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19 - Vendetta

Alan Slow era un uomo spregevole, ma era anche un uomo che andava dritto al punto. Infatti, non c'era stato nessun giro turistico, mi aveva solo condotta in camera sua. Non che mi aspettassi davvero di visitare la casa, ma non pensavo nemmeno che sarebbe stato così diretto.

Cercai mentalmente di memorizzare il percorso; hall, corridoio di destra, proseguire fino in fondo, poi le scale sulla sinistra, ultima porta a destra.

«Carter, ricorda: prima le informazioni su tuo fratello e poi fai di lui quel che vuoi», mi aveva ripetuto Ryan.

Durante il tragitto, Slow non aveva detto una parola, e nemmeno io. Mi ero solo limitata a fissare quella piccola parte di cicatrice sul mento che i suoi capelli, un tempo rasati, non erano riusciti a coprire.

Arrivati alla grande entrata a due porte della sua stanza, trovai due guardie del corpo. Slow fece loro segno di aprire e i due obbedirono per poi richiudere subito la porta alle nostre spalle.

La stanza somigliava molto alla suite che avevamo scelto al Clifford Hotel; l'unica differenza era il balcone rotondo che affacciava sul lato posteriore della residenza. Si poteva intravedere la piscina anche da dove mi trovavo io.

All'interno, c'era una ragazza asiatica, con lunghi capelli neri e dei occhi a mandorla. Portava un vestito di paillettes color prugna.

Che cazzo ci faceva lei qui, adesso?

Ci fissammo, e per un attimo pensai che fosse lì per il mio stesso motivo.

«Champagne?» chiese Slow. Nessuno rispose, ma lui ci porse i bicchieri lo stesso. La ragazza lo sorseggiò lentamente, mentre io lo buttai giù tutto d'un fiato.

Il bastardo mi fissò, per poi allontanarsi e prendere una sedia in legno antico, posizionarla al centro della stanza, proprio davanti il letto, e sedercisi sopra. Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, pensavo fossimo lì dentro per un motivo ben preciso. Allentò il nodo della sua cravatta e abbozzò un sorriso. «Forza», disse lui indicando me e la ragazza.

«Ma io pensavo che, insomma.. che noi ti..», balbettò la ragazza.

«Oh, no. Io no. Voi vi date da fare, e io guardo», ci informò come se fosse la cosa più normale del mondo.

«Cosa?» dissero all'unisono la ragazza e Ryan.

Gusti particolari, aveva detto Sebastian. Ecco quali erano questi gusti particolari. A dirla tutta, non mi andava proprio di darmi da fare con una ragazza, per di più davanti ad uno stronzo di quelle dimensioni. Ma stavamo perdendo fin troppo tempo, quindi decisi di dare un taglio a quella situazione.

Mi schiarii la gola - più per preparare me stessa che la ragazza - e la feci voltare verso di me. Le misi entrambe le mani dietro la nuca e l'avvicinai a me. Repressi quella parte di me che mi urlava di fermarmi e la baciai. Non era la prima volta che baciavo qualcuno - l'avevo sempre fatto per arrivare al mio scopo - ma non avevo mai baciato una ragazza. Non era poi così diverso, e neanche disgustoso; era semplicemente un bacio, continuai a ripetermi.

Quando mi accorsi che lei ci stava prendendo gusto mi allontanai. «Dacci un minuto», dissi a Slow, che acconsentì con un gesto del capo.

La trascinai con me nel bagno e chiusi la porta. Lei fece per avvicinarsi a me, ma io le scivolai dietro, sposandole i capelli da un lato. Le baciai il collo mentre afferravo la pistola, me la rigiravo in mano, e la colpivo alla nuca. L'afferrai tra le braccia prima che sbattesse a terra, facendo rumore e attirando l'attenzione di Slow. La poggiai in un angolino e rimisi la pistola al suo posto.

Uscii dal bagno il più disinvolta possibile.

