11 - Tre teste di serpenti
«Allora? Che aspetti ad aprirlo?»
Annuii, anche se ero rimasta lì ferma a fissare quel computer. Strinsi le labbra e lo aprii.
Sullo schermo apparvero delle schede contenenti profili di uomini, donne e ragazzi poco più piccoli di me.
Su molte di queste c'era una grande scritta in rosso che copriva quasi tutta la scheda: eliminato.
Lanciai una breve occhiata a Ryan, che ricambiò. Poi tornai sul pc.
«Ehm..», non sapevo esattamente cosa dire, così poggiai le dita sul mouse e abbassai le finestre. Sul desktop c'era tantissime cartelle senza nome, e non sapevo da dove iniziare.
Ne aprii una a caso trovandola vuota, poi provai con un'altra che conteneva foto. Foto di persone, di soldi, di palazzi, di mappe geografiche. Ne aprii un'altra e la scritta "procedura NRC" mi saltò subito all'occhio. Andai giù, leggendo velocemente.
Erano scartoffie contrattuali con la Russia. Fin lì nulla di preoccupante, ma la parte finale mi aveva fatto arretrare dal tavolo facendo prendere il mio posto a Ryan.
Avevo il battito accelerato e il respiro irregolare. Mi portai una mano nei capelli proprio nel momento in cui Ryan si girò verso di me con gli occhi spalancati. Mi coprii la bocca, incredula e - mio malgrado - spaventata.
«Questi pazzi del cazzo hanno acquistato materiale nucleare! Dai russi!» strillò Ryan, agitando il braccio buono.
«Ce l'hanno già?» riuscii solo a sussurrare.
Lui si girò e mi costrinse ad avvicinarmi perché copriva l'intero pc grosso com'era diventato.
«No, questo è solo la richiesta. Quindi c'è la probabilità che i russi l'abbiano rifiutata?»
«Ne dubito. Guarda», indicai la cifra spettante ai russi se avessero accettato. «Sono troppi soldi per poter rifiutare.»
Mi morsi l'interno del labbro, pensando a mio fratello e a dove fosse. Era nelle mani di pazzi che volevano cancellare chissà quale città o stato.
«Scendi ancora», continuai.
Mentre le pagine scorrevano mi concentrai su un'immagine, o per meglio dire un simbolo.
Era il corpo di un uomo che non aveva la testa e al suo posto c'erano tre teste di serpenti.
Battei più volte il dito su quella figura. «L'ho già visto da qualche parte questo simbolo.»
«E dove?» domandò Ryan speranzoso.
Scossi la testa, incapace di ricordare dove e quando avessi visto quel disegno.
Abbassai la testa e imprecai, battendo un pugno sul tavolo.
Scostai lo sguardo dal computer alla finestra. Erano successe troppe cose in una sola notte e mi sembrava di avere la testa in fiamme. Non so per quanto avrei resistito così; io ero abituata a ragionare lucidamente e con la mente calma. Non ero per niente calma, e mi mancava mio fratello. Mi ero ripromessa di non fargli fare una vita come la mia, lui doveva essere felice e non doveva sapere niente. Doveva rimanere nella convinzione che Babi fosse sua madre, che il suo nome fosse Sean e che il mio fosse Paige. Non mi piaceva dirgli bugie, ma era per il suo bene. Per proteggerlo. E per cosa? Mi hanno trovata e se la sono presa con lui, senza neanche contattarmi per chiedere un riscatto. Non mi aspettavo nessuna telefonata - era solo una speranza - perché sapevo che gente era quella lì fuori. Quelli si prendevano quello che volevano senza neanche farti la cortesia di dirtelo prima.
«Carter! Carter..», sentii appena il continuo chiamarmi di Ryan.
Mi voltai e notai la sua aria accigliata e mi accigliai anch'io.
«Che succede?» chiesi.
«Ma questo non è il tipo che ha.. quello di stasera.. John Starziski. Origini polacche, nato il quindici settembre del '72.»
Mi avvicinai allarmata allo schermo. Ryan aveva aperto le finestre che erano apparse all'inizio. C'era John! Quindi doveva esserci anche il tizio della cicatrice. Doveva esserci!
«Ryan, sei un fottuto genio!» urlai per la prima buona notizia della giornata.
«Ah si?» mi guardò, confuso.
Annuii, e feci un cenno con la testa. «Sbrighiamoci a cambiarti le bende, oggi sarà una giornata molto lunga.»
«Oh cavolo!» esclamai dopo aver messo la mano sulla sigaretta accesa.
Non riuscivo più a tenere gli occhi aperti.
Avevo passato tutta la giornata davanti al computer per cercare tra 5.000 profili, la faccia squarciata da una cicatrice. Niente.
