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20 - Un posto nel mondo

«Mm», mi lamentai e mossi leggermente il braccio destro. Fu un movimento quasi impercettibile.

«Smettila di muoverti!» sbraitò comunque Ryan.

«Sono piuttosto sicura di non essermi mossa! Mi sa che tu sei più nervoso di me!» sbuffai stizzita. Non solo mi ero affidata a lui per farmi ricucire quella piccola ferita al braccio - e già questo avrebbe dovuto rendermi nervosa al massimo, dato che non ero davvero sicura che Ryan sapesse farlo - ma per di più lui continuava a far tremare la mano, facendomi abbastanza male.

«Sei proprio certo di saperlo fare?» chiesi preoccupata, anche se era inutile perché l'ago era già entrato un paio di volte nella mia carne.

«L'ho una visto una volta, su Real Time, credo..», man mano che parlava il suo tono di voce si affievolì. «Ma, ehi! O io, oppure te lo ricucivi da sola il braccio», puntualizzò.

«Be' avrei anche potuto, ma sarebbe stato un po' difficile visto e considerato che io la ferita non la vedo!»

Lui provò a nascondere un mezzo sorriso, ma non ci riuscì.

«Fatto», esclamò dopo aver passato ancora l'ago nella carne aperta. Per quattro punti, avevamo sudato freddo entrambi. Risi al quel pensiero mentre Ryan mi applicava la garza, per non far infettare la ferita. Tutto l'occorrente se l'era procurato Moira; come ci riuscisse, era ancora un mistero per tutti.

Mi girai, seduta sul letto, per guardare Ryan in viso. Dopo aver dato fuoco a quella stupida casa, eravamo corsi via cercando un'uscita sul retro di quell'immensa casa. Nei corridoi ci eravamo scontrati con diverse guardie, ma l'avevamo fatte fuori a bruciapelo e eravamo andati oltre. Ryan riusciva sempre a stupirmi con il suo atteggiamento: era impressionante vederlo uccidere qualcuno, lo faceva con una disinvoltura disarmante, come se lo facesse da sempre. Nel viaggio di ritorno all'albergo, non avevo aperto bocca. Troppo assorta nei miei pensieri, non avevo esultato, né tirato un sospiro di sollievo, ma ero rimasta nel mio limbo. Non riuscivo a provare nessuna emozione, ma c'era come qualcosa, un magone dritto nel centro dello stomaco che non riuscivo a decifrare. Ed era così anche mentre guardavo la mascella di Ryan diventare colorata: violacea, verde e gialla. Mi alzai di scatto - dolori al busto permettendo -, mi diressi in bagno e acciuffai un asciugamano, la bagnai con acqua fredda e ritornai da lui.

Il braccio non mi faceva nemmeno male, tirava soltanto. Un po' brusca, ovviamente non abituata a fare certe cose, gli inclinai la testa in modo che il livido fosse ben visibile e tamponai per evitare che si gonfiasse. In alcuni punti Ryan trasaliva, ma poi mi rassicurava dicendomi di stare bene. Poi, calò uno strano silenzio; avrei voluto dire qualcosa, ma non sapevo bene cosa e poi c'era ancora quella sensazione, e quell'incredulità. Tempo addietro, per molte volte, mi ero immaginata mentre uccidevo Slow, pensando che avrei provato una tale sensazione di sollievo da farmi quasi mancare il respiro. Ma era tutto il contrario, non sentivo assolutamente sollievo o felicità, non avrei saputo spiegarlo a parole; era sconforto, malinconia, tristezza, pietà e libertà.

D'un tratto Ryan ruppe il silenzio con una battuta che mi riportò un po' di colore al viso, per l'imbarazzo e per il fastidio.

«Allora, non è che potrei sentirli anch'io quei gemiti di piacere?» disse mentre l'angolo della bocca si tirava in un sorriso.

Che orrore, non avevo nemmeno lontanamente immaginato di poter anche solo pensare quella frase, e invece l'avevo detta mettendoci tutto quello che di sensuale c'era in me. Non sapevo come ci fossi riuscita, anche perché ero straconvinta di non averne neanche un briciolo di sensualità. Associavo la sensualità alle ragazze truccate e conciate in modo strano, e non a ragazze che, come me, non uscivano di casa senza gli anfibi e una sigaretta tra le labbra.

Lanciai a Ryan una delle mie solite occhiatacce omicide, sperando che questo facesse cadere il discorso.

