Due: Guarda Mamma, Sono Hope
DRIIIIIN!
Quella maledetta sveglia non la smetteva più di suonare, quindi la presi e la lanciai contro il muro. Andò in mille pezzi, ma non mi interessava.
Mi alzai, mi stropicciai gli occhi e mi vestii velocemente. Indossai una canottiera scollata nera con una scritta di strass e dei pantaloncini corti, infilai le mie amate Converse e mi diressi verso la cucina.
Francesca si fermò un attimo. Era ancora intontita dalla nottata di sonno, ma c'era qualcosa di diverso quel giorno.
«Aspetta un momento...» ragionò tra sé e sé, «la mia sveglia non fa questo rumore... Io come suoneria ho una canzone!»
Non importava. Quindi, dicevo, mi diressi verso la cucina...
«E perché sono vestita così? Non devo andare a scuola? Non mi dovrei vestire in modo più sobrio?»
No, così andava bene.
«No, non va bene! Sono impazzita, completamente impazzita. Adesso sento anche le voci!»
Ma no, sciocchina, è la voce della tua coscienza!
«Ah, questa è la mia coscienza? Tipo grillo parlante di Pinocchio?»
Esattamente.
«Oh... E non è strano che io abbia una coscienza con cui parlare e che mi dica cosa fare in maniera così letterale?»
No, direi di no.
«Oh...» ripeté.
Senza ulteriori domande a me stessa mi diressi verso lo specchio.
Sono alta un metro e settanta, ho i capelli lunghi e castani e le forme al punto giusto. Però sono molto brutta e tutti mi odiano.
«No, aspetta, chi mi odia? Perché? E cosa significa "ho le forme al punto giusto"?»
La voce sbuffò sonoramente e assunse un tono infastidito.
Non ha importanza, tu hai le forme al punto giusto ma tutti ti odiano. Collabora un po' e lasciami fare il mio lavoro!
«Va bene...»
Bene. Quindi, scesi le scale e mi diressi verso la cucina, dove mia mamma mi salutò scorbutica.
«Come scorbutica? Mia mamma non è scorbutica!»
Vorrà dire che da adesso lo è.
Francesca aggrottò leggermente le sopracciglia masticando il toast che aveva trovato sul tavolo. La cucina di legno chiaro era inondata dalla luce che entrava da una grande finestra su una parete laterale.
C'era qualcosa che non andava, e non era solo la voce della sua coscienza che improvvisamente aveva preso vita propria. Sua mamma era la persona più dolce che conoscesse, eppure quella mattina le aveva rivolto solo un grugnito burbero. Inoltre, di suo padre neanche l'ombra: e questa era una delle cose più strane, dato che in genere la mattina lo trovava seduto al tavolo con lo sguardo ancora assonnato, le labbra macchiate di schiuma del cappuccino che stava bevendo e due fette di pane e marmellata su un piatto davanti a lui.
In più non ricordava di aver mai avuto nel suo armadio abiti così distanti dal suo stile semplice e un po' casuale, tantomeno di averli mai indossati per andare a scuola. Temeva anzi di avere freddo dato che era già ottobre inoltrato, per non parlare della reazione che avrebbero potuto avere gli insegnanti vedendola vestita così. Insomma, non era un abbigliamento proprio sobrio e consono all'ambiente scolastico.
Mangiai al volo e uscii di casa dopo aver salutato i miei. Appena uscita incontrai la mia migliore amica che mi abbracciò.
«Beba? Che ci fai qui? Tu non abiti dall'altra parte della città?»
«Di che stai parlando? Noi andiamo a scuola insieme tutte le mattine. E poi da quando mi chiami Beba? Mi hai sempre chiamata Summer!»
«Ah... Va bene, Beba- cioè, scusa Summer. Non so perché ma ho preso una brutta abitudine.» bofonchiò stranita Francesca.
Il sole scaldava la sua pelle gradevolmente, ma era un sole diverso da quello a cui era abituata. Sarebbe dovuto essere ottobre, appunto, e invece la temperatura era quasi primaverile.
Si guardò intorno e si rese conto che il vicinato era diverso: il bar in fondo alla strada era stato rimpiazzato da un fast food e il grappolo di case basse che prima componeva il quartiere era ora una serie di palazzoni rivestiti di vetrate. Il marciapiede era diventato all'improvviso larghissimo e gremito di gente che andava e veniva e il traffico era raddoppiato, se non triplicato: taxi gialli sfrecciavano per la via alternandosi alle altre macchine, che spaziavano dai SUV alle utilitarie. Il frastuono era quasi insopportabile.