Mi strofinai un occhio e sbadigliai, assonnata da morire.
Stavo per chiudere il pc, quando sentii dei passi provenienti dall'entrata. Presi la pistola e in un secondo mi trovai acquattata dietro il muro che divideva la cucina dall'entrata.
Mi resi conto che i passi erano vicinissimi, così balzai fuori puntandogli la pistola sulla fronte.
«Ci provi gusto a minacciarmi con la pistola, eh?» ridacchiò Ryan.
Alzai gli occhi al cielo e posai la mia Glock sul tavolo, per poi andarmi a sedere dov'ero prima.
«Ti avevo detto di bussare tre volte prima di entrare», gli ricordai.
Lui scrollò le spalle. «Me ne sono dimenticato.»
«Bene. La prossima volta che te ne dimentichi, potrei farti saltare il cervello in aria», feci un gesto con la testa per sottolineare il concetto.
Si limitò a fare un sorrisetto, poi lo vidi infilare le mani in una busta di plastica bianca e lanciarmi un sandwich confezionato.
Scossi la testa. «Non ho fame.»
«È da ieri che non mangi.»
Ieri. Ieri, a quest'ora, ero sull'uscio di casa, abbracciata a Ray che mi sussurrava quanto mi voleva bene. Mi fece subito rattristare quel pensiero.
Decisi di ignorare Ryan e riportai la mia concentrazione sul computer.
Mi lanciò un pacchetto. Era ora, sigarette!
«Scommetto che quelle le aspettavi con ansia», mi fulminò con lo sguardo.
«Fatti i cazzi tuoi, Ryan!» dissi mentre mi accendevo una sigaretta e gli soffiavo il fumo sulla faccia di proposito.
Ecco, fanculo al sonno!, pensai.
Ripresi a controllare le schede, mentre Ryan mangiava.
Un paio di ore dopo, il signorino aveva deciso di andarsi a sdraiare sul divano.
Ero doppiamente incazzata.
Non avevo ancora trovato niente, e il sonno non aiutava affatto.
Appoggiai la testa sul tavolo e chiusi gli occhi. La mancanza di Ray mi opprimeva. Avevo voglia di riportarlo a casa, avevo voglia di vendicare i miei genitori. Per la prima volta, avevo voglia di mettere la parola fine a questa storia.
Quando aprii gli occhi la luce che entrava dalle finestre mi accecò. Fui costretta a socchiuderli, e sbadigliai. Ero disorientata. Ci misi un po' per mettere a fuoco e mi resi conto che ero sdraiata sul divano. Puntai i gomiti in quest'ultimo e mi misi a sedere.
L'ultimo ricordo che avevo era di me che mi riposavo sul tavolo. Mi voltai verso la cucina e trovai Ryan tutto concentrato sul computer. Mi lanciò un'occhiata veloce, per poi guardarmi con più convinzione.
«Alla buon ora», disse.
«Che ore sono?» brontolai.
«Le tre.»
Spalancai gli occhi. «Le cosa?»
«Le tre», ripeté lui.
Mi alzai veloce dal divano, e andai a controllare cosa stesse facendo.
«Trovato niente?»
Lui si limitò a scuotere la testa.
«Sei proprio di buon umore, eh?!» feci dell'ironia mentre mi abbassavo sul pc.
Mentre scorrevo le varie pagine, notai di nuovo quello strano simbolo: il corpo di un uomo con tre teste di serpenti.
Mi sforzai di ricordare dove l'avessi già visto, ma niente.
«Dove hai dormito?» chiesi senza neanche guardarlo.
«Sulla poltrona», anche lui non mi guardò.
«E perché non sul divano? Perché hai messo me?»
«Perché se ti lasciavo sul tavolo, saresti rimasta con il collo bloccato», si girò verso di me alzando le sopracciglia.
Ridacchia. «Grazie tata.»
Lui borbottò qualcosa, ma non lo ascoltai e mi concentrai ancora su quel simbolo. Mi strizzai il cervello fino a farlo scoppiare, ma non ricordavo proprio niente.
«Merda!» sbattei la mano sul tavolo facendo sussultare Ryan.
«Che diavolo ti prende?» gridò.
Mi passai una mano nei capelli. Odiavo il non riuscire a ricordare, anche perché sentivo che quel simbolo mi avrebbe aiutata in qualche modo.
«Non ricordo dove ho già visto quel simbolo», dissi stizzita, andando avanti e indietro per la cucina.
«E allora?», scrollò le spalle.
Ci riflettei un po'. Magari ero solo io che diventavo paranoica.
«Non lo so», era l'unica risposta che avevo.