«Posso chiederti una cosa?» e già quel tono di voce mi mise sull'attenti. Annuii.

«Avresti.. ti saresti spinta oltre per.. per ottenere, diciamo..», inciampò nelle sue stesse parole e mi ci volle un secondo per capire a cosa si riferisse.

«Non lo so», dissi onestamente. «Ma credo di no.»

Probabilmente c'avrei provato, ma non ci sarei riuscita. Come potevo davvero dare la mia verginità a colui che mi aveva distrutto la vita? Non che ci tenessi particolarmente, non volevo perderla con il mio futuro marito, ma non volevo nemmeno darla a quello stronzo ormai morto. Ma, dopo qualche attimo di riflessione, capii che se la situazione fosse stata diversa io non avrei oltrepassato quel limite. La mia virtù era ancora lì, proprio perché non avevo mai permesso a nessuno di avvicinarsi così tanto, di avvicinarsi in quel modo.

«Sono certa che non sarei andata fino in fondo. Come si fa a farti toccare dall'uomo che ha quasi sterminato la tua famiglia? Non credo di essere quel tipo di persona», diedi libero sfogo ai miei pensieri mentre continuavo a tastare la mascella di Ryan con lo straccio.

Ryan sospirò, cambiando posizione. Il movimento fece tremare il letto sotto di me e avvertii una fitta al fianco. Gemetti, non riuscendo a trattenere un lamento.

«Ti fa male il braccio?» domandò Ryan, preoccupato.

«No», dissi, poi strinsi forte le labbra. Il fianco mi faceva davvero male; non mi ero nemmeno guardata allo specchio quando mi ero infilata velocemente sotto la doccia per levarmi tutto quel sangue di dosso, quindi non sapevo come fosse conciato.

Ryan fece per avvicinarsi, e io istintivamente mi protessi il fianco con il braccio: pessima mossa.

Lui si accorse che non era al braccio che fingevo di non sentir dolore. Mi guardò fisso, aspettandosi non so cosa da me. Respiravo affannosamente, non riuscivo più a contenere il dolore.

«Posso?» chiese, avvicinando le mani ai bordi della mia canotta.

Scossi la testa, non volevo farmi toccare.

«Carter», sussurrò. «Fammi guardare.»

Il suo non fu un ordine o una pretesa, era semplicemente preoccupato per me. Ma non volevo che vedesse, sapevo già da me che quello al fianco non era una cosa da niente.

«Per favore», insistette.

Mi vide esitare, e piano afferrò il bordo della maglia grigia. Io spostai le braccia all'indietro, con estrema lentezza, per permettergli di scoprirmi la pancia.

Fissai le sue mani mentre mi alzavano un lato della canotta, scoprendo un'enorme macchia rossa, viola, nera, che partiva dalle costole e scendeva per tutto il fianco.

Guardai altrove per non incontrare gli occhi di Ryan; sapevo che sarebbe arrivato un "quando avevi intenzione di dirmi che quello ti ha quasi spappolato il fianco?", ma non avevo intenzione di guardarlo mentre mi sgridava come una bambina di cinque anni.

«Ora ti premo sulle costole, per vedere se sono rotte, o se c'è qualche problema», mi informò, e senza perdere tempo iniziò a tastarmi il lato sinistro del busto.

Trasalii a ogni tocco, le sue dita premevano sulla carne e a me pareva di avere il fuoco vivo nel fianco.

«Nessuna costola rotta, per fortuna. Ma il fianco è messo malaccio», si voltò e prese l'asciugamano per poi tamponarla sul mio fianco. Ogni tocco era come un pugno che mi faceva vibrare tutto il lato sinistro del corpo. Ma mi costrinsi a non muovermi; anche se sentivo un dolore tremendo, se mi fossi mossa sarebbe stato peggio.

«Come ti senti, adesso?» domandò, tutto concentrato sul mio fianco.

«Mi fa ancora un po' male», sussurrai controvoglia.

Lui si bloccò, e quando mi voltai per capirne il motivo, trovai i suoi occhi fissi miei. Sentii lo stomaco contorcersi, tanto da far male. Il che mi ricordò che non avevo mangiato quasi nulla per tutto il giorno, ed era probabile che fosse per quello.

«Non mi riferivo al fianco. Voglio dire, come ti senti ora che Slow non c'è più?»

Quella domanda proprio non me l'aspettavo.

