5 - Concentrazione
Erano ormai passate diverse settimane da quando mi ero iscritta a quello stupido corso di fotografia. E in più, dovevo sorbirmi il continuo blaterare di Ryan Amnell.
Dio, se era irritante. A quanto pareva il karma o quelle stronzate lì dovevano odiarmi. Questo Ryan, aveva scombinato tutti i miei piani. Questo mi rendeva vulnerabile. Avevo la continua paura che prima o poi, facesse un passo falso, portando anche me giù con lui. Non potevo permetterlo.
Mi ero preparata per tutta la vita a vendicare i miei genitori, e ora uno stupido ragazzino qualsiasi non poteva mettermi i bastoni tra le ruote.
E la cosa peggiore, era che più lo minacciavo di morte o peggio, e più lui se la rideva come un matto. Che pensasse che non fossi capace di sparargli un colpo nella testa? Non mi doveva provocare.
Ma la cosa più irritante in assoluto era che chiedeva di continuo come facessi a muovermi così svelta, e dove avessi imparato a sparare con tanta precisione. Gli avevo detto la verità: film e passare molto tempo per la strada. Oppure assistere agli incontri di pugilato. Non avevo mai avuto nessuno che mi aiutasse, mi ero addestrata da sola. Era l'insegnante e l'allieva allo stesso tempo. Questo mi aveva fatto capire che potevo fare a meno di tutto il mondo.
Più gli raccontavo, più voleva sapere. Ma c'era una cosa che non chiedeva mai: il perché. Perché avessi scelto quella vita al posto di una semplice come ce l'avevano tutte le ragazze "normali". Dove, poi, i problemi più grandi sarebbero stati una relazione andata male, o nulla da mettere il sabato sera.
Non capivo se si rendesse conto da sé, che non ero mai stata quel tipo di ragazza, e che non volevo assolutamente esserlo. Oppure - la cosa che mi spaventava di più - sapeva qualcosa. Perché non fare domande, allora? Chiunque, mi avrebbe fatto una testa enorme chiedendomi cosa mi avesse portata a questa vita. La curiosità è nel gene umano da secoli e secoli.
Solo un giorno, Ryan, si spinse troppo in la'.
«La smetti di avere quella faccia?» disse mentre cercava di tenere il mio passo spedito. La scuola si era abituata a vederci insieme, si domandavano ancora come e perché, ma i pettegolezzi erano cessati.
«È la mia faccia.»
«Così li spaventi.» fece un gesto con la testa verso la mensa, e poi verso le persone in corridoio. «In giro dicono cose pazzesche. Tipo che sei in un traffico di droga, o che ti tagli. E dicono anche sei una satanista.» parlò e parlò ancora per tanto, e pregai Dio che la smettesse. «Ma il problema principale è che dicono anche che sei un'assassina fuori di testa, che facendo i conti non è che abbiano tutti i torti.»
Mi girai di scatto, sgranai gli occhi e lo presi per la camicia bordeaux che indossava. Lo trascinai velocemente nei bagni, e controllai che non ci fosse nessuno. Erano tutti vuoti.
«Hai perso completamente la testa?» dissi con voce più alta del solito.
Ryan mi scrutò, non aveva ancora capito la gravità di quello che diceva.
«Mi stai facendo perdere la pazienza, ragazzino.»
Lui sbuffò. «Ragazzino. Sono più grande di te!»
«Non provocarmi.» ringhiai.
Mi girai e fissai i lavandini disposti l'uno accanto all'altro. Erano in parte bianchi, ma su certi punti la vernice era venuta via, vecchi com'erano.
«Riesci a capire che non me ne frega un accidenti? Io ho i miei motivi per fare quello che faccio e uno di questi è mio fratello.»
«Be', io lo dico per la tua reputazione Barbie.» fece un sorrisetto quando pronunciò la parola Barbie.
Lo guardai in cagnesco e mi avvicinai tanto che riuscivo a sentire il suo fiato sulla faccia. «Non me ne importa un cazzo. Per me, possono parlare fino a quando non scoppiano loro le corde vocali. Non sanno quanto io mi rompa il culo. Non lo faccio per me, ma per lui. Magari non è il modo migliore per aiutarlo, ma so fare questo. Rubo, se mi va male uccido, e me la svigno. Semplice. Preciso. Senza uno sbaglio. Questa è la mia vita.» dissi guardandolo dritto negli occhi. Non ero per niente una Barbie, ero una macchina da guerra.
