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18 - Un vero piacere

Eccitazione.

Paura.

Un misto di entrambi mi scoppiò contemporaneamente nello stomaco. Immaginai due versioni di me: una che faceva il suo ingresso nella grande villa, vedeva Slow e in qualche modo gli faceva confessare tutto riguardo mio fratello e quella cavolo di storia delle armi nucleari, per poi sgozzarlo senza il benché minimo rimorso. Ma poi m'immaginai di entrare in una sala, di vedere Slow e di non trattenermi. Vidi me stessa corrergli incontro e chiudergli le dita intorno al collo, vidi il panico diffondersi tra le persone presenti e vidi le guardie di Slow afferrare me, Ryan, Moira e Toby. E ci vidi morire uno dopo l'altro.

Rabbrividii.

Non ero preoccupata per me stessa - non avevo paura di morire - e nemmeno per Moira o per Toby. Ero preoccupata solo per Ryan. Mi sentivo così protettiva nei suoi confronti.

«Siamo arrivati», mi sussurrò Ryan.

Eravamo in auto, seduti sui sedili posteriori l'uno accanto all'altro.

Annuii e ripresi a giocare con l'anello di mio padre. Lui dovette accorgersi del mio nervosismo perché, lentamente, fece scivolare la sua mano nella mia.

Ero lì per sbraitargli contro quando un senso di tranquillità mi invase e mi resi conto che mi ero rilassata; ero più sicura, più tranquilla. Sarei riuscita a controllarmi.

Così feci qualcosa che mi parve estraneo, come se a farlo fosse stato qualcun altro: strinsi le dita intorno alle sue.

Avevamo già avuto un momento come questo, nella casa dei miei genitori, ed ero stata io a mettere fine a quel contatto. Ma ora no. Ne avevo bisogno. E il rendermene conto era peggio che farlo. Poteva significare solo una cosa. «Sto diventando debole», sospirai con l'amaro in bocca.

«Stai diventando umana», mi guardò e mi venne voglia di scappare. Come se mi potesse leggere dentro, facendomi sentire nuda, vulnerabile. Magari c'era del vero in quella frase, ed era forse per questo che mi faceva così paura. Era una cosa nuova per me provare ad essere normale.

Poi mi ricordai di quello che dovevo fare, e fu come ritornare me. «Non stasera.»

Proprio in quel momento Toby aprì la portiera e Ryan fece per scendere. «Non entriamo insieme», gli dissi prendendogli il braccio.

Lui annuì e, sistemandosi la cravatta, mi lasciò da sola in macchina. Restai a guardarlo mentre mostrava il suo invito a uno dei due buttafuori, e quando quest'ultimo lo lasciò passare, feci segno a Toby di aspettare e alzai lo sguardo. La residenza di Slow era una grande villa; l'entrata mi ricordava molto la casa bianca. Guardai suoi tetti, avvistando sei guardie armate. Altre quattro erano sparpagliate tra i lati e l'entrata. Sicuramente un'altra decina l'avrei trovata all'interno, escludendo quelli travestiti da ospiti.

«Toby», chiamai abbassando il finestrino. Lui si sporse per guardarmi. «Moira è dentro?»

Annuì. Toby non era un tipo molto loquace.

«Bene», mi sistemai la scollatura del vestito. «Tieniti pronto a partire.»

Toby annuì ancora e mi aprì la portiera. Mi avviai lentamente verso l'entrata, mettendoci quanta più classe avevo. Sperai vivamente di non cadere.

Superati i buttafuori, entrai e la stanza mi ricordò la hall di un albergo. Mi guardai intorno, alla mia destra e alla mia sinistra c'erano due corridoi che portavano chissà dove, mentre dalla stanza a porte chiuse proprio davanti a me proveniva una musica lenta e un vociferare di persone.

Avanzai e un ragazzo mi sorrise, aprendomi la porta in vetro.

La prima cosa che mi colpì fu il grosso lampadario di cristallo. Una cascata di pioggia luminosa proprio al centro della sala. Poi l'odore dei diversi profumi degli invitati - tutti tirati a lucido - uniti all'odore del cibo.

Guardai in alto, alla ricerca di telecamere e ne trovai almeno una decina.

«L'hai trovato?» la voce di Ryan, esplosa improvvisamente nel mio orecchio, mi fece sussultare. Mi guardai intorno per accertarmi che nessuno mi avesse vista.