«Non so nemmeno questo», dissi in sorriso amaro. Era straziante non riuscire a capire come mi sentissi dopo una svolta così importante nella mia vita. Avevo ottenuto quello che avevo sognato per tutta una vita, perché non ero felice? Perché non potevo pensare al meglio? Forse perché sentivo che la situazione fosse più complessa di quanto noi tutti pensavamo. Se ascoltavo bene il mio istinto, potevo sentire che qualcosa era storto, sbagliato nel modo più assoluto.

E se mio fratello fosse già morto, proprio come aveva detto Slow? Non volevo pensarci; non me lo sarei mai e poi mai perdonato.

«Non mi sento come avevo immaginato, neanche lontanamente.»

«Forse perché tu non sei più la persona di tanto tempo fa; quella che bramava solo vendetta. Ora sei diversa, io lo so. Io lo vedo», abbozzò un sorriso, per non farmi pesare troppo le sue parole. Non poteva sapere che erano un macigno sul mio petto. Se davvero non ero più la vecchia Billy, chi ero? Solo lei avrebbe potuto salvare Ray; la nuova me non avrebbe potuto. Dovevo prendere le redini di tutta quella situazione, prima che mi sfuggisse di mano. Speravo solo che non fosse troppo tardi.

Quasi un'ora dopo, Ryan era sotto la doccia, mentre io era seduta sul letto; giocherellavo con la pistola, e guardavo distrattamente le immagini scorrere dalla tv accesa. A quanto pareva, anche alle due del mattino trasmettevano qualche stupido canale informativo.

La voce della donna quasi m'infastidiva. Indossava una giacca blu notte, e aveva tra le mani molti fogli. Stava continuando a parlare del tasso di femminicidio presente negli Stati Uniti. Sbuffai, ripensando per un attimo a quello che mi aveva detto Slow.

Aveva parlato di gallerie della metropolitana, quindi voleva dire che Ray era lì, a Portland. Ma perché l'avevano preso? Che cosa volevano esattamente quelle persone da me? Io non avevo nulla che potesse interessar loro. Mi concentrai di nuovo sulla tv: questa volta, un uomo robusto e calvo, parlava al microfono della reazione di totale sollievo della famiglia di un giovane ragazzo, quando la scientifica aveva assicurato che non fosse lui il cadavere trovato poco lontano dal Lake Washington, a Seattle. Ma la famiglia era comunque preoccupata. Da quanto avevo capito, quel ragazzo mancava da casa da un bel po'.

In quel momento, il giornalista lanciò un video con le parole dei parenti del ragazzo.

Quasi mi venne un colpo quando riconobbi Jake, il cugino poliziotto di Ryan. Afferrai il telecomando, e alzai il volume della televisione.

«Non ci arrendiamo, vogliamo trovarlo a tutti i costi», fece Jake.

Un'altra voce gli domandò se per caso il ragazzo avesse provato a mettersi in contatto con qualche familiare.

«No», aveva risposto Jake, dopo qualche secondo di esitazione.

La scena cambiò: ora, non era più Jake a parlare, ma un altro uomo, più vecchio di lui. Qualcosa in lui mi era familiare, l'avevo già visto da qualche parte.

«Ho organizzato personalmente le ricerche per mio figlio, ho scelto i miei uomini migliori. Ryan è un bravo ragazzo, non sarebbe mai andato via di casa senza un motivo», esordì con un tono duro e ferito.

Fu come avere un calcio in faccia, o peggio. Un calcio in faccia avrebbe fatto meno male.

Ryan era il figlio di quell'uomo che era anche a capo della polizia di Seattle; lo stavano cercando. Mi aveva mentito. Mi stava incastrando!

Coprii la bocca con la mano, e lanciai uno sguardo verso la porta chiusa del bagno. Sapevo bene cosa fare, ma mi mancava il respiro al solo pensarci.

Non potevo permettere che mi fottesse come aveva fatto fino a quel momento, non potevo proprio adesso, che tutto iniziava ad avere più senso. Non potevo, ora che ero sul punto di trovare mio fratello.

Mi sentivo delusa, amareggiata e anche ferita. Ferita sul serio. Ecco perché non permettevo a nessuno di avvicinarsi così tanto a me, perché non potevo fidarmi di nessuno. Tutti alla prima occasione mi avrebbero tradita, potevo fare affidamento solo su me stessa, e sulla mia famiglia.

Avrei voluto prendermi a sberle per essermi fatta dominare dalla stupidità. Come avevo fatto ad essere così cieca? Mi sentivo come la più grande cretina in circolazione; avrei dovuto fidarmi del mio istinto, come avevo sempre fatto. E invece no, mi ero fidata di un ragazzino che dal primo momento aveva organizzato di sbattermi dentro, lui con la sua fottuta famiglia.

