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Capitolo 42

I'll be fine
I'll be waiting patiently
'Til you see the signs
And come running to my open arms
When will you realize
Do we have to wait 'til our worlds collide
Open up your eyes
You can't turn back the tide

It's no good
[Depeche Mode]

~~~

Vuoto.

Era questa la sensazione fredda e scomoda che mi si era infiltrata fin dentro le ossa, rallentando ogni mio movimento ed intorpidendo i miei sensi; da quando Harry era stato incarcerato le mie giornate avevano perso il loro colore, dispiegandosi davanti a me come la bobina rovinata di una vecchia pellicola muta in bianco e nero.

Dall'udienza, avvenuta solo pochi giorni prima, ero diventata apatica ed assente; nulla mi stimolava o entusiasmava, e ritrovarmi a casa da sola dopo le ultime settimane passate con Harry iniziava a farmi fisicamente male. Non avevo nemmeno più fame, mangiavo solo per inerzia e spesso mi dimenticavo persino qualche pasto.

Dovunque posassi lo sguardo trovavo traccia della nostra quotidianità, del nostro affetto capriccioso e vivo, di tutto ciò che eravamo – e che eravamo diventati – insieme. Mi mancava più di quanto avrei mai potuto immaginare, di sicuro molto più di quanto riuscissi a sopportare.

Cowley mi aveva spiegato che Harry avrebbe potuto ricevere all'incirca tre visite di un'ora al mese, almeno inizialmente; forse con il tempo gliene avrebbero concesse di più, come premio per l'eventuale buona condotta, ma per il momento ci si sarebbe dovuti accontentare.

Contrariamente a quanto mi ero ripromessa non avevo fatto subito richiesta per una visita. Ero terrorizzata da come avrei potuto vivere quell'incontro, non potendolo neppure toccare; la mia sfiducia si era ingigantita esponenzialmente da quando avevano portato via Harry davanti ai miei occhi, e avevo finito per veder morire una per volta tutte le speranze che nutrivo per un futuro con lui.

Potevamo davvero sopravvivere alla prospettiva di passare quattro anni senza poterci scambiare un bacio né un abbraccio? Senza poterci tenere per mano, senza poter anche solo respirare l'uno sulla pelle dell'altra?

Nonostante cercassi con tutte le mie forze di negarlo a me stessa, l'inevitabile successione degli avvenimenti futuri si ripeteva continuamente nel mio cervello come un mantra maledetto: all'inizio avremmo sofferto entrambi all'inverosimile, poi le visite si sarebbero fatte sempre più rade e distaccate, io avrei riempito quel vuoto con il lavoro e con il tentativo di recuperare una vita sociale mentre lui avrebbe alzato barriere su barriere come meccanismi di difesa, tumulandosi all'interno della sua stessa condizione di prigionia fino a dimenticarsi anche che potesse esistere qualcosa al di fuori di essa.

Avremmo cercato più o meno inconsciamente di tramortire quella bruciante dipendenza che ognuno di noi due aveva per la presenza dell'altro, soffocandola fino ad ucciderla pur di trovare una scappatoia da quel loop angosciante, e l'avremmo fatto con un egoismo molto più grande e vile di quello che serviva per continuare a tirare avanti insieme.

Questi ed altri mille pensieri infuriavano nella mia testa, mentre sfioravo con i polpastrelli l'autorizzazione per le visite al carcere di Brixton che Harry mi aveva fatto inviare; era il mio lasciapassare per poter accedere alle aree adibite agli incontri con i detenuti. Un carcerato poteva segnalare solo pochissime persone nell'elenco dei contatti autorizzati alle visite: le procedure erano estremamente rigide ed i controlli ferrei, ma in qualche modo non ero più intimorita da nulla.

Ero svuotata, svuotata ed ormai inerme.