Un uomo con la barba bianca si voltò proprio in quel momento e mi sorrise. Obbligai me stessa a ricambiare con un sorriso e non con una smorfia di disgusto. Tutto quello che c'era in quella sala mi disgustava. Tutto quello che apparteneva a Slow mi disgustava.

«Ancora no», dissi scrutando tutta la sala. «In verità non vedo neanche te», aggiunsi sarcastica.

«Sono sempre stato bravo a nascondino», disse e me lo immaginai con un sorrisetto divertito sul viso.

«Ho trovato qualcos'altro però. Devi fare una cosa.»

Avevo intenzione di fare un lavoro pulito. Nessun errore.

«Di che si tratta?»

Avanzai e lo vidi sorseggiare champagne. «Smettila di bere, ti voglio lucido.»

A quelle parole lui si guardò intorno fino a quando il suo sguardo si posò su di me.

Continuai a camminare verso un pianoforte e ci appoggiai un gomito sopra. «Devi disattivare le telecamere», lo informai.

Lo guardai mentre si strozzava con lo champagne e alzai gli occhi al cielo. Sempre così teatrale.

«E come dovrei fare?»

«E cosa vuoi che ne sappia?» mi schiarii la gola e cercai di non attirare l'attenzione. «Sbrigati, se vuoi farmi da supervisore

Si scolò il restante contenuto del bicchiere e lo posò su un vassoio di un cameriere, dopodiché si avviò verso l'uscita della sala.

Continuai a guardare la sala, cercando quella cicatrice sui volti di tutti i presenti. Niente. Niente.

Non poteva essere l'ennesimo buco nell'acqua; Moira non mi aveva mai dato informazioni sbagliate.

«Posso offrirle da bere?» chiese una voce maschile alle mie spalle.

E contemporaneamente Ryan parlò: «È lui?»

Io mi voltai - lentamente - trovando davanti a me un uomo alto, muscoloso, tutto vestito di bianco.

Sorrisi. «Certo.»

Il suo sorriso si allargò, mostrando i denti dritti e splendenti. Si voltò verso un cameriere e afferrò due bicchieri, per poi porgermene uno.

«Sono Sebastian Slow», continuò a sorridere.

«Cazzo», fece Ryan nel mio orecchio.

Strinsi così forte il bicchiere che ebbi paura che mi scoppiasse in mano.

«Carter», chiamò Ryan. «Carter, mantieni il controllo.»

Avrei tanto voluto strappargli quel sorriso del cazzo dalla faccia. Ma allargai il mio di sorriso. «Il padrone di casa», dissi in tono civettuolo. Non mi si addiceva per niente, ma dovevo pur sembrare una donna.

«E futuro sindaco di Portland», si vantò lui.

Pallone gonfiato.

Sorseggiai un po' di champagne. Lo osservai guardarmi in modo strano, come se aspettasse qualcosa. «E con chi ho l'onore di parlare?»

«Kathrine», parlai senza nemmeno pensarci un attimo. «Per gli amici Kate», cercai di mantenere il sorriso, il ricordo di mia madre era una ferita aperta che non riusciva a cicatrizzare. Non l'avrebbe mai fatto.

«Così dovrei considerarmi tuo amico?» alzò un sopracciglio.

«Io sono molto esigente nelle mie scelte.»

«E a me piace dare il massimo», fece un sorrisetto malizioso.

«Sento che sto per vomitare», ringhiò Ryan. Anche io, aggiunsi mentalmente.

Un uomo si avvicinò a Sebastian, gli sussurrò qualcosa all'orecchio e poi andò via.

«Se vuoi scusarmi, ho un discorso per gli ospiti da fare», fece per andare via ma poi si bloccò e sorrise di nuovo. «Non sparire.»

E sparì lui.

«Bleah», dissi posando il bicchiere di champagne sul pianoforte.

«Già, bleah», ripeté Ryan.

«Questo champagne è terribile.»

«Io però non mi riferivo allo champagne», sbuffò e mi venne da ridere ma la sala scoppiò in un applauso collettivo, portando così la mia attenzione altrove.

Sebastian fece la sua entrata; era sorridente, sereno e ringraziava tutti. Si avvicinò al microfono e iniziò a parlare: «Vorrei, per prima cosa, ringraziarvi tutti, dal primo all'ultimo, per essere qui stasera. Questo significa che continuate a sostenermi da tre mesi a questa parte..»

