14 - Richiesta d'aiuto
Il vuoto sembrava averci accerchiato. Solo i fari bianchi mi permettevano di guidare, anche se non sapevo bene dove stavo andando.
La stradina isolata che ci portava lontano dal motel sembrava infinita, come i pensieri nella mia stessa. E stranamente Ryan era calmo e silenzioso, seduto accanto a me.
Probabilmente stava ideando un piano, o almeno un'idea, come del resto stavo cercando di fare io da più di dieci minuti.
Non sarà una cosa facile, aveva detto Moira. E quando mai lo era?
Dieci uomini. Come aveva fatto un mercenario a diventare così importante da essere protetto? C'era qualcosa che non mi tornava, ma non riuscivo a venirne a capo. Non adesso.
Mi passai il dorso della mano sulla fronte, con fare stanco come se non dormissi da mesi.
Tempo. Era il tempo che ci mancava. E io non ragionavo lucidamente se messa alle strette. Tempo.
Ripensai ai dieci uomini che avremmo trovato lì. Sicuramente due o tre sarebbero stati attaccati a Slow, gli altri invece li avrei trovati in vari posti di blocco. Armati, molto armati. Mentre noi avevamo solo due fottuttissime pistole.
Dovevamo fare rifornimento!
Bruscamente, feci inversione risvegliando Ryan dai suoi pensieri.
«Che fai?» mi chiese, rompendo il silenzio.
«Abbiamo bisogno di armi, non ci bastano le pistole, e un fucile», per non parlare del fatto che avevo quasi finito i colpi. «Dobbiamo trovare la stazione di polizia più vicina», aggiunsi.
Lo guardai, e lo vidi accigliarsi.
«E come vuoi fare? Entri in una stazione di polizia e inizi a urlare "fermi tutti questa è una rapina"?»
Feci una faccia quasi annoiata. «Non essere stupido! Bracchiamo un poliziotto e..» iniziai ma poi lui lanciò le braccia al cielo e mi fermò.
«Ma ti senti? Abbiamo bisogno di quelle armi, ma non possiamo fornircele così», si passò un dito sul sopracciglio sinistro, poi si voltò a guardare oltre il parabrezza.
Per un istante, frazione di secondi, vidi passare un'incertezza nei sui occhi, come se non fosse sicuro se continuare o meno. Poi gli passò.
«Ho un cugino che lavora nella polizia, ci può aiutare», la prima frase la pronunciò senza guardarmi.
«No. Non mi fido.»
«Garantisco io, ci aiuterà!»
Frenai di colpo, facendolo sbattere contro il cruscotto.
«Ma che cazzo», strillò.
Mi voltai così velocemente che lui sussultò. «Credi davvero che qualcuno che ti considera disperso, possa aiutarci? Ci darebbe due minuti, e poi realizzerebbe che io sono quella che ti ha rapito e che ti sta costringendo a rubare armi», non urlai, anzi la mia voce non era mai stata così calma.
Ma la sua no. «E quale scelta abbiamo?» gridò.
Lo fissai. Una parte di me sapeva che stavamo per fare una grandissima cazzata, ma l'altra parte di me mi spingeva a fidarmi di Ryan.
Lui dovette accorgersi del mio vacillare, perché mi toccò un braccio e mi sussurò: «Dobbiamo provarci, per i tuoi genitori, per Sean.»
Senza pensarci due volte, aprii lo sportello dell'auto e mentre scendevo bisbigliai un "guida tu".
Dopo un po', arrivammo a Seattle. Casa. Ci fermammo al primo telefono pubblico che incontrammo, e Ryan dopo essersi passato una mano nei capelli, folti e neri, introdusse una moneta e compose il numero. Io restai in auto ad osservarlo: le spesse sopracciglia, gli occhi scuri, il naso dritto e lungo e la bocca sottile.
Non so quale forza mi spinse ad osservarlo, analizzarlo quasi, ma fu la stessa forza che mi fece voltare quando lui si girò a guardarmi, cornetta alla mano.
Dopo pochi minuti, entrò in auto. Era passato troppo poco tempo. Aveva detto no.
«Allora?» lo incalzai visto il suo silenzio.
Ryan non mi guardava, aveva lo sguardo dritto di fronte a sé. «Non gliel'ho detto.»
«Cosa?» sbottai. «Ci stai facendo perdere tempo Ryan! Sono le otto di sera, e alle tre abbiamo un fottuto elicottero del cazzo da prendere!»