Sbuffai in un misto di apatia e frustrazione, recuperando il portatile per cercare il sito della prigione. La procedura per prenotare una visita fortunatamente poteva essere eseguita online; compilai i moduli virtuali inserendo i miei dati e quelli di Harry, quindi confermai la richiesta e spensi il pc con un sospiro.

Dovrei essere felice, visto che tra un paio di giorni lo rivedrò.

Serrai le palpebre, sfregandole forte con i polpastrelli.

Dovrei essere felice... giusto?

Non avevo idea di cosa mi prendesse, e la cosa mi terrorizzava. Harry mi mancava, mi mancava da morire, ma il pessimismo mi si era attaccato addosso come una parassita e stava avvelenando ogni traccia di serenità che mi era rimasta.

Avevo passato le ultime notti quasi insonne, rigirandomi nel letto e chiedendomi se lui stesse bene e se stesse pensando a me; mi chiedevo se avesse problemi con i suoi compagni di cella, se mangiasse, se non stesse anche lui impazzendo dalla nostalgia. Mi chiedevo se fosse anche lui tormentato dalle stesse paure che ossessionavano me, e non osavo neppure tentare di darmi una risposta.

Semplicemente mi lasciavo scivolare il tempo addosso, secondo dopo secondo, ora dopo ora, giorno dopo giorno – sperando sempre di tramortire il dolore e di trarne un conforto che, purtroppo, non arrivava mai.

***

Chiusi l'anta dell'armadietto metallico con un tonfo secco, girando la chiave nella piccola toppa per poi infilarmela in tasca.

Numero 17... non è esattamente un portafortuna, ma ce lo faremo andare bene.

Distolsi lo sguardo dalle file di sportelli grigi, leggermente impensierita – non amavo lasciare in giro i miei effetti personali, neppure se li chiudevo nelle cassette di sicurezza di una prigione – e rivolsi un breve cenno all'agente che mi aveva accompagnata, al che lui mi guidò verso la sala visite.

Si trattava di un ampio salone con tavoli e sedie, in cui parecchi carcerati stavano già chiacchierando con i loro visitatori; deglutii a vuoto e spalancai gli occhi, sorpresa dal fatto che fossero effettivamente permessi contatti diretti con i prigionieri – chissà perché avevo sempre dato per scontato che non fosse così – e questo fece aumentare a dismisura il martellare del mio cuore nel petto mentre mi avvicinavo al tavolo dove avevo già individuato Harry.

Indossava una tuta grigia a maniche lunghe, i capelli corti erano piuttosto scompigliati e non portava anelli alle dita, ma non mi era mai sembrato così bello come in quel momento.

«Ehi» riuscii solo a sussurrare con un filo di voce, sedendomi accanto a lui mentre mi sporgevo per baciarlo. Lui mi frenò con un'occhiata, rivolgendo subito dopo lo sguardo verso una delle guardie che ci teneva d'occhio, al che mi ritrassi con una punta di delusione ferita.

«Scusami» mormorò, l'aria colpevole che traspariva dalle iridi verdi. «Agli sbirri qui non piace che ci si lasci andare troppo al contatto fisico»

Cercai di inghiottire il boccone amaro senza dare a vedere quanto mi avesse fatto male, nonostante sapessi che non era colpa sua.

«Certo, mi dispiace» risposi forse troppo precipitosamente, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Tu come stai?»

Lui alzò le spalle con noncuranza.

«La mia cella è quasi più accogliente di casa mia» tentò di scherzare, tormentandosi la base delle dita come faceva quando aveva gli anelli indosso. «Me la cavo alla grande»

Premetti le labbra tra loro, studiando la sua espressione per cogliere tutto quello che si stava tenendo dentro.

«Sei da solo lì?» chiesi impacciata, un lieve velo di timore che ombreggiava la mia voce. «Oppure abiti... sei con... con qualcun altro?»