«Be', se è così importante pensaci meglio. Dove avresti potuto vedere quel simbolo? Su internet, un film, un libro..»
Mi fermai, mentre la mia mente vagava a molti anni addietro. Ero nello studio di mio padre che rimetteva svelto a posto i libri. Mi sorrise e mi accarezzò la testa, invitandomi ad uscire. Ma io restai lì, ferma a guardare un libro molto grosso e di colore marrone con linee sottili oro. Ma la cosa che mi colpì fu un simbolo abbastanza strano; dava i brividi.
«Billy, tesoro?» chiamò mio padre, in attesa sull'uscio della porta.
Mi girai e gli lanciai un sorriso dolce. Prima di uscire, guardai di nuovo quelle tre teste di serpenti.
«Carter?» mi strattonò Ryan.
Lo fissai, ma non stavo davvero guardando lui. Mi diressi a passo svelto nel vecchio studio di mio padre. Poggiai la mano sulla maniglia, poi mi bloccai. Non avevo voluto entrare nelle stanze perché sapevo che mi avrebbe riportato a galla ricordi dolorosi.
Ma presi in mano il coraggio e entrai.
I mobili, il divano, la scrivania erano coperti da teli bianchi - come tutta la casa d'altronde - e c'era uno strano odore, come quando lasci un vecchio maglione nell'armadio per mesi e mesi.
Tolsi il telo dalla libreria, gettandolo a terra, poi rimasi ferma a guardare quei volumi che sembravano immensi.
«Ryan!» strillai.
«Sono già qui», sussurrò.
Anche lui era totalmente rapito dalla bellezza di quei libri.
«Cosa cerchiamo esattamente?» chiese.
Come cavolo lo sapeva? Questo ragazzo era davvero pieno di misteri, ma mi stava aiutando e, a modo mio, gliene ero grata.
«Un libro grosso, marrone con linee oro e con il simbolo che abbiamo visto sul pc.»
Ci mettemmo subito alla ricerca, dividendoci gli scaffali. Passò una mezz'ora quando - finalmente - lo trovai.
Era pesante, e non sembrava affatto un libro da lettura o da studi; sembrava un'agenda.
Soffiai sopra di esso, facendo volare polvere ovunque. Lo poggiai sulla scrivania e lo aprii.
«Sembrano codici. E queste cosa sono? Equazioni?» mi fece notare Ryan.
Mi accigliai cercando di dare un significato a tutte quelle lettere e numeri.
«Non so dove cominciare. Merda! Poteva aiutarci!»
Un altro buco nell'acqua, che cazzo!
«Aspetta, ci posso provare io. Non sai se qui c'è un taccuino o qualcosa del genere?» Ryan si mise a sfogliare le pagine ingiallite, mentre mi diceva cosa cercare. Oltre al taccuino - che trovai nel cassetto della scrivania - mi disse di procurargli una calcolatrice di quelle tutte complicate e strane con tanti tasti sopra. Non ci capivo niente, ma obbedii.
Il sole era calato e Ryan era ancora nello studio, mente io cercavo invano la faccia di farabutto.
Ormai avevo perso ogni tipo di speranza, in quel cavolo di database non c'era traccia di lui. E di conseguenza non sapevo come trovare Ray.
Mi rimaneva altri dieci profili da controllare, così li controllai tutti togliendomi il pensiero.
Stavo controllando la quarta scheda quando il computer iniziò a fare uno strano rumore, ma non ci feci caso.
La quinta, la sesta, la settima. Niente.
Aprii l'ottava, pronta ad avere un'altra delusione.
Si bloccò tutto intorno a me quando lo vidi lì, privo di espressione, con quella cicatrice che gli squarciava la faccia.
Iniziai a ridere - da sola in cucina - e mi portai la mano alla bocca.
Non ci credevo! Finalmente il volto di quel bastardo aveva un nome: Alan Slow.
Feci scorrere piano le pagine, non volevo perdere nessun dato. Poi lo schermo del pc iniziò a farsi nero, poi riprese colore, di nuovo nero e ancora a colori.
«Che cavolo ti prende?» gli diedi un pugno leggero.
La scritta "trasferimento dati in corso" mi fece urlare il nome di Ryan più volte, che si precipitò in cucina chiedendo cosa succedesse. Prese velocemente il mio posto, e dopo poco imprecò.
«Che succede?» chiesi.
«È un virus. Qualcuno sta svuotando l'intero computer.»
Quella frase mi fece mettere sull'attenti. Presi la pistola dal tavolo, e guardai fuori dalle finestre senza avvicinarmi troppo.
Erano qui, lo sentivo. Ci avevano trovati.
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