«E Hajiro?» domandò Slow accavallando una gamba sull'altra. Non avrei saputo dire se fosse gay, o un semplice pervertito del cazzo.

«La ragazza? Ci raggiunge tra poco», dissi avvicinandomi a lui. «Che ne dici di mandare via le tue guardie? Non voglio che altri sentano le nostre, le mie grida di piacere», mi abbassai su di lui, reprimendo un senso di disgusto.

Per la prima volta, sorrise mostrandomi i denti, completamente diversi da quelli di suo fratello: storti e leggermente giallastri.

In un attimo la sua grossa mano, la stessa che impugnò l'arma che uccise i miei genitori, si strinse intorno al mio collo. Mi liberai facilmente, assestandogli una ginocchiata nelle parti basse. Lui mi lasciò e io ne approfittai, gli tirai un pugno sulla mascella che non lo spostò nemmeno di un centimetro. Ma non mi diedi per vinta; gliene tirai un altro, ma stavolta sul naso. Slow si portò entrambe le mani alla parte dolente, e quando le spostò vidi la sua faccia mezza imbrattata di sangue. «Puttana», ruggì e mi si scagliò contro. Pugni arrivavano da tutte le parti; lui era grosso e forte, ma io ero agile e veloce. Li schivai tutti, eccetto il forte schiaffo che non vidi arrivare. Sentivo il labbro inferiore pulsarmi di dolore. Mi ero stancata!

Afferrai la pistola e gliela puntai alla fronte. Lui indietreggiò e alzò le mani. «Che cosa vuoi?» mi chiese con una smorfia di disgusto.

«Vendetta.»

Lui assunse un'espressione interrogativa e io non mi stupii per niente. Chissà quanti figli, quanti parenti aveva ucciso. Quante famiglie distrutto. Quante vite stroncato.

Un attacco di rabbia mi travolse e stavolta la lasciai fluire per tutto il corpo; girai su me stessa, colpendolo con un calcio in piena viso. Sbatté sulla sedia di peso.

Mi sfiorai il labbro, scoprendo che quello stronzo me l'aveva aperto e fatto sanguinare.

«Ryan», chiamai, premendo le dita sul cip.

«Sto già salendo», mi anticipò.

«Ti aspettano due belle sorprese fuori», lo schernii.

«Molto gentile da parte tua», ridacchiò lui.

Gli spiegai il percorso, e quando - cinque minuti dopo - sentii dei forti tonfi provenienti dall'esterno, capii che Ryan era arrivato.

«C'hai messo meno del previsto.»

«Io miglioro di giorno in giorno», sospirò e posò a terra la borsa con le armi che avevamo nascosto. «Sta meglio di quanto mi aspettassi», disse indicando Slow con un cenno.

«Non ho nemmeno cominciato», dissi con una nota di cattiveria nella voce.

Insieme lo legammo saldamente alla sedia, sia mani che piedi. Intanto Ryan mi spiegò la situazione al piano di sotto: tutto era tranquillo, per il momento.

Iniziai a prendere Slow a pugni fin quando non si svegliò e iniziò a sputare sangue sul pavimento. «Chi vi manda?» provò a dire.

«Qui le domande le facciamo noi», Ryan incrociò le braccia al petto.

Slow scoppiò in una risata isterica. «Come avete fatto ad entrare? Abbiamo guardie ovunque!»

Mi piegai sulle ginocchia e lo guardai a lungo. «Tu hai i tuoi amici di merda, e noi abbiamo i nostri. Oh, a proposito, John mi ha chiesto di salutarti, prima di morire», decisi che sarebbe stata una buona idea fargli sapere che il suo amico del cazzo era morto, magari l'avrebbe spinto a parlare e non farci perdere tempo.

Lui però rise ancora. «John era un maledettissimo traditore figlio di puttana. Portami chi l'ha ucciso, voglio congratularmi con lui», e sputò sangue.