«Carter, credi che sia davvero così stupido? Non è solo per tuo fratello che lo fai, e di questo sono certo. Ma..» fece per finire, ma poi ci ripensò.
«Ma cosa?»
«Niente. Sono in ritardo per la lezione di matematica.»
Si girò e uscì dal bagno, lasciandomi con ancora più pensieri di quanti non ne avessi prima.
Presi a calci un lavandino, e uscii incazzata nera - cosa che mi capitava davvero spesso ultimamente -.
«Ciao» sussurrò Ryan una volta sedutosi accanto a me. Mi distrasse dai miei pensieri, e ci misi un po' a salutarlo.
La professoressa Hoga stava tirando fuori da uno scatolone una vecchia, anzi vecchissima, macchina fotografica.
«Stasera c'è una festa al Rock Rum, niente di che, un paio di gruppi che fanno cagare e birre a volontà. Mi chiedevo se ti andasse di venire. Per fare qualcosa di diverso.»
Alzai un sopracciglio e restai a guardarlo. La luce del sole gli illuminava la faccia, e notai per la prima volta che aveva gli occhi verdi. Risi mentalmente, al pensiero che lui potesse considerare quell'invito, un invito a uscire. Un appuntamento.
Non mi conosceva da molto, anzi, non mi conosceva affatto, ma gli avevo dato più volte modo di capire che non mi interessava quel mondo lì. Stavo benissimo da sola.
«Ho già da fare», il che era vero. Stasera è la serata "libera" di Babi. Esce con le amiche della chiesa, o qualcosa così. Quindi avevo la casa tutta per me, e una volta messo Sean fuori gioco, avrei potuto continuare le ricerche che avevo iniziato due giorni fa', su Brian Pine, senza aver paura che qualcuno entrasse in camera mia o che mi sentisse parlare a telefono. Ero contenta che Babi avesse le sue amiche. Dopo la morte di Jimmy, suo marito, non era stata più la stessa. E anche se erano passati 4 anni, lei soffriva ancora come quando gli dissero che non ce l'aveva fatta. Che un infarto aveva stroncato la sua vita a soli 55 anni. Avevo 15 anni all'epoca, e mi dispiacque tanto. Ma non piansi, non versai nemmeno una lacrima. E non cercai nemmeno di consolare Babi, il suo dolore doveva essere liberato. Altrimenti rimaneva dentro, ristagnava, e faceva male solo a lei. Non volevo farla diventare così. Non volevo farla diventare come me.
«Come vuoi», sputò Ryan e tirò su col naso.
«Non sapevo ti piacesse bere e tornare tardi a casa. Ti immaginavo più ragazzo casa e chiesa» lo presi in giro.
«Io non so molte cose di te, non vedo perché tu debba sapere le mie cose.»
Ma vaffanculo!, pensai.
Mi era già difficile cercare di non essere antipatica e scontrosa per tutto il tempo, ma lui di certo non mi facilitava le cose.
Decisi di porre fine al discorso, prima che partissi di testa e facessi cose come tirargli un pugno in faccia.
La campanella suonò, presi lo zaino e mi alzai per avviarmi verso l'uscita. Nel farlo diedi una forte spallata a Ryan. Non lo fece apposta, ma mi fece sentire alla grande.
«Ehi, Carter!»
Ecco che ritorna alla carica.
Mi girai esasperata. «Che vuoi?»
«Mi dispiace. Non intendevo dire quello. È che tu sei un mistero, e io adoro risolvere misteri.» ridacchiò.
«Be', felice di essere il tuo nuovo passatempo preferito, allora.»
Fece per dire qualcosa, ma lo anticipai. «Senti, ti avevo detto di non rivolgermi la parola. Di far finta di non conoscermi. Ma siamo capitati nello stesso corso, per mia sfortuna. Ma non è obbligatorio parlarci. Io non voglio amici» feci il segno delle virgolette con le dita. «d'accordo? Né fuori, né in classe. Possiamo parlarci solo quando faremo lavoro di coppia. Non mi va di essere ripetitiva, e tu mi fai ripetere sempre le stesse cose.» sbuffai alzando gli occhi al cielo.
«Come ti pare!» ringhiò e poi sparì nella mensa.
Bene, ci ero riuscita. Me l'ero scrollato di dosso e ora avevo tempo per le cose davvero importanti: prima Pine, poi l'uomo con la cicatrice.
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