«Ho due compagni di cella» rispose con un piccolo sorriso spento, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia. «Sono tipi a posto, se non fosse che uno di loro ha la sindrome di Tourette e probabilmente mi farà uscire pazzo a breve con tutti i versi strani che fa di continuo»

Repressi a fatica un brivido di inquietudine, intrecciando le mani in grembo sotto il tavolo.

«Per il resto va tutto bene? Cosa fai durante la giornata? Ti fanno uscire almeno un po'?» feci una pausa, lasciandomi andare ad una breve risatina silenziosa mentre scuotevo la testa. «Perdonami, io... lo sto trasformando in un interrogatorio, vero?»

«Giusto un pochino» replicò, gli angoli della bocca arricciati in un ghigno. «Sei maledettamente curiosa, lo sei sempre stata»

«Voglio solo sapere se stai bene» insistetti, senza riuscire ad abbandonarmi del tutto al suo fare giocoso. «Sono preoccupata, Harry»

Il sorriso gli scomparve dalle labbra e la fronte gli si rannuvolò; mi maledissi da sola per non riuscire a sciogliere la tensione che mi attanagliava lo stomaco, ma ormai il danno era fatto.

«Sono in prigione, Ri» sottolineò amaramente, distogliendo lo sguardo. «L'ho voluto io, certo, ma non è proprio quel che si dice un paradiso in Terra»

«Mi dispiace» sussurrai colpevole, abbassando gli occhi sulle mie mani intrecciate. «Riesco sempre a rovinare tutto»

«Non...» sospirò frustrato, sfregandosi le palpebre. «Non voglio che facciamo questi discorsi, Ri. Non hai rovinato nulla, d'accordo?»

Feci per ribattere ma mi bloccai con il labbro inferiore stretto tra i denti. Harry tornò ad inchiodarmi con il suo sguardo di giada, in qualche modo apprensivo ed insicuro.

«Hai ragione» ammisi infine, stringendomi nelle spalle. «Non ho intenzione di litigare proprio ora. Mi sei mancato»

La sua espressione si distese e si addolcì, le sue spalle si rilassarono appena.

«Anche tu, Ri» confessò, allungando una mano per stringere la mia al di sopra del tavolo. «Non puoi nemmeno immaginare quanto»

Un nodo iniziò a formarsi nella mia gola, trasformandosi in una morsa sempre più impietosa al passare di ogni secondo. Avevo così bisogno di stringerlo a me, e dovermi trattenere si stava rivelando un'impresa dolorosamente difficile.

«Parlami di qualcosa» disse subito con urgenza, come se si fosse accorto del mio turbamento. «Raccontami come va lì fuori. Stai lavorando tanto?»

Mi sforzai di non soffermarmi sul modo in cui aveva detto "lì fuori", e raddrizzai la schiena.

«Come al solito» confermai, una smorfia di disappunto sul viso. «James è il solito strozzino approfittatore, il locale è sempre il solito frenetico casino, i turni sempre il solito massacro... è tutto regolare»

Tranne te. Tu non ci sei più, sei sparito dalla mia quotidianità ed io non so più come fare per riprendere in mano la mia vita... non so nemmeno se voglio davvero farlo.

«Comunque ho superato più controlli di sicurezza negli ultimi giorni che in tutto il resto della mia vita negli aeroporti» provai a sdrammatizzare, scacciando alla bell'e meglio quella tensione scomoda. «Ne ho fatto uno anche prima di entrare nella prigione, mi hanno pure preso le impronte digitali»

«Ho sentito che proprio ieri un visitatore ha tentato di introdurre di contrabbando una piccola bottiglia di whiskey» raccontò Harry, passandosi la mano sinistra sul mento. «Gli sbirri l'hanno scoperto praticamente subito, e gli hanno impedito di mettere piede in qualunque prigione dello Stato per il prossimo anno. Deve anche ringraziare che non l'abbiano arrestato sul posto e sbattuto dentro per qualche notte»

Sollevai le sopracciglia, stupita dalla drasticità delle misure che erano state prese.