Sembrava quasi una di quelle città americane che si vedono nei film, magari proprio New York City. Aveva sempre sognato di visitare gli Stati Uniti, in effetti, ma era così confusa che non aveva lo stato d'animo adatto per ammirare il panorama. Sentiva che stava per essere presa dal panico e percepiva già il battito cardiaco accelerare, quando la voce la riscosse.
Ma non c'era tempo per pensare, eravamo in ritardo!
Arrivammo a scuola giusto in tempo per il suono della campanella. Quando entrammo in classe tutti volsero lo sguardo verso di me e la professoressa mi salutò cordialmente.
Disorientata e stranita Francesca ricambiò il saluto. Si chiese come avessero fatto ad arrivare così presto a scuola, in quale scuola fosse e perché adesso si trovasse in una non meglio precisata città negli Stati Uniti visto che fino a poco più di dodici ore prima era nella sua casa a pochi chilometri da Bologna.
Tuttavia gli eventi si succedevano in modo così rapido che non aveva tempo di pensare.
«Salutate tutti Francesca Smith, che da oggi è la vostra nuova compagna di classe!»
Da parte sua, Francesca aprì la bocca per puntualizzare che il suo cognome non era Smith ma Venturi, e che in realtà frequentava la classe da un mese buono e non era appena arrivata anche se non aveva la minima idea di chi fossero quei ragazzi che a quanto pare ora erano i suoi compagni, e che a dirla tutta non sarebbe nemmeno dovuta essere lì perché sicuramente i suoi veri professori avevano segnato la sua assenza sul registro e si stava perdendo la verifica di Spagnolo per cui aveva studiato tutto il pomeriggio precedente... Ad ogni modo non ebbe tempo di dire una parola, visto che la professoressa ricominciò a parlare immediatamente.
«Puoi sederti vicino al signorino Beibier, laggiù nell'angolo. Spero che ti troverai bene con noi!»
Francesca guardò nella direzione indicatale dalla professoressa e incontrò lo sguardo di un biondino tutto muscoli dagli occhi truci che le diede i brividi.
Si sedette quindi nel banco vicino a lui, ma il ragazzo non la degnò neanche di uno sguardo.
Provò a essere cordiale e fare qualche domanda per conoscerlo meglio, dato che avevano un intero anno scolastico da passare insieme ma non ottenne che risposte a monosillabi e occhiatacce. Decise di lasciar perdere, almeno per il momento.
La campanella di fine lezione suonò e ognuno si diresse ai propri armadietti.
«Non sapevo nemmeno che avessimo degli armadietti... E poi che lezione era? Non ha spiegato niente, è suonata subito la campanella!»
Appena fuori dalla classe mi aspettava Summer ansiosa.
«Allora?» chiese trepidante, «Com'è andata?»
«Penso... Bene, tutto sommato.» rispose Francesca scrollando le spalle e chiedendosi se potesse in realtà rivelarle quanto in realtà si sentisse disorientata e sull'orlo di una crisi di nervi.
«Eddai, raccontami i particolari. Hai conosciuto qualche bel ragazzo?»
Eravamo arrivate davanti ai nostri armadietti, che erano proprio uno vicino all'altro, e avevo aperto il mio per riporvi alcuni libri quando una mano mi strinse forte la spalla interrompendo Summer e costringendomi a girarmi.
Incrociai così gli occhi gelidi del mio compagno di banco, che mi sbatté contro gli armadietti di metallo facendomi un male cane e togliendomi il respiro. Il suo viso era a due centimetri dal mio.
«Hey, ragazza nuova!» abbaiò rabbiosamente.
«Mettiamo subito in chiaro chi sono io, okay? Se mi manchi di rispetto finisci con la testa nel water. Se mi parli finisci con la testa nel water. Se mi guardi finisci con la testa nel water. Ci siamo intesi?»
Annuii velocemente con il cuore in gola. Quel tipo mi spaventava a morte.
Beibier allentò la presa sulla spalla di Francesca e si allontanò leggermente sogghignando, rivelando così altri tre o quattro ragazzi dietro di lui. Se ne andò senza dire altro e i suoi tirapiedi lo seguirono.
La ragazza, atterrita, si voltò verso Elisabetta-Summer, la quale sembrava spaventata quanto lei.
«Aspetta, lui è il tuo compagno di banco?»
«Sì... Sì, è lui. Perché è così?»