«Calmati, Carter! Non gli ho detto cosa volevo ma gli ho detto che mi serve un favore. Ci incontriamo da un quarto d'ora al parcheggio pubblico sulla 6th Avenue», disse mentre metteva in moto l'auto. Poi sbuffò.
Incrociai le braccia. «Non piace nemmeno a te questa cosa.»
Lui fece un suono gutturale, una specie di lamento, dopodiché partì verso 6th Avenue.
Ci vollero - orologio alla mano - esattamente dodici minuti per arrivare al parcheggio, dove trovammo meno auto del previsto. Ryan parcheggiò non molto lontano dall'uscita, si sfregò le mani sui jeans blu scuro. Lo guardai, accorgendomi che aveva addosso ancora la maglia grigia imbrattata di sangue stantio. Fortunatamente il giubbotto copriva la macchia.
Ryan fece per scendere, ma io lo bloccai afferrandolo per un braccio. «Hai la pistola con te?»
«Sì, ma forse è meglio se la lascio qui.»
Posò la pistola ai suoi piedi, e prima di poter replicare scese dall'auto.
Cazzo.
Si posizionò poco lontano da me, braccia conserte e sguardo verso l'entrata del parcheggio.
Non saprei dire dopo quanto entrò una bmw monovolume grigia.
Sospirai così forte che ebbi paura di farmi sentire. Era il momento.
La bmw frenò bruscamente, fermandosi di fronte a Ryan.
Lo sportello si aprì e vi si scagliò - letteralmente - fuori un ragazzo alto, moro con indosso una camicia azzurra e pantaloni blu. Ferma alla vita, c'era una cinta e una pistola.
Era in servizio cazzo!
Mi dimenai, incapace di restare ferma per il nervoso.
Il ragazzo corse verso Ryan e lo abbracciò. Per un attimo restai lì ferma a guardarli mentre si stringevano saldamente. Il ragazzo era muscoloso, ma Ryan non era da meno. Poi ritornai a dimenarmi.
I due iniziarono a parlare, ma io ero troppo lontana anche solo per leggere il labiale di Ryan, dato che il ragazzo mi dava le spalle.
Che cazzata Billy, che cazzata!, continuava a ripetere una vocina nella mia testa. Sarebbe finita male.
Mi grattai una spalla, tirai fuori la pistola dai jeans e uscii dall'auto cercando attentamente di non fare alcun rumore.
Mi avvicinai di più, nascondendomi di auto in auto, e quando fui abbastanza vicina da sentire mi fermai.
«Come non puoi dirmelo?» chiese il ragazzo.
«Devi fidarti di me, Jake. È importante», sussurrò Ryan.
«Sono tutti preoccupati per te. Abbiamo organizzato dei gruppi di ricerca io e tuo..»
«No!» strillò Ryan. «Devi ascoltarmi!»
«Che cavolo c'è di più importante di sapere dove sei stato?» la voce di Jake era venata di pura preoccupazione.
«Ho bisogno di un favore e non ti piacerà», tagliò corto.
«Di che si tratta?»
«Non posso raccontarti tutto, ma devi fidarti di me e.. devi portarmi alla centrale di polizia. Ho bisogno..», biascicò. Poi sospirò e ci riprovò.
«Ho bisogno di armi.»
Ci fu un momento di silenzio che sembrò durare tantissimo.
«Ti ha dato di volta il cervello?» rise Jake.
«Jake, devi aiutarci. Devo..»
«Che cosa?» il tono di Jake cambiò.
Cazzo! No, no cavolo!
Strinsi forte le labbra, tanto da far male.
Silenzio.
Improvvisa Ryan, gridavo dentro di me.
«Hai detto aiutarci? Che cavolo succede Ryan?» continuò.
Finalmente la risposta di Ryan arrivò chiara e secca: «Non posso dirtelo.»
Non ero mai stata così nervosa in tutta la mia vita. Se avessi potuto avrei gridato fino a perdere la voce: era snervante che tutto adesso fosse nelle mani di un poliziotto. Snervante e a tratti esilarante.
«Mi stai costringendo a fare qualcosa che non voglio fare, Ryan», sussurrò Jake.
Un campanello d'allarme mi rimbombò nel cervello, nelle orecchie. Il cuore che martellava forte nel petto.
Mi sporsi per guardare.
Jake aveva appena tirato fuori la sua pistola dal fodero, e la puntava contro la fronte di Rayn, che era rimasto impassibile.
«Ora te lo ripeto: che cosa sta succedendo?» scandì bene tutte le parole.
Fui veloce.
«Questo non è un problema tuo», dissi con in mano la pistola puntata sulla nuca di Jake.
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