«Wow» commentai semplicemente, mordendomi l'interno della guancia. «Il sistema carcerario inglese funziona alla grande, eh?»

«Certo, come no» replicò sarcastico, scuotendo appena la testa. «Questo buco vomita gente, le celle sono piene. Non sanno più dove metterci, e uno dei secondini mi ha detto che è così praticamente ovunque in tutto il Regno Unito... continuano ad aumentare le aggressioni, l'autolesionismo, i suicidi, e nessuno sembra voler fare un cazzo per migliorare la situazione»

Rabbrividii alle sue parole, l'ansia improvvisa che mi investiva come un getto di acqua gelida.

«Ti prego, Harry, dimmi che farai attenzione» lo implorai, piegandomi nella sua direzione. «Non metterti nei guai, non rispondere alle provocazioni... Dio mio, dimmi che starai bene»

Era diventato impossibile nascondere il tremito della mia voce, tantomeno ad Harry che ormai mi conosceva meglio di chiunque altro.

«Ehi, starò bene» cercò di rassicurarmi lui, accarezzando piano le nocche della mia mano con il pollice. «Non succederà nulla, d'accordo? Ho esagerato un po', la situazione non è così tragica. Non succederà nulla, Ri»

Sapevo perfettamente che quello che aveva detto prima non era affatto un'esagerazione; tuttavia annuii con un sospiro, come a mostrargli che era riuscito nel suo intento. Non volevo farlo preoccupare, e dall'espressione ancora leggermente tesa sul suo viso mi rendevo conto che non ero riuscita ad ingannarlo del tutto.

«Ho iniziato a fare palestra» annunciò poi per distrarmi, un piccolo sorriso sulle labbra. «Non è così male, qui. Voglio informarmi per trovare un lavoro, tanto per fare qualcosa, anche se le paghe sono imbarazzanti... se ti va bene ti danno poco più di quindici sterline a settimana»

Spalancai gli occhi, e Harry ridacchiò alla mia aria sbalordita.

«Anche io ho fatto quella faccia quando me l'hanno detto» sogghignò, piegando la testa di lato. «C'è anche da dire che non puoi nemmeno spendere quanti soldi vuoi, in prigione. Se ti comporti bene forse riesci ad arrivare a poter spendere venticinque sterline a settimana, un vero lusso»

«Sono poco più di tre sterline al giorno» mormorai, al che lui annuì. «Cosa ci compri con così poco?»

Harry alzò le spalle, infilandosi le dita tra i capelli corti.

«C'è il cibo delle macchinette, e poi c'è un minuscolo negozietto dove ti puoi comprare il dentifricio e roba del genere» spiegò, facendo ricadere la mano sulla coscia. «Però Cowley mi ha detto che se mi comporto bene potrò anche avere una TV in cella. Gratis»

«Hai parlato con Cowley?» domandai di getto, senza neppure badare al resto delle cose che aveva detto. Harry fece un cenno di assenso, colto alla sprovvista.

«È venuto venerdì, perché?»

«Per caso ti ha... ti ha detto qualcosa a proposito dell'uscita anticipata per buona condotta?» chiesi a voce più bassa, quasi timorosa. «Gli hai chiesto informazioni?»

«In realtà a quanto pare non esiste nemmeno una vera e propria uscita anticipata per buona condotta, in Inghilterra» rispose lui, al che sentii il mio cuore sprofondare nel petto. «Da quel che mi ha detto Cowley, si tratta più che altro di arresti domiciliari. Ad un certo punto della tua pena carceraria ti fanno uscire, però devi indossare una cavigliera elettronica e risiedere ad un indirizzo fisso, come quando stavo da te prima dell'udienza alle Assise»

«Ma è già qualcosa» replicai, animata da una rinnovata speranza. «Hai già fatto richiesta? Bisogna compilare qualche modulo?»