Io e Ryan ci lanciammo uno sguardo interrogativo. Nuove informazioni.

«Congratulati con lei, allora», intervenne Ryan.

Slow mi fece un cenno col capo. «Non so per quale motivo tu l'abbia fatto, ma..»

«Lo stesso per il quale morirai tu.»

«Restringi il campo, bellezza!» mi prese in giro lui.

Io gli assestai un pugno sul sopracciglio che iniziò a sanguinare. «E non chiamarmi bellezza, stronzo!»

«Bene, che ne dici di dirci perché John era uno sporco traditore?» gli chiese Ryan.

«Non ti dirò un cazzo», scandii ogni parola e nel farlo schizzi di sangue imbrattarono le scarpe di Ryan.

«Non costringermi a spararti», lo avvertii. A dire la verità, lo desideravo con tutta l'anima. Sparargli quaranta proiettili addosso per poi farlo assomigliare ad una scolapasta.

«E credi che questo mi farà parlare? Ragazzina, ci vuole ben altro che un proiettile in fronte!» sbraitò.

«Io però so essere molto originale nella scelta dei miei bersagli», lo avvertii.

«Che cosa significano le tre teste di serpenti?» domandò diretto Ryan.

Sembravamo lo sbirro buono e quello cattivo, anche se la sola parola sbirro in quel contesto era parecchio esilarante.

Slow si limitò a fissarlo, senza aprire bocca.

«Okay, si fa a modo mio!» gli girai intorno e gli afferrai il collo nell'incavo del gomito, stritolandoglielo con l'avambraccio. Restai così per un po', fin quando lui non iniziò a dimenarsi. Vediamo come faceva il duro adesso!

Quando Ryan mi fece cenno di smettere, io strinsi ancora e poi lo mollai.

«Ripeto», fece Ryan con tono paziente. «Cosa significano le tre teste di serpenti?»

«L'alleanza», disse Slow tra un colpo di tosse e l'altro. Era diventato violaceo, ancora un po' e l'avrei ucciso.

«Che alleanza?» mi accigliai.

«Quella tra Mike e Paul e i loro discepoli

Mike, Paul. Sapevo chi fosse Mike, e avevo già sentito il nome di Paul.

"Ve l'abbiamo detto in tutti i modi: abbiamo chiuso con con Paul e il suo clan. E non vogliamo avere problemi." Ricordavo le parole di mio padre come se le avesse dette ieri e non dieci anni fa.

«Tu lavoravi per Mike, e Paul è sempre stato un nemico per voi. Che cos'è cambiato?» i conti non mi tornavano per davvero.

«Nemici comuni formano delle forti alleanze, non l'hai studiato a scuola?» mi schernii con un risata rauca.

Io lasciai correre, non era il momento di ucciderlo, non ora che stava iniziando a parlare sul serio.

«E quali sono questi nemici comuni?» intervenne Ryan.

«Una ragazzina e.. il Sud America», vidi il suo occhio iniziare a gonfiarsi e farsi viola.

«Una ragazzina?» gli feci eco.

«Il Sud America?» disse Ryan incredulo.

«Sì, le hanno anche rapito il fratello per convincerla a farsi avanti», ridacchiò. «E le consiglio anche di muoversi, se non vuole trovarlo a fettine!»

Quella frase fu come una coltellata nello stomaco; mi si appannò la vista, e scattai verso Slow colpendolo sulla faccia con il retro della pistola. «Dov'è mio fratello?» gli gridai in faccia.

«Carter, Carter», Ryan mi prese le braccia, fermandomi, e mi tirò indietro.

Slow annaspò nel suo sangue, e sputò ancora. Ormai sul pavimento si era formata una macchia di sangue abbastanza grande. «No», sussurrò. «Non è possibile», continuò a tossire e sorridere.

Ryan intanto mi sussurrava di stare calma, mi ripeteva che non era il momento di perdere il controllo. Si accertò prima se io fossi calma poi si rivolse a Slow. «Che cosa?» usò un tono minaccioso che non avevo mai sentito prima.

