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15 - Possibili difficoltà in vista

Era stata una pessima idea, la peggiore mai avuta in tutta la mia vita. Stavamo per entrare nella tana del lupo; se l'avessimo raccontato a qualcuno - in un futuro più lontano che vicino - ci avrebbero riso in faccia. Ma dove si era mai sentito che un'assassina e il suo complice entravano in una stazione di polizia?
Era davvero una pessima idea.
Ma ormai era tardi per i ripensamenti, ormai eravamo nella bmw di Jake diretti verso la nostra meta.
Non che fosse stato facile ficcare il grande e grosso Jake all'interno della sua auto e costringerlo, con ancora la pistola puntata alla testa, a partire e portarci a destinazione.
Avevo anche preso il suo telefono per poi schiacciarlo, per precauzione.
Non mi ero fatta vedere in viso, non l'avevo fatto girare verso di me. In mancanza del passamontagna non potevo certo rischiare che un poliziotto mi vedesse in faccia. Se anche fossimo riusciti a prendere tutto quello che ci serviva, se anche fossimo riusciti a liberare mio fratello, a impedire un massiccio attacco nucleare chissà dove e se anche fossimo riusciti a sopravvivere, di sicuro mi avrebbero sbattuta dentro in un batter d'occhio.
No! Non ora che avevo intenzione di chiudere con quel mondo, non ora che dovevo occuparmi di Ray, di Babi e di me stessa. Ero decisa: questa sarebbe stata la mia ultima azione da criminale, poi sarei stata una semplice adolescente come le altre.
«Sai, C.. sai, potresti anche evitare di puntargli ancora la pistola alla testa», disse d'un tratto Ryan.
Eravamo poco lontani dal parcheggio, ancora sulla 6th Avenue. Mentre Jake guidava, Ryan gli sedeva accanto mentre io mi ero posizionata proprio dietro Jake. Avevo anche raccomandato a Ryan di non fare il mio nome. Era già tanto sapere che fossi una donna.
Mi voltai verso Ryan. «Be' sì, così il tuo caro cugino non ci mette niente a sculacciare te e a fare un buco in testa a me!»
A volte Ryan sembrava davvero bipolare: faceva domande stupide con risposte ovvie e contemporaneamente sparava alla gente come se fosse la cosa più normale del mondo.
«Oh, ci puoi giurare che ti faccio un buco in testa appena ne ho l'opportunità!» ringhiò quasi Jake.
«Sì, certo amico. Ora zitto e pensa a guidare, non sei proprio nelle condizioni di fare minacce.»
Mi ero resa conto di una cosa: da quando avevo conosciuto Ryan ero diventata più ironica. Prendevo in giro le mie "vittime" e non perdevo la pazienza come prima. O meglio, la perdevo ma per poco.
«Vi state cacciando in un brutto guaio, ragazzini», esclamò decido Jake.
Non che mi facesse piacere dargli ragione, ma aveva davvero ragione.
«Jake, ti spiegherò ogni cosa quando tutto sarà finito, davvero.»
«Ma tutto cosa? Si può sapere che cazzo di tresca clandestina vi siete messi?» urlò così forte che mi fece sussultare e d'istinto gli spinsi di più la volata nella nuca.
«Non siamo i cattivi, noi siamo i buoni», continuò Ryan.
Okay, adesso basta!
«Smettila di cercare di convincerlo! E smettila di dargli spiegazioni!» sbottai stizzita.
«Quanto a te», mi rivolsi a Jake, «quanto dista la stazione di polizia dove lavori?»
La cosa che odiavo di più nelle persone che interrogavo - per così dire - era il loro essere restii, nonostante avessero una pistola puntata alla testa o un coltellino in un arto. Avevano le palle ma era comunque inutile, mi facevano solo perdere tempo.
Anche Jake continuava a stare zitto.
Perciò, spinsi ancora una volta l'arma contro di lui.
«Siamo quasi arrivati», sbuffò scocciato.
«Chi c'è dentro?»
«Nessuno, a meno che qualcuno non sia rimasto oltre l'orario di lavoro», aveva l'aria di uno che non aveva voglia di parlarmi; probabilmente lo infastidiva anche respirare la mia stessa aria. Poco male, non doveva diventare certo un mio amico.
«Non fare scherzi», gli ricordai. «Sai, ho un dito un po' nervoso.»
Con la mano libera tirai fuori dal retro dei pantaloni la pistola che Ryan mi aveva lasciato.
Gliela porsi. «Ti servirà.»
Lui l'afferrò e si limitò ad annuire.
«Hai preso quelle cose?» chiesi.
«Sì, sono nel cofano», rispose distrattamente.
Chissà a cosa diavolo stava pensando ora.
Finalmente l'auto si fermò e noi ci ritrovammo davanti a una struttura non molto grande, completamente circondata da un cancello in acciaio.
Scendemmo tutti, Jake davanti che ci guidava e io dietro di lui.
L'interno era come l'avevo immaginato: un lungo corridoio che portava ad una grande sala piena di scrivanie, sedie e computer.
Jake aveva ragione, non c'era nessuno.
«Portaci dove tenete le armi», dissi a denti stretti.
Jake riprese a camminare davanti a sé, poi a destra verso una porta in acciaio.
Accanto alla porta, c'era un piccolo quadrato dove c'erano lettere e numeri.
«Sblocca quell'affare», lo spinsi un po'.
Lui iniziò a digitare diversi numeri, poi lettere e ancora numeri. Ci fu un bip, dopodiché si sporse per aprire la porta.
Non era molto grande, era per lo più uno stanzino ma era pieno zeppo di armi.
«Ryan, occupati di lui. Bendalo.»
«E come diavolo faccio?» chiese Ryan a braccia aperte.
Sbuffai. «Mettigli le mani sopra gli occhi, così giocate a "chi sono?"»
Alzai gli occhi al cielo, esasperata.
Ryan si strappò un lembo della maglia grigia e lo avvolse attorno la testa di Jake coprendogli gli occhi.
Entrai nello stanzino: su entrambi i lati c'erano degli armadietti in ferro dove erano posizionati delle scatole di plastica contenenti armi.
Presi una sacca appesa e vi riposi dentro quanto più potevo: pistole, caricatori, granate, silenziatori. Presi anche qualche pistola mitragliatrice.
«Hai fatto?» chiese da fuori Ryan.
«Non mettermi pressioni!»
Dopo aver pensato bene a tutto quello che poteva esserci utile, uscii dallo stanzino senza chiudere la porta alle mie spalle.
Guardai Ryan e annuii. Era l'ora di darsela a gambe.
Mi spostai dietro Jake poggiandogli una mano sul braccio. «Grazie per l'aiuto, amico», accentuai l'ultima parola cosicché capisse che anche a me faceva piacere dirgli byebye. Poi con il retro della pistola lo colpii, facendolo sbattere a terra pesantemente.
«Ma che cavolo fai?» sbraitò Ryan.
«Ha solo perso i sensi, e ora muoviamoci!»