«Pensi sia lui?» disse Ryan distraendomi dal discorso.

«Non lo so ancora», tagliai corto.

«E se fosse davvero lui? Che farai, ci andrai a letto per scoprirlo?» sentii la sua voce farsi più cupa come quando si innervosiva.

Ma come poteva pensare solo lontanamente che io potessi andare a letto con l'assassino dei miei genitori? Ma decisi di non dargli questa soddisfazione. «Se serve a sgozzarlo, sì.»

Trattenni un conato al solo pensiero.

«Sei uscita di testa?» gridò e la rabbia mi si scatenò dentro. Che gli fregava di quello che facevo io con il mio corpo? «Non sei una puttana da quattro soldi», aggiunse.

«E se volessi diventarlo? A te cosa importa?» lo provocai.

«Io..», fece e aspettando che continuasse lanciai uno sguardo a Sebastian che stava andando avanti con il suo discorso.

«..ma più di tutti, devo tutto questo a una persona speciale per me. Un forte applauso per la persona che mi ha spinto a candidarmi: mio fratello. Alan, raggiungimi.»

Fu come se qualcuno mi avesse presa a pugni; sulla faccia, nello stomaco. La stanza girava tutta e mi concentrai pur di non perdere il controllo. Ma la scena si stava ripetendo: lo vidi uccidere per l'ennesima volta i miei genitori. Mi sentii lacerare dentro, non dovevo pensarci, non potevo.

Sentii la pistola, agganciata alla mia coscia, bruciare contro la mia pelle. Le mie dita la bramavano, come lei stessa bramava il sangue di Slow.

Ed eccolo, lì su quel piccolo palco; in giacca e cravatta, i capelli neri, lunghi e dritti come spaghetti, come a nascondere lo sfregio che aveva sulla faccia. Dieci anni fa non avevi paura di mostrare quella oscenità, gli gridai contro nella mia mente.

Salutò la folla molto velocemente, e scese dal palco insieme a suo fratello.

«Carter? Mi senti?» Ryan dovette avermi chiamata più e più volte, perché aveva un tono allarmato.

«Ce l'ho davanti», grugnii mentre guardavo Slow parlare con un gruppo di persone.

«Carter, resta ferma», mi avvisò.

«Hai spento le telecamere?»

«Ho quasi fatto. Dammi un minuto», disse quasi col fiatone.

«Non ce l'ho un fottuto minuto», costrinsi me stessa a non urlare.

Stavo provando un dolore fisico con tutte queste privazioni. Mi sentivo in gabbia; stavo per esplodere.

«Paige!»

«Sto avanzando», lo informai mentre mi avviavo verso quel bastardo.

«Paige, aspetta! Paige!» gridò ma io non lo ascoltai.

Continuai a camminare, ma Sebastian mi si piazzò davanti. Fortunatamente scoprii di aver sviluppato un grande autocontrollo; la vecchia me l'avrebbe sbattuto dall'altra parte della sala.

«Avevo detto non sparire», mi sorrise lui.

«Fatto! Telecamere fuori uso!» strillò Ryan, scandendo parola per parola.

Sorrisi. «Infatti sono ancora qui. Stavo cercando proprio lei..», dissi e lui mi si avvicinò di più. «Vorrei che mi presentasse suo fratello.»

Una ombra di delusione gli comparve sul viso. «Questo è un colpo duro da incassare», scosse la testa. «Ma devo avvertirti: mio fratello ha dei gusti.. particolari.»

Mi avvicinai io, questa volta. «Mi piacciono le sorprese.»

Detto ciò, continuai a camminare verso Slow.

Mi fermai quando lui si voltò a guardarmi. Aveva gli occhi così neri che era difficile distinguere la pupilla dall'iride.

Sebastian sussurrò qualcosa all'orecchio di suo fratello e quest'ultimo si allontanò dal gruppo per venirmi incontro.

«Alan, ti presento Kate», disse indicandomi.

«È un vero piacere conoscerti», per la prima volta sentii la sua voce, sembrava avesse il mal di gola.

«Oh, credimi, il piacere è tutto mio.»

«Alan, perché non fai vedere a Kate il resto della casa?» lo spronò Sebastian.

Slow annuì e mi porse il braccio.

Io mi guardai intorno alla ricerca di Ryan e quando lo trovai lui annuì.

E io uscii dalla sala insieme all'assassino dei miei genitori.

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