«La famosa Billy Shoe», disse in un ghigno di sangue. «L'ultima degli Shoe.»

Feci per avanzare, ma Ryan mi teneva saldamente stretta.

«Ho buttato sei anni della mia vita per colpa tua e di quei figli di puttana!» gridò arrabbiato.

«Perché? Che cosa vogliono da me?» gridai a mia volta.

«Vogliono qualcosa che tu hai, e sono pronti a tutto pur di ottenerla», mi avvertii. Avevo paura; paura per mio fratello, non potevo permettere che gli capitasse qualcosa. Non avevo potuto far nulla per i miei genitori, ma ora che potevo, dovevo assolutamente salvarlo.

«Io non ho niente!» continuai a gridare.

«I codici», lo disse così lentamente che sembrò durare un secolo. Io mi ricordavo di quei codici, ricordavo che la mamma li aveva dati a loro sperando di essere lasciati in pace.

«Mia madre diede a John quei codici, e lui, con la promessa sulle labbra di lasciarci in pace, diede l'ordine di ucciderla insieme a mio padre, e tu eseguisti da cane bastardo che sei!» tutto il mio rancore, la mia rabbia, il mio dolore, lo riversai su di lui. Non avevo avuto modo di farlo su John, ero stata presa in contropiede, ma ora era diverso. Sapevo che non l'avrei scalfito ma almeno mi sarei sentita meglio; avevo così tanta voglia di liberarmi di quel magone che avevo da ormai dieci anni.

«Vedo che non ti hanno informata correttamente! Tua madre finse di darci i codici, e loro adesso sono convinti che ce li abbia tu», mi spiegò Slow.

«Io non ho niente», ripetei.

«Tu perché li hai lasciati?» Ryan era quello più razionale; faceva domande appropriate, e gli ero davvero grata. Senza lui Slow sarebbe già morto e io non avrei avuto tutte quelle informazioni.

«Perché sono pazzi. Vogliono far saltare in aria mezza America solo perché Mike non sa ammettere di essere un brutto figlio di puttana che non sa cavarsela da solo. Ha bisogno dei suoi fottuti scagniozzi per farsi parare il culo», fece un sorriso amaro. C'era del risentimento nella sua voce, come se stesse ricordando invece che spiegarci davvero come stavano le cose. «Da giovane, aveva il vizio di giocare d'azzardo, ma non era abbastanza bravo e ben presto i debiti lo accerchiarono. Un tale a cui Mike doveva dei soldi, irruppe in casa sua; gliela svaligiò e gli ammazzò la sorella. Da allora, Mike gli giurò vendetta ma adesso non gli basta più. Ora vuole prendersela con tutto il Sud America, perché è da lì che proveniva quel tizio.»

«Ecco perché hanno acquistato le armi nucleari», realizzai a voce alta.

«Undici anni fa», puntualizzò Alan.

Io e Ryan ci lanciammo un altro sguardo, ma questa volta era pieno di significato.

Qualcuno bussò alla porta. «Signore? C'è bisogno di lei di sotto.»

Un secondo dopo la mia pistola era sulla fronte di Slow mentre io gli mimavo di non fare un fiato.

«Signore?» ripeté la voce.

«Se lui non risponde, quelli si insospettiscono e aprono con la forza la porta», bisbigliò Ryan. Aveva ragione, ma come fidarmi di quello stronzo di Slow?

«Dì che scendi tra un momento, niente di più», lo avvertii.

Lui mi lanciò uno sguardo truce, storcendo la bocca. «Scendo tra un momento», disse e poi fece uno strano verso simile a un fischio; due volte. Io capii subito che li aveva avvertiti, ma non feci in tempo a fare nulla perché due guardie entrarono di forza all'interno della stanza. Afferrarono prima me e poi Ryan, e io non potei fare nulla per evitarlo.