«Noi tutti speriamo che il diciannovenne Ryan Amnell possa ritornare a casa sano e salvo», disse infine il giornalista.

Mi alzai, afferrando il silenziatore dal borsone. Lo dovevo ammettere, quello che stavo per fare mi faceva troppo male. Anche se non volevo, mi ero affezionata a Ryan; era la cosa più vicina ad un amico. Invece no, mi sbagliavo.

Spensi la tv, e mi misi ad ascoltare: in bagno, l'acqua non scorreva più, e probabilmente Ryan sarebbe uscito di lì a poco. Mi parai proprio davanti alla porta, agganciai il silenziatore alla pistola e tolsi la sicura.

Mi sentivo svuotata. Non avrei dovuto permettere che la vecchia Billy Shoe si allontanasse poco a poco da me. Ora sentivo più che mai il bisogno di averla con me.

La porta si aprii e Ryan uscì a torso nudo - leggermente bagnato - e con indosso solo un paio di boxer.

Gli puntai la pistola contro e provai a non far trapelare nessuna emozione. La vecchia Billy ci sarebbe riuscita benissimo.

Ryan mi guardò sorridente. «Hai voglia di giocare a guardie e ladri?»

La battuta non mi fece ridere, in quel momento nulla mi avrebbe fatta ridere.

«Sei sicura di stare bene, Carter?» fece un solo passo verso il letto, prima che io sparassi.

La pallottola volò proprio accanto a lui, per poi andarsi a conficcare nel muro.

Ryan strabuzzò gli occhi. «Sei impazzita?» gridò.

Un attacco di rabbia mi assalì violentemente. «La prossima va giusto in fronte!»

«Si può sapere che ti prende?» gridò ancora.

«Mi hai fottuta per la maggior parte del tempo, bravo. Te ne dò atto! Ma adesso hai finito di giocare!» mentre urlavo, stringevo i denti troppo forte. Quello che stavo per fare faceva più male a me che a lui.

«Di che diavolo stai parlando?» Ryan dovette accorgersi del mio fare sul serio, perché alzò le mani. Forse lo fece per calmarmi.

«È tutta una messinscena quella della scomparsa? Come fate a tenervi in contatto? Quando aspettano a fare irruzione a sbattermi dentro, eh?» gridavo forte, e per la prima volta da quando erano morti i miei genitori, avrei voluto piangere. No! Non avevo pianto per la loro morte, non avevo pianto per la scomparsa di Ray, e di sicuro non avrei pianto per essere stata tradita dalla persona che pensavo fosse dalla mia parte. La cosa più brutta era che avevo permesso che mi cambiasse, gli avevo permesso di condizionare il mio essere. Ma che stupida!

«Quale scomparsa? Chi deve fare irruzione? Paige, per l'amor di Dio, mi vuoi spiegare che cazzo sta succedendo?»

«Che sta succedendo? Perché non me lo spieghi tu? Perché non mi spieghi il motivo delle tue bugie, perché non mi spieghi che tuo padre, un poliziotto, ti sta cercando per mare e per monti? E già che ci sei, spiegami pure quando avevi intenzione di farla finita. In che momento mi avresti detto che eri un fottuto figlio di un poliziotto e che collaboravi con loro dal primo giorno? Mi avresti almeno lasciato trovare mio fratello?» non avevo più il controllo, la rabbia, la delusione mi offuscavano i pensieri, impedendomi di ragionare.

Vidi la sua espressione passare dallo stupore alla realizzazione. Aveva capito di cosa stavo parlando, e questo non faceva altro che confermarmi la sua colpevolezza.

«Carter», provò ad avvicinarsi ma io gli urlai contro di rimanere lì dov'era.

«Hai ragione! Mio padre, mio cugino, sono dei poliziotti. Ma puoi credermi se ti dico che non sono in contatto con loro, che non sanno di te, non sanno quello che stiamo combattendo insieme. Credimi, non volevo fotterti, e non l'ho fatto. Non ti tradirei mai, io..», si bloccò tutt'un tratto.

Ma era tutto inutile, non gli credevo. Non credevo più a una sola parola.

«Devi fidarti di me», sussurrò.