21:00
Ce l'avevamo fatta! Ero ancora incredula, ma ce l'avevamo davvero fatta. Non volevo cantare vittoria, magari la polizia era già sulle nostre tracce. Però era già qualcosa che fossimo riusciti a prendere quello che ci serviva senza perdere la pelle.
Avevamo ancora tre ore prima che l'elicottero arrivasse al motel di Moira. Volevo tornarci e farmi una doccia, e lavarmi anche i capelli già che c'ero.
Ma a Ryan era venuta la brillante idea di rubare dei vestiti nuovi, e anche qualcosa per la serata di Gala.
Non aveva tutti i torti, non potevamo certo presentarci in jeans e canotta. Anche se l'idea di indossare una gonna mi faceva salire un rigurgito. Ma non avrei messo dei tacchi, neanche sotto tortura.
Guardai di nuovo il piccolo display dello stereo che segnava le ventuno e quindici. Ryan era dentro a quel stupido negozio da almeno dieci minuti, mentre io ero rimasta in auto.
Sbuffai. Se non si fosse dato una mossa al più presto sarei entrata e l'avrei trascinato per i capelli.
No, la mia pazienza scarseggiava come sempre.
Mi immaginai al Gala: come avrei fatto ad avvicinarmi a Slow? Della forza non se ne parlava o almeno non subito.
Poi pensai a mio fratello chissà dove e in quali condizioni.
No! Assolutamente no!
"Scaccia questi pensieri, Billy!" dissi a me stessa.
Mio fratello era vivo! Solo il pensiero che non fosse così mi faceva salire un nodo alla gola, e la rabbia mi scoppiava nelle tempie.
Sospirai. Mi sentivo stanca, impotente. Ma non sarebbe stato così a lungo; stavo andando a fargli il culo, stavo andando a vendicare la mia famiglia. E questa volta non mi sarei lasciata trascinare dalla tristezza o dalla rabbia. Avrei ragionato con lucidità, avrei agito con furbizia.
Tirai fuori dalla tasca interiore del giubbotto i biglietti color oro.

20 marzo 2013
Siete invitati alla serata di Gala dedicata all'inaugurazione della nuova tenuta del futuro sindaco di Portland: Sebastian Slow.
Vi aspettiamo!

Cosa? Sebastian Slow? Chi cavolo era ora questo Sebastian?
Pensai subito ad Alan Slow, magari aveva fatto carriera nel mondo politico e magari aveva cambiato nome. E cosa peggiore, avrebbe potuto avere una faccia diversa. La plastica di oggi giorno fa' miracoli!
Non potevo escludere nessuna possibilità, ma diventava tutto più difficile se queste supposizioni si fossero rivelate vere.
Mi morsi il labbro inferiore proprio mentre Ryan faceva il suo rientro dal negozio con un grosso borsone blu scuro.
«Dove l'ha preso quello?» chiesi indicando la grande sacca.
Lui scrollò le spalle e sorrise.
Alzai gli occhi al cielo e misi in moto l'auto. Dovevo anche fermarmi a fare benzina.
«Ryan», deglutii.
«Sì?» bofonchiò lui mentre si contorceva per posare sul retro il borsone.
«Abbiamo un problema», dissi riferendomi alla nuova scoperta, e alle mie supposizioni.
«Oh, cavolo! Un altro?» piagnucolò.

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