1 - Barbie
«Alla buon ora, signorina Carter.» puntualizzò il professor Jenks.
Mi sforzai con tutta me stessa di ignorarlo e non arrabbiarmi. Non oggi.
Mi andai a sedere nel mio banco, indifferente agli sguardi di quegli idioti dei miei compagni di classe.
«Ehi, Paige!» sussurrò Melissa.
Feci un gesto con la mano a mo' di saluto, e mi buttai pesantemente sulla sedia.
Melissa si mosse nervosa, come se volesse chiedermi qualcosa ma la ignorai come mio solito. Melissa era una ragazza abbastanza simpatica, ma era piena di sé, e non faceva altro che parlare di ragazzi. Era anche convinta che io fossi la sua migliore amica, convinta che io ascoltassi ogni cazzata che le usciva dalla bocca.
Me la sorbivo per il semplice fatto che volevo smettere di essere chiamata dal preside che mi incitava per avere amici.
Gli amici non facevano per me. No, grazie.
Ma fare finta di stare a sentire Melissa non era poi tanto brutto.
Come se mi avesse letto nel pensiero iniziò a bisbigliare qualcosa a proposito di un ragazzo che le faceva il filo, ma mi distrassi subito, pensando a quanto sarebbe stata lunga la giornata. Troppo lunga.
Le prime due ore passarono in fretta, e al suono della campanella, schizzai verso la mensa col mio zaino in spalla.
Non prestavo attenzione a nessuno in corridoio. Per me erano tutti involucri vuoti. I ragazzi del football, e le cheerleaders erano i primi stupidi in classifica.
Tyler McGuaire, il capitano della squadra di football, si divertiva spesso a prendere in giro le persone, ma non si era mai azzardato a farlo con me. Pensandoci bene, nessuno provava ad avvicinarsi a me, a parte Melissa. Qualcuno di più coraggioso ci aveva anche provato, ma io snobbavo tutti senza il minimo ritegno.
«Ehi Barbie!» gridò Tyler.
Si stava rivolgendo a me. Strano, ma era così. Ero venuta a conoscenza del soprannome che alcuni mi avevano attribuito.
Che stronzata! Se una ha i capelli biondi è una barbie? Non volevo neanche esserlo! Il mio atteggiamento, il mio modo di muovermi, il modo di vestirmi urlavano che non ero nemmeno lontanamente simile a una barbie. Al massimo, potevo essere il padre di barbie.
Avanzai decisa, cercando il più possibile di non calcolarlo.
Ci furono mormorii e poi Tyler urlò di nuovo: «Paige!»
Puah! Era anche peggio di Barbie.
Ma con quello, dovevo farci i conti sempre. Era il mio "nuovo" nome da 10 anni. Così mi avevano chiamata quando mi avevano trovata. Paige Carter. E Ray era diventato Sean Carter.
Volevo urlare a tutti di non chiamarmi più così. Il mio nome era Billy. Io ero Billy Shoe!
Quel nome l'aveva scelto la mamma, la mia mamma..
Mi incupii al pensiero della mia mamma e del mio papà. Oggi, era una giornata triste. Oggi erano esattamente 10 anni da quando non c'erano più.
Continuai a camminare fin quando non sbattei contro il corpo robusto di quel coglione di Tyler che mi si era parato davanti.
«Spostati.» ringhiai. «Da solo, o ci penso io.» continuai.
Sembrò non notare la mia minaccia. «Ehi, volevo farti i miei complimenti. Oggi hai davvero un culo favoloso!» fece un sorriso stupido e mi venne voglia di strappargli i denti.
Le persone ferme a guardarci risero di gusto.
Ma la rabbia diventò furia quando imitò con la mano un palpeggiamento verso il mio sedere.
Prima che arrivasse anche un po' vicino al bersaglio, gli presi la mano e con l'aiuto di tutte e due le braccia girai su me stessa e gliela strinsi forte. Sentii uno scricchiolio.
«Oh, oh!» urlò.
«Riprovaci e te la stacco sul serio.» dissi tra i denti.
Provava dolore, glielo leggevo in faccia.
Gliela lasciai, e mi allontanai verso l'uscita per fumare una sigaretta.
«Mettici del ghiaccio!» urlai divertita.
Il corridoio scoppiò in altri mormorii e risatine.
Patetici.
Uscii e accesi la sigaretta, facendo un lungo tiro.
Una coppia che pomiciava si fermò a guardarmi, dicendomi con lo sguardo di alzare i tacchi. Li ignorai.
Ero abituata alle occhiatacce delle persone. Sapevo cosa pensava di me la gente. Ma non mi importava granché.
La cosa strana era che, più me ne infischiavo di cosa dicessero di me, più i pettegolezzi aumentavano.
Sorrisi tra me e me pensando a quelle poverelle che magari pregavano Dio per essere calcolate da un bel ragazzo, o entrare nella cricca di ragazze carine.
Che ridicole!
Io amavo stare da sola, mi rilassava. Ma oggi neanche stare da sola mi rilassò e conoscevo il motivo.
Il telefono vibrò e mi distrasse dai miei pensieri.
Un messaggio di un numero sconosciuto. Sorrisi.
Feci un ultimo tiro, e poi gettai la sigaretta a terra, spegnendola con il piede. Aprii il messaggio.
Stasera, fuori al Blues a mezzanotte! Non fare tardi, e porta i soldi!
Cancellai il messaggio, e mi infilai il telefono in tasca. Bene, avevano le informazioni che mi servivano. Sarebbe stato meglio per loro.
La campanella suonò e io mi avviai verso la classe, ma nel tragitto Melissa mi si affiancò.
«Che hai combinato?» disse preoccupata.
«Se ti riferisci alla mano di Tyler, non preoccuparti. Non morirà.» sorrisi senza nemmeno guardarla.
«La smetti di fare così? Prima o poi ti farai espellere. Ho convinto io Tyler a non andare dal preside.» disse portandosi una mano sul petto.
Mi girai a guardarla. «Ma perché non ti fai i fatti tuoi?» sbottai.
«Be', prego!» strinse gli occhi a fessura e sotto l'occhio comparve una piccola fossetta.
Me ne andai, lasciando perdere. Non avevo tempo per parlare di stronzate, avevo cose più importanti a cui pensare.
Ad esempio, a stasera.
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