«Liberatemi, idioti!» strillò Slow.

L'uomo che stringeva Ryan estrasse un coltellino dalla tasca e strappò il laccio con cui Slow era legato. Intanto quello che manteneva me, mi costrinse a gettare la pistola a terra.

Una volta libero, Slow mi si avvicinò lentamente mentre io continuavo a dimenarmi. Mi diede uno schiaffo così forte che per un attimo temetti di svenire: le orecchie mi fischiarono e la vista si appannò. Sentii il grugnito di Ryan e lo vidi agitarsi.

Slow mi strinse la faccia con la mano. La presa era fortissima, sentivo la carne venir schiacciata contro i denti.

«Credevi di venire in casa mia e fare come ti pareva? Prendendomi in ostaggio e passarla liscia?» mi derise.

Io di tutta risposta, gli sputai dritto in faccia. Lui assunse un'espressione di disgusto e mi colpii all'addome. Emisi un gemito di dolore, provocandogli così una risata. Poi si abbassò e prese la mia pistola. «Com'è che hai detto? Sei molto originale nella scelta dei bersagli», ridacchiò e mi passò la canna della pistola sul viso. «Anch'io saprei essere molto originale.»

Non potevo lasciare che finisse così, non potevo essere arrivata fin lì per poi perdere tutto. Mi sporsi in avanti e gli morsi il naso. Quando si tirò indietro, vidi che - con mio grande stupore - gliene avevo staccato un pezzo. Sputai, combattendo con un conato che minacciava di uscire.

Mi portai la testa all'indietro, colpendo in viso il ragazzo che mi tratteneva. Lui mi lasciò e io infilai la mano nella sua tasca, sperando che - come in quella dell'altro uomo - ci fosse un coltellino. Per mia fortuna lo trovai, e mi voltai in tempo, coltellino in avanti, per far arretrare Slow che mi stava caricando. Diedi un calcio alla sua mano, facendogli cadere la pistola, e col coltellino lo ferii al braccio. Mi girai, ritornando sul ragazzo, e gli aprii la gola.

«Carter», urlò Ryan, che intanto combatteva contro l'altro uomo, e mi indicò Slow. Quel bastardo stava scappando!

Lanciai il coltellino che si conficcò nella sua spalla sinistra. Provai a tirarlo ma lui mi spinse contro il balcone.

«Adesso basta», fece per venirmi incontro.

Mi alzai, dolorante al fianco, e lo caricai , spingendolo nella porta in vetro della balconata che si frantumò. Sbattemmo a terra entrambi mentre l'aria fredda mi graffiava la pelle seminuda. Mi rimisi in piedi e lui fece lo stesso, ma avanzò verso di me armato di un pezzo di vetro.

Notai che aveva le mani completamente insanguinate e un grosso pezzo di vetro conficcato nella coscia.

«Dov'è mio fratello?» dissi schivando un suo affondo.

«Sarà già morto a quest'ora!»

Ci guardavamo come due animali; uno cercava il punto debole dell'altro per azzannarlo appena possibile. Balzai a sinistra e gli strappai il coltellino dal braccio. Lui urlò, portandosi una mano sulla ferita.

«Dov'è mio fratello?» gridai ancora.

«Dovevo ucciderti quando ne ho avuto la possibilità!» ringhiò.

«Quando decidi di uccidere uno Shoe, accertati di aver ucciso tutti gli Shoe. Sono sopravvissuta per vendicare mio padre e mia madre», avevo i denti stretti, la faccia contratta in una smorfia di rabbia. «Ho fatto lo stesso avvertimento al tuo amico, prima di sparargli in mezzo agli occhi.»

Non gli diedi nemmeno il tempo di replicare; di corsa, avanzai verso di lui provando a colpirlo col coltellino. Non ci riuscii e lui mi prese per il braccio, torcendomelo e portandomelo dietro la schiena. Proprio come aveva fatto a mio padre, ma spezzandoglielo.