«Stai scherzando? Lui è Dustin Beibier, il bullo più bello e popolare della scuola! È stato bocciato due volte, dicono che abbia passato la scorsa estate in riformatorio e ha mandato sei alunni contemporaneamente all'ospedale solo per avergli chiesto una gomma da masticare!»
«E i professori non fanno niente?»
«No... Perché?» Summer-Elisabetta sembrava non capire il motivo di quella domanda.
«Potrebbero, non so, sospenderlo o espellerlo?»
«Che idea strana! Non so, nessuno l'ha mai fatto quindi ormai le cose vanno così e basta. Dustin risponde male anche ai professori, perciò credo che anche loro abbiano paura di lui.»
Wow... Dustin Beibier era proprio bello. Si era avvicinato così tanto alla mia faccia che avevo avuto tutto il tempo per perdermi nei suoi occhi del colore del mare. A quel punto realizzai di essermi innamorata di lui.
"No, non è vero!" pensò Francesca in risposta alla vocina nella sua testa.
All'inizio cercai di negarlo. Non potevo essermi innamorata di un bullo! Eppure era così, e non potevo farci proprio niente.
"Se lo dici tu... Comunque non mi sembra sensato visto che ci conosciamo da letteralmente un'ora e mezza e mi ha già minacciata e terrorizzata, e inoltre avrei tanta voglia di tirargli un pugno sul naso."
L'amore è imprevedibile.
"Senti, non ho tempo per pensarci."
Francesca riemerse dai suoi pensieri e tornò a parlare a Summer.
«Adesso che lezione abbiamo? Non avrebbero dovuto darmi un orario?»
«Certo che sei proprio strana oggi! Le lezioni sono finite!»
La ragazza rimase a bocca aperta.
«Come, di già?»
«Certo, sciocchina! Senti, stasera organizzo una festa. Ti va di venire?»
Io odiavo andare alle feste, ma accettai comunque per far felice Summer.
«Certo,» rispose quindi Francesca, «non vedo l'ora. Sarà un bel modo per conoscere qualcuno, visto che ormai sono qua!»
«Pensavo che non ti piacessero le feste!»
Infatti non mi piacevano, ma a quanto pare in quel momento avevo picchiato la testa.
In realtà Francesca voleva soltanto tornare nella sua solita realtà, ma non sapendo come decise di provare ad assecondare quella folle trama e aspettare che la situazione si risolvesse da sola.
«Guarda, onestamente se ti dicessi cosa sto pensando in questo momento non mi crederesti.»
Lo sguardo dell'amica si illuminò di curiosità.
«Dai, spara. Cosa ci può essere di così strano?»
Francesca si guardò intorno e si fece più vicina a Summer.
«Io non dovrei essere qui. Dovrei essere seduta al banco del mio liceo linguistico vicino a Bologna a tradurre frasi in Spagnolo per una verifica e sinceramente mi sento abbastanza nel panico in questo momento visto che sono in una città a caso degli Stati Uniti, mia mamma ha cambiato completamente personalità e dove sia mio padre non è pervenuto... Ma sentimi, sembro pazza!»
«Oh no, non ti preoccupare, avrai fatto un sogno strano stanotte. Ma sei sicura di sentirti bene? Sei così pallida... Andiamo, adesso ti accompagno a casa e ti riposi, così per la festa di stasera sei pronta. Va bene?»
Detto questo Summer le pose una mano sulla fronte per misurarle la temperatura e poi le prese delicatamente le braccia. Francesca continuava a borbottare come una pentola di acqua bollente e aveva cominciato a piangere, dando sfogo alle forti emozioni che aveva accumulato fino a quel momento.
Attraversarono il corridoio insieme, Summer sorreggendola teneramente, uscirono da scuola insieme alla calca di altri studenti e in un attimo furono davanti all'altissimo palazzo che a quanto pare adesso era casa di Francesca.
Summer la abbracciò ancora affettuosamente e si raccomandò di riposarsi con il tono di voce di una che ha a che fare con un malato febbricitante e con le allucinazioni. Infine si diresse verso casa sua schivando i pedoni che si affannano su e giù per il largo marciapiede come formiche indaffarate.
A Francesca non rimase altro che rientrare nel suo appartamento senza smettere di piangere. Era sola e terrorizzata e un peso le gravava sul petto, un uragano di emozioni contrastanti le aveva invaso il cervello.
Tra le lacrime entrò in camera e si lanciò sul letto mentre la voce della sua coscienza, fuori luogo come non mai, ricominciava a parlare implacabile.
Ero molto stanca per la lunga giornata di scuola, perciò mi adagiai sul mio morbido letto e scivolai tra le braccia di Morfeo.
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