«L'ho fatto, e guarda come mi hai ripagata! Ma non è colpa tua; sono stata così stupida da non seguire il mio istinto, dovevo ucciderti il giorno in cui ti ho conosciuto», sputai fuori le parole con cattiveria ma sentii un dolore al petto. Non era vero, non avrei voluto ucciderlo per nulla al mondo, ma ora le cose erano cambiate. Dovevo farlo.

Emisi un sospiro, e mi preparai per mettere fino alla sua vita.

«Carter, no!» disse Ryan. Scattò verso di me, e mi alzò le mani in alto prima che potessi premere il grilletto. Il proiettile si conficcò nel soffitto.

Ryan provò a togliermi la pistola dalle mani, ma io gli assestai una testata e lo feci barcollare all'indietro. Presi la mira per sparare di nuovo, ma lui mi colpì con un calcio alla mano. La potenza mi fece volare la pistola dalle mani, e il dolore mi fece urlare.

Accecata di rabbia, mi avventai su di lui, provando a colpirlo con i pugni chiusi, ma lui li parava tutti. Ma non provava a colpire me, si limitava solo a difendere se stesso. Cazzo! Perché non mi colpisci?, gridai mentalmente.

Gli assestai una ginocchiata alle parti basse, e lui grugnì mentre cadeva sul pavimento. Provai a colpirlo con un calcio, ma lui mi afferrò la gamba, la tirò verso di se stesso, facendomi cadere davanti a lui. Le fitte al fianco continuavano a farmi vibrare tutto il corpo, ma non ne me importava. Mi voltai verso la pistola e avanzai per prenderla e mettere fine a tutta quella tiritera, ma Ryan mi prese per le spalle e mi sbatté contro il suo petto. Mi immobilizzò con un braccio, e con l'altro mi cingeva le spalle.

Urlai di lasciarmi, provavo a divincolarmi ma la sua presa era troppo forte.

Ad un tratto, fece qualcosa di completamente inaspettato per me. Con la mano mi voltò il viso cosicché potessi guardarlo in faccia e dopo un attimo di esitazione posò le labbra sulle mie. Mi mossi ancora di più, per sottrarmi alla sua presa ma soprattutto a quel bacio, ma lui mi stringeva e continuava a muovere la labbra sulle mie.

Ma che cazzo stava facendo? Avrei voluto tanto urlargli di smetterla, ma non riuscivo a smettere di pensare "mi sta baciando?". Mi soffermai per un attimo sul movimento delle sue labbra, erano sottili, ma agili. Chiesi a me stessa cosa sarebbe successo se mi fossi lasciata andare solo per un minuto, e avessi ricambiato il suo bacio.

Potevo? Volevo?

Smisi di muovermi, e con gran timore iniziai a baciarlo anch'io. Lui si accorse del mio cambiamento d'umore, e si bloccò per un instante, ma la mia bocca lo incoraggiava ad andare avanti.

Avvertii le sue labbra schiudersi, e la punta della lingua toccare la mia. Potevo sentire il suo calore, il suo desiderio. Quel bacio non aveva nulla di dolce e tenero, al contrario, era rude e carico di passione.

Potevo avvertire le mie barriere infrangersi in milioni di pezzi. Le nostre bocche si muovevano insieme, le lingue si accarezzavano selvaggiamente l'una sull'altra.

Quando mi afferrò, vigoroso, per i fianchi, sentii la voglia che avevo di lui crescere in me.

Senza staccarsi mai da me, si alzò portando anche me con sé. Poi, con un movimento veloce, mi prese sotto le braccia e mi mise seduta sul mobile sotto la tv. Non avrei mai pensato che fosse così risoluto.

Le sue mani mi accarezzavano le cosce semi nude, la bocca esplorava il mio collo lasciando piccoli morsi ovunque. Avevo il respiro corto, i pensieri offuscati dall'eccitazione. Mossi il braccio all'indietro, colpendo il vaso blu e bianco, che si frantumò.

Quel gesto mi riportò bruscamente alla realtà: sentivo un pizzicore al braccio sinistro per il colpo al vaso, il fianco mi doleva, ma in quel momento non era la cosa più importante. Mi stavo lasciando andare con la persona sbagliata, lui mi aveva tradita.

«Mi hai tradita», la mia voce era ridotta a un sussurro ansimante, colpa dei suoi baci ipnotici.

Lui, ancora preso sul mio collo, scosse la testa con fare deciso. «Mai. Non ti tradirei mai», lasciò una scia di baci e morsi sotto la mia mascella. Cavolo, doveva smetterla. Non riuscivo a respingerlo se continuava a baciarmi in quel modo.

