, soprattutto non volevo puzzare.
Erano le nove e mezza, avevo un appuntamento con i fotografi della casa di moda alle undici. Dovevamo metterci d'accordo su alcuni dettagli per le foto pubblicitarie della mia collezione, ma non mi avrebbe portato via molto tempo.
****
— Buongiorno — afferrai il green tea di Starbucks che il mio assistente Jacob mi aveva portato.
Nella sala riunioni non c'erano i fotografi. Ero appena entrata e già i miei nervi si sentivano disturbati.
C'era un ragazzo, seduto sulla poltrona con il cellulare tra le mani.
Aveva una camicia bianca e dei jeans scuri. Le maniche erano arrotolate fino ai gomiti, lasciando che si intravedessero le vene sui suoi avambracci.
Assolutamente sexy.
Probabilmente era un modello, ma non capivo cosa potesse fare lì visto che la mia era una collezione femminile.
— Buongiorno — rispose alzandosi.
Era più alto di me, con un fisico decisamente bello: la camicia sembrava fosse sul punto di strapparsi. E non sarebbe stato un brutto spettacolo.
I suoi capelli erano di un castano chiaro, ed erano tirati su in un ciuffo, mentre gli occhi erano verdi, e la sua pelle sembrava abbronzata.
— Sono Daniel Grey. —
— Alexandra Allen — risposi distrattamente, sedendomi sul divano di fronte a lui.
Accavallai le gambe dopo aver poggiato il cellulare sul tavolino in mezzo a noi insieme al mio bicchiere.
Lo squadrai con la testa inclinata e gli angoli delle labbra leggermente sollevati in un sorriso falso.
Anche lui mi guardava con un sorrisetto, come se mi stesse sfidando. Di solito nessuno sosteneva il mio sguardo, intimidivo sempre le persone.
— Senti. Non so quale servizio fotografico tu debba fare. —
Rise mostrando i denti perfetti, poi mi fissò con i gomiti sulle ginocchia — stai dicendo che ti sembro un modello? —
La situazione dei miei nervi stava prendendo il volo, iniziavo a sentire la pelle andare a fuoco per la rabbia.
Volevo solo lavorare. Perché la gente doveva farmi perdere tempo?
Inarcai un sopracciglio — non lo sei? —
— Anche tu mi sembri una modella. —
— Lo sono — risposi acidamente.
Era assurdo che non mi conoscesse. Se non fossi stata io, avrei fatto una scenata. Ma dovevo mantenere la mia immagine.
— Oh. Sei una delle modelle di questa collezione? —
— Sono la stilista di questa collezione! — Sbottai alzandomi in piedi.
Per quanto non volessi agitarmi e risultare isterica, quando era troppo era troppo.
Mi stava guardando con aria di sufficienza, come se fare la modella significasse essere una cattiva persona.
Roteò gli occhi. Incredibile! Si stava addirittura annoiando!
— Lo so chi sei, ti sto solo prendendo in giro. Non ti sto mancando di rispetto, principessina. —
Stavo davvero perdendo la pazienza. Nessuno poteva permettersi di trattarmi in quel modo.
Uno sconosciuto si presentava nella mia casa di moda e mi trattava come se gli fossi d'intralcio con le sue battutine e prese in giro.
– Clary! — Urlai con voce stridula strizzando gli occhi.
La ragazza si alzò goffamente dalla scrivania lasciando cadere qualche foglio e qualche matita, raggiungendomi di corsa.
Sembrava che avesse rubato il maglione a sua nonna, i pantaloni erano troppo larghi e gli occhiali enormi per il suo viso. Sarebbe stata molto carina se avesse smesso di raccogliere sempre la sua chioma rossa in una treccia spettinata e avesse iniziato ad utilizzare un po' di trucco.
— Sì, signorina Allen? —
— Chi è questo qui? — Indicai il ragazzo mettendomi di fronte a lei. I tacchi mi regalavano qualche centimetro in più, rendendomi di poco più alta.
— Non lo so. È venuto con la signora Allen e lei l'ha fatto accomodare — mormorò lanciandogli una breve occhiata.
Stavamo parlando a qualche metro di distanza da lui, in modo che non potesse sentire. E non per volontà mia, ma perché Clary non si era avvicinata abbastanza a noi.
Mia madre. Perché non ci avevo pensato? Era ovvio che fosse una delle sue trovate geniali, ma non avevo intenzione di sforzarmi per cercare di capire.
— Dov'è mia madre? — Sospirai portandomi una mano alla fronte.
— È andata a parlare con gli stagisti, ma dovrebbe tornare tra poco. Sono già dieci minuti che è via. —
— D'accordo — sbuffai.
Passai le mani sulle gambe per sistemare le pieghe che si erano create sul tessuto aderente della gonna che indossavo, poi mi sedetti di nuovo sul divano, sotto il suo sguardo.
Aveva ancora quel mezzo sorrisetto e teneva gli occhi verdi quasi socchiusi.
Non capivo cosa ci fosse di così divertente.
— Lo sai che mi hai perforato un timpano? —
— Scusami? —
— Prima, quando hai urlato. Hai una voce così calma a bassa. Non credevo che potesse uscire un suono talmente fastidioso e stridulo dalla tua bocca. —
Non risposi. Lo ignorai deliberatamente, perché non volevo dargli troppa importanza. In fondo non era nessuno, e non volevo chiedergli di nuovo chi fosse e cosa stesse facendo lì.
Probabilmente mia madre ne aveva abbastanza di assistenti della sua stessa età e voleva qualcuno di giovane e sexy che l'accompagnasse alle conferenze o agli appuntamenti con le altre stiliste, giusto per vantarsi anche solo con le sue amiche.
— Ben arrivata, raggio di sole! —
Chiusi gli occhi prendendo un respiro, prima di stampare un sorriso forzato sulle mie labbra ed alzarmi.
Mi voltai verso mia madre che mi sorrideva nel suo vestito blu elettrico.
I suoi capelli biondi erano raccolti in uno chignon impeccabile.
Mi domandavo sempre per quale motivo li avesse tinti. Aveva iniziato a farlo quando avevo due anni, e nonostante quel colore fosse perfetto per lei, ero rimasta affascinata dalle foto di quando aveva la mia età ed i suoi capelli erano castani scuri, come i miei e quelli di Amber.
Io li tingo di nero da quando avevo diciassette anni, ma la differenza è davvero minima.
— Mamma. —
— Come stai, Lexie? —
— Tutto bene. Senti... Chi diavolo è lui? E dove sono i miei fotografi? —
Lei sbattè le palpebre un paio di volte, poi mi rivolse un sorriso enorme — è lui il fotografo. —
🌹🌹🌹
Buonasera!
Siamo arrivati al quarto capitolo!
Lexie va a correre (ovviamente non è solo questa l'attività fisica che fa, perché le modelle non hanno un bel fisico solo per opera e virtù dello spirito santo), e poi va in ufficio per vedere i fotografi, ma i fotografi non ci sono e c'è lui:
Ecco, non so se anche voi eravate fan sfegatate del Mondo di Patty (io sono Antonella, raga) del tipo che ho trascinato i miei a 9397 concerti.
Comunque lui era Nicolàs. Lo zio non zio di Antonella. Ecco, lui è Daniel.
Ringraziamo la mamma di Lexie per averlo portato tra noi, e scopriremo di più nel prossimo capitolo!
A presto
gaia;
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