«All'inizio non volevo ucciderti, ma adesso mi hai fatto incazzare sul serio!» mi grugnì nell'orecchio. Non persi tempo: gli affondai il coltellino nella coscia e lui indietreggio. Approfittai della sua distrazione e lo graffia sulla guancia destra. Si voltò per pararsi, ma quando mi guardò, il suo viso era orribile. Ora aveva entrambe le guance rovinate.

La sua espressione, semi nascosta dal sangue, mi fece quasi paura: non sembrava nemmeno che sentisse dolore alla guancia, vedevo solo malvagità. Iniziò a prendermi a pugni sulla faccia, nella pancia, nel fianco dolorante; caddi a terra, sulle schegge di vetro e sentii un forte dolore al braccio. Un pezzo di vetro mi aveva graffiata, e ora la ferita sanguinava vistosamente. Lui si accanì su di me, riempiendomi di calci.

Poi, stanco, mi alzò di peso, imbrattandomi il vestito del suo sangue, e mi spinse contro il davanzale della balconata.

Io mi aggrappai a lui per non cadere di sotto. Gli piantai un tacco nel piede e poi lo spinsi per allontanarlo. Ma non lo allontanai del tutto; lo afferrai per la giacca e lo spinsi a mia volta contro il davanzale. Eravamo nella stessa posizione di prima, solo che questa volta ero io che spingevo per buttarlo di sotto.

«Te lo chiedo ancora: dov'è mio fratello?»

Lui continuava ad affannarsi per non cadere. Esitò. «La stazione centrale», balbettò.

Io lo spinsi ancora, mentre lui si aggrappava al mio braccio. «Ci sono.. ci sono delle gallerie! Era lì che andavamo prima che li abbandonassi. Non puoi sbagliare! Ci sono le tre teste di serpenti disegnati sulle gallerie giuste!» disse a denti stretti.

Trovato!, strillai mentalmente.

Avevo ottenuto tutto quello di cui avevo bisogno: le informazioni per ritrovare Ray, lo scopo che avevano le armi nucleari.

Per un attimo, rividi l'esecuzione dei miei genitori e una tristezza infinita mi colpii. Quei uomini avevano rovinato la vita di una famiglia intera; i miei genitori avevano avuto le loro colpe, ma il mio cuore urlava che non meritavano una morte così. Quei uomini meritavano di morire.

«Adesso lasciami andare!» mi ordinò Slow.

«Con estremo piacere», strappai il coltellino dalla sua coscia e glielo piantai nel ventre. E poi lo spinsi oltre il davanzale.

Vidi il suo grosso corpo scaraventarsi al suolo e sul pavimento iniziò a farsi strada una scia di sangue.

Slow non c'era più, e con lui se n'era andata anche la mia smania di vendetta. Non mi sentivo una persona migliore, non lo ero, e sapevo che questo non era quello che i miei genitori avevano in mente per me. Ma sapevo con certezza che se quello che era successo a loro fosse successo a me o a Ray, loro avrebbero fatto lo stesso.

Restai per qualche minuto ferma, affacciata alla balconata guardando il corpo senza vita di Alan Slow. Poi mi voltai trovando su di me lo sguardo di Ryan. Non disse una parola, e nemmeno io. Mi diressi verso la borsa di armi e afferrai due silenziatori; uno lo agganciai alla mia pistola, e l'altro lo passai a Ryan che fece lo stesso.

Dovevamo andare via, perché di lì a poco avremmo avuto le guardie degli Slow alle calcagna. Difatti, prima che uscissimo dalla stanza, sentii delle grida. Ci affrettammo e presto ci ritrovammo nei corridoi.

«Aspetta», esordii, fermandomi davanti ad una finestra. Sotto di essa, c'era un tavolino con due candele accese sopra. Ne afferrai una e la avvicinai alle tende che presero subito fuoco. «Buon natale, stronzo!»

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