«Tu sei la cosa più importante, Paige. Nulla è più lo stesso da quando ci sei tu nella mia vita, e non permetterei mai a nessuno di cambiare questo», la sua voce era roca, e più parlava più non riuscivo a ricordare il motivo per il quale avessi aspettato così tanto.

Gli presi il volto tra le mani e mi fiondai sulla sua bocca. Con i denti, strinsi le sue labbra e lo sentii gemere dentro la mia bocca.

Persi il senso del tempo, il mondo cessò di esistere quando lui mi sollevò per le natiche e mi portò verso il letto.

Mi posò sul materasso e quel gesto mi provocò ancora fitte atroci al fianco, ma non me ne importava niente. Lo volevo: lo volevo con me, lo volevo su di me, lo volevo dentro di me.

Gli avvolsi le braccia al collo e lo trascinai su di me; lui riprese a baciarmi forte, io gli accarezzavo la schiena e mi spingevo sempre più vicina a lui. Il suo corpo fremeva leggermente, e potevo sentire la sua eccitazione attraverso i boxer.

Ryan, senza mai smettere di baciarmi, mi fece scivolare la mano sotto la maglietta, fece per togliermela e io lo aiutai a sfilarla. Mi liberò dal reggiseno, e prese ad accarezzarmi il ventre; con le dita salì piano verso l'alto, fino a racchiudere in una mano il seno destro.

Gemetti forte quando iniziò con la bocca a giocare con un capezzolo.

Chiusi gli occhi, godendomi la sensazione della sua lingua calda sulla mia pelle.

Con il respiro corto, gli infilai le dita nei boxer e li feci scivolare giù, dopodiché lui se li sfilò del tutto.

Mi guardò con un'intensità tagliente mentre scendeva con il corpo verso il basso, afferrando con i denti pantaloncini e slip. E con un gesto fulmineo, mi liberò da quell'unico strato si stoffa che ci separava. Piano, fece scivolare le dita tra le gambe, e ogni tocco faceva fremere ogni parte del mio corpo.

Poi, ritornò sulla mie labbra; mi baciò con foga, quasi riuscivo a sentire il desiderio che provava per me, lo stesso che io provavo per lui.

Ci guadammo negli occhi, e lui smise di baciarmi. Perché si fermava? Non voleva più andare avanti?

Ma poi, mi resi conto che il suo bloccarsi era dovuto all'insicurezza. Mi stava chiedendo il permesso di andare fino in fondo. E io? Volevo davvero andare fino in fondo?

Sì che volevo! Tutto quello di cui avevo bisogno in quel preciso momento era di lui. Tutto quello che mi ero imposta di fare, tutte le mie certezze, Ryan le aveva fatte crollare. Aveva fatto crollare tutti i miei progetti, e in quel preciso momento capii che ero pronta per fidarmi davvero di lui. Non mi importava cosa sarebbe successo dopo, era troppo tardi per avere rimpianti.

Ripresi a baciarlo, e mi spinsi ancora contro il suo corpo; Ryan capì, e piantò i gomiti nel materasso.

Non avevo paura, mi fidavo. Mi fidavo davvero. Speravo solo di non essere troppo impacciata.

Con un movimento lento, spostò il ginocchio per farmi aprire di più le gambe. E baciandomi, e senza staccare mai lo sguardo dal mio, entrò dentro di me.

Dolore e piacere mi travolsero; era strano, non avevo mai provato tutte quelle sensazioni insieme.

Lui vidi chiudere gli occhi, e entrare più a fondo, il respiro ansimante.

Ritornò sulle mie labbra, e io aprii di più le gambe per accoglierlo, avvolgendogliele intorno alla vita.

«Oh, Carter..», sussurrò mentre iniziava a muoversi, dentro e fuori di me.

Io, totalmente persa in quel mare di sensazioni, mi avvinghiai sulle sue spalle, graffiandolo, mordendolo e senza mai smettere di gemere a ogni suo tocco.

Non c'era imbarazzo: i nostri corpi combaciavano alla perfezione, come se per tutto quel tempo non avessi capito per davvero. Tutto iniziò ad avere più senso.

Ryan mi guardò negli occhi, e in lui vidi me stessa, oltre al grande piacere che stava provando. E che mi stava facendo provare.

Finalmente avevo trovato il mio posto nel mondo. Ma forse, l'avevo sempre saputo. Il mio posto era accanto a lui.

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