«Ri... io non sono idoneo per i domiciliari» spiegò piano, e mi sentii mancare per l'ennesima batosta. «Chi ha una condanna di quattro anni di prigione o più è automaticamente escluso dalla procedura, che in altri casi invece sarebbe automatica»

Mi sentivo girare la testa, e volevo mettermi a ridere per la cinica ironia della situazione.

«Non c'è nessun altro modo?» chiesi quasi implorante, la voce rotta. «Qualsiasi modo...?»

Harry scosse la testa.

«Se io fossi un criminale straniero potrei ottenere un'uscita anticipata per l'estradizione» specificò, sfregandosi un braccio. «Non ci sono altre vie, purtroppo»

Chiusi gli occhi, massaggiandomi le tempie che avevano iniziato a pulsare senza sosta. Vedere tutte le mie speranze infrangersi una dopo l'altra davanti ai miei occhi mi stava drenando, e non aiutava di certo a rendermi più leggera l'agonia.

«Ho capito» sussurrai, tentando di abbozzare un sorriso che però non riuscì nemmeno a comparire sulle mie labbra. «Ho capito, va bene così»

«Ri...»

«Aspetteremo, giusto?» domandai sottovoce, più a me stessa che a lui. «Per tutto il tempo che servirà. Quattro anni passano in fretta, dopotutto»

Harry sospirò, senza ben sapere come reagire. Per un paio di minuti restammo chiusi ognuno nel proprio silenzio, mentre il brusio che ci circondava sembrava quasi annegarvi dentro fino a scomparire.

«Io voglio aspettarti» esordii infine di punto in bianco, facendolo trasalire. «Non mi interessa se passeranno anni. Come ci siamo ritrovati una volta, potremo farlo di nuovo»

Lui mi guardò con un'intensità tale che mi sentii quasi mancare.

«Ne sei sicura, Ri?» chiese lentamente, cauto, scandendo ogni parola. «Devi riflettere bene su cosa vuoi fare della tua vita. Non voglio che tu impedisca a te stessa di incontrare qualcuno che ti possa rendere felice»

«Non puoi starmi davvero facendo questo discorso» mormorai incredula, allontanandomi appena da Harry. «Dimmi che stai scherzando»

«Voglio solo che tu prenda in considerazione tutte le possibilità» rimarcò, una punta di esasperazione nella sua voce. «Ti ho già rovinato abbastanza la vita, Ri, almeno pensaci»

Scossi ossessivamente la testa, rifiutandomi di accettare quelle parole che facevano così male.

«Non dirlo nemmeno per scherzo» sibilai, sentendo delle lacrime pizzicarmi gli occhi. «Non ho intenzione di rinunciare a quello che provo per te, hai capito? È... è troppo tardi, ormai. Anche se ci provassi non ci riuscirei, e non voglio neanche provarci, Harry, come ti viene in mente?»

Lui sospirò brevemente, le spalle curve.

«Hai ragione... ti chiedo scusa» ammise poi, piegandosi verso di me e prendendo le mie mani tra le sue. «Stare qua dentro a volte mi fa vedere le cose da una prospettiva troppo estrema. Non parliamone più, d'accordo? Non piangere»

Annuii, gli occhi ancora lucidi ed il cuore che mi martellava furiosamente nel petto, e lui mi rivolse un piccolo sorriso mentre tornava ad appoggiarsi allo schienale della sedia. Chiacchierammo del più e del meno per il resto dell'ora di visita, riuscendo persino a ridere insieme come se avessimo dimenticato il luogo e le condizioni in cui ci trovavamo.

Quando una delle guardie ci raggiunse al nostro tavolo per comunicarci che il tempo era scaduto mi fu a malapena permesso di stringerlo in un mezzo abbraccio che durò forse un paio di secondi; dopo che ci fummo separati Harry mi rivolse uno sguardo colpevole, forse uno sguardo di scuse, che inizialmente non capii.

Quella fu la prima ed ultima volta che accettò una mia visita.

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